3.3.17

cari Binetti fai pace con il cervello e sei coerente e caro Gustavo Zagrebelsky non c'è solo il diritto umano ma anche quello naturale

Lo  so che  sia io in  uno dei   precedenti post     che   criap   nel suo ultimo n° dell'elzeviro del filosofo imnpertinente    abbiamo già  detto tutto  e di più  sulla  tristissima  vicenda  di Fabo  e    di tutti\e  quellic he si trovano  in tali situazioni .   Ma     due parole  a 


Paola Binetti membro di quella setta Cattolica ultraconservatrice chiamata Opus Dei, una che dorme sul legno e porta il cilicio, cita Pavese (ateo e morto suicida), per dire no all'eutanasia.


  #coerenza. Non sapere cosa sia.









Fate pace col cervello e soprattutto la prima non citare ad minchia cavolo per supportare teorie ormai retrograde
a Gustavo Zagrebelsky in un intervista rilasciata al Il Fatto Quotidiano del 14 dicembre 2011
ad almeno con lui ci si può ragionare e mi sembra coerente anche se dalla parte opposta alla mia


Con questa intervista al costituzionalista Gustavo Zagrebelsky (al quale risponderà domani Marco Travaglio) proseguiamo il dibattito iniziato il 2 dicembre (leggi l’articolo del viceDirettore de Il Fatto) dopo la morte di Lucio Magri.

Il diritto può essere “una corruzione del comune sentire o uno strumento attraverso cui scrutare un orizzonte più profondo”. Comincia così la conversazione con Gustavo Zagrebelsky, autore di un libro che non a caso s’intitola “Il diritto mite” (Einaudi, 1992). Parliamo della decisione di Lucio Magri (scomparso in una clinica svizzera dove l’hanno aiutato a togliersi la vita) e in generale della scelta di morire. Con una premessa: “Quello che sto per dire è in una prospettiva laica. Vorrei usare argomenti non dico condivisibili, ma almeno comprensibili per chiunque. Se si parte da una prospettiva religiosa, si escludono a priori tutti coloro che non l’accettano”.
Il discorso sul darsi la morte è molto sdrucciolevole, non trova?
Su queste questioni ultime, si è sempre penultimi. Sono discorsi ‘allo stato’ delle proprie attuali riflessioni. Guai alla sicumera. Nelle questioni di questo genere, la problematicità è un dovere.

Cos’è il suicidio? 

La tragedia più grande. Stiamo toccando, dal punto di vista morale e cognitivo, un tema sconvolgente. Ma è un tema composito. È difficile trattarne in generale, tanto più volendo stabilire una norma che valga sempre e per tutti.

Ci sono molti suicidi?

Sì. Il suicidio può dipendere da molte ragioni. Non si può non tenerne conto.

Esempi?

Il suicidio per solitudine, delusione, angoscia, vergogna, rimorso. Tutte queste sono ragioni morali che possono crescere al punto d’essere decisive, anche se all’origine sono minime, come il classico ‘brutto voto’. Le si può riassumere in una frase dell’etica kantiana: ‘Se sulla terra non c’è speranza di giustizia, non c’è posto per gli uomini’. Quando una persona, nutrita d’ideali, vede che tutto è inutile, perde la speranza. Nella nostra società, ci si toglie la vita per aver perso il lavoro. Nelle carceri ci si suicida per disperazione; nei campi di sterminio, ci si appendeva alle reti ad alta tensione; nelle carceri degli aguzzini, ci si impiccava per timore di non resistere alle torture e di tradire i compagni; nelle foreste del Mato Grosso, i nativi si uccidevano gettandosi nelle cascate, davanti all’invasione portoghese. Il suicidio può essere un atto dimostrativo, di accusa. Ricorda Jan Palach? C’è anche il suicidio filosofico, quello degli stoici, quando ci si trova in una situazione eticamente senza sbocco.

Ce lo spiega meglio?

Ho in mente il gioco immensamente crudele degli aguzzini nei campi nazisti. Si aprivano i vagoni e usciva una mamma con due bambini per mano: ‘Scegline uno’. Qual è la via d’uscita? Non certo la scelta. C’è solo il suicidio.

Ne “I Demoni” di Dostoesvkij, Kirillov si suicida per dimostrare che Dio non esiste.

Compie un atto di estrema libertà. Chi è Dio? Colui che dà e toglie la vita. Kirillov dice: mi tolgo la vita e prendo il posto di Dio. Ma ci sono anche suicidi inspiegabili, come quello di Primo Levi e tanti altri scampati ai lager, che si sono uccisi a distanza di tanti anni. Perché? Una delle spiegazioni è l’avere visto l’orrore dell’essere umano che ti toglie ogni speranza nell’umanità. Ma è inutile cercar di spiegare tutto. Il suicidio appartiene spesso alla sfera dell’insondabile.

Come si comporta il nostro diritto penale di fronte alla volontà di morire? 

In modo apparentemente ambiguo. Non punisce il suicidio. Lo considera un mero fatto. Se fosse un delitto, si punirebbe il tentativo. Cosa che non è.

Ci manca che uno prova a uccidersi, non ci riesce e pure lo mettono in galera.

Vero. Ma quello che importa è che non c’è sanzione se tu cerchi di ucciderti da solo. In questi confini estremi dell’esistenza individuale il diritto non può far nulla, ed è bene che taccia. Lasciando che ciascuno gestisca i suoi drammi ultimi da solo.

Però ci sono gli articoli 579 e 580 che puniscono l’omicidio del consenziente e l’istigazione o aiuto al suicidio. 

