2.6.22

Prima unione civile tra due donne a Paternò. I genitori: "Fottetevene di quel che dice la gente"

leggendo un po' i mie follower su facebook ho trovato fra quelli di Lorenzo tosa questo  suo post 

Credetemi, questo video di TeleSud è commovente per bellezza, spontaneità, normalità, amore. C’è un passaggio in cui il padre di una delle spose racconta così la sua emozione. “La felicità di mia figlia è la mia felicità. I genitori debbono voler bene ai loro figli, e basta. Quello che dice la gente se ne debbono fottere.” È tutto qui. Aspettando il giorno in cui questo matrimonio, e queste parole, non saranno più una notizia.

 

Ed questo    suo sagace  commento 
Non avrei pubblicato questo video, come non pubblicherei mai il post di alcun matrimonio di persone a me totalmente sconosciute. Poi ho visto la sequela sconvolgente di commenti omofobi, di insulti e minacce nei post in cui questo video è circolato. E ho capito che questa normalità ha ancora bisogno di essere mostrata, ribadita, urlata.



Esso   all'inizio  pur  sembrare (  anche  se   ed  lo dico  da meridionale ,  c'è un fondo  di verità  )   il  solito stereotipo e  luogo comune  su noi meridionali  .  Ma   poi  se     si rilegge  con attenzione  e  si osserva  il video   sotto riportato  nell'articolo    e  si sente  \  presta  attenzione  a quanto dichiara  il padre     di una delle due   serve  per  descrivere  il fatto che  anche  il Sud , anche  se  ancora  di strada  ne dev'essere  fatta   (  vedere  scambio   di battute  sotto  ) 

  sta iniziando  ad  aprirsi  all'amore  non   etero  . E  che  gli omofobi o i pregiudizi  su  un  amore  che  non  sia  quello  classico   si trovano   sia  al nord  sia  al  sud  . 




L'articolo in questione con ammesso video è di https://catania.liveuniversity.it/2022/05/31/unione-civile-paterno/


A Paternò prima unione civile tra donne: “Omosessualità non dev’essere un problema”
31 Maggio 2022


Credits: Giuseppe Trovato Fotografo
Prima unione civile tra due donne a Paternò (CT). Un passo importante per due giovani donne, ma anche per un'intera comunità in Sicilia.
Prima unione civile tra due donne a Paternò. L’unione, tra Maria Rita Bellaprima e Vicky Caruso, si è celebrata giovedì 19 maggio a Palazzo Alessi. La festa e il rito ufficiale sono stati celebrati il 26 maggio a San Giovanni La Punta.
La notizia è stata diffusa da Ciak Telesud, che ha intervistato telefonicamente una delle due donne: “Sono felice – ha dichiarato Maria Rita –. L’omosessualità non deve essere vista come un problema. Il nostro gesto spero possa servire a tante altre coppie che vogliono vivere alla luce del sole il loro amore”.
Si tratta di un passo importante, non solo per la storia personale di queste due giovani donne, ma anche per la storia di una intera collettività, che deve trovare nell’inclusività e nel rispetto dell’altro uno dei suoi valori fondanti.








Maria Rita e Vicky, due spose unite civilmente dopo la cerimonia della scorsa settimana a #Paternò. 👉 I genitori: "Fottetevene di quel che dice la gente"



Il campeggio a scuola per diventare adulti , Raccontiamo la città con una Polaroid , L'auto del Presidente: a bordo della Flaminia 335

Anche in italia sta prendendo piede un esperimento simile a quello dell'Adulting School fondata nel
2016 in Massachusset di Rachel Weinstein qui e qui maggiori news . A Catania



 un progetto di cittadinanza ha trasformato gli spazi verdi dell'istituto in un villaggio. Per insegnare le regole della convivenza e la gestione di una comunità

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dopo  l'esperimento    di Gianluca  Vasallo   fatto  a Milano  ( Una Polaroid per raccontare Milano: il fotoprogetto su Instagram - la Repubblica ,  adesso anche  Savona   


Una staffetta social che utilizza strumenti d'altri tempi: è l'idea per realizzare una guida alternativa di Savona. Nata da una donna che è tornata nella sua terra

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Riappare ogni 2 giugno e nelle cerimonie di insediamento al Quirinale: un gioiello della tecnica italiana costruito nel 1961 per la visita della regina Elisabetta

2 giugno 1948: il processo ai dottori dei campi di concentramento

 

1.6.22

La storia rimossa della schiavitù dei rom Delia Grigore, DoR, Romania

 

da https://www.internazionale.it/notizie/ 30 maggio 2022

(Traduzione di Elena Di Lernia)

Questo articolo è stato pubblicato da DoR ed è stato scritto in collaborazione con Magda Matache, direttrice del programma di studio sui rom ad Harvard e attivista per i diritti dei rom.

