28.2.13

bari "Una sepoltura anche per gli embrioni" scontro sul cimitero dei bimbi mai nati

ho già  chiarito  le mie posizioni  sul'aborto e  sulla procreazione  assistita  \  sull'embrione  ( vedere  archivio blog  o  cercate   quando aprite il blog  diretto  con il motorino di ricerca  )  . Ma   qui pur  dando ragione  al medico \  ginecologo  : <<  Una cosa ridicola  -  la bolla subito Aquilino  -  perché prima dei 90 giorni il prodotto abortivo non è fisicamente individuabile, ma è composto da liquido amniotico, embrione e corion. Non sappiamo come comportarci con le interruzioni mediche perché in quel caso di solito le donne espellono il materiale nel water. Come facciamo a raccoglierlo? È ridicolo, soprattutto perché si considerano degli embrioni al pari di bambini". >>.non mi sento  di proibire   una  cosa  del genere ( vedere  articolo sotto ) 
  fonte  repubblica  di bari  27\2\2013

"Una sepoltura anche per gli embrioni"
scontro sul cimitero dei bimbi mai nati

A Monopoli le donne devono firmare il consenso per seppellire i feti espulsi prima dei 90 giorni: polemiche per la convenzione con il Movimento per la vita. Il primario: "Non si può applicare" 
di ANTONELLO CASSANO


"La sottoscritta, presa visione del protocollo di intesa acconsente al 'seppellimento' del proprio prodotto abortivo". È quanto recita il Consenso al "Seppellimento dei bambini mai nati", il documento che, a partire da gennaio, ogni donna che abortisce nel reparto di ginecologia e ostetricia dell'ospedale San Giacomo di Monopoli, è obbligata a firmare per dare o negare il consenso al seppellimento del feto in una zona riservata del cimitero di Monopoli. Nel giro di un mese già sette donne hanno praticato l'aborto al San Giacomo e hanno firmato il Consenso informato. Tra queste anche delle minorenni. 

Una manifestazione anti abortista 

Il progetto è noto fin dal maggio dell'anno scorso. Il nostro giornale riportò la notizia di un contestato protocollo d'intesa tra Comune, Asl di Bari e Movimento per la Vita ( associazione cattolica antiabortista ) promotrice del progetto) per riservare uno spazio nel cimitero Romani ai feti con più di 40 settimane, frutto di aborti spontanei o terapeutici.                         E fin qui nessuno problema. "Nelle interruzioni terapeutiche per malformazioni oltre il terzo mese  -  dice il primario del reparto di ginecologia e ostetricia, Pasquale Aquilino - la donna vive l'interruzione come un vero e proprio lutto che in alcuni casi è necessario elaborare tramite il rituale del seppellimento, che viene richiesto ed effettuato senza problemi".Ora però su ordine della direzione sanitaria dal 26 gennaio scorso il cimitero non accoglierà solo i feti con più di 40 settimane, ma tutti i prodotti abortivi, anche quelli prima dei 90 giorni. "Una cosa ridicola  -  la bolla subito Aquilino  -  perché prima dei 90 giorni il prodotto abortivo non è fisicamente individuabile, ma è composto da liquido amniotico, embrione e corion. Non sappiamo come comportarci con le interruzioni mediche perché in quel caso di solito le donne espellono il materiale nel water. Come facciamo a raccoglierlo? È ridicolo, soprattutto perché si considerano degli embrioni al pari di bambini".La disposizione della direzione amministrativa è chiara e stabilisce compiti e orari. Nell'articolo 1 si descrive l'esistenza di un contenitore fornito dal "Movimento per la vita" con tanto di coperchio e chiusura ermetica che contiene gli aborti. Questi contenitori vengono trasportati nel cimitero del paese "ed ivi conservati secondo la normativa vigente". Poi saranno i volontari del movimento a provvedere al ritiro dei contenitori "ogni 25 del mese". "Ho cercato di manifestare tutti i miei dubbi al riguardo  -  afferma ancora Aquilino  -  ma non c'è stato niente da fare. Dovrebbe intervenire l'Asl di Bari". 
la  situazione  è facilmente  risolbile  , cosi sin tagliano  la  testa al toro ,  basterebbe  che il  comune  è  la  asl  aplicassero lo stesso regolamento    cioè  far  scegliere  alle  donne  \ ragazze   che   siano  ricoverate o che si  rivolgono al consultorio   per  abortire  prima  dei  90 giorni   se   firmare  il    foglio del consenso\assenso      ( perchè per  un aborto  , almeno  che non si vada   ancora   dalle mammane   o in ambulatori clandestini  )    a   depositare   il "  risultato "  dell''aborto precedente a tale  data   e  seppellirlo  come uin normale  aborto  . 


27.2.13

Occasione

Il mondo è un ragazzo
spettinato, glabro,
che scruta
con occhi curiosi
acrobazie di case,
veloce nell'aria gelida
d'un mattino senza libri.
Le piazze, corpi deserti,
s'aprono a piedi
anelanti di gioventù.


(Foto: Stefania Palma)

26.2.13

nasce la prima biblioteca condominiale ( reprise )

Poiché  copiare  il file  da repubblica  repubblica  sera   crea  uno scompaginamento del template    ho cancellato il post precedente  . Ma   potete  o  saperne di  più      tramite  la loro pagina facebook  o  scrivendo alla loro email bibliorembrandt12@gmail.com Oppure leggendo  gli articoli   qui   sotto  in una versione più leggibile  ed  eventualmente  citabile   (    copia &incolla )  da uno dei tanti    forum online  più precisamente  questo     http://lariserva.forumcommunity.net/?t=53758801


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Una portineria in disuso attrezzata con scaffali, poltrone e una macchinetta automatica del caffè per rendere più piacevole la lettura. Con gli inquilini di otto piani di appartamenti a darsi il turno per gestire mille libri arrivati da mezzo quartiere. Fra schedature, registri per segnare i volumi in prestito e scadenze da far rispettare.


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È la prima biblioteca di condominio, in via Rembrandt a Milano, gestita in tutto e per tutto dalle 72 famiglie che vivono nella palazzina e aperta anche al pubblico. "Tutto è nato per caso tre mesi fa - racconta Roberto Chiappella, 66 anni, che abita al sesto piano da quarant'anni - quando abbiamo trovato una decina di libri praticamente nuovi buttati per terra accanto a un bidone della spazzatura".


