Poichè oltre alla canzone a me piace il sud di Rino Gaetano ho riportato direttamente ed indirettamente storie ed articoli di un tempo passato ( cioè prima del boom economico ) che ancora sopravvive e causa crisi sta " ritornando in auge " vengono tacciato d'essere nostalgico.
Un un fondo di verità c'è ma se ho cnosciuto da bambino queste cose essendo nato in una generazione di mezzo non è colpa mia . E a chi mi dice che esalto l'anarocoretismo e solitudine perchè ho riportato il discorso ormai diventato un classico e storia su tale temaitiche di Fabrizio de Andre meglio spiegato qui in cui spiega alla massa il suo album più belli Anime Salve o condivido articoli come questi
Ricevo una mail che nell’oggetto dice: “Lettera profondamente banale”. La scrive una giovane donna che quasi si scusa dell’argomento, i problemi sono altri – dice – e nelle nostre conversazioni successive mi spiega di averla scritta di getto, in treno, “uno sfogo dovuto alla frustrazione momentanea”. Sono d’accordo: i problemi sono altri. Ma credo che la scomparsa del silenzio sia all’origine di alcuni deficit di attenzione, e di comprensione della realtà. La scomparsa del silenzio, e del rispetto. Non è così banale, alla fine, questa sua lettera, Gloria."Esasperata, forse sono portata a sovrastimare questo piccolo cambiamento culturale come simbolo di un più grande movimento regressivo. Mi spiego. Ormai in treno si parla tranquillamente: al telefono, coi vicini, addirittura se il nostro amico è seduto davanti a noi ‘basta allungare un po’ il busto, alzare un po’ la voce’. Io viaggio per [ continua qui in questo articolo della de gregorio su repubblica del 31\3\2018
Dopo questa replica veniamo alla storie ed articoli vari d'oggi provenienti dalla mia regione ( la sardegna per chi mi eggesse per la prima volta ) .
da la nuova sardegna del 1\4\2018
Elena, maestra a Tavolara unica nella storia dell’isola
La Ricco arrivò nel 1956: la scuola era una stanza in una casetta sulla spiaggia. «I miei alunni erano i pescatori: io insegnavo a scrivere, loro i segreti del mare» di Alessandro Pirina
OLBIA. Oggi è un’area marina protetta tra le più esclusive del Mediterraneo. Un piccolo regno del cinema che ogni estate vede arrivare il gotha del grande schermo. Una meta obbligata per i vip in vacanza in Costa Smeralda. Nel 1956 Tavolara non era nulla di tutto questo. Era un’isola quasi disabitata, lontanissima dalla vicina costa gallurese, un paradiso inconsapevole in cui la macchina del tempo si era fermata a qualche decennio prima. È in questo piccolo mondo antico che in una piovosa giornata del ’56 si trova catapultata Elena Cassibba, 27 anni. Con lei il marito Roberto Ricco e la figlia Betty, di 7 anni appena. Arrivavano da Roma, lui aveva vinto il concorso per fanalista e lo avevano assegnato proprio al faro di Tavolara. Da allora è passata una vita, ma Elena, oggi 89enne, ricorda come fosse ieri il suo sbarco sull’isola che le cambiò la vita. Fu lì che si sedette per la prima volta dietro una cattedra, insegnando i verbi, la geografia e le tabelline ai pochi abitanti di Tavolara che non erano mai stati in una scuola. E rimanendo di fatto l’unica maestra della storia dell’isola.
Il dopoguerra. «Dopo la guerra ci eravamo stabiliti per un po’ a Roma, mio marito era radiotelegrafista al ministero della Marina – racconta Elena con il suo inconfondibile accento siciliano –. Dovevamo tornare a vivere a Palermo, ma erano anni in cui lavoro non ce n’era. A mio marito fu consigliato di partecipare al concorso per fanalista. Il primo che si faceva, perché fino a quel momento era un mestiere che si tramandava di padre in figlio. A Roberto mancavano 7 anni al pensionamento, lui era un ex prigioniero in Germania, uno dei 120 superstiti dell’affondamento dell’incrociatore Fiume. Gli dissero: “Hai una bambina piccola, fai il concorso e così raggiungi l’età per andare in pensione”. E così fece: andammo alla Spezia per fare il corso e ci dissero che la nostra sede sarebbe stata l’Isola del Giglio. Ma non andò così». Sul foglio consegnato al marito infatti la destinazione era un’altra. «Mio marito venne e mi disse: “ci mandano in un posto che si chiama Olbia e su un’isola chiamata Tavolara”. Io non avevo idea di dove fosse, conoscevo a malapena la Sardegna. Così presi un atlante e iniziai a cercare: trovai Olbia e nient’altro. Fino a quando non vidi una lineetta in mezzo al mare quasi invisibile. Era Tavolara. Fu uno choc, ma eravamo giovani, ci amavamo e siamo partiti».