Questi, infatti, sono delitti.

Non c’è contraddizione? In un caso, il diritto tace, in altri punisce. Eppure sempre con suicidi si ha a che fare. Come si spiega?

In un modo molto semplice. Se tu ti uccidi da solo questo è considerato un fatto, un mero fatto dicevo – che resta entro la tua personale sfera giuridica. Ma se entra in gioco qualcun altro, diventa un fatto sociale. Anche solo se sono due: chi chiede di morire e chi l’aiuta. E ancor più se c’è un’organizzazione, pubblica o privata che sia, come in Svizzera o in Olanda. La distinzione ha una ragione morale.

Quale?

Se la gran parte dei casi di suicidio deriva da ingiustizie, depressione o solitudine il suicidio come fatto sociale ci pone una domanda. Può la società dire: va bene, togliti di mezzo, e io pure ti aiuto a farlo? Non è troppo facile? Il suo dovere non è il contrario: dare speranza a tutti? Il primo diritto di ogni persona è di poter vivere una vita sensata, e a ciò corrisponde il dovere della società di crearne le condizioni.

Vale anche per chi soffre sapendo di dover morire? 

Certamente. Una cosa è il suicidio come fatto individuale; un’altra, il suicidio socialmente organizzato. La società, con le sue strutture, ha il dovere di curare, se è possibile; di alleviare almeno, se non è possibile. In ogni caso, non confondiamo il nostro tema con quello del rifiuto di trattamenti medicali, anche se ciò può portare alla morte. Posso voler non essere curato, o curato in un certo modo, anche se ciò comporta la morte: ma questo non è voler morire. Il rifiuto delle cure è un diritto e, come tale, deve essere rispettato. Ma ripeto, è un problema diverso.

Non c’è un “diritto di morire”? 

C’è la morte che ci si dà, come dato di fatto. Ma l’espressione che ha usato contiene una contraddizione. Parliamo di diritti o libertà come espansione delle possibilità. Si può parlare di diritto al nulla, o di libertà di nulla? A me pare una mostruosità.

O il massimo della libertà.

D’accordo: come per Kirillov. Ma andiamo a leggere I Demoni e comprendiamo, oltre la genialità di Dostoevskij, il gelo di quel personaggio.


che esiste anche un diritto naturale \ antropologico non solo quello legislativo fatto dagli uomini



da 

L'elzeviro del filosofo impertinente /6

Uno dei tanti difetti di noi umani è proprio quello di giudicare il comportamento e le scelte altrui senza conoscere i fatti. La scarsa empatia che abbiamo dimostrato per dj Fabo, 39enne tetraplegico e non vedente dal 2014, lo conferma puntualmente. Oltre a Fabiano Antoniani ricordo anche Gianni Trez e i casi di Piergiorgio Welby, Eluana Englaro e dagli Usa Terri Schiavo e Brittany Maynard. Per ogni singolo dramma di queste persone si sono imbastiti milioni di processi ideologici sulla sacralità della vita, e le loro  scelte "inopportune" o di chi gli era più prossimo legalmente. Nessuno ha provato però ad immedesimarsi nelle loro esistenze. Senza fare della falsa retorica proviamo per un solo attimo a chiudere gli occhi e ad immaginarci distesi in un lettino senza poterci più muovere, immobili come un tronco d'albero, nutriti soltanto da un sondino e senza possibilità di poter vedere e osservare chi e cosa ci sta intorno. Quale sensazione ricaviamo da questo esperimento mentale? Impossibile da descrivere giacché irreale, non nostro, e soprattutto perché noi 'sani' non riusciamo a sopportare nemmeno un banale e sporadico mal di testa, figuriamoci quindi di vivere un'intera esistenza costellata di sofferenza. In un paese civile il suicidio assistito, 'dolce morte' o eutanasia (non disquisiamo per favore e in questo momento sulla terminologia più idonea) è una grande conquista di civiltà. Come ci ha insegnato Oliver Sacks dietro ogni cartella clinica o termine medico c’è un essere umano che merita il nostro rispetto. In quanto essere umano con piena capacità di intendere e di volere affermo che sono l'unico responsabile della mia vita, e nessuno può vietarmi durante una patologia invalidante o terminale di decidere liberamente di farla finita senza dover espatriare, o far rischiare ai propri cari condanne penali per aver eseguito solamente la nostra volontà. Naturalmente occorre rispettare ed ammirare chi ha scelto di vivere nonostante la grave malattia. La futura legge non obbligherà nessuno a fare qualcosa contro la propria volontà. 
In una vera democrazia ogni cittadino ha il diritto di esprimere la propria opinione purché sia solo sua e non la copia dei riassunti forniti in Chiesa (anche le altre religioni sono contro l'eutanasia quindi il discorso si estende a tutti gli altri credi). La Chiesa che parla tanto di misericordia ha negato a Piergiorgio Welby il funerale religioso, mentre ai mafiosi e ai peggiori criminali non si è mai negato nulla! Bell'esempio di misericordia, e soprattutto molto rispettosa di quel passo del Vangelo in cui Gesù dice: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato» (Luca 6,37). In effetti per le funzioni religiose dei vari assassini la Chiesa dice di non giudicare nessuno e di attenersi a semplice carità cristiana, ma evidentemente Welby non meritava tanta fraterna benevolenza. Non dimentichiamo che Sant'Agostino definì il suicidio: «un misfatto detestabile e un delitto condannabile», mentre altri santi come Tommaso Moro si dissero favorevoli quando la malattia da cui si era affetti era ormai senza speranza. Recentemente il teologo Hans Küng ha dichiarato che: «È conseguenza del principio della dignità umana il principio del diritto all’autodeterminazione, anche per l’ultima tappa, la morte. Dal diritto alla vita non deriva in nessun caso il dovere della vita, o il dovere di continuare a vivere in ogni circostanza. L’aiuto a morire va inteso come estremo aiuto a vivere. Anche in questo tema non dovrebbe regnare alcuna eteronomia, bensì l’autonomia della persona, che per i credenti ha il suo fondamento nella Teonomia». Ma uno Stato laico deve agire nel nome di tutti e non solo di chi si professa credente. Non mi interessa dissentire da Platone, Aristotele, Kant, Hegel e altri autorevoli pensatori o padri della Chiesa che si schierarono contro il suicidio (assistito). Il problema non è di chi lo teorizza o lo spiega,  bensì di chi lo vive giorno per giorno sulla propria pelle.
Pertanto mi auguro che il nostro Parlamento approvi immediatamente una legge per regolamentare il 'fine vita' senza perdere ulteriormente tempo. Infine sono profondamente convinto che giudicare in astratto le sofferenze dei nostri simili è un atto davvero meschino e disumano.
"Grande Spirito, preservami dal giudicare un uomo non prima di aver percorso un miglio nei suoi mocassini" (Guerriero Apache).