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I volumi sono stati trasportati nel vecchio bilocale della custode al pianterreno - ormai disabitato da quando in assemblea si è deciso di prendere un portinaio a mezzo servizio - in attesa di una nuova collocazione. E lì, ecco l'idea: "Nei condomini ci sono dinamiche strane che tutti conosciamo - prosegue Chiappella - si può vivere per anni a pochi metri di distanza senza scambiarsi nemmeno una parola. Volevamo tutti trovare anche il modo di condividere qualcosa, di avere uno spazio per socializzare". E allora, perché non realizzare una biblioteca di condominio? Il via libera al nuovo uso della portineria è arrivato all'unanimità. E i dieci volumi 'salvati' sono stati solo il punto di partenza, come mostrano queste immagini. Prossimo passo: aprire la struttura all'intero quartiere

Tiziana De Giorgio per Repubblica




cattura  immagine dalla  galleria di
 http://milano.repubblica.it/cronaca/2013/02/02/
Ci sono posti di cui ti innamori a prima vista. E magari capita in un sabato mattina in cui non hai tanta voglia di fare, ma hai deciso che saresti andata sul posto, avresti visto com'è perché “dal vivo è sempre meglio”.

Poi ti ricredi e non solo perché sei circondato da libri, ma perché l'atmosfera che si respira è a metà tra quella del bar sotto casa dove vai da anni e quella di una casa vera e propria. Ed invece è una biblioteca, nata all'interno di un condominio milanese, in via Rembrandt 12, in una zona, che, come racconta Roberto Chiapella, racchiude ancora al suo interno tanti aspetti di quella che era la “vecchia Milàn”.

Chiapella, ( foto  a sinistra   presa  da   repubblica   edizione  di milano )  insieme a Mario Mura e altri abitanti del palazzo che risale agli anni ‘50, ha avuto la bella idea di creare una vera e propria biblioteca al piano terra di un condominio. Se vi rimanda a qualche articolo che avete letto in cui si dice che a New York si fa così per rendere più appetibili le case da comprare, sappiate che siete assai lontani dal vero. 

O meglio, l’idea ha poco a che fare con il mercato immobiliare, anzi come spiega Roberto: "Il nostro obiettivo è di creare relazioni, incentivare i rapporti veri non solo tra i condomini, ma anche tra chi si trova a passare da qui. Neanche sapevamo cosa si fa in America... Se ci pensa, tante gente che vive nello stesso condominio non si conosce… E se c’è chi in effetti, per indole, temperamento, magari non ha voglia di andare oltre il saluto, c’è chi si ritrova qui a scambiare quattro chiacchiere ben volentieri.  Il libro è solo un veicolo, uno strumento", mi dice mentre siamo seduti al tavolo della stanza arredata con mensole piene di volumi (1400 finora quelli a disposizione, una trentina quelli presi in prestito), alcune realizzate dagli stessi condomini, in altri casi recuperate qua e là.


Del valore ancora attuale dei libro Chiapella era convinto anche due mesi fa quando ha cominciato a pensare di creare questo spazio comune. Colpa o merito di chi ha buttato dei testi in un cassonetto: “Li ho trovati, li ho recuperati e così è nato il tutto. Ho coinvolto lui (indica Mura seduto con noi al tavolo) e gli altri condomini e così questa ex casa del portiere è diventata una biblioteca condominiale”. L’unica a Milano e dintorni. Tra libri trovati in un cassonetto a quelli recuperati tramite i condomini, ma anche gente che viene da fuori, questo spazio non ha niente da invidiare alle biblioteche “tradizionali”. 

“Il prestito è gratuito e dura un mese, ma è possibile anche rinnovarlo” continua Roberto, guardandosi intorno. “I libri sono tutti catalogati per tipologia, anche se abbiamo per lo più romanzi. D’altronde è questo ciò che la gente legge con più piacere”. 

La biblioteca è ancora in forma “embrionale”. “Essenzialmente è aperta agli abitanti del palazzo, ai vicini e alla gente che conosciamo o che qualcuno di noi conosce, gli orari saranno resi noti dopo l’assemblea condominale, nel frattempo visto che la portineria è aperta solo la mattina diciamo che questo è il momento in cui possiamo assicurare il prestito.


trattitiva con la mafia ante litteram un inedito di Leonardo sciascia sulla mafia SULLAMAFIA L’INEDITO DI SCIASCIA UN SAGGIO DIMENTICATO PER CAPIRE COSA PENSAVA DAVVERO LO SCRITTORE SU COSA NOSTRA

  fonte  il  venerdi  di repubblica  n 1301  del 22  febbraio  2013  

UN SAGGIO DIMENTICATO PER CAPIRE COSA PENSAVA DAVVERO LO SCRITTORE SU COSA NOSTRA.
RIEMERGE UN SAGGIO DEL 1972 NEL QUALE LO SCRITTORE DI RACALMUTO RACCONTAVA
I RAPPORTI TRA POTERI PUBBLICI E POTERI ILLEGALI. QUASI UNA PREISTORIA
DELLA FANTOMATICA «TRATTATIVA», OGGI AL CENTRO DI CRONACHE E POLEMICHE

PALERMO. La storia della mafia di Leonardo Sciascia  (  foto a  destra )  fu pubblicata nel 1972 nella mondadoriana rivista Storia illustrata.
Da allora era dispersa. Appena 35 pagine, che diventano 65 con l’intervista di Giancarlo Macaluso a Stefano Vilardo (amico di Sciascia dal ‘36) e un’analisi di Salvatore Ferlita. L’operazione di recupero la si deve alla casa editrice Barion, resuscitata dalla «pancia» della storica
Mursia. È un tesoro nascosto.Sciascia, anzitutto, scopre nel suo studio che la parola mafia già appare nel primo vocabolario siciliano di Traina (1868) come importata dal Piemonte, sulle ali della spedizione
dei Mille di Garibaldi. Tuttavia, spiega lo scrittore, per lo studioso di tradizioni popolari Giuseppe Pitrè era solo «una ipertrofia» dell’ego ribellista. Poi arriva Giuseppe Rizzotto. Nel 1862 scrive I mafiosi di la Vicaria (una prigione di Palermo) e la mafia diventa «associazione».
Ma, annota Sciascia, sarà un procuratore,Alessandro Mirabile, che nelle sue requisitorie parlerà di  setta».Sciascia, a questo punto, sottolinea:«Alcuni, anche in buona fede,credono che applicando la parola
alla cosa si tenda a creare un pregiudizio». È ingiusto,affermano costoro, che a Milano una banda di rapinatori sia una semplice banda, mentre in Sicilia diventa cosca («la cosca» ricorda «è la corona
di foglie del carciofo»).