L’arrivo. Sul traghetto che da Civitavecchia portò la famiglia Ricco in Sardegna Elena incontrò una donna di Olbia. «Quando le dissi che ci avevano assegnato a Tavolara sgranò gli occhi: “ma è disabitata, domani mattina le faccio vedere l’isola”. Così alle 6 andai sul ponte e vidi per la prima volta quella montagna in mezzo al mare. E subito mi accorsi che non c’erano case». Una prima impressione che trovò conferma quando sotto la pioggia marito, moglie e bambina arrivarono sull’isola, accompagnati da Chinelli, il vecchio fanalista. «C’era solo la nostra casa, più il villaggio di pescatori dall’altra parte dell’isola. Fu un impatto devastante, in particolare per me, perché mio marito era stato prigioniero in Germania ed era più abituato alle avversità». Dal caos di Roma Elena si trovò catapultata in mezzo al nulla di Tavolara, che ai tempi contava poche decine di abitanti. Tutti pescatori che mai avevano frequentato una scuola. Elena invece aveva un diploma magistrale. Fece la domanda per fare delle supplenze. E nel frattempo il sindaco di Olbia, Alessandro Nanni, ottenne l’ok del provveditore per avviare una scuola proprio a Tavolara. Inevitabile che l’incarico andasse a lei, prima e unica maestra sull’isola. «Mi misero a disposizione una stanzetta in una casa sulla spiaggia abitata da due ex pastori. Trovai dei banchi, evidentemente in precedenza c’era stata una scuola. Mio marito aveva portato per me e mia figlia una poltrona letto, che la notte aprivo e la mattina richiudevo per poter fare lezione. Avevo 16 alunni, tutti analfabeti o semi. Molti erano padri di famiglia, miei coetanei e non avendo mai insegnato avevo timore mi prendessero in giro. Invece, tra noi si creò un rapporto fraterno: io insegnavo tutte le materie e loro mi raccontavano le loro avventure in mare. Devo essere sincera, se sono riuscita a superare la solitudine di quegli anni, è grazie a quei miei alunni speciali. Sono loro che mi hanno salvato».
L’isolamento. Vivere a Tavolara non sarebbe facile oggi, figurarsi sessant’anni fa. Ai tempi l’isola contava poche decine di abitanti. Fino a qualche tempo prima c’erano una drogheria e una tabaccheria, ma all’arrivo della famiglia Ricco le due attività non erano più operative. «Una volta al mese andavamo a Olbia per fare rifornimento: farina, zucchero, olio. Avevamo fatto amicizia con i pescatori di Golfo Aranci e ci scambiavamo aiuto reciproco. Una volta ci siamo imbattuti in una sciroccata e abbiamo perso tutto il carico. Per 3 o 4 giorni siamo stati ospitati dal fanalista dell’Isola Bocca perché era impossibile raggiungere Tavolara. Un’altra volta invece per il brutto tempo era saltato il turno di rifornimento. Non avevamo più nulla, e non c’era alcun modo per arrivare a Olbia. Mio marito aveva chiamato il comandante alla Maddalena: “siamo da 8 giorni senza viveri, cosa posso dare da mangiare alla bambina? O ci mandate una nave o interrompo il servizio”. Alla fine ci mandarono la nave con i viveri, ma la nostra storia uscì sulla Nuova Sardegna. “Isolati per incuria”, era il titolo dell’articolo, a cui seguì una interrogazione parlamentare. La vicenda finì con una lettera di richiamo per mio marito».
La solitudine.