Criap
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1.3.17

non c'è più il sacrificio e la gavetta voglio tutti arrivare in alto . il caso di Andrea Zanovello ha 33 anni,laureato chiede di lavorare in poste ma non vuole iniziare come portalettere

Questa vicenda mi ricorda come anche nella generazione dei miei e nella mia e di mio fratello era ancora diffuso come testimonia questo famosa sigla di un film e poi serial tv da non confondere con talent show Amici di Maria de Filippi



   quello spirito di sacrificio  e  d'iniziare  dal basso   \  dalla gavetta  senza  lamentarsi  che  ora      si sta  (  se  non lo si  è  già  perso  )  come  potete  notare  da  questa  vicenda   riportata   sotto

leggi anche
 http://mattinopadova.gelocal.it/padova/cronaca/2017/02/26/news/ha-una-laurea-e-un-master-vuole-fare-il-postino-1.14943885






Invia un curriculum a Posteitaliane, lo chiamano come portalettere. L'amarezza del laureatoAndrea Zanovello ha 33 anni, due lauree e un master. Manda il curriculum a Posteitaliane che lo richiama chiedendo se è in grado di guidare uno scooter. Sfoga la sua amarezza su Facebook. L’azienda: «Si comincia sempre dal basso»





sempre  dalla  stessa   fonte  del  1\3\2017

PADOVA. Laureato in Economia e commercio con tanto di master e le Poste gli propongono di fare il portalettere. La storia di Andrea Zanovello, 33 anni, ha aperto uno squarcio nel mondo del lavoro di oggi. Il suo caso ha infiammato il dibattito tra chi un lavoro lo cerca e tra chi sta facendo di tutto per non perderlo. Decine e decine i messaggi di solidarietà che lo 
invitano a non mollare e a proseguire nella ricerca  Certo quella del web non è mai una voce unica. Gli schieramenti sono molteplici. «Hanno chiamato anche me, e hanno chiesto la stessa cosa» dice Paolo Graziani. «Ho due lauree col massimo dei voti. Non mi sono stupito: avevo inviato io il cv, quindi è normale che mi abbiano chiamato». «L’importante che ruoli dirigenziali li diano ai parenti o amici del politico di turno» sottolinea Claudio Contin. «Vedi il fratello di Alfano, sempre alle Poste, non mi sembra che abbia fatto la gavetta, come si suol dire, quando è stato assunto». Tema ripreso anche da Antonella Cavalli: «Anche il fratello di Alfano è partito dallo scooter? Così... tanto per sapere».




Ma c’è anche chi la pensa come Alberto Nalotto: «Ora perché uno ha una laurea e dei master pretende già di avere una scrivania, ufficio e stipendio da 2000 euro. Ecco perché tanti giovani certi lavori non li fanno».




Posteitaliane, dal canto suo, entra nel merito della vicenda con un comunicato ufficiale: «Con riguardo al caso del signor Zanovello, dal file estrapolato dal data base risulta che il curriculum non era stato probabilmente da lui stesso aggiornato risultando inserita la sola indicazione del titolo di studio di diploma di scuola superiore». Circostanza che viene smentita dal diretto interessato in modo molto semplice, mostrando le schermate del portale così come le aveva compilate. Nel profilo di Andrea Zanovello compaiono sia la laurea in Economia e Commercio (con specializzazione) che il master in business&administration. 
«Non voglio fare braccio di ferro con nessuno, il mio unico obiettivo è quello di trovare un lavoro dopo tanti anni di studio e di sacrifici» si affretta a spiegare Zanovello, che aveva affidato alla sua pagina Facebook lo sfogo dopo la proposta ricevuta. «Ci tengo solo che sia chiaro che io avevo compilato quella sezione del sito di Posteitaliane nel modo corretto».


Il fine vita non è solo eutanasia un breve dizionario sui termini onde evitare come fanno mario adinolfi e soci confusione e d strumentalizzazione


l'altro giorno avevo condiviso sull'appendice facebookiana del blog ( https://www.facebook.com/compagnidistrada/ ) questa news


Il veterinario: "Non faccio più eutanasie non necessarie"Era stufo di ascoltare le richieste di clienti che gli chiedevano di sopprimere il cane perché "non so più dove metterlo" o il gatto perché "rovina i divani". E ha deciso di dire basta esponendo nel suo ambulatorio a Milano un cartello in cui prende una posizione netta contro l'eutanasia di animali praticata quando non necessario. Alessio Giordana, veterinario che gestisce uno studio in via delle Primule, in zona Lorenteggio, sta ricevendo centinaia di messaggi di apprezzamento e solidarietà da tutta Italia sui social network (testo di Lucia Landoni, foto dal profilo Facebook del veterinario )

 con questa  discussione

aniela Tuscano Eutanasia sugli animali è crudele. Eutanasia sulle persone è un diritto.