Sciascia, su questo, è netto: «La parola mafia è stata applicata alla cosa, o la cosa  ha preso quel nome, in forza di una distinzione  qualitativa... questa distinzione già vien fuori nel 1838 da una relazione di
don Pietro Ulloa, allora procuratore generale a Trapani». E cosa scrive Ulloa nel 1838? Parla di «oscure fratellanze», «sette segrete che diconsi partiti», un popolo che le fiancheggia, magistrati  che le  proteggono. E «al centro di tale dissoluzione c’è una capitale col suo lusso e le sue pretensioni feudali in mezzo al secolo XIX». Commenta Sciascia:«Leggeremo mai, negli archivi della commissione parlamentare antimafia,una relazione acuta e spregiudicata come questa di don Pietro Ulloa?».
Sciascia sposa la tesi dello storico inglese Eric Hobsbawm: in Sicilia la «rivoluzione francese» l’ha fatta la mafia. Ifeudi passano di mano, dai baroni ai borghesi.
I contadini promossi campieri ne diventano l’esercito. E rilegge (altro punto importante) Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa in chiave «antimafia ». Il passaggio epocale, spiega, è chiaro nel personaggio di Calogero Sedara e nella famosa frase del principe di Salina: «Noi fummo i Gattopardi, i Leoni: chi ci sostituirà saranno le iene e gli sciacalli».Iene e sciacalli, per Sciascia, si annidarono tanto nella spedizione dei Mille quanto nella «neutralità» verso il fascismo.
Anzi, vista la presenza del prefetto Mori, inviato dal Duce in Sicilia a combattere la mafia, se ci fosse stata una Resistenza nell’Isola, «i boss sarebbero stati partigiani». Sempre iene e sciacalli si alleeranno con gli americani per favorirne lo sbarco in Sicilia, ancora loro faranno sparire nel ’70 il cronista dell’Ora Mauro De Mauro e uccideranno il procuratore Pietro Scaglione nel ’71. Non  mutano mai pelle, i picciotti di Cosa Nostra. Per farli vedere bene agli italiani, lo scrittore li paragona ai bravi dei Promessi Sposi di Manzoni. Infine, la famosa «equazione» di Sciascia su Cosa Nostra: «La mafia è una associazione per delinquere con fini di illecito arricchimento... che si pone come intermediazione parassitaria,con mezzi di violenza, tra proprietà e lavoro, produzione e consumo,cittadino e Stato».
Leonardo Sciascia, deputato nelle liste radicali tra il 1979 e il 1983, espresse diciannove volte il suo pensiero in Parlamento.
Tre volte parlò di mafia e utilizzò la sua Storia della mafia come base per i suoi interventi. Grazie ad Andrea Camilleri,che li ha riordinati di recente, sappiamo che nel primo intervento (20 febbraio 1980) disse che diciotto anni dopo le sue denunce «il fenomeno anziché diminuire» lo avevano visto crescere. Nel secondo (6 febbraio ’80) accusò i colleghi: «Tutti avete detto che la mafia insorge nel vuoto dello Stato. E invece insorge nel pieno dello Stato!».
Nel terzo (27 gennaio  ’83), dopo l’omicidio del giudice di Trapani Ciaccio Montalto, tuonò verso il ministro dell’Interno,Virginio Rognoni:«Lei parla della mafia come di un fatto fisiologico. Ritengo invece che bisogna guardarlo come un fatto patologico,e lei che è ministro dell’Interno deve guardarlo da medico internista».
Che voleva dire? Se cercate la malattia  mafia, dovete curare il cuore dello Stato. Il saggio di Leonardo Sciascia, che  salta fuori dal lontano 1972, riporta  nell’attualità quegli interventi in Parlamento. Il libretto  è importante per parecchi  motivi. Intanto, è l'unico  saggio «organico» sul tema  firmato dallo scrittore di Racalmuto.
Poi contiene per la  prima volta la sua celebre «equazione» sulla mafia, che lui non abiurò fino alla morte e che citerà apertamente nei suoi interventi parlamentari.
Non solo. Ne citerà anche altri passi, tra cui la relazione del procuratore di Trapani Pietro Ulloa del 1837, che lo  scrittore ritenne sempre attualissima: «Descriveva la mafia come l'abbiamo conosciuta
noi, ed era una mafia di procuratori del re, di segretari comunali e di preti», dirà nella solennità del Parlamento.
La sciasciana Storia della mafia ci restituisce un intellettuale per intero, lo  scrittore che «contraddisse e si contraddì », come ebbe a definirsi, non limitandosi a impiccarlo all’articolo sul Corriere della
Sera del 10 gennaio dell’87 contro «i professionisti dell’antimafia». In quell’intervento,
come noto, Sciascia criticò (senza nominarlo) il «protagonismo» del sindaco di Palermo (oggi rieletto) Leoluca Orlando, ma soprattutto sparò a zero contro la decisione del Csm di promuovere  Paolo  Borsellino procuratore di Marsala,in barba ai criteri di anzianità fin lì seguiti. Successivamente spiegò che,quando aveva redatto il suo intervento,non sapeva nulla di Borsellino, ma aveva criticato «l’assenza di regole» da parte del Csm, arma poi usata in senso inverso,per bocciare la candidatura di Giovanni Falcone. Soprattutto, Sciascia chiarì che aveva scritto sull’onda di eventi traumatici.
Il primo, pur rimasto sottotraccia, è il caso di Enzo Tortora, il presentatore tv arrestato nell’83 e coinvolto nel processone di Napoli contro la camorra.
Per inciso, Giovanni Falcone pensava che non avere stralciato la posizione di un personaggio così famoso da un processone contemporaneo al maxiprocesso di Palermo contro la mafia fosse «una trappola ben organizzata» a Napoli per scatenare «pretese di impunità» per i boss anche a Palermo. Il secondo trauma,dichiarato invece apertamente:il suicidio del segretario della Dc siciliana Rosario Nicoletti, rimasto un mistero.Quanto a Borsellino,dopo la
pubblicazione dell’articolo, i due si riappacificarono e, successivamente,rimasero in contatto. Il giudice si disse certo che qualcuno «che gli voleva male» aveva giocato il ruolo del suggeritore. Tuttavia non replicò mai allo scrittore. «Ho amato troppo i suoi romanzi sulla mafia, ci sono cresciuto». Ma di quell’articolo resta la carta e il piombo, per una volta solo tipoche avvolge una tragedia siciliana. Si ha un bel dire che Sciascia e Borsellino si chiarirono. Il giudice, nel suo ultimo intervento pubblico prima di sacrificarsi in via D’Amelio, disse che Falcone aveva cominciato a morire il giorno della pubblicazione dell’atto d’accusa di Sciascia. Il  che da solo dovrebbe bastare a spiegare gli «eroici furori» di chi ha utilizzato in questi anni Sciascia in esclusiva chiave  antimagistrati. Ma la vedova di Borsellino, Agnese, ha detto di recente che Sciascia «aveva  capito tutto vent’anni prima».La figlia dello scrittore, Anna Maria, ha sottolineato che il padre non voleva colpire Borsellino,ma che mal sopportava «una certa retorica dell’antimafia ». Disonesto sarebbe però anche affermare che l’articolo sarebbe
stato scritto «sotto dettatura». O che fosse incoerente. La faccenda, comunque la si giri, resta complicata. E tragica. La simbiosi. La metastasi. La peste.Resta il fatto che Sciascia vede incubare un’Italia futura «mafizzata», con quello «sguardo distaccato di un entomologo» che gli attribuisce, a ragione, l’amico Vilardo.
A 23 anni aveva assistito all’omicidio del sindaco di Racalmuto, Baldassare Tinebra. Poi aveva visto, a Caltanissetta,il popolo far ressa per baciare la  mano al boss don Calò Vizzini. Nel 1965  aveva intervistato Giuseppe Genco Russo,padrino di Mussomeli. E aveva studiato,«osservandolo» mentre si occupava del caso De Mauro, il capo della squadra Mobile, Boris Giuliano, ucciso nel luglio del’79. Freddo non per cuore duro,ma per «osservare» bene. Confidava all’amico Vilardo: «Quando la mafia si arricchisce,e ci vuol poco con la ricchezza che muove, sforna avvocati, medici, imprenditori,professionisti. Colletti bianchi. Cambia la forma del mafioso, ma la sostanza resta sempre quella».
L’entomologo Sciascia divenne, con timore,quasi un profeta. In Todo Modo descrisse la futura dissoluzione della Dc e il caso Moro. «Ho paura di dire cose che possono avvenire» spiegava. Di più. Nel’72, l’anno in cui scrisse La storia della mafia (aprile), a febbraio aveva licenziato Il contesto. Lo aveva tenuto fermo due anni.
Ne aveva paura. L’ispettore del romanzo, Americo Rogas,sembrerà a tutti Boris Giuliano,l’amico poliziotto ucciso. E la trama? Un complotto per occultare omicidi eccellenti,in nome della «ragion di Stato ». Dentro ci sono tutti, anche l’opposizione. Questo valse a Sciascia una raffica di sei articoli di critica sui giornali di area comunista (dall’Unità a Rinascita). Ma era ben peggio il vaticinio finale del suo ispettore: «Il potere in Sicilia, in Italia, nel mondo, sempre più degrada nella impenetrabile  forma di una concatenazione che approssimativamente  possiamo dire mafiosa ». Sembra che si parli delle inchieste sulla trattativa tra Stato e mafia. Leonardo Sciascia, nel 1986, ascoltò la  deposizione del pentito Tommaso Buscetta al maxiprocesso di Palermo. Ne  uscì sgomento. Ma poi, dopo la sentenza,scrisse: «Il verdetto cancella l’impressione di allora. Vi si intravede quell'osservanza del diritto, della legge, della Costituzione  che i fanatici vorrebbero far cadere in desuetudine».
Non capì la nuova Cosa Nostra. Non poteva sapere che il mostro che lui aveva avvistato tanti anni prima, quei picciotti sempre uguali, le iene e gli sciacalli di  ogni tempo, stavano tornando sotto forme nuove. Dopo la breve parentesi della  mafia corleonese di Totò Riina, che dichiarò guerra allo Stato, dalle sue ceneri sono risorte, all’ombra delle grandi corruzioni e di equilibri impenetrabili, le mafie invisibili, aristocrazie più simili a quelle dei primordi. Muovono un fatturato annuo (secondo lo studioso Francesco Barbagallo) di 70 miliardi di euro. E, dopo  il tramonto dei corleonesi, hanno ripreso a vivere all’ombra delle istituzioni.
                                              PIERO MELATI