Negli anni novanta volevo scrivere la mia tesi di dottorato sulla cultura tradizionale rom, dei quali aspiravo a riaffermare l’identità etnica dal punto di vista di un’attivista alle prime armi, ma non sapevo quasi nulla della loro storia di schiavitù.Avevo sentito solo qualche storia raccontata da anziani rom, come “lavoravamo per i boiardi” o qualche racconto del folclore rom che recitava “mamma e papà non sono più schiavi”, ma non avevo un’idea chiara su cosa avesse rappresentato la schiavitù nella storia dei rom di Romania e nella storia di questo stesso paese, per quanti secoli si fosse protratta e tanto meno sulle conseguenze della schiavitù sul piano giuridico, sociale, economico e, soprattutto, morale.In realtà, sapevo proprio poco della schiavitù dei rom quando ho varcato timidamente la soglia del dipartimento che si occupava delle minoranze nazionali del ministero della cultura. 



                 Rom a Bucarest negli anni trenta. (General Photographic Agency/Getty Images

“Sono zingara, mi sono laureata in lettere e vorrei fare il dottorato sui costumi tradizionali dei calderash”, così rispondevo alla domanda su cosa ci facessi nel suo studio che mi aveva rivolto Vasile Ionescu, anche lui rom e consulente per la questione dei rom. “Non lavoriamo con gli zingari, ma solo con i rom”, mi ha risposto seccamente. Mi era sembrato molto duro e ingiusto.Ma ho capito, allora, che la storia del razzismo nei confronti dei rom nella cultura romena comincia con il falso nome che gli viene attribuito: țigani (zingaro). Nella lingua rom la parola țigani non esiste. Il termine proviene dal greco medievale athinganos o athinganoi, che significava “pagano”, “intoccabile” o “impuro”. La parola fu utilizzata per la prima volta nel 1068 in un monastero dell’attuale Georgia da un monaco durante la sua spiegazione su cosa fosse l’eresia degli athinganoi, considerati nomadi, indovini e stregoni, e che consigliò ai suoi parrocchiani cristiani ortodossi di evitare quegli eretici.

L’attuale identità dei rom di Romania si è strutturata intorno a una storia di esclusione sociale e razzismo istituzionalizzato