Compagnidistrada Anche su gli uomini
Mi piaceRispondiCommento di Giuseppe Scano9 h


  Ora   molte  gente     chi  :   in buona  fede  (visto le   radici  cattoliche      e  la  disinformazione  e riduttivismo  dei media  )   chi   in  malafede (per  strumentalizzazione  ideologica  e culturale  )  confonde  i  termini ed  usa  i termini sbagliati   .  L'eutanasia, la libera scelta non può dipendere da una guerra di definizioni : Infatti  come  dicono MARCO CAPPATO e FILOMENA GALLO   qui su  repubblica  del  28\2\2017 : <<  Nel dibattito in corso, la guerra delle definizioni allontana la possibilità per il cittadino di comprendere, e soprattutto allontana dalla chiarezza della decisione di fondo: alla fine chi sceglie ?  >> (  ....  continua  qui  ) .  Infatti   suggerisco   di leggere  ad   entram bi gli  schieramenti  prima d'iniziare a parlare  e confrontarsi
  questo   articolo

“Il dizionario del fine vita” di Maria Novella De Luca (  sempre  su  Repubblica 28.2.17 )


Eutanasia, la libera scelta non può dipendere da una guerra di definizioni
Fabiano Antoniani (dj Fabo), morto in una clinica Svizzera (ansa)
“”Eutanasia, suicidio assistito, accanimento terapeutico, rifiuto delle cure, sedazione. Libertà di vivere, scelta di morire. Nel grande e immenso tema del fine-vita le parole sono più importanti che mai. Perché è sui termini, e spesso sulla mistificazione di questi, che si gioca oggi la grande partita di leggi e protocolli che regoleranno d’ora in poi la vita di tutti noi. Con l’aiuto di Maurizio Mori, professore di Bioetica all’università di Torino, abbiamo provato a definire i termini più importanti che riguardano, appunto, il diritto o meno di poter decidere quando e come morire se gravemente malati.
ACCANIMENTO TERAPEUTICO. Si definisce “accanimento” la somministrazione di terapie sproporzionate per le condizioni del paziente, terapie che producono sofferenze estreme e non sono di alcun beneficio per il malato. «Il punto delicato – spiega Maurizio Mori – è chi decide se si tratta di accanimento, il medico o il paziente? Non esiste una legge che definisca qual è il limite tra la cura e l’abuso della cura, e in questa zona grigia il rischio di non rispettare il paziente è ancora molto alto».
Nessun testo alternativo automatico disponibile.BIOTESTAMENTO. Oppure Dat. Oppure Testamento biologico. Ognuna di queste definizioni ha sfumature diverse ma la sostanza è la stessa, sia che vengano definite testamento, o “Dichiarazioni anticipate di trattamento” come nell’attuale proposta di legge che verrà discussa la prossima settimana alla Camera. Spiega Mori: «In tutti i casi si tratta di una dichiarazione, scritta ora per allora, in cui la persona specifica quali sono le cure a cui vorrà essere sottoposta quando si troverà in una determinata situazione di malattia o disabilità. E soprattutto quando e come le cure dovranno essere interrotte, e quale il limite oltre il quale i sanitari non potranno proseguire con i trattamenti». Sembra semplice, in realtà le posizioni etiche e politiche sul testamento biologico restano nel nostro paese abissalmente lontane.
EUTANASIA. È l’atto con cui il medico causa volontariamente la morte del paziente su richiesta del paziente stesso. La parola viene dal greco e vuol dire “buona morte”. Da non confondersi, assolutamente, con il suicidio assistito. È vietata in Italia e praticamente in tutta Europa tranne che in Belgio e in Olanda, dove è stata ammessa, tra durissime polemiche, anche per i minorenni. In commissione Giustizia giace una legge per la depenalizzazione dell’eutanasia, ma è assai difficile che approdi, né ora né mai, al dibattito parlamentare. Il mondo cattolico parla poi anche di “eutanasia passiva” per definire il rifiuto delle cure da parte del malato, e la sospensione di queste da parte del medico. Ma gran parte dei bioeticisti afferma che questa definizione non esiste, perché il rifiuto delle cure è qualcosa di ben diverso dall’eutanasia.
RIFIUTO DELLE CURE. Nel nostro paese è legittimo e sancito dall’articolo 32 della Costituzione il diritto di rifiutare le cure. In ogni momento il paziente può ottenere la sospensione dei trattamenti medici, in qualunque fase della malattia. I problemi sorgono, naturalmente, in assenza di una legge sul testamento biologico, quando il paziente non è più autonomo e in grado di far valere le sue volontà. Come ad esempio, nel caso di Eluana Englaro, a cui alla fine della lunga battaglia giudiziaria del padre Beppino, furono sospese la nutrizione e l’idratazione artificiale (vuol dire mangiare e bere attraverso un sondino o attraverso la Peg, Sossia un bottone posizionato nella pancia, e nel quale viene immesso il cibo frullato o artificiale). Questo è un punto cruciale, sia per quanto riguarda il testamento biologico sia per la sospensione delle cure. Chiarisce Maurizio Mori: «C’è chi ritiene idratazione e nutrizione terapie mediche, di cui è lecita l’interruzione, e chi invece le definisce sostegni vitali e quindi impossibili da sospendere». La legge sul biotestamento in discussione al Parlamento prevede che si possa ottenere lo stop dell’alimentazione artificiale.
SEDAZIONE PROFONDA. È una pratica della medicina palliativa. Consiste nel somministrare al paziente, su sua richiesta, farmaci che ne annullino progressivamente la coscienza, allo scopo di alleviarne i sintomi fisici e psichici, nelle condizioni di imminenza della morte. È ciò che chiedono spesso i malati terminali, in particolare i malati di Sla quando rifiutano le cure per poter morire senza dolore. Il caso emblematico è quello di Piergiorgio Welby che la ottenne, dopo essersi fatto togliere il respiratore.
SUICIDIO ASSISTITO. Da non confondere mai con l’eutanasia, ed è la strada scelta per morire dal Dj Fabo. In strutture a questo dedicate, il paziente beve autonomamente il cocktail di farmaci che lo porteranno alla morte. È dunque un atto volontario del malato, e per questo non deve essere confuso con l’eutanasia. Vietato in Italia, è invece permesso in Svizzera, e sono ormai centinaia i pazienti in fase terminale che spesso accompagnati dai parenti, e grazie ad associazioni come “Exit”, giungono nello chalet d’oltralpe dove assistiti da medici e infermieri muoiono dolcemente. Per ottenere il suicidio assistito si devono presentare cartelle cliniche che attestino la fase terminale della malattia.”