25.2.13

Vinicio Capossela - Scivola Vai Via (Video clip)

occhio al pc se avete bimbi piccoli Pedofilia, abusi e adescamenti: i nuovi orchi navigano in Rete

musica  di sottofondo  bambini di Paola  Turci 

ho deciso di fare anzi meglio a riprendere ( vedere archivio del vecchio blog ) questo post dopo questa news mi pare  sull'unione  sarda   o la nuova  sardegna di qualche  giorno fa  



Il rapporto di Meter sui pericoli per i bambini nell'era digitale

di Luigi Barnaba Frigoli 

Adulti senza scrupoli che, utilizzando internet, adescano minori ignari per soddisfare le loro insane prurigini pedofile. Un fenomeno subdolo e inquietante che, purtroppo, in un'era dominata dalle nuove tecnologie come quella attuale, risulta essere sempre più all'ordine del giorno. 

LA DENUNCIA L'allarme arriva dall'associazione Meter, sodalizio sociale con sede ad Avola (in provincia di Siracusa), fondato nel 1989 da don Fortunato Di Noto proprio per tutelare l'infanzia a 360 gradi. Impietosi i dati contenuti nell'ultimo rapporto divulgato in questi giorni. Un dossier che punta i riflettori su molte delle principali emergenze che interessano il mondo dei piccoli. Come il moltiplicarsi del numero di bambini con meno di 13 anni che aprono profili su Facebook e sugli altri social network all'insaputa dei genitori, esponendosi alle insidie dei cyber-orchi (1.274 le segnalazioni arrivate a Meter lo scorso anno contro le 1.087 del 2011). 
LA ZONA OSCURA Ma a destare preoccupazione e sconcerto sono anche i numeri relativi al proliferare dei siti internet pedopornografici: oltre 100mila quelli scoperti dal 2002 a oggi, di cui 35mila individuati negli ultimi due anni. E questo solo per quel che concerne il web “visibile”. Quello, cioè, tradizionale, accessibile a tutti. L'ultima frontiera della cyberpedofilia, infatti, è rappresentata dal cosiddetto “deep web”. Si tratta di una sorta di sottorete internet, ad accesso più ristretto, quindi più subdola e difficilmente individuabile dalle autorità preposte (altamente specializzati in Italia sono gli agenti della Polizia Postale) dove sta aumentando in maniera pressoché incontrollabile la divulgazione di immagini che ritraggono minori in pose osé se non addirittura video di abusi e sevizie. In questa parte nascosta dell'universo internet sono stati ben 56.357 i siti finiti nel mirino negli ultimi mesi. Un mondo oscuro “a parte”, insomma; un luogo virtuale, che consente ai pedocriminali di tutto il pianeta di “incontrarsi” e di scambiarsi materiale indecente in perfetto anonimato. Una “free zone” 550 volte più vasta rispetto al web tradizionale, dove vengono illecitamente trafficati quasi 600 miliardi di file, che forze dell'ordine, agenzie educative ed enti in prima linea per la prevenzione fanno sempre più fatica a tenere sotto controllo. 
GEOGRAFIA DEGLI ORCHI Il rapporto redatto da Meter riguarda anche la geografia dei siti pedofili. In questo senso, l'osservazione dei domini conferma il ruolo di spicco dei Paesi Europei nell'utilizzo della Rete per la diffusione di materiale a contenuto pedopornografico e, in particolare, della Russia che con le estensioni .ru e .su copre 571 degli oltre 1.500 siti segnalati negli ultimi tempi. L'Asia è rappresentata in primo luogo dal Giappone con il dominio .jp (267 siti), l'Africa in egual misura dalla Libia e dalle Isole Mauritius (rispettivamente 80 e 79), l'America dagli Stati Uniti (67) e l'Oceania dalle Isole Cocos (37). 
Non esente dal giro, purtroppo, l'Italia. Anche la Penisola, infatti, ricopre il suo piccolo, squallido ruolo all'interno del panorama della criminalità pedofila in rete con 36 siti individuati. Più in generale, ad alimentare la rete pedopornografica mondiale è sicuramente l'Europa, che da sola detiene il 50,7 per cento della fetta di questa amara torta. 
SEXTING Ancora, il rapporto Meter mette l'accento anche su nuovi, preoccupanti fenomeni che serpeggiano tra i giovanissimi parallelamente al diffondersi di internet. A cominciare dal sexting. Un neologismo composto dalle parole inglesi sex (sesso) e texting (digitare), che indica l'abitudine ad avere conversazioni a sfondo sessuale con amici o sconosciuti, arrivando anche a scambiarsi foto e filmati in atteggiamenti più che espliciti. Il risultato (tralasciando ovviamente le implicazioni sociologiche e psicologiche di questa vera e propria moda) è che i minori, più o meno inconsapevolmente e comunque senza riflettere sulle conseguenze, diventano essi stessi produttori di materiale pedopornografico, esponendosi al rischio di essere ricattati oppure di finire sugli schermi e nelle grinfie elettroniche delle persone sbagliate. Per comprendere l'entità del fenomeno anche in questo caso sono eloquenti i numeri: nel 2012 sono stati (parlando solo dei casi accertati) 5.640 i minori rimasti vittima di questo insano e sprovveduto giochetto. 
FACEBOOK E CO Da questo punto di vista, la diffusione dei social network tra gli adolescenti - o meglio l'uso di questi ultimi senza debita supervisione da parte degli adulti – può contribuire ad amplificare il rischio. Da uno studio effettuato nel mese di novembre 2012 dallo staff di Meter nelle scuole primarie di Avola (770 gli alunni complessivamente intervistati) emerge che il 99 per cento dei bambini (di età compresa tra i 9 e i 10 anni) possiede un profilo su Facebook, quasi sempre attivato dopo aver falsificato età e identità. La conclusione? «È impressionante - osserva Meter - come bambini così piccoli abbiano la libertà, senza alcun controllo da parte dei genitori, se non marginale, di utilizzare i social network, che vengono percepiti più come un gioco che non come mezzo di comunicazione». 
CYBERBULLI Non espressamente monitorato dal dossier di Meter, ma comunque diffuso tra le nuove generazioni, è anche il fenomeno del cyberbullismo, ovvero le molestie messe in atto da adolescenti nei confronti di altri adolescenti utilizzando email, messaggistica istantanea, blog e via dicendo. Senza tralasciare, anche in questo caso, Facebook, Twitter e gli altri social network. Stando a un rapporto del Telefono Azzurro, relativo al 2011, in Italia un ragazzo su cinque ha scoperto in Rete informazioni false sul proprio conto. Menzogne e accuse che in certi casi possono trasformarsi in minacce e persecuzioni. Un altro studio, del 2008, ha rilevato che su un migliaio di studenti delle scuole medie inferiori e superiori del nostro Paese circa il 15 per cento è stato vittima di bulli via chat, sms o posta elettronica.  (....)  
Questo perché, si legge nelle dichiarazioni d'intenti dell'associazione, «non basta solo la denuncia demandata alle forze di polizia, non basta solo un report o statistiche per la repressione o per stroncare il turpe commercio pedopornografico, ma ci vuole anche una rete capillare di persone competenti e motivate, capaci di collegarsi con la società in cui vivono, perché si crei una mentalità di vigilanza, di sostegno e protezione dell'infanzia come tale, rendendo l'abuso, e l'omertà che lo copre con i suoi paludosi silenzi, un crimine insopportabile per la coscienza collettiva». 
Affidandosi a questa convinzione, dal 2002 l'opera di sensibilizzazione dello staff di Meter sul rischio rappresentato dalle nuove tecnologie per i minori ha raggiunto e coinvolto complessivamente oltre 18mila persone, tra cui 8.190 studenti, grazie a iniziative nelle scuole, convegni, dibattiti, corsi di formazione e incontri privati, organizzati in tutta Italia, da Roma a Savona, da Messina a Bari, passando per Siracusa, Marsala, Milano, Catania e Padova. 
Ma, fortunatamente, sono molte le organizzazioni a tenere costantemente puntati i propri radar sulle insidie e sui problemi che riguardano i giovanissimi. Il già citato Telefono Azzurro, l'Unicef, l'associazione Prometeo solo per citarne alcune. 
I RISULTATI E proprio in virtù dell'opera meritoria di queste realtà, che operano a stretto contatto con le forze dell'ordine, molti casi di pedofilia o di molestia nei confronti dei minori sono stati scoperti e sbaragliati. L'ultimo in ordine di tempo in Sicilia, ancora una volta grazie a Meter. Una segnalazione effettuata alla Procura di Siracusa proprio dal fondatore don Fortunato Di Noto ha infatti permesso di individuare e denunciare un uomo di 35 anni per aver adescato on-line un ragazzino di 11. Il sacerdote aveva ricevuto il racconto del padre del fanciullo, che era stato contattato da uno sconosciuto su Facebook ed era stato oggetto di alcune proposte di natura sessuale. 
Dopo l'esposto di Meter, i magistrati hanno immediatamente autorizzato la Polizia Postale ad agire sotto copertura e dopo avere conquistato la fiducia del pedofilo, fingendosi a loro volta ragazzini sul social network, i cyberagenti sono riusciti ad ottenere un appuntamento con il sospettato, mettendolo di fronte alle sue responsabilità. Un caso eloquente, e purtroppo non isolato, dove le autorità hanno potuto intervenire, tra le prime volte in Italia, in virtù della Convenzione di Lanzarote, adottata anche dal nostro Paese lo scorso autunno. 
LA CARTA DI LANZAROTE Si tratta di una serie di norme riconosciute a livello internazionale, che consentono, una volta inserite nei codici penali vigenti, di contrastare la pedocriminalità e i nuovi fenomeni di sfruttamento sessuale dell'infanzia. 
Tra i capisaldi della Convenzione (fatta propria, oltre che dal governo italiano, anche da Danimarca, Francia, Grecia, Malta, Olanda, San Marino, Serbia, Albania e Spagna) l'introduzione di nuovi reati prima non previsti, come l'istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia e, appunto, l'adescamento attraverso internet. 
La Convenzione, inoltre, prevede pene più severe per i maltrattamenti in famiglia, l'associazione a delinquere a danno dei minori, la prostituzione e la pornografia minorile. 
Uno strumento importante, insomma, per condurre una battaglia sempre più ostica, ma che è necessario vincere a tutti i costi.

