24.3.13

tempio pausania 22 23 marzo Economia, le lezioni di don Milani Due giorni di dibattito sulla crisi con uno degli allievi del prete di Barbiana

  

Il 22   incontro pubblico  e  il 23  con la  cittadinanza  si  è tenuta organizzata dall’Associazione Nord-Sud/La Bottega del Mondo (  commercio  equo e solidale   qui il nostro sito   )   la conferenza  “Fuori dalla crisi, oltre la crescita” .  In esse  si  è parlato  di crisi, sviluppo e stili di vita alternativi, e    << ad accoglierlo e ad ascoltarne le parole troverà ancora una volta un pubblico numeroso e interessato. Francesco Gesualdi (foto  la  nuova sardegna    cronaca  di olbia    del 20\3\2013  ), uno degli allievi più giovani di don Lorenzo Milani >>  ( dalla nuova  sardegna  edizione di Olbia\  Galura  del 20\3\2013   )   . 
Il primo giorno è ststo dedicato   ad un incontro aperto alla cittadinanza , il secondo  giorno  parteciperà a un convegno riservato agli studenti delle scuole superiori cittadine, per il progetto "Semi di pace", In entrambi gli appuntamenti, Gesualdi (generalmente conosciuto come “Francuccio”) toccherà i temi che più gli sono cari e ai quali ha dedicato un’intera vita. Temi quanto mai attuali a causa della crisi che attraversa il Vecchio continente, non risparmiando l’Italia e coinvolgendo in prima persona proprio le generazioni più giovani. La  manifestazione  è stata  << Organizzata dall’Associazione Nord-Sud/La Bottega del Mondo, la due giorni gallurese di Francuccio Gesualdi richiamerà immancabilmente il pubblico delle grandi occasioni. C’è chi vorrà conoscere uno degli allievi di don Milani, il parroco di Barbiana nei cui insegnamenti Gesualdi si è coerentemente formato, e ci sarà anche chi vorrà approfittare dell’occasione per sentir parlare di economia e sviluppo secondo una prospettiva che va oltre i tanti luoghi comuni sull’incorreggibilità delle dinamiche del mercato.  >>




  sempre  dalla  nuova  sardegna  del 20\3\2013  <<  Gesualdi è, d’altronde, uno che non si è mai rassegnato a quel fatalismo che talvolta caratterizza anche le più acute riflessioni economiche. Per lui, una via alternativa, un modo migliore per vivere e pianificare il futuro, non solo va cercata e sperimentata, ma esiste ed è possibile. >> 




Questa direzione è indicata oltre che dal titoloscelto per gli incontri tempiesi,   dall'associazione  “Fuori dalla crisi, oltre la crescita”, titolo che richiama l’ultimo saggio di Gesualdi  (  foro a  destra  )  scrittore prolifico e saggista che non disdegna nemmeno il romanzo. Fondatore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo, Gesualdi, che è già stato a Tempio grazie sempre all’associazione Nord-Sud, è particolarmente attivo nella produzione di guide e materiali concepiti con lo scopo di informare i consumatori sul comportamento delle imprese. È promotore e sostenitore di molte campagne come quella per il congelamento del debito, basata sul principio della sovranità popolare e su una visione critica dell’operato delle autorità monetarie europee. Nonviolenza, consumo critico e una grande sensibilità per le problematiche ambientali costituiscono la sua personale ed attraente ricetta per un mondo migliore.
L'incontro  è  stato ,anche  se  io  conoscevo  già l'argomento, avendo letto  sia l'ultimo  che  i precedenti libri  e  avendolo già sentito  qualche anno fa  per  un incontro organizzato sempre   da noi  dell'associazione  , interessante  ( anche  se  visto  da metà )    causa  concomitanza   con gli  orari di lavoro  . Ma  comunque  ciò  non mi ha impedito  di fare  foto  a sinoistra la migliore  è  un video  che pur   nella  sua  breve  durata  sintetizza  il tema  della conferenza  non solo  anche  la  filosofia   \  lo  stile di vita   della decrescita    di  cui trovate, oltre queli  del post  , sopra degli url  per  chi volesse approfondire  l'argomento 

non perdere mai la speranza e non gettarsi giù Si laurea con due anni d'anticipo L'altra faccia dei bamboccioni



Lo so che questa storia  che  m'accingo a raiportare ,  può essere considerata  dai più banale  è normale  perchè tale persona  non è  nè il primo nè l'ultimo, anche  se  in pochissimi , a fare una cosa del genere in un mondo  come quello dell'università   dove  laurearsi in corso è un impresa . Ma  in un  tempo  in cui , ad  incominciare  dalla generazione del  sottoscritto  e  specie  ora   con le nuove  ,  tardavano  o   si fermavano   quando non si ritiravano  , all'obbligo scolastico  o al masssimo al diploma  . E se nel caso  andavano  all'università  ci mettevano , esperienza  personale  e diretta  , più dei normali  4  anni  . Ma  questa  è una storia   che dovrebbe dare  speranza  alle nuove generazioni   che  non cercano nè lavoro  nè continuano   più  a  studiare  o abbandono gli studo sempre  più precocemente  .  