L'immagine può contenere: sMS
concludo  rispondendo  a  chi  mi dice ed  accusa  che   che sono per una cultura di morte o che solo dio può e darti toglierti la vita , ecc rispondo condividendo :  ciò  che ha scritto  Elisa  Fini      << (...) Per la legge italiana non puoi accompagnare chi sta intraprendendo questo cammino o vieni punito con un conconcorso in omicidio e 12 anni di reclusione. La cosa che trovo assurda e vergognosa è che si debba morire lontano da casa, solo e senza il conforto, senza un ultima carezza sul viso, senza un bacio in fronte. Lontano da chi ti ha amato e continua a farlo. E' ora di prendere seriamente in considerazione il diritto del libero arbitrio quando la propria vita (supportata da documentazioni mediche) non e' piu vita; perche le macchine si sono anteposte al volere di Dio....non il contrario !!!! Qui Dio non c'entra nulla.Qui e ora c'entra solo l'uomo. (...) >> sul  gruppo  fcebook  Eutanasia e Testamento Biologico




L'elzeviro del filosofo impertinente /5

Vi è capito di imbattervi in soggetti che dopo aver letto i vostri messaggi su Facebook, Messenger o WhatsApp non si sono mai degnati di rispondervi? E che dire di coloro che leggono le email ricevute e poi non solo non rispondono, bensì fanno finta di non averle mai aperte? Il mondo, ahimè, è fatto di persone così. Individui che con il loro fare sprezzante ci inviano un segnale ben preciso: 'Non mi interessa ciò che hai da comunicarmi. Non mi interessa il tuo pensiero. Io sono un soggetto socialmente impegnato che non ha tempo da perdere con te'. Questi professionisti della risposta negata dimostrano solamente di appartenere alla tribù dei Cafonal!  Una tribù che a dispetto delle apparenze è ben rappresentata e numerosa. Rispondere a chi si è preso la briga di scriverti è il minimo dell'educazione richiesta. Giuseppe Mazzini asseriva: “L’educazione è il pane dell’anima”, ma di questi tempi sono tutti a dieta e non si nutrono certamente di questo cibo vitale. Per esperienza professionale di soggetti di siffatta specie ne ho incontrati moltissimi. A costoro avevo rivolto un saluto, un pensiero oppure una cortese richiesta caduta, ovviamente, nel vuoto. Visualizzavano il messaggio e continuavano a rigurgitare post inutili nelle loro bacheche virtuali. Ma di questi ectoplasmi depensanti cosa ce ne facciamo? Sono esserini che collezionano amicizie su Facebook con la stessa foga della raccolta premi del supermercato.  L'unica differenza è che non sceglieranno alcun premio da ritirare, ma vivranno con i loro contatti  irreali in perpetuo anonimato. Ma abbiamo davvero bisogno di frequentarli anche se solo virtualmente? Ci sarà pure una ragione se nella vita vera avevamo già deciso di troncare con loro ogni rapporto, o no?
Questo comportamento ci obbliga a snaturare il nostro modo di fare, e di adattarci anzi a questi diktat nullificanti.
Cari individui che non rispondete ai vari messaggi per conferirvi un'aria di superiorità vi confermo, invece, che la vostra stupidità non ha eguali. Come sosteneva il grande Umberto Eco: "Il problema della Stupidità ha la stessa valenza metafisica del problema del Male, anzi di più: perché si può persino pensare (gnosticamente) che il male si annidi come possibilità rimossa del seno stesso della Divinità; ma la Divinità non può ospitare e concepire la Stupidità, e pertanto la sola presenza degli stupidi nel Cosmo potrebbe testimoniare della Morte di Dio".