Nel medioevo, la parola romena țigani indicava lo status giuridico di servo o schiavo, e non un gruppo etnico. Ed ecco già due significati della parola: prima eresia, poi status giuridico fuori del sistema gerarchico della società. Lo schiavo/țigani non faceva parte della struttura sociale, si situava al di fuori di essa, era semplicemente merce di scambio ed era di proprietà del principe, dei boiardi o dei monasteri. In seguito la parola țigani è rimasta nella memoria collettiva romena ed è oggi usata nella lingua corrente con accezione dispregiativa.Leggendo i pochissimi libri di storia che hanno osato affrontare il difficile argomento della schiavitù dei rom, ma ancor di più studiando i documenti conservati negli archivi, ho capito che l’attuale identità dei rom di Romania si è strutturata intorno a una storia di esclusione sociale e razzismo istituzionalizzato: dalla prima attestazione dei rom in territorio romeno, nel 1385 (quando ai rom viene dato lo status di schiavo), passando per l’olocausto romeno (che si è proposto ed è riuscito a sterminare decine di migliaia di rom), per l’integrazione forzata o il genocidio culturale del periodo socialista, agli omicidi e agli incendi appiccati alle case dei rom negli anni tra il 1994 e il 2000 e ancora agli abusi, le persecuzioni e la violenza usati dalla polizia contro le comunità dei rom dagli anni novanta fino a oggi, quando questi episodi sono aumentati con la pandemia.Esclusi dalla condizione di esseri umani dalle leggi del paese e dal “diritto consuetudinario” e trovandosi in uno stato di dipendenza non solo economica ma ancora di più personale e giuridica, gli schiavi rom erano considerati una merce, poiché venivano scambiati, venduti, donati, ereditati e sottoposti ad abusi e violenze, vittime perfino di stupri, torture e omicidi commessi dai loro “padroni”.Una famiglia rom non era riconosciuta come parte di una comunità, ma era intesa come un mezzo per produrre nuovi schiavi, una sorta di generatore di domestici. La schiavitù ha colpito profondamente anche i bambini rom, allontanati dalle loro famiglie per volontà dei padroni, scambiati, donati o venduti, a volte a prezzi inferiori a quelli degli animali, poiché considerati non abbastanza bravi per il lavoro.
Un’emancipazione incompleta
Sotto la pressione dell’abolizionismo in corso in occidente, che nel diciannovesimo secolo provava a liberarsi di un’istituzione retrograda e disumana come la schiavitù , e nel contesto degli sforzi della Romania dell’epoca (allora Țărilor Române, Terra Romena, ossia Moldavia e Valacchia ) di guadagnarsi la simpatia dell’occidente, la liberazione dei rom dalla schiavitù del 1856 è stata la conclusione di un processo difficile e relativamente lungo, ostacolato da una forte opposizione da parte della chiesa ortodossa e dalla maggior parte dei boiardi.Tuttavia l’emancipazione giuridica non ha portato a una trasformazione radicale dello status dei rom nella società. Il programma riformista dei rivoluzionari del 1848 e la politica dei governi che si sono avvicendati hanno trascurato la problematica economica – in particolare il diritto di possedere la terra – e gli aspetti di ordine morale, limitandosi all’emancipazione giuridica e alla sedentarietà, a volte forzata, dei rom. Non sono esistite politiche di inclusione dei rom, cosa che ha portato alla loro ricaduta nello stato precedente e alla stigmatizzazione della loro appartenenza etnica.Le conseguenze della schiavitù sono ben visibili ancora oggi nella mentalità collettiva ereditata dal passato, piena di stereotipi e pregiudizi. Lo studio di una parte significativa del folclore romeno, in particolar modo di proverbi, aneddoti e fiabe, dimostra un sentimento marcato di ironia e disprezzo nei confronti dei rom. I rom sono visti, sempre più spesso, come cattivi, perfidi, ladri, criminali, sporchi, esseri non umani.Questa eredità negativa, l’assenza di istituti di formazione e rappresentanza del modello culturale rom, con la notevole eccezione del centro nazionale di cultura dei rom Romano kher, e la mancanza nell’ambito dei programmi scolastici e dello spazio pubblico di informazioni corrette, portano alla stigmatizzazione dell’identità rom, all’interiorizzazione di questa cicatrice e al rifiuto, spesso da parte degli stessi rom, della loro identità.Ecco una nuova forma di schiavitù: la schiavitù morale che neanche una legge può abolire senza il contributo fermo e unanime di tutti gli strati della società, dalle autorità pubbliche agli intellettuali.
Un nuovo modello educativo
Scoprendo tutte queste cose, l’associazione Amare Rromentza ha cercato di contribuire alla diffusione della conoscenza e alla promozione della comprensione della storia e della cultura dei rom, soprattutto tra i giovani, rom e non rom, attraverso la realizzazione e la presentazione, negli anni 2007 e 2008, della pièce Rromanipen, realizzata insieme agli studenti della sezione rom della facoltà di lingue straniere dell’università di Bucarest e agli studenti rom delle altre facoltà.La prima reazione dei giovani è stata quella di stupore. Alcuni non rom hanno espresso un rifiuto, scettici di fronte alle storie di antenati padroni di schiavi. Ho portato loro argomenti a sostegno della verità storica. Ci sono state anche reazioni di rabbia da parte dei giovani rom, che si chiedevano perché i loro antenati schiavi non si fossero ribellati alla schiavitù. A questi giovani ho raccontato della lotta per la libertà portata avanti da un punto di vista giuridico da alcuni schiavi rom liberi ma trattenuti abusivamente dai loro padroni.La reazione della comunità scientifica, soprattutto degli storici romeni, è stata quella di sminuire la gravità della schiavitù dei rom, definendola “servitù” che, sebbene sinonimo di “schiavitù”, era descritta come meno grave e più simile a un regime feudale, sebbene ci siano differenze fondamentali: con la prima si intende una dipendenza solo economica, con la seconda una dipendenza personale.Nel rapporto Direcții strategice de incluziune etno-educațională a rromilor (Linee strategiche di inclusione etno-educativa dei rom) ho proposto una serie di misure volte alla conoscenza e alla comprensione della verità storica, per valorizzare l’identità etnica rom e per promuovere un’immagine corretta dei rom. Così Amare Rromentza ha creato il concetto di inclusione etno-educativa, un approccio in cui il sistema educativo include ufficialmente i rom riconoscendo, promuovendo, garantendo e coltivando la loro identità etnica a tutti i livelli di scolarizzazione e nella formazione permanente degli adulti. È una nuova strategia educativa che può essere applicata a qualsiasi gruppo etnico o a qualunque minoranza nazionale.Perché anche uno studente rom con elevate prestazioni scolastiche, che studia in una scuola con dotazioni eccellenti e professori altamente qualificati, se non recupera la componente identitaria,nonbeneficerà di una formazione completa.
Dopo una tale storia tragica, la società romena ha un enorme debito sia morale sia materiale nei confronti dei rom, e quindi è doveroso prima di tutto il riconoscimento della schiavitù e la ricostruzione della memoria collettiva rom e romena, il che presuppone molto più che l’istituzione di una giornata dedicata alla liberazione dalla schiavitù (il 20 febbraio), così come accade oggi.
Servono programmi nazionali di ricerca, programmi in campo editoriale, la presenza completa e corretta della storia e della cultura dei rom nei programmi, nei manuali e nelle biblioteche scolastiche, nei mezzi di comunicazione, in qualsiasi tipo di formazione rivolta agli adulti, la realizzazione di monumenti pubblici, di istituti di ricerca e promozione della memoria culturale rom e del patrimonio culturale rom (istituti di ricerca, musei, teatri, centri culturali provinciali e locali, collezioni di libri rom nelle biblioteche pubbliche eccetera.).
La riconciliazione tra rom e società, in altre parole tra ex schiavi ed ex proprietari di schiavi, non si può realizzare se non, da una parte, attraverso il riconoscimento e l’accettazione della storia da parte della società e delle istituzioni statali e, dall’altra, attraverso la ricostruzione istituzionale dell’identità rom per ritrovare la dignità. Questo nella speranza che i figli dei rom siano considerati, alla fine, cittadini a pieno titolo e mai più schiavi di fantasmi sulla loro diversità.