unione  sarda  del  24\3\2013 


Si laurea con due anni d'anticipo L'altra faccia dei bamboccioni

Giovedì scorso qualcuno s'è sicuramente imbucato nell'aula delle lauree di Giurisprudenza a Cagliari, mimetizzato tra la folla di parenti commossi mamme in lacrime fiori e baci.Era lì per vedere com'era fatto. Per capire, insomma, se si trattava di un essere umano fino in fondo. Federico Onnis Cugia (  foto a destra  preda da  http://sphotos-a.xx.fbcdn.net  ) sa molto bene di attirare una certa curiosità ma non ha mostrato il minimo fastidio. E ha recitato la sua parte di studente modello (modello?) con l'asciutta eleganza, molto inglese, che gli appartiene. Biondino, un metro e ottantacinque su un fisico longilineo, giacca cravatta gilet, no piercing no tatuaggi a vista, sorriso d'ordinanza. Ha ventidue anni. Giovedì si è laureato in Leggi, corso quinquennale, superando tutti gli esami in tre anni. È un caso unico in Italia. Ha anticipato la laurea di due anni marciando alla velocità di quasi undici esami ogni dodici mesi. Un mostro, uno da mandare a Superquark da Piero Angela.Federico è quel che si dice un giovane garbato. Durante l'intervista mantiene perfino una postura signorile, non stravacca neanche per un attimo. Sa bene di essere un primo della classe ma evita esibizioni. Dice che l'ha fatto per amore. Amore del Diritto. Gli piaceva tanto che sulle prime aveva timore di impantanarsi in un corso di studi dove si salva chi può: niente frequenza obbligatoria, organizzazione molto aperta, autonomia senza limiti. C'era il rischio, in pratica, di iscriversi e restarci a vita o quasi.Padre e madre medici, tre fratelli più piccoli, non ha raccolto sostegni entusiastici in famiglia: «Spesso non ho neppure detto ai miei che andavo a dare un esame. Era il mio dovere, tutto qui. Perché parlarne?» Con una tesi sui mutui derivati, ha conquistato il titolo di dottore con 108/110. Il suo relatore (professor Corrado Chessa, docente di Diritto bancario) lo definisce «un ragazzo fuori dal tempo. E lo dico come complimento. Nel senso che manifesta una saggezza e un modo di comportarsi che non sono affatto della sua generazione». Così si arriva al vero mistero di Federico, a questo singolare sprinter che non tradisce la minima emozione: ha davvero 22 anni oppure il triplo ben mimetizzati dietro chissà quale sortilegio ?A parlargli sorprende non solo per il linguaggio maturo ma per la profondità d'analisi. Con tante scuse, ma a tratti sembra un vecchio dispensatore di consigli, suggerimenti, istruzioni per l'uso di stare al mondo. Un guru-bambino. Il suo è stato uno studio volli fortissimamente volli ma si occupa anche d'arte, di sport, di politica. Uno qualunque, insomma.Consapevole d'essere un fuoriclasse, non si dà arie e neppure prova a mostrarsi in qualche misura speciale. «Caso unico in Italia il mio? Sembra, ma francamente non ne ho la certezza». Forse non gl'importa più di tanto. Quel che conta è aver vinto la sfida iniziata quando aveva appena vent'anni ed era un po' più smilzo, sempre biondino, abbigliamento ovviamente classico (quasi rotariano) e un chiodo ben piantato nel cervello: vincerò.
Partiamo da un dato di fatto: le piace studiare.  «Molto. I professori del liceo mi hanno insegnato un buon metodo: credo di dovergli molto».
Quante ore al giorno ? «Dipende dall'esame. Per quelli più pesanti tutto il giorno: dalle otto del mattino alle otto di sera, salvo le pause».
Quali sarebbero le pause ?«Pranzo, cena».
Altri sintomi ? «Mi sento un ragazzo normalissimo, faccio la vita di tutti, ho tanti interessi e non ho mai rinunciato a nulla per lo studio».
Per esempio ?«Ho fatto atletica, ho fatto nuoto: e questo senza smettere di studiare. Si può. Non c'è nulla di eroico. Ho fatto anche molto altro».
Cioè ?«Associazionismo. Insieme ad amici abbiamo creato a Cagliari un'accademia di pittura figurativa, foto e scrittura creativa. I corsi sono iniziati qualche mese fa».
Dunque s'accorge del mondo che le gira intorno. «Ovviamente. Non ho niente di speciale. Mi occupo di molte cose, politica inclusa».
Anche politica ? «Sì. Sono un militante sardista, faccio parte del Consiglio nazionale del partito».
Ma allora rischia perfino d'avere una ragazza. «Difatti ce l'ho, Sara. Devo molto alla sua tolleranza e alla sua pazienza. Mentre ero lanciatissimo negli studi, ha avuto qualche problema di salute e in quella occasione ho ricevuto da lei una straordinaria lezione di vita che non dimenticherò».
Lei non è esattamente quello che il governo Monti chiamerebbe bamboccione. «Credo di no. La voglia di bruciare le tappe parte da un presupposto preciso: capire il tempo in cui vivo. E siccome so bene che non mi regala niente nessuno, ho deciso di darmi da fare».
L'accelerata negli studi è legata allo sfascio del mondo che ha davanti ? «Sono un ottimista della vita, vedo il bicchiere sempre mezzo pieno e quindi ho preso atto che, per poter afferrare una speranza di occupazione, bisognava fare più in fretta possibile. Il mercato del lavoro è saturo, mica potevo restare a guardare».
Si sente un marziano ?«Quando mai».
Il suo è un caso unico in Italia: come definirla ?«Non mi piace essere autoreferenziale ma sono semplicemente un ragazzo con molta voglia di muoversi, di arrivare. Sono curioso, intraprendente, pignolo. Non mi sento affatto un pezzo unico».
Quando ha deciso di fare il centometrista del Diritto?
«Il giorno in cui mi sono iscritto. Sara mi ha ricordato che quella mattina le avevo detto: eccomi qui in Giurisprudenza ma dev'essere una toccata e fuga». 
Era così anche al liceo ?«Beh, diciamo che avevo una media decisamente alta».
Le è mai arrivato alle orecchie un colpo di secchione ?«No, e questo per la semplice ragione che - studio a parte - sono identico ai miei coetanei. Sono sempre stato ritenuto un furbetto, uno che va a bersaglio senza strapparsi i vestiti. Studiare quel che serve e ricavarne il massimo profitto: è sempre stato questo il mio motto».
Qual è stato l'atteggiamento dei docenti ? «Disomogeneo. Alcuni, guardando il mio libretto, si complimentavano. Altri invece non capivano quella mia voglia di correre, non accettavano l'idea che mi andasse bene un voto sotto il trenta».
L'Università, anche se l'ha vista in corsa, com'è stata ? «Parlo della mia esperienza. Nelle facoltà a numero aperto come Giurisprudenza, occorre capire che devi cavartela da solo. Non c'è obbligo di frequenza, nessuno che ti segua, pochi i contatti con i professori e quindi sei solo tu a governare il tuo destino di studente. Devi porti subito un obiettivo: laurea. Almeno questo è quel che ho fatto io».
Altre impressioni ?«Una molto positiva. Contrariamente a quanto si dice in giro sui giovani che non hanno interessi per nulla, all'università ho trovato invece molta effervescenza, non ho colto l'atteggiamento di chi sta in Facoltà per fare tappezzeria. Piaccia o no, l'università è ancora la fonte della cultura, dell'etica, delle indicazioni per la vita».
È stato autorizzato ad anticipare gli esami ?  «C'è un regolamento del 2009 che stabilisce la durata dei corsi di laurea e il numero degli esami. Ma le indicazioni finiscono qui. Poi, ognuno si regola come crede».
Avrebbe voluto studiare altrove ?  «Ho superato il pre-test per iscrivermi in Bocconi ma poi ci ho ripensato. Non mi interessava laurearmi a Milano o a Roma. Considero una fortuna essere nato qui, adoro la mia terra, ci vivo bene e dunque non c'era alcuna ragione per emigrare».
Beh, una sì: l'università di Cagliari è un fanalino di coda nazionale.  «Sono convinto che, al di là delle graduatorie, tutto dipenda dalla formazione che riesci a conquistare. Se studi (e studi bene), se ti applichi sul serio, non credo che alla fine la provenienza da un ateneo o un altro faccia la grande differenza. Metto in conto di andar fuori per un corso di specializzazione...».
... o per una seconda laurea. «A questo sto già pensando ma non ho preso una decisione. Scienze Politiche, Economia? Forse Economia perché dicono che un giurista digiuno di economia è un giurista a perdere».
Adesso che non possono esserci più rappresaglie: il prof peggiore?  «Non ne ho avuto né di migliori né di peggiori».
Ha mai ripetuto esami ? «Qualcuno sì».
Per esempio ? «Diritto della Navigazione».
L'esame più tosto ? «Procedura civile. Ho impiegato davvero tanto per prepararlo, giornate di studio intenso e faticoso».
Quello più facile ?«Diritto costituzionale. In realtà non era il più facile ma quello che mi appassionava di più. L'ho proprio divorato, in un mesetto l'ho digerito».
In Facoltà s'è creato una certa fama tra i colleghi ? «Inevitabile. Attiravo curiosità».
Le hanno fatto intorno un cordone sanitario ?«Questo no ma qualche cattiveria non me l'hanno risparmiata. Invidia, noi sardi siamo specialisti in materia. Poi, calunniette meschine alle spalle».
Che dicevano ?«Che avevo una sfilza di soli 18, che solo così ero riuscito a sostenere trentadue esami in tre anni». 
Ha mai pensato di mollare gli studi in corso d'opera ?«Non ho avuto tentazioni di questo genere, la volontà che mi ha animato agli inizi non mi ha mai lasciato. Ho fatto al massimo una settimana di pausa».
Anche d'estate ? «Sissignore, anche d'estate. Al mare coi libri sotto l'ombrellone. Per questo dico che la mia ragazza ha avuto una grande pazienza».
Tempo libero, mai ?«Mi sono sempre ritagliato i miei spazi fra studio e amici. È capitato di studiare dal mattino presto e fermarmi al pomeriggio per avere la sera libera. Ma, vede, l'importante non è la programmazione delle ore. L'importante è sapere cosa si vuole».
Uno su quattro dei suoi coetanei non studia, non lavora, non è interessato a niente. «Ho letto. Li chiamano neo-indifferenti. Io credo che non abbiano il coraggio di affrontare la vita. Ritengo siano vittime di una fragilità interiore che gli impedisce di uscire da un guscio sterile e protettivo».
Lei invece? «Io invece niente. Ascolto musica, dalla classica al rap. Adoro tutti i film di James Bond e Rocky con Silvester Stallone. Ho anche un libro del cuore: Un uomo di Oriana Fallaci. Due miti della politica: Simon Mossa e Francesco Cossiga. Vado in palestra, frequento il partito».
Insomma, non si lascia vivere addosso. «Neanche per un minuto. E come me tanti altri della mia età. Circolano molti luoghi comuni sul nostro conto. Lo vedo alle riunioni del Psd'Az: partecipano anche cinquanta-sessanta ragazzi per volta. Questo è disinteresse, indifferenza?»
Adesso che ha la laurea in tasca, prospettive ? «Ho contatti con alcuni studi legali. Non ho ancora deciso in quale ramo dell'avvocatura mi piacerà specializzarmi. Vedremo».
Neanche un pensierino da consigliere regionale ? «Perché no? È un'idea lontana ma nient'affatto astrusa».
Come nei titoli di coda, a chi dire grazie? «Alla mia ragazza, ai miei, a me. Soprattutto a mio nonno, che nel 1989 fu rapito dall'anonima sequestri. La sua tenacia è sempre stato un punto di riferimento irrinunciabile. Grande determinazione, grande forza d'animo: il segreto, in fondo, è tutto qui».