Criap
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28.2.17

Liberi di nascere, liberi di morire ? in italia sembra di no

in sottofondo  Francesco Guccini - "La tua Libertà"

vi potrebbe  interessare
http://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2017/02/chi-siamo-noi-per-decidere-la-vita-o-la.html

dal  mio post  precedente  ( vedi url sopra  ) e   questo articolo sembrerebbe di No

 http://invececoncita.blogautore.repubblica.it/articoli del 28\2\2017

Monica Montenegro, 28 anni, 7890 curricula inviati
Monica Montenegro, 28 anni, 7890 curricula inviati
Grazie alle mail di Sara, Carla Romano e Monica Montenegro
Un Paese dove non si può nascere e neppure morire ditemi voi che Paese è. Che ti toglie il lavoro se sei incinta, perché mettere al mondo un figlio non conta – per la legge di mercato è un costo – e che una volta nato ti costringe a restare anche quando implori che ti lascino andare. Che ti obbliga a espatriare per adottare o fare un figlio – se sei una persona sola, se hai un compagno del tuo sesso – per trovare lavoro, infine per morire. Ditemi voi se non “dobbiamo scappare dall’Italia incivile”, mi scrive Carla Romano, medico. In morte di Dj Fabo, che per andarsene con dignità ha dovuto farlo oltre i confini della patria, ho ricevuto moltissime lettere: soprattutto di ragazzi. Sotto i trent’anni, quasi tutti. I ragazzi che spesso non vanno a votare, perché in questo sistema politico non trovano rappresentanza, ma che poi quando lo fanno – perché riconoscono una ragione per farlo, e lo fanno – ribaltano i pronostici sempre, colgono di sorpresa i sondaggisti e i leader. Converrebbe a tutti mettere un orecchio a terra. Starli a sentire di più, i giovani uomini e donne che non da oggi, davvero da molti anni lasciano l’Italia perché in Italia non potevano progettare un futuro. E’ del 2010 il documentario (anche un libro) di Claudia Cucchiarato “Vivo Altrove”, sette anni fa, e quasi altrettanti aveva lavorato a raccogliere storie e prepararlo. Sono quindici anni almeno che la politica si arena e si inabissa nelle questioni che toccano, nella carne, la vita di tutti: il dibattito sulla legge 40, la fecondazione, quello sulle unioni civili, sulle adozioni, sul fine vita. Ma certo, siamo il Paese che ha dentro il corpo il Vaticano e che non riesce a muovere un passo di governo senza il benestare della Curia, la chiesa essendo il partito di riferimento di tanti fra gli eletti, ad ogni latitudine politica. La laicità perduta dello Stato, perduta con insensatezza: perché i cattolici, fra la gente, sono oltre quel perimetro da molto tempo. Anni che hanno cambiato le coscienze di tutti. E’ del 2004 “Mare dentro”, forse uno dei più bei film sull’eutanasia, una storia vera. Eluana Englaro è stata liberata dalla sua prigione nel 2009, abbiamo ancora nelle orecchie gli strepiti della politica, negli occhi l’assedio alla clinica. Tre anni dopo, nel 2012 Marco Bellocchio ha dedicato a quella storia un film, “Bella addormentata”. Sono trascorsi altri cinque anni, ancora niente. Nessuno si azzarda, problemi di consenso: senza capire che è l’inerzia a estinguere il consenso. Poi mi scrivono Carla, licenziata mentre era incinta, e Sara, anche lei medico, che in gravidanza voleva fare il turno di notte per stare di giorno con l’altro figlio e ha dovuto appellarsi contro la norma che dice “non si può obbligare una donna in gravidanza ai turni di notte perché se è così allora non è neppure obbligatorio non farlo, quel turno, se una lo sceglie. O no?”. Il tema è sempre la scelta: non essere obbligati a, essere liberi di. La ragazza nella foto è Monica Montenegro, 28 anni, di Monopoli. Si è laureata alla Bocconi, ha mandato 7890 curricola: solo un’azienda le ha risposto, polacca. Ma lei non vuole andare in Polonia, o meglio: non vorrebbe. Preferirebbe l’Italia, se fosse un posto dove si può liberamente nascere, restare, morire. Un posto dove poter ridere ancora, ogni tanto, come nella foto.

infatti  


Fabo, Salvini e quei mille emendamenti dei leghisti sul fine vita

fabo salvini emendamenti




Se prima   ero cosi  come Bobo di Sergio Staino  in " Bobo  novecento "

Ora non lo so più . Ma  Purtroppo:   la mancanza  di coraggio  ad  abbandonare  il mio paese e la mia  nazione  morenti   , il non sapere  l'inglese  ( maledetto me  che non  ho mai voluto impararlo completamente   )  e i  miei  genitori  troppo vecchi e  l'attività di famiglia da portare avanti   mi fanno  restare  .

Amatrice, riapre il "Barcollo": prima attività che rinasce dalle macerie

 da http://osservatorio-amatrice.blogautore.repubblica.it del 28\2\2017








Riapre il "Barcollo" di Torrita. Lo storico bar della frazione di Amatrice, era crollato con le scosse del 24 e del 30 agosto. Ora il gestore Alessio Di Fabio ha ricominciato la sua avventura dentro una casetta di legno - donata da Confcommercio e Fipe - a pochi metri dalle macerie e con il bancone in legno recuperato dalle rovine del bar andato distrutto


27.2.17

chi siamo noi per decidere la vita o la morte nostra e per quella degli altri ? i casi di Dj fabo e di Matteo Matteo Nassigh

 musica   consigliata  \ in sottofondo   le due versioni  di  si dolce è il  tormento 

  • prima  l'opera di claudio monteverdi interpretata  da  Silvia Frigato soprano Marta Graziolino arpa Live - Teatro Bibiena, Mantova - Festival MiTo 2011
  • seconda  in chiave  jazz  di  Paolo Fresu & Uri Caine 

  e per   finire  la struggente  e toccante  lascia  che io pianga  - paolo fresu 

Premetto che il post  in questione  era stato  scritto  prima della morte  di Fabiano  Antoniani alias    Dj Fabo  quindi prendetela  per  quello   che è  .