A quei tempi a Tavolara non c’era grande movimento. Ogni giornata era uguale alle altre. «Solo la domenica d’estate era un po’ diversa – racconta Elena –. Arrivavano i turisti, allora tutti olbiesi, e per noi in qualche modo era una festa. Il resto della settimana non c’era nulla. Io ero abituata a Roma, alle passeggiate, ai negozi. Il sabato mi preparavo e andavo in via del Corso. A Tavolara ovviamente non lo potevo fare, ma io indossavo ugualmente il vestito elegante, mi mettevo gli orecchini pendenti e mi truccavo. Poi andavo sugli scogli per scrutare l’orizzonte e cercavo Olbia. Ovviamente non vedevo nulla, ma dentro di me pensavo: “laggiù c’è movimento, c’è festa, c’è vita”». Elena Ricco rimase a Tavolara fino al 1958, il marito invece resterà qualche anno in più, giusto il tempo per raggiungere l’età della pensione. Quella destinazione sconosciuta ha influenzato per sempre le loro vite: dalla Sardegna, infatti, non sono più andati via. Lui ha lavorato come ristoratore, lei invece ha continuato a fare la maestra. Per qualche anno a Olbia, e poi nella borgata di Murta Maria. Di fronte a Tavolara, anche se lei non è mai più tornata sull’isola. «Da allora non ci ho più messo piede. Quegli anni sono stati durissimi, ma io dico sempre che la nostra fortuna si chiama Tavolara, perché tutto è iniziato lì. Se non ci fosse stata Tavolara mai avremmo avuto la possibilità di affermarci né io nella scuola né mio marito nella ristorazione».
A quei tempi a Tavolara non c’era grande movimento. Ogni giornata era uguale alle altre. «Solo la domenica d’estate era un po’ diversa – racconta Elena –. Arrivavano i turisti, allora tutti olbiesi, e per noi in qualche modo era una festa. Il resto della settimana non c’era nulla. Io ero abituata a Roma, alle passeggiate, ai negozi. Il sabato mi preparavo e andavo in via del Corso. A Tavolara ovviamente non lo potevo fare, ma io indossavo ugualmente il vestito elegante, mi mettevo gli orecchini pendenti e mi truccavo. Poi andavo sugli scogli per scrutare l’orizzonte e cercavo Olbia. Ovviamente non vedevo nulla, ma dentro di me pensavo: “laggiù c’è movimento, c’è festa, c’è vita”». Elena Ricco rimase a Tavolara fino al 1958, il marito invece resterà qualche anno in più, giusto il tempo per raggiungere l’età della pensione. Quella destinazione sconosciuta ha influenzato per sempre le loro vite: dalla Sardegna, infatti, non sono più andati via. Lui ha lavorato come ristoratore, lei invece ha continuato a fare la maestra. Per qualche anno a Olbia, e poi nella borgata di Murta Maria. Di fronte a Tavolara, anche se lei non è mai più tornata sull’isola. «Da allora non ci ho più messo piede. Quegli anni sono stati durissimi, ma io dico sempre che la nostra fortuna si chiama Tavolara, perché tutto è iniziato lì. Se non ci fosse stata Tavolara mai avremmo avuto la possibilità di affermarci né io nella scuola né mio marito nella ristorazione».
stessa fonte e estessa data
I bonsai diventano bonsardi: souvenir speciali dall’isola
L’idea di un florovivaista: essenze mediterranee proposte in versione mini: Da Santa Maria La Palma i vasetti spediti con istruzioni, assistenza su WhatsApp di Antonello Palmas
ALGHERO. L’idea gli è venuta soltanto osservando la natura della Sardegna. Per Maurizio Puma, florovivaista siciliano trapiantato a Vigevano, è stata come un’illuminazione: quelle piante sono ideali per creare dei bonsai, come già sanno diversi appassionati e hobbisti. Ma può divenire anche un business. Nascono così i “Bonsardi”, che
con un efficace gioco di parole propongono in salsa isolana l’antichissima arte orientale, ma utilizzando solo essenze del mediterraneo. Con la compagna ha creato un’azienda che produce vasetti racchiusi in gradevoli confezioni traspiranti che possono anche essere spedite fuori dall’isola, persino all’estero. Un’isola in vasetto da curare con amore come un ricordo, un concentrato di colori e profumi della Sardegna da tenere in casa che risulta apprezzatissimo.
con un efficace gioco di parole propongono in salsa isolana l’antichissima arte orientale, ma utilizzando solo essenze del mediterraneo. Con la compagna ha creato un’azienda che produce vasetti racchiusi in gradevoli confezioni traspiranti che possono anche essere spedite fuori dall’isola, persino all’estero. Un’isola in vasetto da curare con amore come un ricordo, un concentrato di colori e profumi della Sardegna da tenere in casa che risulta apprezzatissimo.