storia  che   ben  s'inquadra    con  quanto dice il nuovo pontefice  Francesco I , sempre  dall'unione sarda  del 24\3\2013



"Non siate mai tristi  e non lasciatevi rubare la speranza"




PAPA FRANCESCO DURANTE LA CELEBRAZIONE DELLA DOMENICA DELLE PALME


"Non lasciatevi rubare la speranza, non siate uomini e donne tristi". Inizia così l'omelia di Papa Francesco per la Messa delle Palme sul Sagrato della Basilica Vaticana che dà inizio ai riti pasquali.
"Non lasciatevi rubare la speranza, per favore, non lasciatevi mai rubare la speranza". Portate la "gioia" di Cristo "in tutto il mondo, fino alle periferie". Non fatevi illudere dalla "sete di denaro": "nessuno lo può portare con sé, il denaro lo deve lasciare". "La mia nonna - racconta il Papa - ci diceva 'bambini, il sudario non ha tasche'". E ancora, "gioia, croce, giovani"; "vi do appuntamento a Rio, in quella grande città del Brasile". E prima: "ricordo quello che Benedetto XVI diceva ai cardinali: siete principi, ma di un Re crocifisso". Tra inserti a braccio e testo scritto, in parte buttato nel cestino, papa Francesco ha valorizzato con spontaneità il suo primo discorso ai giovani, l'omelia della messa delle palme, giorno in cui la Chiesa celebra nelle diocesi la Giornata della gioventù. Ogni due o tre anni, poi c'è l'incontro mondiale di tutti i giovani con il Papa, il prossimo sarà in Brasile dal 23 al 28 luglio e Francesco annuncia ufficialmente che ci sarà. "Cari amici, - dice rivolto in particolare ai tanti ragazzi tra le circa cinquantamila persone radunate in piazza San Pietro - anche io mi metto in cammino con voi, sulle orme del beato Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI". E li invita a prepararsi anche "spiritualmente" a quell'appuntamento. Il filo del discorso di papa Francesco ai suoi ragazzi si muove attraverso le tre parole che ha indicato e riassunto: "gioia, croce, giovani". "Non siate mai - è il primo concetto e la prima esortazione - uomini, donne tristi: un cristiano non può mai esserlo. Non lasciatevi prendere mai dallo scoraggiamento. La nostra non è una gioia che nasce dal possedere tante cose, ma nasce dall'aver incontrato una Persona: Gesù, che è in mezzo a noi, nasce dal sapere che con lui non siamo mai soli, anche nei momenti difficili, anche quando il cammino della vita si scontra con problemi e ostacoli che sembrano insormontabili, e ce ne sono tanti". "Festa, luce, gioia", ha insistito, "questa luce dell'amore di Gesù", e oggi "è festa", come fu "festa, folla, lode, benedizione, pace" l'ingresso di Gesù a Gerualemme, acclamato da quanti sventolavano rami d'ulivo. Gesù è acclamato come Re, spiega il Papa per introdurre l'idea della "croce", ma il suo regno non è di forza o potere, "chi lo accoglie è gente umile", e "Dio non sceglie il più forte, il più valoroso, sceglie l'ultimo, il più giovane, colui che nessuno aveva considerato". Il regno di Cristo, ecco l'altro passaggio, non è un regno di potere - e anche Benedetto XVI disse ai suoi cardinali "siete principi ma di un re crocifisso" - ma "con Cristo il cuore non invecchia mai": "voi giovani avete una parte importante nella festa della fede", "ci dite che dobbiamo vivere la fede con un cuore giovane, sempre, anche a settanta e ottanta anni", e qui il Papa è stato interrotto da un applauso. Da qui l'appuntamento per la Gmg di Rio. 