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La  prima riposta   che mi  viene   alle domande  del titolo  è  che  Dio  ( altro  esponente  divino  delle diverse  confessioni religiose  )  ci  ha  dato  si  la vita  , ma  allo  stesso tempo  ci ha dato  il libero arbitrio e  quindi  la possibilità  di  decidere se  continuare  a vivere  nella sofferenza  o  chiudere  la vita   scegliere di morire  qualora   non ci sia  più niente  da  fare  e le cure  cosi come il  continuare  a vivere diventa   accanimento    .
Le  scelte  di Fabiano  che  ha scelto ed  è dovuto andare  in Svizzera  per  poter  esercitare  il  suo diritto a  morire  . 






come quella di Matteo Nassigh , che s'era appellato a DJ Fabo per ripensarci , 19 anni disabile gravissimo dalla nascita e che ha scelto di vivere nonostante tutto

Il blog di Matteo è «Pensieri di luce» (www.matteonassigh.com)

 Sono scelte  degne entrambe di rispetto perchè entrambe  derivano dalla libertà di scelta . Infatti la chiave del discorso e' proprio questa: avere la possibilità' di scegliere o  una o l'altra  alternativa  davanti a simili situazioni .Il cui   silenzio è l'unico commento possibile a vicende come questa. Rispettiamo la sofferenza inenarrabile che lo ha spinto a questa decisione ed  evitiamo   come   è stato  suggerito anche se  in maniera  un po' ipocrita  

                             FABO,CEI: RISPETTO  
                       SENZA STRUMENTALIZZARE
 "Rispettoso silenzio sul dramma vissuto da Dj Fabo e dalla sua famiglia, con l' auspicio che nessuno voglia strumenta-
 lizzare quanto accaduto". Così il giu rista Gambino, presidente di "Scienza e  Vita", il cartello promosso dalla Cei    che raccoglie le
associazioni cattoli che impegnate sul tema della vita.  
 La legge sul fine vita"non c'entra nulla,il testo non parla di suicidio assistito ma di eutanasia passiva".
In una  "disabilità gravissima", come per Fabo, "in Italia vige il principio di solidarietà,in Svizzera si privilegia l'auto determinazione".
fonte televideo rai 27\2\2017

 per paura che sull'onda emotiva della sua vicenda si arrivi ad una legge come in europa   .



di giudicare e di dire ha fatto bene o fatto male e stiamo Il silenzio è l'unico commento possibile a vicende come questa. Rispettiamo la sofferenza inenarrabile che lo ha spinto a questa decisione
Io , ed qui rispondo alla prima domanda posta dal titolo del post , qualora la situazione sia cosi grave e la mia sopravvivenza dipende da macchine  e le cure  dovessero essere  inutili e solo palliativi ed accanimento chiederei : tramite testamento biologico o tramite ( ovviamente concedendomi l possibilità di ripensarci ed visite psicologiche ) suicidio assistito . 
Per la seconda domanda lascerei sempre tramite testamento biologico scritto o video registrato la possibilità di decidere se farvi ricorso o meno .Rispettando in silenzio , come ho già detto prima , la sua scelta . 
E se ,come , mi fu chiesto tempo fa in una chat ,    : << fosse un tuo familiare o un carissimo amico >> ?
Cercherei di capire , senza  ovviamente  giudicare ed  imporre  la mia idea  , il perchè prende  tale decisione  . Gli spiegherei il mio punto  di vista  come  ha  fatto ( trovate   sopra l'url ) Matteo nella  lettera  a Fabiano . Se  poi  poi rimane  nella stessa idea  o  trovo il coraggio  come è avvenuto nel finale  di  due bellissimi film    su tale  argomento  mare  dentro  e Million Dollar Baby


non so  che altro dire  . vi lascio  con  gli occhi pieni di  lacrime 


zio è l'unico commento possibile a vicende come questa. Rispettiamo la sofferenza inenarrabile che lo ha spinto a questa decisione

26.2.17

oltre gli insulti anche la burocrazia e l'interpretazione capziosa delle leggi si riversano sui esuli istriani iul caso di Rosalba santoro e di Aldo Candusio

  rimettendo in ordine i preferiti e  siti memorizzati temporaneamente  mi sono imbattuto in questa storia .  tali storture ed interpretazioni a ...... di leggi sono insulto per un cittadino normale comune figuriamoci per uno\a che ha subito sulla propria pelle tale situazione

http://gazzettadimantova.gelocal.it/mantova/cronaca 24 febbraio 2017

CURTATONE
Una donna, 5 codici fiscali. La strana storia di Rosalba
Odissea burocratica per un’esule istriana residente a Montanara. Diverse interpretazioni di una legge del 1989 alla base del disguido