"Tre anni fa sequestrata e massacrata dal mio ex, oggi ho ritrovato me stessa e il vero amore" ed altre storie

  canzoni  consigliate
la  donna  cannone  - francesco e  gregori
 Caruso - Lucio Dalla 

 Esattamente tre anni fa Beatrice, che oggi ha 29 anni, era irriconoscibile.



Fuori e dentro. Completamente succube dell'ex partner, aveva sopportato ogni forma di violenza, fino a rischiare la morte: a giugno del 2019 l'allora fidanzato l'aveva sequestrata e massacrata di botte. Riuscita a fuggire per coraggio e fortuna, Beatrice ha lottato per riprendersi in mano la sua vita e oggi sposa un uomo che la ama davvero.

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Giusto per ricordare che il problema del lavoro non riguarda solo i giovani (che purtroppo non trovano lavoro e quando lo trovano devono sperare che non sia uno schifo dove ti maltrattano, ti fanno lavorare più ore del dovuto, sottopagati e in nero), ma riguarda anche le generazioni più mature, quello del lavoro è un problema grave che riguarda tutti.. tranne a chi ha la coscienza sporca. Ed èqiuesta la storia di Marina ha 50 anni ed è tornata a vivere con la madre. Essa  ha   lavorato da quando ha 18 anni, si è laureata in sociologia e da quasi 3 anni è ritornata a vivere con la madre per esigenze familiari e lavorative. Ha iniziato la sua carriera come giornalista, poi come addetto stampa e infine si è trasferita a Londra dove è stata Manager di un ristorante e segretaria di un'importante studio di architettura. Tornata in Italia


ha trovato lavoro come "Tester dei ristoranti" ma a causa della pandemia si è fermato tutto. Oggi Marina vorrebbe poter continuare a fare il suo lavoro di copywriter, in Italia, ma le aziende - racconta - dopo alcuni colloqui fanno "ghosting", spariscono senza più nessuna risposta. Ma prima che ciò accada, le aziende, tra cui anche importanti brand, chiedono idee, analisi e script e poi non danno seguito alle proposte


Bimbo di 20 mesi muore, funerali senza i genitori: "Nessuno ci ha avvertito" Il piccolo, ospite di un centro specializzato, a causa di una difficile situazione famigliare stava per essere adottato ed altre storie

 di Cristina Palazzo repubblica 

Bimbo di 20 mesi muore, funerali senza i genitori: "Nessuno ci ha avvertito" Il piccolo, ospite di un centro specializzato, a causa di una difficile situazione famigliare stava per essere adottato


 
A 20 mesi muore per una crisi respiratoria, dopo aver combattuto contro una grave malattia sin dalla nascita, ma ai funerali non ci sono i genitori, che non sarebbero stati informati. Una storia difficile quella che arriva da Asti.
I genitori del bimbo, Mario Domenico, non erano stati considerati adatti ad accudirlo, stando ai servizi sociali comunali, ed erano state avviate le pratiche per l'adozione. Così il bimbo era stato affidato a una
famiglia e poi trasferito in un centro specializzato.
I genitori naturali avevano continuato a vederlo ogni due settimane, finché è stato loro consentito. Poi il permesso è stato revocato. Nei giorni scorsi il piccolo è morto a causa di una crisi respiratoria. I servizi sociali hanno organizzato il funerale ma, secondo l'accusa dei genitori, non hanno avvertito il padre e la madre naturale che hanno appreso delle esequie da altre fonti, dopo una settimana.
"È una storia nata male e finita male. Non ci sono state violazioni giuridiche da parte del Comune di Asti e del tribunale per i minorenni di Torino ma sul lato umano si poteva fare diversamente” commenta l’avvocato Claudia Malabaila, che con Roberto Caranzano assiste il padre di Mario Domenico.
Secondo quanto riferiscono dal Comune di Asti un decreto del tribunale per i minori di Torino imponeva di non far sapere ai genitori dove fosse il figlio, neanche da morto.
Già a pochi mesi dalla nascita Mario Domenico era stato seguito da una famiglia astigiana che lo aveva avuto in affidamento. Lo aveva portato da diversi specialisti per cercare di curare una rara forma di malattia infantile che provoca crisi respiratorie. Il bambino era stato ricoverato più volte ad Alessandria, dove veniva seguito da un'operatrice sanitaria dedicata, pagata dai servizi sociali del Comune di Asti. Negli ultimi mesi il piccolo si era aggravato ed era stato trasferito a Tortona in un una casa di cura per bimbi gravemente malati. Il 14 maggio, a 20 mesi dalla nascita, Mario Domenico è morto. Ma nessuno ha avvisato i suoi genitori.


un altra  storia   con  un finale   diverso , ma   sempre  triste   è questaa


Firenze, resta solo in classe: i suo compagni vanno in gita, lui no perché non c'è il bus con la pedana per la sua carrozzina
E' successo a un bambino di 9 anni di una scuola elementare