(Giovanna Chirri)

promessi sposi nel mondo animale Capoterra Una "cigna" per il re di Poggio dei Pini Ma tra i due "promessi" c'è un'oca gelosa

dall'unione sarda del 23\3\2013


Il cigno di Poggio dei Pini
Il grande e maestoso cigno maschio rimasto vedovo dopo l'alluvione del 22 ottobre 2008, unico superstite di quattro splendidi volatili della stessa specie, ha una nuova compagna.
Il re non è più solo. A fargli compagnia, nel lago di Poggio dei Pini - centro residenziale a pochi chilometri da Cagliari - è arrivata ieri mattina una cigna, direttamente dall'Emilia Romagna dove è nata e cresciuta. Cinque anni fa il lago era popolato da quattro esemplari, tre sono morti in occasione dell'alluvione del 22 ottobre 2008. Da allora il grande cigno maschio è rimasto solo. O quasi. Ieri l'unica a non gradire l'arrivo della cigna era un'oca, gelosissima e urlatrice: tra lei e il maschio si è instaurata una bella amicizia, disturbata dall'arrivo della nuova primadonna. "Credo - ha detto l'amministratore della coop di Poggio e responsabile dell'associazione ambientalista "Amici del verde", Italo Cicalò - che la soluzione sia quella di allontanare, almeno per un periodo, l'oca gelosa, così da permettere ai due cigni di avvicinarsi, conoscersi e magari di accoppiarsi".



CAPOTERRA. Nel lago di Poggio la nuova compagna del maestoso maschio Il cigno non è più solo
Ma la gelosia di un'oca disturba l'inserimentoIl grande e maestoso cigno maschio rimasto vedovo dopo l'alluvione del 22 ottobre 2008, unico superstite di quattro splendidi volatili della stessa specie, ha una nuova compagna.
Bellissima, candida come una nuvola. Nata e cresciuta in Emilia Romagna e da ieri mattina, dopo un volo in aereo fino a Elmas come fosse una vera diva, nuova regina di Poggio dei Pini. Il re non è dunque più solo. Il grande e maestoso cigno maschio rimasto vedovo dopo la terribile alluvione del 22 ottobre 2008, unico superstite di quattro splendidi volatili della stessa specie, diventati col tempo simbolo del centro residenziale, adesso ha una nuova compagna. Anzi, dovrebbe, visto che tra i due si è messa di mezzo un'oca, gelosissima e urlatrice, che non sembra proprio voler rinunciare al ruolo di primadonna . Tra lei e il cigno, infatti, si è instaurata una stretta amicizia intraspecifica disturbata ieri mattina con l'arrivo della rivale.
L'INCONTRO DEGLI SPOSI Al maschio, la futura sposa gliel'hanno fatta conoscere gli “Amici del verde”, un manipolo di inguaribili amanti del borgo montano che dopo aver messo mano al portafogli (300 euro, trasferta compresa, raccolti in queste settimane) hanno acquistato la cigna. Un progetto, il primo di una lunga serie che gli Amici del Verde metteranno in campo a Poggio come il reinserimento delle api con la sistemazione di alveari e la realizzazione delle “bat box” per riportare i pipistrelli.
Ieri mattina l'arrivo della cigna non è filato liscio come si sperava. «In effetti - racconta Italo Cicalò, amministratore della coop di Poggio e responsabile dell'associazione ambientalista - avevamo ipotizzato una reazione dell'oca, non pensavamo però che sarebbe stata così dirompente». Una vera dichiarazione di guerra fatta di starnazzi, inseguimenti, planate minacciose. Tutto questo davanti allo sguardo attento del grande maschio. «La nostra cigna è volata via lontano nel laghetto e poi in un canale, costantemente guardata a vista dal volatile più piccolo che più volte l'ha raggiunta», racconta Cicalò.

MEGLIO SEPARARLI Un atteggiamento, un comportamento che non lascia dubbi. Materia di studio per etologi. «Credo che la soluzione sia quella di allontanare, almeno per un periodo, l'oca gelosa, così da permettere ai due cigni di avvicinarsi, conoscersi». E chissà, magari addirittura piacersi e accoppiarsi per poi dare alla luce altri “anatroccoli” destinati a diventare magnifici cigni. Perché al maschio la presenza della femmina arrivata improvvisamente e inaspettatamente nel lago del Poggio - almeno a detta dei presenti - non è passata certo inosservata. Seppur da qualche metro di distanza ha continuato a spiarla, guardarla. Ammirarla. Ed è forse questo che ha scatenato l'ira dell'oca, del povero volatile che aveva conquistato il cigno e adesso rischia di lasciarselo sfuggire per colpa di un'intrusa. Insomma, quella di Poggio dei Pini è davvero una storia tutta da scrivere. Ma per farlo sarà necessario attendere.

Andrea Piras

21.3.13

pietro mennea l'antilope italiana

Ci sono morti che pesano come montagne e morti che pesano come piume (cit. Mao)

poichè due parole sono poche è una tropppo. Ma spopratutto i fiimi d'inchiostro e di bit per ricordarti io ti ricordo cosi 


20.3.13

il lungo volo di una farfala che non vuole diventare crisalide . la storia di Iris un caso di Mtf

poichè  due  poarole sono trpppe  e una è troppo  lascio che a raccontare  la stroia  de post d'oggi sia lo  stesso   la stessa  protagonista  sia  attraverso  il video e  la dicitura  riportato in questo post 


Iside, il bruco diventa farfalla", racconta la storia di Iside, giovane transessuale MtF e del suo percorso per diventare veramente ciò che è sempre stata: una donna. Dalla realtà incementata di pregiudizio di un piccolo borgo rurale, alle aule spesso troppo grandi, dell'università. Il lungo volo di una farfalla che non vuole rimanere crisalide.




per chi volesse approfondire l'argomento

19.3.13

Nuoro, padre naturale uccise la mamma Il papà di Vanessa è ora lo zio che l'ha amata


INella mia Sardegna  , specie  in certe zone  , conosciute     ai media e alla  mentalità  di certa gente   [ sic  ] nonostante le belezze naturalistiche , solo per le desamistade ( "inimicizia" e, per estensione, faida, lotta. Il brano racconta appunto la faida tra due famiglie probabilmente per motivi d'onore e promesse non mantenute ed è uno spaccato delle classiche "guerre" e inimicizie tra famiglie che spesso si potevano vivere soprattutto in molte zone della sardegna fino a qualche decennio fa, dovute soprattutto ad un fortissimo senso dell'onore e dell'orgoglio. )





 e   banditi  ,  succedono anche fatti come  questi   che dimiostrano che   la  cultura  sarda  è fatta   anche   di pace  e  di non violenza   oltre  che  da  volgia  d'uscire  da  questi   stereotipi  ed  uscire   dalla catena dell'odio e del rancore . é la storia  di  Vanessa  . 




dall'unione  sarda  del  19\3\2013


FESTA DEL PAPÀ. La lezione d'amore di una famiglia sopravvissuta alla tragedia
«Vanessa mi chiama babbo»
Agostino Mele: così ho lenito le sue ferite di bambina
Vanessa arrivò in casa dello zio materno tre giorni dopo la morte della mamma. Annamaria Mele era stata uccisa dal marito Pierpaolo Cardia.
Dal nostro inviato
Piera Serusi