CURTATONE.
La burocrazia, si sa, è un mostro impersonale che quando si mette di traverso nella vita di una persona riesce a trasformarla in un vero e incubo. È il caso di Rosalba Santoro, esule istriana che per una serie di interpretazioni di una legge del 1989 che stabilisce la nazionalità degli esuli per il rilascio del codice fiscale si ritrova ad averne ben cinque: uno diverso dall’altro. Rosalba, ex insegnante che ora gestisce un bed &breakfast a Montanara, nata nel 1944 a Lussinpiccolo (ora Mali Losinj) sull’isola di Lussino in provincia di Pola, oggi Croazia, è una dei tanti esuli istriani che alla fine della seconda guerra mondiale dovettero lasciare tutto e fuggire in Italia.
«Non mi soffermo sulle peripezie subite dagli abitanti di quelle zone che desideravano rimanere italiani, per evidenziare invece la logica della burocrazia italiana» sottolinea Rosalba. «Quando fu istituito il codice fiscale mi fu attribuito il codice corrispondente al comune di nascita, Lussinpiccolo allora Italia».
Dopo vari anni l’agenzia delle Entrate le comunicò un secondo codice, corrispondente a Pola: «Continuai ad usare il primo codice per le operazioni bancarie e fiscali, mentre il secondo per le operazioni sanitarie. Mi recai allora all’agenzia delle Entrate per cercare di avere un solo codice, ma mi risposero che i codici non possono essere cancellati ma che potevo usarli entrambi in quanto erano collegati». In quell’occasione Rosalba scoprì di averne anche un terzo, sempre legato a Pola. Ma non è finita qui: «Nel giugno dello scorso anno - racconta la donna - la Regione mi comunicò che il mio codice era variato e che dovevo usarne un altro legato alla Croazia».
Una situazione ingarbugliata che si è complicata ancor di più quando, circa tre mesi fa, l’ex insegnante ha dovuto rinnovare il bollo dell’auto: «Mi reco al Pra e scopro di avere un ennesimo, il quinto, codice fiscale, legato all’ex Jugoslavia. A questo punto mi chiedo perché il luogo di nascita che determina il codice fiscale non rimane quello in cui effettivamente si è nati? Io sono nata in quella che allora era Italia e desidero che anche il mio codice fiscale lo riconosca». Un diritto legittimo e sacrosanto», osserva Dino Grebaz,esule istriano, di Castel d’Ario, con due codici fiscali che ha scritto al Ministero degli Interni per le stesse ragioni. «Mi è stato confermato che la legge 15 Febbraio 1989 n. 54 per le identità degli esuli va applicata solo ai soggetti nati entro il 15 Febbraio 1947 nei territori ceduti alle potenze straniere, ovvero indicando solo il comune di nascita. Quindi per Rosalba Lussinpiccolo, codice E766Y. Gli altri sono solo interpretazioni di circolari e non della legge».

                          Lino Fontana


ma  non sembra  un caso isolato


Aldo Candusio
Anch'io sono un esule istriano e ho un codice fiscale che molto spesso non viene riconosciuto dai sistemi automatici di riconscimento i. Mi sono ritrovato adirittura ad avere due posizioni ICI con solleciti di pagamento per una delle due che non sapevo neanche di avere creandomi problemi con l'Ufficio delle Entrate. Con il mio codice fiscale non posso entrare in siti come quello della motorizzazine civile ed altri simili.

FABO, IL PESO DEL DOPPIO © Daniela Tuscano

Nessun testo alternativo automatico disponibile.

Caro Fabo,
Non mi dilungherò. Ho conosciuto la tua storia in questi giorni, come tanti. L'ho conosciuta al capolinea, quando è troppo tardi, ma non al punto di non acciuffarne un lembo. L'ultimo, il più prezioso.
Qualsiasi decisione tu prenda, ci sarò. Invisibile, inesistente per te. Ma egualmente ci sarò, come ai tempi di Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro. Leggo che le hai provate tutte, hai lottato disperatamente e ora non resisti più. Non possiamo nemmeno lontanamente immaginare il tuo strazio. Se penso che, per una semplice eppur invalidante emicrania, la qualità della vita già si abbassa...
Don Vinicio Albanesi ti ha indirizzato parole bellissime e toccanti http://www.famigliacristiana.it/articolo/dj-fabo.aspx . A suo dire, se invochi la morte, è perché ti senti solo. Io pure lo credo.
Tuttavia, in quei momenti, si è sempre soli. E non poter comunicare, e vedere i volti attorno a te, sempre più sfocati e distanti... In un attimo bianco, spumoso come vortice...
Ma tu, forse, ti senti solo il doppio. Per il dolore fisico? per l'incapacità di comunicarlo? per l'assenza d'un volto? di quell'immagine vaga, remota, ma alla quale lo spirito s'aggrappa, come il naufrago? o semplicemente vuoi finirla con questa pena? Impossibile rispondere. Di sicuro, avverti il peso d'una doppia solitudine.
E quel doppio, dobbiamo eliminarlo. Noi, come società. Indipendentemente dalla tua scelta. Vorrei, anzi, esigo non sia strumentalizzata dai vivi, cioè da noi, obbligati (sì, ci tocca) a disquisire su un momento fatale di cui non sappiamo nulla. Vorrei si onorasse la tua memoria operando per una cultura della vita e non dell'efficientismo. Che si diffonda il rispetto per il disabile grave e non la falsa pietà di chi, considerandolo scarto, ricorre al facile espediente dell'eutanasia. Che aumenti la sensibilizzazione verso la cura palliativa, comprendente pure la sedazione profonda, come ha scelto Dino alcuni giorni fa. Perché si può, si deve arrivare con dignità anche e soprattutto con la fine naturale. Questo è il compito della scienza.
Ma qui mi fermo. Ora ci sei tu. Vorrei abbracciarti, grattare quella testa che hai detto pruderti senza tu possa nemmeno alleviare un simile, banale fastidio. Le mie frasi ti sembreranno goffe, contorte, inadeguate. Ma false no, non lo sono. Inutili? Può darsi. Ma quanto desidererei le ascoltassi, tu e chi, nella sofferenza, ci è stato affidato. Non chiudete gli occhi, pur se siamo in ritardo.