 sia perchè le piaghe   ( io condanno di più la 2 in quanto :   sono cose diverse vedere i collegamenti citati. Ma soprattutto perchè  :1)  spessissimo anche  se   come  dice  una degli esperti   d'antipedofilia   Loredana Morandi  : <<  non sono la stessa cosa. La pedopornografia è il commercio della pornografia su minori, la pedofilia invece è la malattia e la perversione dell'acquirente delle foto. Ovvero: chi scatta foto e gira filmati pedopornografici potrebbe non essere pedofilo, ma di fatto è certamente la più schifosa razza di criminale esistente per il dolore che provoca a creature innocenti. >>  Infatti   molto spesso la pedofilia è in molti casi degenerazione della  pedopornografia . E poi non è detto che un pedopornografo pratichi anche la pedofilia o viceversa anche se per la maggior parte delle associazioni dell'infanzia e  anti pedofile    è difficile pensare di scindere le due cose. )  della pedopornografia e pedofilia

veicolata attraverso internet che merita una lotta a 360 gradi. Scuola, genitori, società civile, mondo dell’associazionismo devono mobilitarsi prima che questa «peste» continui a mietere vittime . 
Lo so che a molti  , non solo i mie  amici\conoscenti   con prole  o nipoti  darà fastidio il fatto che un single non i faccia i c...i suoi si metta a pontificare ( mettere il nbaso si diceva una volta ) sulle loro decisioni \ metodo d'educare i figli .Ma purtroppo la pedofilia o la pedo pornografia ( per no parlare di cyber bullismo , ma non è questo l'argomento del post ) sta avendo il sopravvento .E poi e qui ( ed   questo   una  delle origini di questo post  )n  mi rivolgo agli amici\che , conoscenti e\o semplici utenti di facebook e degli altri social network , che mettono come  foto di profilo e\o negli album fotografici le foto del proprio figlio\an o nipote ma non lo sapete che esse posso essere preda di sporchi  pedofili visto chela privacy in rete è una chimera ? .
Come difendersi allora  ?   sempre  secondo  l'articolo prima  citato  : << (....)  La domanda, allora, nasce spontanea: cosa è possibile fare per proteggere i più piccoli da questa vasta, pericolosa, tentacolare selva oscura? Come spesso accade, di grande utilità possono rivelarsi educazione e prevenzione. Ma un aiuto può arrivare anche dalle realtà in prima linea in questa battaglia sempre più dura. La stessa associazione Meter, ad esempio, che, nel suo piccolo, di risultati ne sta ottenendo parecchi. Il tutto, grazie a un centro di ascolto, (collegato al numero verde 800.455270) cui rivolgersi per chiarimenti o segnalazioni. Una mano tesa ai genitori che in una decina d'anni ha fornito supporto e sostegno a centinaia di famiglie. In particolare, quelle di Sicilia, Lazio, Lombardia e Veneto, regioni che si confermano ai primi posti per numero di richieste. Tre, invece, i casi emersi nel 2012 dalla Sardegna . Importante, anzi fondamentale, resta comunque la prevenzione, capillare, nelle scuole e nelle parrocchie. >> . Infatti  un primo passo   sarebbe   quello  da   parte dei genitori   e parenti ( nonni , zii , cuigni ) di  non mettere pubblico sui sociual network o blog le foto di bambini . Controllando o chiedere alle maestre o ai docenti di scuola media ( perchè dopo i 14 non c'è più niente da fare o è più difficile , parlo per esperienza personale controllare il voler essere se stessi \ il slegarsi dalle pressioni dela famiglia dei ragazzi\e ) ad un uso consapevole e criticop della rete e dei cellulari


ecco cosa suggerisce  http://www.commissariatodips.it/
 e quest'altro sito  http://www.webalice.it/jack.rota/pclandia%20kids/difesa.htm, anche se per  i filtri è antiquato perchè  ormai i bambini  ( ad esempio mia  nipote  acquisita  nipote  di un cugino di mio padre , riesce  ed  ha  6  anni  ad usare  l'ipad  e l'aifone  e le nuove  tecnologie  ) al di sotto dei  10 anni sanno già smanettare  e   con un po' di pratica  riescono ad  aggirare i filtri . Ma  soprattutto  fare pressioni sui politicanti   ( di destra , sinistra  , centro  ) perchè  :1 )
 non siano candidati  persone  del genere  

  2)  sia  ripristinato  l'osservatorio nazionale  sulla  pedofilia 

24.2.13

La nuova frontiera del ciabattino: suole di plastica e tacchi invisibili


fonte  l'unione  del  24\2\2013
N,b 
 le  foto  sono  solo dimostrative  e prese  dal web in quanto  da  3  anni circa  l'unione sarda  free  cioè queklla  che  puoi scaricare dopo le  19   non contiene  più  le  immagini degli articoli . A meno  che  , ma  ancora non ho capito come fare  a cambiare i Dns  per  avere online  ( o trovare  siti   dei protagonisti dell'articolo  che  riportano sulle loro pagine  le scansdioni  dell'unione  in  questo caso copn l'articolo  su di loro  )   quelli più agiornati  cioè  prima  della  chiusura  dall'italia  all'italia ma non da  estero a italia  del sito www.avaxhome.ws
di GIORGIO PISANO  ( pisano@unionesarda.it ) 
L'insegna è fatta con suole di scarpe appiccicate al muro. Marco Basciu fa il ciabattino e ha imparato negli anni ad ascoltare le scarpe che ripara. Nel senso che riesce a capire tante cose di chi le indossa: c'è il nevrotico e il perfettino, quello clamorosamente fuori taglia e il martire pronto a infilare il piede in una scarpa dove il piede non ci sta.