Suo padre ha ucciso sua mamma. E lei ha cambiato cognome. Di quell'uomo non voleva serbare memoria nemmeno all'anagrafe. Suo papà è lo zio materno ( foto  a destra  ) che l'ha cresciuta e protetta quando il mondo l'aveva spinta nell'abisso di un dolore inaccettabile.
Vanessa (  foto sotto a sinistra  )  oggi ha 21 anni e studia criminologia. La sua storia, da Nuoro, ha conquistato l'Italia. Ha combattuto e vinto una battaglia per cambiare la legge che consentiva agli uxoricidi di godere della pensione di reversibilità della vittima. Ha rifiutato anche il cognome del padre naturale, Pierpaolo Cardia. "Ha ucciso mia mamma", scrisse nel modulo della Prefettura. Oggi, festa del papà, sull'Unione Sarda in edicola l'intervista allo zio materno Agostino Mele, 51 anni che ha accolto in casa la nipotina testimone della tragedia. Era il 3 dicembre del 1998. La bambina aveva 6 anni.
"Un giorno Vanessa - racconta all'inviato Piera Serusi - mi ha guardato negli occhi e ha pronunciato la parola papà. E' stato come se in quel momento lei, così piccola, mi avesse dato un'investitura. Ho provato una gioia talmente grande che ho pianto".«Sì. È stato qualche anno dopo il suo arrivo. Mi aveva sempre chiamato zio, e Federico, il mio primo figlio maschio, faceva lo stesso. Un giorno mi si è parata davanti, mi ha guardato negli occhi e ha pronunciato la parola papà. È stato come se in quel momento lei, così piccola, mi avesse dato un'investitura. Ero diventato suo padre. Ho provato una gioia talmente grande che ho pianto» La prima volta. Se la ricorda ?                                                                      Agostino Mele è l'uomo che ha partorito sua figlia. Cinquantuno anni, operaio forestale, sposato con Lina Mastinu - è lo zio materno, il nuovo papà di Vanessala bambina nata due volte.
La ragazza che ha cambiato cognome rifiutando quello del padre naturale («Ha ucciso mia mamma», scrisse nel modulo presentato in Prefettura) e che due anni fa, grazie alla sua battaglia, ha fatto cambiare la legge che consentiva agli uxoricidi di godere della pensione di reversibilità della vittima. C'è una prima vita inghiottita dal passato e una nuova esistenza scelta e voluta fortemente, in questa storia che racconta di come, in fondo, essere genitori e diventare figli non è una banale questione di sangue. È questione di affetto. Un affare d'amore. E la giornata di oggi, festa del papà dedicata a san Giuseppe, non è forse la celebrazione di questa verità ? LA STORIA Nell'appartamento al primo piano della palazzina di famiglia a Mamoiada, il sorriso di Vanessa Mele è dentro i ritratti alle pareti e sulla mensola vicino al camino. Con gli zii-genitori Agostino e Lina, bambina coi nonni, adolescente coi fratellini Federico e Edoardo. Lei, che oggi ha 21 anni, è in Galles, dove studia Criminologia all'Università. «Il prossimo anno si laurea», dice il babbo con una punta d'orgoglio. Sul ripiano c'è anche la foto di Annamaria, la sorella più grande di Agostino, uccisa la sera del 3 dicembre 1998 dal marito Pierpaolo Cardia, guardia forestale. Accadde nella loro casa di piazza Veneto a Nuoro. Un colpo di pistola alla tempia, Annamaria - che da tempo lottava con un tumore al seno - cadde riversa sul letto. La piccola Vanessa, che aveva solo sei anni, guardava i cartoni animati in soggiorno. Lui prese la piccola, la portò dalla nonna e andò dai carabinieri per costituirsi. «Stavamo litigando, il colpo è partito accidentalmente», raccontò. Poi venne fuori che aveva un'amante e che la moglie voleva la separazione. Fu condannato con rito abbreviato a quattordici anni e otto mesi. È tornato in libertà qualche anno fa. Ha scritto un paio di mail a Vanessa, diceva che voleva conoscerla e nel frattempo era riuscito a portarle via la pensione della madre, i soldi della donna che lui aveva ucciso. Come ha reagito Vanessa lo sa tutto il mondo. Vanessa ha ricacciato l'orco nel pozzo nero del passato.PULCINO IMPAURITO Agostino Mele non nomina mai l'uomo che nell'altra vita è stato suo cognato. «È uno che si è giocato l'occasione di essere padre. Poteva separarsi e tutto sarebbe finito lì. Invece no, ha ucciso la moglie». La piccola Vanessa arrivò in casa degli zii tre giorni dopo la morte della mamma. «Era un pulcino impaurito. Silenzio e pianto, la notte si svegliava con gli incubi. Quanto dolore dentro il cuoricino di una bambina così piccola. Cos'altro potevo fare se non coccolarla e tenerla stretta a me? Poi ce l'ha chiesto: dove sono papà e mamma? Lina, mia moglie, la prese sulle ginocchia. “Mamma è in cielo”, le disse, “babbo è partito per un lungo viaggio”». Per molto tempo non ha nominato più i suoi genitori. E intanto cominciava e finiva il processo che ha portato alla condanna di Pierpaolo Cardia. Intanto, l'affidamento della piccola agli zii Agostino e Lina si è tramutato in adozione legale. «Noi e la bambina siamo stati aiutati dagli psicologi. E io, che non potevo neanche piangere la morte di mia sorella perché volevo essere forte per Vanessa, sono stato sostenuto tanto da mia moglie». Perché, in definitiva, era il suo il fardello più pesante. Ad Agostino è toccato riportare al mondo la nipotina, lenirne le ferite di bimba aiutandola a crescere, a diventare una donna serena.IL DONO «Mi emoziono sempre quando ci dice “vi voglio bene”. La guardo e penso: è mia figlia, che grande dono ho avuto». Il papà che ha partorito la sua bambina dice che no, non è il sangue che conta. «È l'affetto, il tempo che si dedica a un piccino. È da questa corrente d'amore che nasce un padre e nasce un figlio. Mi arrabbio quando penso che gli orfanotrofi sono pieni di bambini che non hanno bisogno di nient'altro se non d'amore». L'amore di genitori che non devono essere necessariamente un babbo-maschio e una mamma-femmina. Possiamo, nel giorno consacrato alla festa del papà, accennare alle famiglie omogenitoriali? «Credo che non ci sia alcuna differenza. Se un bambino vive in una famiglia serena, con dei genitori che si vogliono bene, che importanza volete che abbia tutto il resto?».



