FABO, IL PESO DEL DOPPIO © Daniela Tuscano

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Caro Fabo,
Non mi dilungherò. Ho conosciuto la tua storia in questi giorni, come tanti. L'ho conosciuta al capolinea, quando è troppo tardi, ma non al punto di non acciuffarne un lembo. L'ultimo, il più prezioso.
Qualsiasi decisione tu prenda, ci sarò. Invisibile, inesistente per te. Ma egualmente ci sarò, come ai tempi di Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro. Leggo che le hai provate tutte, hai lottato disperatamente e ora non resisti più. Non possiamo nemmeno lontanamente immaginare il tuo strazio. Se penso che, per una semplice eppur invalidante emicrania, la qualità della vita già si abbassa...
Don Vinicio Albanesi ti ha indirizzato parole bellissime e toccanti http://www.famigliacristiana.it/articolo/dj-fabo.aspx . A suo dire, se invochi la morte, è perché ti senti solo. Io pure lo credo.
Tuttavia, in quei momenti, si è sempre soli. E non poter comunicare, e vedere i volti attorno a te, sempre più sfocati e distanti... In un attimo bianco, spumoso come vortice...
Ma tu, forse, ti senti solo il doppio. Per il dolore fisico? per l'incapacità di comunicarlo? per l'assenza d'un volto? di quell'immagine vaga, remota, ma alla quale lo spirito s'aggrappa, come il naufrago? o semplicemente vuoi finirla con questa pena? Impossibile rispondere. Di sicuro, avverti il peso d'una doppia solitudine.
E quel doppio, dobbiamo eliminarlo. Noi, come società. Indipendentemente dalla tua scelta. Vorrei, anzi, esigo non sia strumentalizzata dai vivi, cioè da noi, obbligati (sì, ci tocca) a disquisire su un momento fatale di cui non sappiamo nulla. Vorrei si onorasse la tua memoria operando per una cultura della vita e non dell'efficientismo. Che si diffonda il rispetto per il disabile grave e non la falsa pietà di chi, considerandolo scarto, ricorre al facile espediente dell'eutanasia. Che aumenti la sensibilizzazione verso la cura palliativa, comprendente pure la sedazione profonda, come ha scelto Dino alcuni giorni fa. Perché si può, si deve arrivare con dignità anche e soprattutto con la fine naturale. Questo è il compito della scienza.
Ma qui mi fermo. Ora ci sei tu. Vorrei abbracciarti, grattare quella testa che hai detto pruderti senza tu possa nemmeno alleviare un simile, banale fastidio. Le mie frasi ti sembreranno goffe, contorte, inadeguate. Ma false no, non lo sono. Inutili? Può darsi. Ma quanto desidererei le ascoltassi, tu e chi, nella sofferenza, ci è stato affidato. Non chiudete gli occhi, pur se siamo in ritardo.



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