Desiderava andare in gita con i compagni, ma è stato escluso ed è rimasto in classe con l'insegnante di sostegno perché la scuola non ha trovato un pulmino attrezzato con la pedana per far salire i disabili. E' quel che racconta il padre di un bambino di 9 anni che frequenta una scuola elementare di Firenze e che assieme ai compagni avrebbe dovuto andare a visitare un istituto alberghiero. Il bambino è in carrozzina
per una disabilità motoria a causa della sindrome fibrosa poliostosica. La storia è stata raccontata oggi dalle cronache locali di alcuni quotidiani fiorentini, La Nazione e Il Tirreno: "Venerdì scorso la maestra ha detto a mia moglie che avremmo dovuto portare noi famiglia il bambino alla struttura di destinazione, perché la scuola non aveva trovato il pulmino adibito anche alla carrozzina" ha riferito il genitore. Ma siccome mamma e babbo lavorano, non potevano occuparsi di questo accompagnamento. Il presidente dell'istituto comprensivo ha spiegato che Autolinee Toscane aveva garantito il bus con la pedana, ma che poi lo sciopero della scuola ha costretto a un cambio di data e per quella data il pullmino con la pedana non era più disponibile. Cosa che Autolinee Toscane smentisce: "Tutti i nostri bus urbani a Firenze hanno la pedana. Ci risulta una prenotazione da parte della scuola per il 30 di maggio sulla linea 24, poi saltata per via dello sciopero".
La scuola aveva contattato la famiglia ricevendo una disponibilità di massima ad occuparsi del trasporto del figlio. Ma probabilmente c'è stato a quel punto un frainteso, scuola e genitori non si sono capiti e la famiglia sostiene di non essersi resa disponibile all'accompagnamento.
Da Forza Italia, Marco Stella chiede un intervento da parte del Miur, il ministero dell'Istruzione che faccia chiarezza sulla vicenda.


31.5.22

Lo stazzo tra passato e futuro da casa-azienda a villa di lusso


nuova sardegna  31 MAGGIO 2022

Lo stazzo tra passato e futuro da casa-azienda a villa di lusso



La trasformazione del territorio sarà il tema di un seminario itinerante in Gallura Focus sulle antiche abitazioni che oggi spesso diventano residenze con piscina

DI @MARCOBITTAU 

La città-natura non è una chimera inarrivabile, piuttosto una pulsante realtà in divenire, punto di arrivo di un processo di trasformazione territoriale che guarda oltre la città e oltre la campagna per dettare le regole del “Riabitare il territorio”. Riflettendo sull’esperienza della civiltà degli stazzi nell’Alta Gallura – cosa erano e cosa sono diventati – l’argomento è l’oggetto di un importante convegno itinerante tra boschi, aziende, musei d’arte ed etnografici galluresi in programma dal 2 al 5 giugno a cura dell’Università di Sassari - Dipartimento di Architettura, Design e Urbanistica di Alghero. Il titolo è “Oltre la città e la campagna verso un’inedita città-natura: riabitare il territorio”, a cura di Lidia Decandia, da Calangianus, docente universitaria e fondatrice nel 2008 di Matrica, laboratorio di fermentazione urbana.
La guida per decifrare il percorso dei territori in divenire è un prezioso saggio della stessa Lidia Decandia, appena pubblicato da Donzelli editore. Il titolo è appunto “Territori in trasformazione. Il caso dell’Alta Gallura” e si può anche dire che il seminario universitario itinerante è la naturale esternazione di quell’idea che porta alla città-natura.
Perché proprio l’Alta Gallura è presto detto. Qui è nata e cresciuta la civiltà degli stazzi, microcosmo economico e sociale che nel corso del tempo ha subìto una progressiva trasformazione. La tradizionale abitazione-azienda di campagna, centro di un piccolo mondo antico, oggi è altra cosa: spesso è diventata un agriturismo o un ristorante, in qualche caso una nuova azienda agricola o artigiana che certo non dimentica la propria storia e cultura ma che sa guardare avanti, al futuro. In molti altri casi i vecchi stazzi sono diventati residenze di lusso, seconde case sospese tra mare e montagna, tra passato e presente, tra ambiguità e potenzialità. In questo caso il “riabitare il territorio” rischia di produrre il risultato – inconsapevole, probabilmente – di una nuova Costa Smeralda diffusa in un vasto territorio. Un luogo di esclusione e non certo di comunità. Una deriva commerciale e turistica. Un pericolo, forse, su cui è bene riflettere a cominciare dal seminario promosso dal Dipartimento di Architettura.
Pericoli a parte, l’Alta Gallura con la sua civiltà degli stazzi resta un luogo ideale per studiare le trasformazioni del territorio, il suo divenire nel tempo e nell’anima. È una piccola area interna, inserita in un contesto ultra periferico (almeno, secondo le categorie della Strategia nazionale per le zone interne), “una delle aree meno illuminate del contesto nazionale, che si distende alle spalle del mondo delle luci della città costiera”. Con il seminario (e prima ancora con il saggio), di fronte a tanto materiale, Lidia Decandia raccoglie storie, progetti, osserva luoghi e forme di produzione. Indica dieci esempi di nuovi abitanti degli stazzi. Rileva i movimenti ora impercettibili ora tellurici provenienti dal sottosuolo della storia. Tesse e cuce, direbbe Maria Lai, dando forma a questa figura territoriale inedita: “una ossimorica città-natura in cui il già stato si unisce con l’adesso e in cui si intrecciano indissolubilmente città e campagna, natura e cultura”