18.3.13

pensare globale agire locale Le insidie delle etichette sul ciboComprare locale per capire cosa si mangia


unione sarda del 17\3\2013

Alessandra Raggio

“ Se in un'etichetta ci sono almeno tre cose che tua nonna non capirebbe, allora lascia quel prodotto sullo scaffale”. È una regola facile facile per il consumatore più-o-menoconsapevole che invece di scegliere i prodotti in base al colore accattivante della confezione cerca di andare oltre, tentando di capire di cosa è realmente fatto quello che, da lì a poco, diventerà parte del suo organismo. Ma spesso il problema non è ciò che si scrive, ma quello che, per legge, si può omettere. Che non fosse facile tradurre un'etichetta lo avevamo capito da tempo, e gli esperti intervenuti al convegno organizzato venerdì da "Rete Insieme" non hanno fatto altro che confermarlo. Sei ore di interventi e relazioni per scoprire che: chiunque può acquistare una cagliata in Bulgaria per fare perette sarde, allevare bovini a Mantova e dire che non si sono mossi dall'Isola, comprare passata cinese e spacciarla per nostrana. Al consumatore arrivano solo mezze verità mascherate dalle confezioni patinate che presentano situazioni bucoliche con mucche sorridenti e galline che razzolano felici. Meno male che per salvaguardare la nostra salute e proteggerci dall'ignoranza in cui i produttori vorrebbero mantenerci esistono organismi di tutela e controllo che ogni giorno verificano, analizzano, sequestrano e sanzionano. Ma purtroppo non basta. E allora cosa deve fare un consumatorepiù-o-meno consapevole per salvarsi la vita?
Diffidare dai prezzi troppo bassi prima di tutto. Perché non si può credere che una bottiglia di olio extravergine di oliva da 3 euro contenga al suo interno qualcosa di simile all'olio di oliva. La provenienza di un alimento, la sua lavorazione, il suo confezionamento sono importantissimi per la nostra salute, perché spesso c'è il rischio che il denaro che risparmiamo sulla spesa quotidiana lo spendiamo raddoppiato in medicinali. E questo è normale se ci si abitua a mangiare carne imbottita di antibiotici, olio pieno di anticrittogamici e farine geneticamente modificate. L'unica arma che il consumatore ha per difendere il suo diritto alla salute è tornare a "su connottu", acquistando direttamente dai produttori locali, garantiti dalle filiere di cui fanno parte. Peccato che le amministrazioni pubbliche ancora non abbiano incoraggiato seriamente, e con azioni importanti, la crescita reti di produttori sardi per salvaguardare, oltre che la nostra salute, la nostra economia. Ma possiamo iniziare a farlo noi: comprando solo prodotti locali garantiti.

ABBIAMO UN PATRIMONO MA NON LO SAPPIAMO SFRUTTARE Monte Prama, i giganti sprecati «Siamo sul tesoro e litighiamo»

La sardegna posssiede    quelli che possono essere chiamati \ paragonati a tutti gli effetti  I Bronzi di Riace Sardi ma  fra  campanilismi  del  tipo  , no  gli voglio io , no spettano a me  non riusicamo ad  esporli al pubblico (  se  non  per  una sola  volta  al centro di restauro presso sassari )  e li tieni chiusio dentro  qualche magazzino  ion attesa  che si decida  se  esporli in futuro museo   nel luogo in cui sonomstati   trovati o in qualche altro  museo  o a Sassari  o  cagliari .
Concordo con quanto dice  questo appello  del  rettore Melis appello per valorizzare i monumenti  riportato dall'unione sarda  del 17\3\2013


Convegno all'Università di Cagliari per la pubblicazione dei saggi sugli scavi
Monte Prama, i giganti sprecati «Siamo sul tesoro e litighiamo»

Dal rettore Melis appello per valorizzare i monumenti Sarà che sono dei giganti, e in quanto tali inevitabilmente ingombranti, ma dei monumenti di Monte Prama si è parlato a lungo, nel convegno cagliaritano di ieri in Rettorato, e non soltanto in termini scientifici.
Certo, le relazioni e la tavola rotonda che hanno accompagnato la presentazione di “Giganti di pietra” - l'accurato volume che l'editore Fabula ha dedicato al sito archeologico del Sinis - hanno approfondito il contesto storico in cui le sculture vennero realizzate. Ma nel suo saluto il rettore cagliaritano Giovanni Melis ha tratteggiato in modo piuttosto ruvido e diretto la penombra in cui i giganti oggi rimangono.
Ricordando di aver visto le statue pochi anni fa nel centro di Li Punti accompagnato dal rettore sassarese Attilio Mastino, Melis si è domandato: «In quale altra parte del mondo ci si permetterebbe il lusso di non valorizzare questi monumenti, né di garantirne la fruibilità a visitatori e studiosi? Io mi auguro che questo convegno ci aiuti a superare certi ostacoli tipicamente regionali e provinciali», dove se il primo aggettivo è di carattere territoriale, il secondo suona più come un apprezzamento negativo sulle dinamiche che si sviluppano a volte fra centri di potere e di sapere. La conclusione del saluto di Melis ai convegnisti invece non ha alcuna sfumatura da interpretare: «Abbiamo un patrimonio sommerso che preferiamo disputarci piuttosto che valorizzare».
Non è chiaro, in tempi di crisi diffusa e di sforbiciate crudeli alla cultura e alla ricerca, quali possano essere le prospettive per la valorizzazione - perché no - turistica oltre che scientifica di queste statue così imponenti e suggestive e del sito dal quale emergono.
Di sicuro sono passati 39 anni da quel giorno di marzo quando l'aratro di un contadino andò a sbattere su un gigante che quasi affiorava dal terreno. Considerarli una ingombrante novità che ancora non si sa come gestire sarebbe, come dire, una forzatura.
Che il problema non sia l'indecisione ma casomai la scarsità delle risorse lo ha chiarito poco dopo - in assenza del soprintendente per i beni archeologici Marco Minoia - la dottoressa Miriam Usai, che nel suo intervento ha accuratamente ripercorso le tappe degli scavi che dagli anni Settanta riportarono alla luce il patrimonio di Monte Prama e la successiva fase di restauro. Il registro dei visitatori - ha sottolineato - testimonia come i giganti non siano rimasti inaccessibili.
E le difficoltà nel sostenere la ricerca vanno di pari passo con quelle che in questa fase attraversa l'editoria - come ha spiegato il professor Guido Clemente, intervenuto a nome dell'editore, suo fratello Enrico. Ma i problemi che l'indebolimento del tessuto sociale crea non hanno inciso sulla qualità della pubblicazione, realizzata coinvolgendo i protagonisti degli scavi e secondo criteri di profondo rigore.
E mentre il mondo di oggi si interroga su come valorizzare il passato, quello di ieri dalle relazioni che si sono susseguite nell'aula magna del rettorato emerge in tutto il suo fascino complesso. La relazione del docente dell'ateneo sassarese Raimondo Zucca ha disegnato un Sinis capace di assorbire influssi e suggestioni culturali di altre zone, remote solo geograficamente. Dal gusto cipriota dei tripodi sui quali si lavora per poterli presto esporre al pubblico fino all'orientalismo del leoncino accucciato che costituisce il manico di pugnale - o di specchio - all'attenzione degli studiosi, tutto nella messe di reperti illustrata ieri racconta non un lembo di terra marginale, ma la penisola di un'isola al centro di un Mare intensamente frequentato.
E l'influsso estetico del Vicino Oriente riemerge anche nella relazione del professor Carlo Tronchetti, che legge i giganti come emblemi oltre che custodi delle virtù - la pietas religiosa e il valore guerriero - attribuite alle famiglie sul cui riposo vegliavano. È in questo quadro di valori che si sviluppa il processo di rifunzionalizzazione dei nuraghi, in molti casi destinati inequivocabilmente ad accogliere pratiche e momenti spirituali di un popolo molto meno isolato e culturalmente autarchico di come si è portati a immaginarlo.
Il Sinis, insomma, come tessera particolarissima del complesso e multicolore mosaico nuragico, come ha suggestivamente riassunto il dottor Alessandro Usai della soprintendenza cagliaritana. Un intervento, il suo, incentrato non solo e non tanto sulle risultanze degli scavi effettuati finora, ma sulle opportunità scientifiche e storiografiche che un'esplorazione più completa del territorio garantirebbe.
Una caccia alla storia da condurre «pietra per pietra» e passo dopo passo, calandosi innanzitutto come escursionisti attenti fra quelle colline e quei rilievi per individuare quale possa ancora nascondere un nuraghe o magari una di quelle tombe dei giganti che, a dispetto del nome, proprio nella penisola dei Giganti di pietra finora sono emerse con frequenza minore rispetto a molte altre zone dell'Isola.
Ma non di sole tombe vive la ricerca archeologica, né di soli monumenti. L'intensa presenza nel Sinis, il suo svilupparsi in una rete di microcomunità - con insediamenti anche minimi, a volte di una sola capanna - ricorda a chi conduce i sopralluoghi sul campo quanto fosse intensa l'attività di trasformazione del suolo da parte degli antichi sardi.
Una propensione a modificare, plasmare in profondità il territorio tale che «viene quasi da immaginare che i nuraghi, tutto sommato, li costruissero per riposarsi».