Lavora in un quartiere piccolo borghese di Cagliari, un posto - dice lui - affollato di pensionati e «di nipoti che usano le Hogan». Non solo: tra la clientela, c'è anche una fetta di nicchia, che non bada a spese ma pretende risultati d'eccellenza. Per esempio la signora che esibisce scarpe strepitose con un tacco 14 che però non c'è. «È il trucco di uno stilista giapponese che è riuscito a sostituirlo con una V metallica». Il problema? La signora non ci cammina bene però non ci rinuncia e aspetta un piccolo miracolo dal suo ciabattino. Poi c'è il vecchio ortopedico che vorrebbe resuscitare la sua borsa di laurea e l'impiegato che vorrebbe riparare una scarpa che in realtà non esiste più.
Quarantasei anni, due figli, Basciu rompe volentieri due sacri tabù del commercio in Sardegna: quando un cliente entra nella sua bottega, saluta e sorride. Evita il pianto greco sulla crisi che non dà tregua e riconosce anzi che la recessione ha rianimato un lavoro altrimenti destinato a fare la fine delle cabine telefoniche. Per integrare, produce cinte e gambali in attesa (verrà un giorno) di poter realizzare scarpe su misura.Suo padre (che era ciabattino) avrebbe voluto farne un «buon chirurgo o un bravo avvocato». Peccato che Marco si sia fermato alla seconda media e non si dichiari nemmeno pentito. In compenso è un divoratore felice di «qualunque cosa si possa leggere purché non siano libri». Moglie che lavora («e questo consente di tirare il fiato in famiglia»), parla molto volentieri di un'attività che «offre tante soddisfazioni». Impossibile però censire la clientela perché «per un calzolaio i mesi non sono affatto uno uguale all'altro». Ci sono quelli ricchi (marzo, aprile, maggio, giugno, settembre, ottobre e inizi di dicembre), quelli così così (gennaio e febbraio), quelli disgraziatissimi (luglio e agosto). «D'estate mi va d'incanto se faccio ottocento euro al mese, d'inverno posso arrivare a milledue».Neanche per un secondo lo sfiora l'idea che il suo sia un mestiere umile. Quando gli domandano cosa fa, risponde serenamente: calzolaio. I figli li ha cresciuti sulla stessa rotta. «Il mio è un lavoro come un altro». Con una piccola differenza: a saperlo conoscere fino in fondo, può regalare lampi di felicità. Questione di attimi, di momenti ma vuoi mettere col grigiore a tempo pieno d'uno sportellista?
Quali sono i requisiti del buon calzolaio?
«Prima di tutto ti deve piacere quello che fai. Poi devi conquistare la fiducia dei clienti. Anche se qualche volta bisogna fargli cambiare idea».
Cioè?
«Se il cliente propone un tipo di riparazione che non va bene, devi spiegargli perché sbaglia. Senza fargli venire il sospetto che ci stai facendo la cresta».
Funziona il passaparola?
«È l'unico sistema che porta gente in bottega. Io lavoro in un rione dove ci si incontra per strada la mattina mentre si fa la spesa. Se hai un buon nome, un cliente tira l'altro».
Arroganti, mai?
«Caspita se ce n'è. Con questo genere di persone sorrido e sono gentile più del solito: proprio perché voglio che si rendano conto, che ci rimangano male. È gente che ha una vecchia idea del calzolaio».
Che vecchia idea?
«Una volta a fare i ciabattini erano persone con qualche problema fisico: poliomielitici, disabili, insomma gente che non avrebbe potuto svolgere altri mestieri. Per questo venivano trattati con sufficienza».
Gli arroganti invece?
«Sono i nipotini di quelli che credono d'essere sempre e comunque padroni del mondo. Entrano, non salutano e ti trattano come uno sciacquino».
La tentazione di mandarli a fare in culo?
«Fortissima. Qualche volta non ho resistito e, col sorriso sulle labbra, ho chiesto al cliente se preferiva uscire dalla porta o dalla vetrina».
A proposito di vetrina: perché le vostre sono sempre desolate, disadorne?
«Per via del lavoro che facciamo. Succede anche agli orologiai. Ha mai visto un riparatore di orologi lavorare in un bel posto? Eppoi i tempi».
Che c'entrano?
«Una volta mio padre lavorava in questa stessa via: aveva cinque colleghi e un capo. Erano in sei, calzoleria conosciutissima. Facevano lo scarpino di gala, quello da sposa e altri pezzi importanti. In pratica, era una fabbrichetta».
Il brutto e il bello di questo mestiere.
«Cominciamo dal bello: la soddisfazione. Te ne dà tanta. Mi entra un cliente altissimo, scendo con lo sguardo fino ai piedi e resto impressionato. Sapete quanto aveva? Cinquantuno, ossia una scarpa che misura più di 35 centimetri. Però era contento».
Perché?
«Perché, a vedere i suoi mocassini rotti, non mi sono spaventato. E allora ha cominciato a raccontare i dolori di uno coi piedi come i suoi: solo a Parigi o in Portogallo riusciva a trovare scarpe. L'imbarazzo si è sciolto quando gli ho detto per ridere: lei paga doppio, lo sa?»
Il brutto?
«La fine del mese. Sono cosciente d'essere privilegiato rispetto a un cassintegrato o uno che il lavoro non ce l'ha proprio. Però chi fatica ha il diritto di guadagnare il tanto per vivere».
Quanto sarebbe il giusto, secondo lei?
«Duemila euro, come un qualunque metalmeccanico tedesco».
Una volta eravate tutti esperti di lirica.
«Altra leggenda sulla categoria. Io sono un rinnegato, non so nulla di lirica».
Esiste la solitudine del ciabattino?
«Mi capita di ascoltare la radio fino a quando non mi stufo di sentire i politici. Allora resto in silenzio, anche per mesi. Non mi disturba, il silenzio».