«Quasi ovunque il bonsai viene prodotto utilizzando piante di origine asiatica, come da tradizione – spiega Maurizio – . Ma sono tutte essenze che non conosciamo, lontane dalla nostra cultura e dalla nostra sensibilità. È cominciato tutto quasi per gioco quattro anni fa. Grazie al mio lavoro ho un occhio allenato per la natura. E da forestiero (venivo dalla pianura padana) ho notato subito le caratteristiche della macchia mediterranea, il cui fascino ha forse una valenza diversa per chi viene da fuori rispetto a chi la vede tutti i giorni. Profumi intensi, colori e bacche particolari, foglie lucide e sempre verdi, compattezza. Tutti pregi per l’arte del bonsai, e che le vostre piante hanno naturalmente».
L’idea ha attecchito in fretta: «Fare dei souvenir per turisti con i bonsai – spiega Puma –. Io e la mia compagna abbiamo cominciato l’attività a Carloforte, ma a causa dei problemi di approvvigionamento idrico di recente ci siamo spostati a Santa Maria La Palma, vicino ad Alghero. Produciamo confezioni trasportabili di una quindicina di piante. Quelle più apprezzate sono mirto e corbezzolo, perché le più conosciute al pubblico. Chi è più esperto di botanica è attratto da ginepro, assenzio, quercia da sughero, oppure da elicriso ed erica arborea, le più difficili da far crescere in vasetto». I costi? Con 20-25 euro si può avere una pianta.
I Bonsardi finiscono ovunque, per lo più in “continente” ma anche oltre i confini nazionali, nelle case di chi è stato nell’isola o ha scoperto i bonsai dall’anima nuragica sul web: «Chiaro che nelle regioni fredde ci sono più difficoltà nella cura – dice Maurizio – perché le piante mediterranee hanno più bisogno di solarizzazione». La promozione è affidata al passaparola o a facebook. «Le difficoltà sono legate all’assenza di contributi per questo genere di attività e dalla scarsa collaborazione, ne avremmo bisogno per ampliare l’attività: puntiamo a 10mila piante, un numero che ci consentirebbe di stare bene sul mercato».
Molti i giovani che si avvicinano alle esposizioni in occasione di manifestazioni cui veniamo invitati, c’è un grande interesse e a tutti diamo informazioni». Nelle confezioni dei Bonsardi ci sono anche le istruzioni base e persino un numero Whatsapp: se ci sono problemi o dubbi basta mandare una foto della pianta per ottenere assiste
concludo con questo articolo sempre dalla nuova sardegna . Che vuole essere una segnalazione d'intinerari alternativi , visto che tra poco inizia la stagione turistica, alternativi o alla classica equazione sardegna uguale = costa smeralda o coste oppure sardegna visitabile in fuori strada \ tour operator
CARBONIA. L’obiettivo è ambizioso, ma percorribile e ricco di fascino, storia e cultura: ripristinare l’antica via mineraria denominata “Cammino di Santa Barbara”, che si estende nel sud ovest della Sardegna per ben 400 chilometri, attraversando territori selvaggi e ricchi di fascino, sulle orme degli antichi minatori, seguendo la devozione alla loro patrona.
Nell’ottica di perseguire l’ambito obiettivo, nella prima decade di marzo è stato avviato il primo cantiere, per migliorare la percorribilità nel tratto di cammino nel territorio di Carbonia, impiegando una ventina di lavoratori inseriti nel progetto del Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna. A coordinare i lavori la Fondazione Cammino Minerario di Santa Barbara, nata nel dicembre 2016 per sostenere e rilanciare l’avvincente itinerario, di cui fanno parte ventuno comunità del territorio (da Arbus a Sant’Antioco) e l’associazione onlus Pozzo Sella per il Parco Geominerario, oltre alle diocesi di Iglesias e Ales Terralba. Il progetto, approvato dalla giunta Pigliaru in base alla legge regionale 30 del 2016, è stato finanziato con mezzo milione di euro, nell’intento di riqualificare e valorizzare lo storico percorso con interventi che possano renderlo accessibile al grande pubblico, in collaborazione con enti pubblici e organizzazioni dei territori interessati. Sono previsti lavori per rendere agibile la rete dei sentieri e le vie di arrampicata, dotarli di idonea segnaletica (a partire da ceppi in pietra, inaugurati alla presenza delle autorità), tracciamento digitale dei percorsi e dei vari punti di interesse tramite gps, nonché regolamentare le attività possibili al loro interno, fino ai confini con le aree marine circostanti, dove verranno posizionati gavitelli per l’ancoraggio delle barche da diporto a tutela degli habitat marini, in particolare delle praterie di posidonia.