Celestino Tabasso

17.3.13

La mia vita senza tacchi a spillo. Giusy Versace: io e la femminilità] La mia vita senza tacchi a spillo. Giusy Versace: io e la femminilità

 ho preso questa storia  raccontasta  da  Claudio Arrigoni
 
Giusy Versace (sì, la famiglia è quella che immaginiamo) ha affrontato di colpo la disabilità quando aveva 28 anni: le gambe amputate da un guard rail sulla Salerno-Reggio Calabria. Nella sua vita c’è un prima e un dopo, come spiega nel libro “Con la testa e con il cuore si va ovunque” (Mondadori; la foto, di Jennifer Lorenzini, è quella della copertina). Anche nel suo modo di intendere la femminilità. Ce lo spiega oggi, “Festa della donna”, con un augurio: “Auguri a tutte, ma proprio a tutte, le donne: siamo come ci guardiamo”.

di Giusy Versace

Nel 2005 ho perso le gambe in un incidente stradale e insieme alle gambe credevo di aver perso anche una parte della mia femminilità. Ho sempre considerato le gambe come la parte più femminile di me, perdendole ho iniziato a vedermi come un piccolo mostro.
Ho dovuto imparare nuovamente a guardarmi allo specchio, vestita in modo diverso rispetto a come ero abituata a vedermi prima. Indossavo spesso pantaloni stretti, fuseaux e scarpe col tacco. Adoravo i vestiti corti e le mini gonne. Di colpo ho dovuto affrontare un nuovo nemico: l’armadio. Affrontai una sfida: raccogliere in grandi buste tutti i vestiti e le scarpe che non avrei potuto più indossare e trovare il coraggio di darle via. Il pianto liberatorio, condiviso con mia madre, mi diede la forza necessaria per farlo.
Col tempo ho imparato ad apprezzare e valorizzare ciò che di me era rimasto, senza perdere troppo tempo a pensare a ciò che non avevo più.
Essere guardata in modo “diverso” mi metteva a disagio, finché un giorno capii che ero io quella diversa, semplicemente perché non mi sentivo bene con me stessa. La gente guarda semplicemente perché non è abituata a vedere, ma io “guardavo” perché la mente mi proiettava un’immagine di me che ormai non esisteva più.
Pensare alla mia nuova vita senza tacchi mi ha fatto spesso sentire buffa e goffa, in alcune situazioni finanche inappropriata. Per esempio, ricordo con simpatia quando una sera le mie migliori amiche mi proposero di andare a una festa. Evviva! Non vedevo l’ora. Avevo imparato a camminare senza stampelle da pochi mesi e l’idea di uscire e fare un po’ di vita mondana mi elettrizzava come un’adolescente al suo primo appuntamento.  Cercai di vestirmi in modo carino, ma nell’aprire la scarpiera la scelta era più o meno sempre la stessa: sneackers, ballerine. Pensai subito che forse nessuno mi avrebbe guardato i piedi e che la cosa più importante era sfoggiare il sorriso più bello. Indossai una camicetta attillata con una collana lunga colorata, un po’ di trucco, un tocco di gloss alle labbra e via. La compagnia e l’affetto delle mie amiche mi aiutò quella sera a essere, ancora una volta e nonostante tutto, protagonista di una serata importante. A nessuno importava che scarpe indossassi, nessuno notò il mio largo pantalone nero, in compenso mi fecero tanti complimenti per la collana  e per il sorriso. La gente ci vede in base a come noi ci poniamo. Maggiore è la stima che nutriamo di noi stesse, migliore è la percezione che la gente avrà di noi. Allora, di che parliamo?! Cosa vuol dire femminilità?
Sembrerà banale, e magari lo è, ma un sorriso è in grado di sprigionare più femminilità di un tacco a spillo. Difficile crederci, per chi è abituata magari a indossarli o per l’immagine femminile che ci viene spesso proposta, lo so bene! Ma, provate a immaginare una “musona” o una persona triste e negativa su un paio di tacchi e poi ditemi che effetto vi fa.
Se poi scegliete invece di mettere i tacchi solo per sembrare più alte, beh allora vi capisco! Siete assolutamente giustificate. Io ho risolto il problema così: vado da un tecnico e mi faccio fare le gambe di qualche centimetro più lunghe. Comodo no? In fondo, se ci pensate bene, con un paio di scarpe comode si evitano anche i rischi di incappare in brutte figure, si evitano possibili scivoloni o inutili e antipatiche storte alle caviglie. In sostanza, ci si sente più a proprio agio e si sorride molto di più.
Non potrò mai dimenticare le parole che mi scrisse un amico stilista qualche tempo fa: se osi con una scollatura apparentemente discreta, nessuno noterà le ballerine che avrai ai piedi.
“Donne, donne…. oltre le gambe c’è di più”, cantava la bella Jo Squillo. E’ proprio vero…
* Professionista nella moda, atleta paralimpica, presidente di “Disabili no limits”




viaggio nella fontiera : puntata VII l'allenamento


Le cause del mio blocco e del mio sblocco letterario le ho spiegate in questo post precedente Quindi cari lettori\trici non mi sembra il caso d'aggiungere altro Andiamo allora direttamente a quella che sarà la penultima puntata del mio racconto o pseudo racconto secondo i miei detrattori .