Ci sono clienti che vengono per chiacchierare?
«Certo. La calzoleria, da questo punto di vista, somiglia al salone di un barbiere: è uno spazio aperto. Vengono soprattutto pensionati, mi portano scarpe che non si possono riparare (e loro lo sanno) e ne approfittano per scambiare due parole».
La imbarazza dire che mestiere fa?
«Non me ne vergogno, anche se qualcuno mi guarda male. Dicono che non ho le mani da calzolaio».
Come sono le mani da calzolaio?
«Piene di calli e sempre sporche. A me non va. Mi sono fatto fare apposta anche un dosatore per la colla. Prima usavano il dito o un pennello per spalmarla. A un mio amico che fa il meccanico rimprovero sempre proprio le mani sporche: come fai a usarle per toccare tua moglie?»
Le scarpe sono tutte uguali, più o meno?
«No. Quelle di pelle o di cuoio si possono rivoltare come una maglietta. Altre sono intrattabili. Diciamo che su cento paia che mi portano in bottega, posso intervenire al massimo su 40».
Quando incontra una persona, il primo colpo d'occhio è alle scarpe?
«No, alla faccia. Ho controllato le scarpe nelle primissime edizioni delMauriziocostanzoshow. Mi incuriosiva. Ho scoperto un sacco di scarpe bucate. Se lo sai, d'avere un buco dico, fai attenzione a non sollevare la scarpa da terra. Ma poi, se la conversazione vola, inevitabilmente ti deconcentri e mandi il buco in diretta».
Le scarpe parlano di chi le indossa.
«Sempre. Le scarpe di uno stressato sono curatissime oppure completamente lise. Il cliente io-so-tutto compra le scarpe e te le porta un minuto dopo per metterci la suola in gomma: non vuole correre il rischio di scivolare. Poi ci sono quelli che io chiamo i colpevolisti».
Perché?
«Perché pare che sia colpa mia se hanno le scarpe strette. Se ne accorgono il giorno che debbono indossarle per una cerimonia e poi rimetterle a dormire in un armadio. Ma se c'è un numero in meno, io che posso farci? Per i miracoli, più avanti c'è la basilica di Bonaria».
Quali segreti ha carpito dai suoi clienti?
«Capisci se hanno problemi nel camminare. Ricordo un signore che aveva una gamba più lunga dell'altra e quindi usava un rialzo interno. Che però gli faceva male. Gliel'ho levato senza dirgli nulla, ha imparato a compensare e ha risolto».
Sono più esigenti gli uomini o le donne?
«Le donne. A differenza degli uomini, badano solo alla bellezza della scarpa. Poi, se è larga, pazienza; se è un po' più corta e comprime il piede, pazienza lo stesso. Tanto, c'è il calzolaio. Gli uomini sono più... più normali. Sarà perché non usiamo tacchi vertiginosi».
Le chiedono il rialzo per sembrare più alti?
«Qualche volta ma in genere i rialzi servono a chi ha problemi di equilibrio».
È vero che dal ciabattino vanno solo i poveri?
«Nel modo più assoluto, no. Ci vanno tutti. Perfino quelli che non ne hanno bisogno».
Come, non ne hanno bisogno?
«Beh, non aveva sicuramente bisogno di me il pensionato che mi ha portato una lampada da tavolo chiedendomi se potevo darle un'occhiata. Gliel'ho aggiustata».
Quali sono le scarpe più belle che ricorda?
«Quelle di un industriale fiorentino, roba fatta a mano. Aveva terrore che gliele macchiassi. Costavano circa tre milioni di lire».
C'è chi si dimentica di pagare?
«Succede. Qualcuno si dimentica sul serio. Ma non potrò mai dimenticare la direttrice di banca che doveva pagare trentamila lire e mi fa: scusi, ha il bancomat? Mi è venuto da ridere: esiste al mondo un ciabattino col bancomat? Mi ha detto che sarebbe tornata ma se n'è scordata».
Il cliente si riconosce al volo?
«Quasi sempre. Vuoi che un direttore di banca non sappia che qui non può esserci un bancomat?»
Le hanno mai chiesto di pagare a fine mese?
«Succedeva col mio predecessore. Era un servizio vero e proprio. Aveva un quaderno dove segnava i conti e la clientela passava poi a saldare».
In un rione ricco come questo non può accadere.
«Qui no, certo. Può entrare in calzoleria una persona modesta ma non al punto da chiederti se le fai credito».
Mai chiesti lavori impossibili?
«Tipo ricostruire scarpe devastate? Certo. Però avverto sempre: la rifaccio, la scarpa; non si può riparare: è come un vetro rotto. Resta rotto anche se lo rincolli».
Ci sono scarpe che non possono essere recuperate?
«L'ho detto: capita in sei casi su dieci. Le tomaie cucite così strette che se provi ad aprirle è finita. Sono scarpe costruite apposta per essere buttate via, un po' come succede oggi con gli elettrodomestici».
E i clienti ci restano male.
«Guardi questi stivali, ultragriffati. Costano 550 euro. Sono fatti talmente male che ripararli è impossibile. La proprietaria me li ha portati dicendo: ci cammino di un male ma di un male che non se lo immagina. Penso: allora, perché se li è comprati? Ma non dico niente».
C'è di peggio?
«Le scarpe con le suole vulcanizzate. Una volta rotte, non c'è nulla da fare. Poi, fossero suole di gomma: no, ora le fanno di plastica. Un tempo le suole erano di cuoio. Oggi adoperano materiali porosi che si sbriciolano».
Differenze di qualità rispetto al passato?
«Infinite. La metà delle scarpe che indossiamo sono cinesi. Comprese quelle firmate. Le più miserabili le riconosci dall'odore di formaldeide, che è un conservante tossico».
Un desiderio impossibile?
«Allargarmi, gestire un'aziendina artigiana dove le scarpe non si riparano soltanto. Si creano».