L’idea di costruire un grande itinerario, fra terra e mare, nell’area più estesa e rappresentativa del Parco Geominerario, riscoprendo gli antichi cammini minerari in gran parte abbandonati, è nata dai volontari dell’associazione Pozzo Sella qualche anno fa, dopo aver constatato la grande partecipazione di cittadini alle escursioni organizzate in alcuni percorsi minerari, resi fruibili allo scopo. Il cammino è un itinerario storico, culturale, ambientale e religioso dedicato a Santa Barbara, che si sviluppa lungo le antiche vie che attraversano i luoghi di culto e le chiese intitolate alla santa patrona dei minatori, nel grande bacino minerario dismesso del Sulcis - Iglesiente e del Guspinese, comprendente buona parte dell’intera superficie del Parco Geominerario. L’altitudine massima raggiungibile è di 900 metri sul livello del mare, sul massiccio del Marganai. Attraversando il cammino, si potranno riscoprire quei sentieri percorsi dai minatori per recarsi al lavoro, ma anche le vecchie mulattiere e le ferrovie ormai dismesse, realizzate in passato per il trasporto dei minerali estratti nelle miniere, costituenti uno straordinario patrimonio tecnico, ambientale e socio-antropologico dell’epopea mineraria sarda giunto fino ai giorni nostri.
Si cammina sopra giacimenti di piombo, zinco e argento, o davanti a resti di archeologia industriale dalle particolari fattezze architettoniche, tra cui Ingurtosu e Montevecchio, Orbai e Rosas, Laveria Lamarmora e Porto Flavia, una struttura unica al mondo, per il trasporto e il carico del minerale sulle navi per elevazione in funzione nella prima metà del secolo scorso. Sulla base delle distanze, difficoltà di percorrenza e disponibilità di strutture ricettive, nei paesi e nei villaggi minerari attraversati l’itinerario è stato suddiviso in 24 tappe, delle lunghezza media di 16 chilometri ciascuna, che, secondo i suggerimenti dei responsabili, andrebbero percorse seguendo un ritmo medio di 3 chilometri l’ora, per apprezzare meglio ciò che si guarda. Ogni visitatore, verrà dotato di una “credenziale”, una sorta di passaporto personalizzato rilasciato dalla fondazione, che attesterà l’avvenuto passaggio nelle singole tappe del cammino, potendo altresì ottenere agevolazioni presso strutture e servizi in convenzione.
Per chi percorrerà almeno cento chilometri (anche in modo discontinuo, ma nello stesso arco di tempo) verrà rilasciata la pergamena “Testimonium”, mentre chi percorrerà l’intero cammino in continuità, riceverà il “nastro” (striscia di tela blu, con nome e logo del cammino) e la “torre” (placchetta di ceramica, roccia carbonatica o lamina di argento, rappresentante il logo).
È l’unico cammino religioso sardo ad essere incluso nell’Atlante dei Cammini d’Italia del Ministero dei Beni, Attività Culturali e Turismo. Questi antichi cammini, secondo alcuni studiosi, possono essere considerati tra i primi itinerari culturali europei, in quanto hanno favorito, fin dal neolitico, l’incontro e gli scambi commerciali e culturali tra i popoli del vecchio continente, contribuendo a creare il patrimonio comune dell’identità culturale europea. Per queste
ragioni, si punta ad inserire il cammino minerario di Santa Barbara tra gli Itinerari Culturali Europei istituiti dal Consiglio d’Europa, allo scopo di avviare la creazione, insieme ai vecchi bacini minerari continentali, di una rete di cammini europei dedicati alla comune patrona
concludo con questo articolo sempre dalla nuova sardegna . Che vuole essere una segnalazione d'intinerari alternativi , visto che tra poco inizia la stagione turistica, alternativi o alla classica equazione sardegna uguale = costa smeralda o coste oppure sardegna visitabile in fuori strada \ tour operator
Lungo le strade dei minatori per riscoprire storia e natura
Il cammino di Santa Barbara, 400 chilometri nel sud-ovest della Sardegna. Parte il progetto per ripristinare i sentieri del lavoro dal Marganai a Porto Flavia di Simone Repetto
Nell’ottica di perseguire l’ambito obiettivo, nella prima decade di marzo è stato avviato il primo cantiere, per migliorare la percorribilità nel tratto di cammino nel territorio di Carbonia, impiegando una ventina di lavoratori inseriti nel progetto del Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna. A coordinare i lavori la Fondazione Cammino Minerario di Santa Barbara, nata nel dicembre 2016 per sostenere e rilanciare l’avvincente itinerario, di cui fanno parte ventuno comunità del territorio (da Arbus a Sant’Antioco) e l’associazione onlus Pozzo Sella per il Parco Geominerario, oltre alle diocesi di Iglesias e Ales Terralba. Il progetto, approvato dalla giunta Pigliaru in base alla legge regionale 30 del 2016, è stato finanziato con mezzo milione di euro, nell’intento di riqualificare e valorizzare lo storico percorso con interventi che possano renderlo accessibile al grande pubblico, in collaborazione con enti pubblici e organizzazioni dei territori interessati. Sono previsti lavori per rendere agibile la rete dei sentieri e le vie di arrampicata, dotarli di idonea segnaletica (a partire da ceppi in pietra, inaugurati alla presenza delle autorità), tracciamento digitale dei percorsi e dei vari punti di interesse tramite gps, nonché regolamentare le attività possibili al loro interno, fino ai confini con le aree marine circostanti, dove verranno posizionati gavitelli per l’ancoraggio delle barche da diporto a tutela degli habitat marini, in particolare delle praterie di posidonia.