"Duos, tres, batoro": Sa Murra ritorna



Leggi anche
https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2022/05/ludus-in-fabula-rivivere-il-passato.html
https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2022/05/il-paese-dei-giochi-senza-eta-una.html

Oltre i giochi "fisici " recenti e antichi vedere post sopra un altro gioco " manuale " sta ritornando in auge  ed  quello della  Morra un gioco tradizionale molto popolare in Italia, in particolare nelle regioni che si affacciano sul Mediterraneo.

per  saperne di più
 la  nuuova  sardegna   30 MAGGIO 2022
DI MANOLO CATTARI  


"Duos, tres, batoro": Sa Murra ritorna

La gara sta vivendo una nuova primavera non solo in Sardegna ma anche in Francia e Catalogna. Oggi è possibile sfidare un robot o giocarci con un'app

«Mio figlio giocando a Sa Murra è diventato molto più sicuro di sé ed estroverso» così Fabrizio Vella, fondatore dell’associazione “Sociu po su jocu de sa Murra” racconta con le parole della mamma di un giovane giocatore l’impatto del gioco su un bambino timido e introverso.
Sa Murra. Duos, tres, batoro. Un gioco semplice ed essenziale, complesso e di strategia. Bandito e considerato proibito dal 1931, sta vivendo oggi più che mai una nuova primavera. Su Sòciu po su jocu de sa murra ha organizzato la prima manifestazione ufficiale nel ’98 trovando una soluzione d’intesa con la questura di Nuoro (evitando di inserire montepremi in danaro, istituendo un regolamento e affiancando alla figura tradizionale de su contadore, quella nuova dell’arbitro). L’intento principale era quello di sdoganare la morra e dargli la dignità che merita. Su “Campionau sardu de Sa Murra” questo il nome ufficiale della manifestazione. Tres, batoro, chimbe. Ma si sa, le cose semplici aprono le porte alla cura e alla bellezza dei dettagli. Così si inizia a scoprire che il gioco in realtà non è sopravvissuto solo in Sardegna, ma in tante comunità.
Accomunate da una forte connessione rurale e a volte da minoranze culturali con un forte senso identitario. Così si gioca in Corsica, Contea di Nizza, nella Savoia francese, in Friuli, Aragona, Trentino, Catalogna e tanti altri luoghi. E in ogni realtà si portano avanti delle varianti locali. C’è chi la gioca più lentamente, chi da seduti, chi con più pause e chi senza. «La nostra spicca sicuramente per musicalità, possiede un ritmo particolare e una propria musicalità. Inoltre non si interrompe mai. A differenza delle altre nazioni» continua Vella. Insomma ci vuole ritmo, presenza di scena e forza nel prendersi il punto (Murrare in gergo tecnico), si intuisce il perché aiuti nel potenziare l’autostima dei praticanti. «Sa murra è uno sport con fisicità. Oltre alla teatralità, bisogna lavorare di braccia, gambe e anche la voce va allenata. Non c’è solo il fare di conto, per prendersi il punto bisogna avere una certa postura e poi recitare alcune formule verbali».
Sese, sette, otto. Le varie esperienze oltre quella sarda, si iniziano a incontrare in alcune manifestazioni internazionali, in cui campioni delle diverse comunità si incontrano per “darsi battaglia” pronunciando l’ipotizzata somma delle dita ognuno nella propria lingua. Giocando rigorosamente 2 contro 2 con arbitro neutrale a custodire il processo di gioco. Questi meeting internazionali iniziano nel 2003 e siamo alle soglie del prossimo evento che si terrà a Bessans nella Savoia Francese dal 24 al 26 giugno. La delegazione sarda si sta organizzando per dare il suo massimo apporto all’evento e, magari, vincere il titolo di campione del Mediterraneo. Questo ed eventi futuri si potranno seguire sul sito murramondo.com. Sette, otto, noe. Un gioco fuori dal tempo, sembra che abbia origini nell’antico Egitto e si sia praticata nell’antica Roma col nome di micatio, e che duella con l’epoca attuale trovando nuovi modi di presentarsi e di farsi amare.
È infatti possibile sfidare al gioco un robot “Gavina 2121” del prof. Antonello Zizi che ha sviluppato prima un algoritmo e poi un vero e proprio robot capace di giocare con avversari umani. Oppure è possibile giocarci con lo smartphone con l’app SaMurra sviluppata da Davide Onida. Sfidando altre persone connesse all’applicazione o Billybot, l’intelligenza artificiale del software. Un gioco senza tempo e senza bandiera che racconta della nostra cultura e delle nostre culture che a breve sarà raccontato in un museo ad hoc a Urzulei (dove tra l’altro si potrà sfidare anche Gavina 2121), progetto museale su cui proprio l’associazione “Sociu po su jocu de sa Murra” è in prima linea.
Prossimi sviluppi, sfruttare il potenziale didattico del gioco nella scuola con progetti specifici. Rispetto a questo sono in corso studi delle Università di Sassari, di Cagliari e della Lawrence Technological University negli USA, a breve non bisognerà stupirsi se al rientro da scuola i nostri figli ci insegneranno un gioco che hanno imparato a scuola che già conosciamo. Murra.