anche le suore giocano a calcio il caso di Suor Maradona a Castellammare di Stabia presso l'Acqua della Madonna

 Cazzeggiando in rete  in particolare  su  youtube trovo questo video  di  http://www.youtube.com/user/fra1585 e messo qui tramite donwloadhelper

 

Avviene a Castellammare di Stabia, terra di campioni dello sport, che tutti ma proprio tutti si cimentino col pallone! E così, può capitare di vedere all'opera una suora che stoppa palleggia e tira bordate verso una porta dipinta sul muro del convento, dove un bimbetto inerme tenta la parata.. Suor Maradona si allena a Via Benedetto Brin nella piazza che ospita le cannelle dalle quali sgorga l'Acqua della Madonna e qualcuno parla già di miracolo.....

non c'è differenza tra uomini e animali . Il cagnetto piange l'amica in cimitero "Riconosce la tomba e si sdraia sopra

aveva  ragione,  un vero peccato averlo perso  per  strada -- ma  è la  vita -- il  mio amico  e primo utente  del blog   Danilo Pilato , quando diceva   che  fra  uomini e  animali non ci sono  differenza   e  faceva questo  test   agli altri\e  utenti ( alcuni\e ritrovati  su fb  altri persi o per  causa mia    o per  chiusura  di  splinder  )   : <<  qual'è  l'animale  che amate  di più ?  pensateci bene   perchè anche l'uomo è un animale  >>




I cani hanno un'anima. Ne è sicura Daniela Floris, di Portoscuso, proprietaria di Shonny e fino al primo ottobre, di una cagnetta di nome Shelly."Il giorno del funerale di Shelly non ho portato con me Shonny,


SHONNY SOPRA LA TOMBA DI SHELLY
 pensavo che non fosse il caso. Ma quando sono andata a trovarla, dopo due mesi, lui è venuto con me. Ha trovato la tomba della piccola prima che ci arrivassi io e si è adagiato sopra. Lì ho avuto la certezza che i cani hanno un'anima. È stata una scena tristissima. Il veterinario mi ha spiegato che riconosce il suo odore". Daniela ha deciso di seppellire Shelly nel cimitero per animali Il giardino di Legna, tra Monserrato e Sestu, e ogni volta che ci porta Shonny, il cagnetto si sdraia sulla tomba dell'amica.


  fonte unionesarda  online  di  Domenica 24 febbraio 2013  09:22

raccontare i femminicidi \ amori criminali di oggi con quelli del passato il caso Beatrice cenci

 Per  il 25  novembre   anzichè raccontare  le  recenti   storie di femminicidio \  d'amore criminale  che   in una società sempre  più ...