L’idea di costruire un grande itinerario, fra terra e mare, nell’area più estesa e rappresentativa del Parco Geominerario, riscoprendo gli antichi cammini minerari in gran parte abbandonati, è nata dai volontari dell’associazione Pozzo Sella qualche anno fa, dopo aver constatato la grande partecipazione di cittadini alle escursioni organizzate in alcuni percorsi minerari, resi fruibili allo scopo. Il cammino è un itinerario storico, culturale, ambientale e religioso dedicato a Santa Barbara, che si sviluppa lungo le antiche vie che attraversano i luoghi di culto e le chiese intitolate alla santa patrona dei minatori, nel grande bacino minerario dismesso del Sulcis - Iglesiente e del Guspinese, comprendente buona parte dell’intera superficie del Parco Geominerario. L’altitudine massima raggiungibile è di 900 metri sul livello del mare, sul massiccio del Marganai. Attraversando il cammino, si potranno riscoprire quei sentieri percorsi dai minatori per recarsi al lavoro, ma anche le vecchie mulattiere e le ferrovie ormai dismesse, realizzate in passato per il trasporto dei minerali estratti nelle miniere, costituenti uno straordinario patrimonio tecnico, ambientale e socio-antropologico dell’epopea mineraria sarda giunto fino ai giorni nostri.
Si cammina sopra giacimenti di piombo, zinco e argento, o davanti a resti di archeologia industriale dalle particolari fattezze architettoniche, tra cui Ingurtosu e Montevecchio, Orbai e Rosas, Laveria Lamarmora e Porto Flavia, una struttura unica al mondo, per il trasporto e il carico del minerale sulle navi per elevazione in funzione nella prima metà del secolo scorso. Sulla base delle distanze, difficoltà di percorrenza e disponibilità di strutture ricettive, nei paesi e nei villaggi minerari attraversati l’itinerario è stato suddiviso in 24 tappe, delle lunghezza media di 16 chilometri ciascuna, che, secondo i suggerimenti dei responsabili, andrebbero percorse seguendo un ritmo medio di 3 chilometri l’ora, per apprezzare meglio ciò che si guarda. Ogni visitatore, verrà dotato di una “credenziale”, una sorta di passaporto personalizzato rilasciato dalla fondazione, che attesterà l’avvenuto passaggio nelle singole tappe del cammino, potendo altresì ottenere agevolazioni presso strutture e servizi in convenzione.
Per chi percorrerà almeno cento chilometri (anche in modo discontinuo, ma nello stesso arco di tempo) verrà rilasciata la pergamena “Testimonium”, mentre chi percorrerà l’intero cammino in continuità, riceverà il “nastro” (striscia di tela blu, con nome e logo del cammino) e la “torre” (placchetta di ceramica, roccia carbonatica o lamina di argento, rappresentante il logo).
È l’unico cammino religioso sardo ad essere incluso nell’Atlante dei Cammini d’Italia del Ministero dei Beni, Attività Culturali e Turismo. Questi antichi cammini, secondo alcuni studiosi, possono essere considerati tra i primi itinerari culturali europei, in quanto hanno favorito, fin dal neolitico, l’incontro e gli scambi commerciali e culturali tra i popoli del vecchio continente, contribuendo a creare il patrimonio comune dell’identità culturale europea. Per queste
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