30.5.22

Le troppe straordinarie “coincidenze” nella storia del professore laureato al posto del suo omonimo e Roma, opera senza la laurea e lascia il paziente invalido. Si è finto medico lavorando per 15 anni in ospedale

di cosa stiamo parlando 


Le troppe straordinarie “coincidenze” nella storia del professore laureato al posto del suo omonimo
28 MAGGIO 2022 - 14:14
di OPEN





Le coincidenze fanno parte della vita di tutti: pensi a una persona che non vedi da tanto tempo e un minuto dopo la incroci per strada, oppure vinci un viaggio a Tirana e scopri che la tua squadra del cuore giocherà proprio là la partita della stagione. Ma la vagonata di coincidenze grazie a cui il professor Sergio Barile, ordinario di economia e gestione delle imprese all’università La Sapienza di Roma, si è preso una seconda laurea in fisica supera qualsiasi immaginazione, e sarebbe troppo grossa per qualsiasi Guinness dei primati, oltre che improponibile per qualsiasi trattato di statistica.
I fatti: Barile si è laureato in fisica un anno fa senza aver fatto un solo esame. Nessuno. Secondo la sua versione, lo ha potuto fare grazie a un qui pro quo della segreteria di quella facoltà, che lo aveva scambiato per un suo omonimo. Ciò è sembrato poco credibile perfino per i vertici della sua stessa università, tant’è che il professore è stato rinviato a giudizio per falso ideologico. La storia è finita sui giornali un paio di giorni fa, e il docente ha provato a spiegarsi incalzato da Daniele Autieri di Repubblica, così: “Lo scambio di persona è avvenuto non solo perché abbiamo lo stesso nome e perché siamo nati nello stesso giorno, ma il mio omonimo si è iscritto fuori corso nello stesso giorno in cui io mi sono iscritto al corso di laurea in Fisica. Non solo: proprio in quei mesi il cervellone della Sapienza è migrato da un sistema informatico a un altro. È una situazione kafkiana, capisce?”.
Certo, kafkiana, se fosse vero. Ma è difficile da credere: nello stesso giorno del 2003 si sarebbero iscritti alla stessa facoltà di fisica della stessa università due omomimi, Sergio Barile, nati nello stesso giorno, aspetto non banale, perché a differenza delle altre matricole i due Barile non erano dei freschi maturati: i gemelli omonimi avevano 47 anni, essendo entrambi nati il 23 maggio del 1956. Il Barile che conosciamo aveva peraltro una certa dimestichezza con i meccanismi accademici, visto che proprio in quel fatidico 2003 sedeva, stando al suo curriculum, nella commissione Dottorati di Ricerca del Miur, Ministero dell’università.
Nessuno quel giorno negli uffici di segreteria della facoltà si accorse di quell’incredibile serie di coincidenze, nonostante uno dei due gemelli diversi fosse già di casa nell’ateneo. Né poté accorgersene in seguito, visto che solo l’altro Barile, il fantasma, sostenne la mole di esami che poi avrebbe permesso al più autorevole omonimo di laurearsi al suo posto. Ecco, ora tutti si chiedono se davvero il professor Barile non si è reso conto, come lui sostiene, che ci fosse qualcosa di strano nel poter accedere all’esame di laurea senza aver passato un solo esame di fisica prima, e solo grazie al riscatto degli esami coincidenti con la sua lontana laurea in economia. Dice il prof.Barile che si tempi del lockdown c’era una tale confusione che tutto sembrava possibile. E sia.
Ma noi ci chiediamo un’altra cosa: che fine ha fatto l’altro Sergio Barile? Perché alle soglie dei 50 anni si è fatto tutti quegli esami di fisica – non una passeggiata- per poi mollare tutto a beneficio del suo omonimo? E quegli esami sono stati fatti? E soprattutto: Sergio Barile 2, perché non si manifesta? E, insomma, esiste davvero?

proprio mentre    finsco  d'incollare  l'articolo   delle righe  precedenti   mi   ritorna alla mente  i primoi  versi di   l'italia  dei cacchi e  di quest'altra  news    di qualche    giorno  fa   




Roma, opera senza la laurea e lascia il paziente invalido. Si è finto medico lavorando per 15 anni in ospedale

Ha operato senza laurea in medicina e ha lasciato un paziente invalido. Non solo. Il falso falso medico ha lavorato all'ospedale San Giacomo di Roma per 15 anni. La notizia l'ha riportata il Messaggero in un articolo firmato da Michela Allegri.