Dopo  che Jack  inizio a stasre meglio ed  a  riprendersi  per le ottime cure    dategli dal medico della tribu' che  noi uomini bianchi  chiamiano  con l'epiteto negativo di  stregone, ci incamminammo  verso la vallata di **** .
da  una pagina della scheda   del fumetto  Magico vento
 http://www.sergiobonellieditore.it/auto/cpers_index?pers=magico


 Durante il tragitto decisi di mettere da parte la mia logorrea per lasciare riposare Jack , non completamente ristabilito anche se in grado di viaggiare . In mezzo al silenzio della natura , mi ritornarono alla mente le polemiche che circolavano nell'ambiente culturale " civilizzato " sulla medicina medicina de nativi e e se il loro uomo medicina dovesse essere chiamato stregone o sciamano Iniziai a ricordare un discorso fra me e un mio commilitone quando ancora ero soldato  Io sono per quest'ultimo termine .Infatti io considero il termine "Stregone" è un termine obsoleto che in passato era utilizzato per indicare l'operatore di medicina e di magia, preferisco chiarmarlo o medico meglio sciamano.In realtà l'iconografia dello stregone ha causato secoli di confusione, suggerendo all'osservatore occidentale una visione distorta di una figura determinante all'interno della struttura sociale delle comunità indigene.Infatti la parola "stregone" richiama alla mente un'immagine a volte grottesca, che possiede ben poche connessioni con la realtà dei fatti; quando ciò accade gli aspetti materiali vengono enfatizzati al punto da porre in rilievo solo le caratteristiche più spettacolari, generalmente segnalate dall'abbigliamento, dall'apparato rituale, dai gesti.Ciò è dovuto all'abitudine tipica dell'uomo occidentale di collegare ogni realtà a lui insolita con un mondo fantastico, privo di concreti legami con la storia; lo stregone quindi, così come appare nel nostro immaginario, è il prodotto di una lettura irrazionale e sconclusionata delle informazioni, spesso anch'esse frutto di un'interpretazione arbitraria dei dati, provenienti dai primi viaggiatori ed esploratori occidentali. Uomini animati dallo spirito di avventura, nuovi eroi impegnati a "scoprire" altri Eden tra i "selvaggi". L'idea occidentale di "stregone" corrisponde quindi in realtà alla figura più concreta dello sciamano: un personaggio carismatico e importantissimo, intorno al quale si sviluppa l'universo magico e spirituale di intere comunità.
da  google 
Non è facile dare una definizione scientifica e soprattutto definita  ed  organica di quello che  è lo sciamanismo, poiché all'interno di tale esperienza sono attive espressioni rituali e complessi simbolici molto articolati  che  variano da  tribu  a tribu  . Ma  poi  mi chiedo   che importanza  ha   se uno viene  curato  dala medicina  uffficiale  o  da  quella non ufficiale, l'importante  è che  stia bene e  guarisca
Ecco che  avevo  finita  questo mia  elucubrazione, che arrivammo  alla radura,  ,  aiutati jack  a  scedere  dalla lettiga
da  yahoo
cavallo  e  lo sdraiati su un telo  ed  montai il nostro tepee .E preparai  gli impacchi e le medicazioni prescritte   per  jack . Mentre la medicina  faceva   effetto   costrui  un farestra  ed  un arco  per me  , perchè la migliore  la  lezione  è quella    in cui  due pesone  (  maestro ed  allievo  )  fanno le  cose  insieme . La  mattina  seguente dopo che  ritornai   da  un'e splorazione dei dintorni per procacciarci del cibo  ne  non mangiare  solo  carne sotto sale , trovai jack già in piedi e di comune accordo , decidemmo d'iniziare le lezioni \ l'addestramento di un novizio in vista della gara .
da  google
Iniziai subito spiegando , a   J come  si costruisce un arco   e la scelta  adatta   perchè esso sia  flessibile \  elastico    e resistente  alla stesso tempo  Jack sbufo   un po'  ed   addirittura  m'anticipo   perchè in quel periodo  che abbiamno passato  fra   gli indiani  qualcosa   aveva imnparato  . Allora  decidemmo d'andare  oltre  ed  iniziare  ad  usare  l'arco . Gli inzi  non furono incorraggianti , ed io ero  un po' preoccupato  non tanto per me  ,  anche  se per  e lingue biforcute  era  abbastanza  grave ) ormai  giunto al capolinea    della vita  , ma Jack  ormai  come un figlio per  me    . Come    quel figlio che non potei abbracciare  ed  istruire  ala  vita    dato che la  mia compagna e  il mio  figlio morirono di stenti durante  la fuga  dell'enessimo massacro  e violenze   delle  giubbe azzurre del colonello Jhon Chivington*  ancora più  degli altri  perchè : I nostri guerrieri troppo lontani sulla pista del bisonte* e  quindi  alla  tribu   rimanevano solo vecchi  domnne  e bambini  )
estraspolazione dal 1  video  
   che  a s'affacciava  diventare  un uomo . Cosa  che  non  avvenne  con il mio... .  Ma   non si può vivere   sempre  di ricordi  .... andiamo avanti


 estrapolazione dal  2  video 

Visto che J era  ormai  guarito ed era  ritornato  in forma  quiasi perfetta  oltre  a  tirare  d'arco  e alle  tecniche del corpo a  corpo   e  l'uso del pungale,  gli insegnai   anche  a costruirne  uno , iniziando   dalla scelta  dei materiali  .
Inizialmente   sia per  i postumi  \  effetti collaterali  delle  erbe , fu meno reattivo del solito .



 Ma  poi  si riprese  e  inizio  a  fare  progressi   sempre  maggiori    grazie  al carattere tenace  e  alla  sua forza  di volonta ed  imparo e progredi alla  svelta  



  arrivando persino  a  superare  il maestro 
Arrivo  cosi il giorno della  gara 

* personaggio realmente esistito qui la sua biografia ed autore del massacroSand Creew da cui Fabrizio De André incise prendendo ispirazione da un detto sardo: "Chistu tucca punillu in cantzone", gli eventi memorabili vanno tramandati con canzoni, perché non se ne perda il ricordo, e proprio in disonore di Chivington scrisse la canzone Fiume Sand Creek.
* citazione  De Andreiana

  fonti d'ispirazione   e riadattamernto nonche   di news
  • IL 12° episodio   l'eredita  di Zodiacus  (  testo Bruno sarda -Disegni Massimo de  Vita  ., da  topolino n 1791  25  marzo 1990 )  tratto  dalla  sagas  di  Topolino    Alla  ricerca  della pietra  zodiacale     da  cui  ho preso  con  scansione   e  auto fotografando    gli ultimi  tre  disegni   


SE QUALCUNO VI SALE IN AUTO, TAMPONATE QUELLO DAVANTI Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco punta X°

  puntate  precedenti  puntata  I  e II  puntata  III  Puntata  IV Puntata  V Puntata VI Puntata VII Puntata VIII Puntata  IX Ipotizziamo ch...