Roma, opera senza la laurea e lascia il paziente invalido. Si è finto medico lavorando per 15 anni in ospedale
© Redazione

Il finto medico, che si è autodenunciato ai carabinieri dopo un intervento finito male, è stato condannato a pagare parte del risarcimento al paziente e 128mila euro alla Asl Roma 1 per averla raggirata. L'episodio che ha smascherato l'impostore - riporta sempre il Messaggero - si riferisce ad un uomo che si era affidato alle sue cure: sottoposto ad una delicata operazione chirurgica per una frattura, ne è uscito con la mano paralizzata. A seguito della vicenda la compagnia assicuratrice ha svolto degli accertamenti e dopo l'autodenuncia, il falso dottore è finito in causa.L'impostore ai carabinieri ha raccontato di aver lavorato come ortopedico senza la laurea. I fatti risalgono al 2015. Il tribunale ha emesso sentenza di "colpa grave" all'imputato. Il falso medico infatti, come scrivono i giudici, agiva per guadagnare lo stipendio di medico ospedaliero, era consapevole che il suo operato abusivo avrebbe recato danni ai pazienti e se ne assumeva il rischio ogni volta che entrava in sala operatoria. Non hanno invece nessuna responsabilità i due componenti dell'equipe che erano con lui in sala operatoria durante l'intervento finito male. 

28.5.22

violenza psicologica Obbliga i figli di 8 e 6 anni a rasarsi la testa: "Fatevi lo stemma della Juve". La moglie lo denuncia

 ancheil fanatismo   calcistico    puo'essere l'antcamera  del femminicidio  o della violenza  di genere  ?   questa   storia  sembra  confermarlo 

repubblica  22\5\2022

I due piccoli hanno protestato, disperati dal fatto che i compagni di scuola, tutti romanisti e laziali, li avrebbero presi in giro in maniera impietosa. La procura di Roma ha chiuso le indagini e l'uomo, 45enne, potrebbe essere rinviato a giudizio




Maltratta e vessa moglie e figli al punto di obbligare i suoi bambini di otto e sei anni a seguirlo dal barbiere e a farsi disegnare sulla nuca rasata lo stemma della Juve. I due piccoli hanno protestato, disperati dal fatto che i compagni di scuola, tutti romanisti e laziali, li avrebbero presi in giro in maniera impietosa.
È solo l'ultimo di una lunga serie di episodi dei quali si è reso protagonista il padre, un 45enne romano
che è stato denunciato dalla moglie per maltrattamenti in famiglia.
Il blitz dal barbiere risale al 2021. Secondo la versione della moglie, che ha denunciato il marito, l'uomo non avrebbe accettato la fine della relazione e avrebbe iniziato a insultarla, a minacciarla, facendole degli appostamenti sotto casa fino a maltrattare anche i figli per farle pagare la decisone di aver interrotto il matrimonio. Il 45enne, ora indagato, sarebbe andato fuori di testa quando ha scoperto che la ex moglie, dopo la rottura, aveva iniziato un'altra relazione.
Il "tatuaggio" della Juve sulla testa dei figli per la madre è stato troppo: un fatto grave, che ha causato ai piccoli non pochi problemi di relazione con i compagni di scuola, e che ha indotto la donna a denunciare il marito. Ora la procura di Roma ha chiuso le indagini e il 45enne potrebbe essere rinviato a giudizio.

da dove nascono le storie ? Cosa serve per scrivere una buona storia? Dove si trovano le idee migliori?

La curiosità dei bambini non ha limiti, soprattutto quando si tratta d'indagare realtà molto distanti da loro. Per trasmettere la passione per i libri e per la lettura, sarebbe bellissimo se i bimbi, oltre a frequentare librerie e biblioteche con spazi a loro destinati e con libri di qualità, potessero incontrare, di tanto in tanto, chi quei libri li scrive e li illustra, chi li dà alla luce.Infatti   La prima  risposta  che  ho  dato  alla figlia  (  ha  15  anni  )  di mio cugino che  incuriosita dall'ultimo numero  di Dylan Dog  (  copertina  a sinistra  ) che innesta sulla vicenda principale una riflessione metanarrativa sul concetto di idea e una sorta di seduta di analisi leggera e brillante sul lavoro dello scrittore e sui meccanismi della scrittura è   : << Forse dalla primavera  ,  dai bei  sogni  , dai  fiori di pesco  e   di ciliegio , dalle passioni che ci  avvolgono  dall'amore     che   ci unisce  dal sangue  e dalla carne  >>( AntoAngelo Liori    ) . 
    Ma  in verità per  parafrare ,  sucusatemi  se mi ripeto  , ma  purtroppo  per  me  è  cosi  (  sfido  qualcuno\a  a dimostrarmi il contrario  ) ,  questa bellissima  canzone  



le storie   siamo   noi  .
Infatti è proprio dall’esplorazione del proprio Immaginario e del proprio Mondo Interiore, che  ovviamente    va  sviluppato  con il  <<  potenziare le proprie risorse creative. I PERCORSI DI DNLS prevedono una pratica guidata dei processi creativi, che grazie alla mediazione di molteplici codici artistici favoriscono la scoperta e lo sviluppo del principio creativo proprio di ciascun essere umano e lo sviluppo di nuovi linguaggi e codici con cui esprimersi, per un miglioramento globale della consapevolezza di se stessi e delle abilità comunicative e relazionali.>>  come   fa il progetto di Pratiche Artistiche per il Benessere, che propone laboratori espressivi di DRAMMATERAPIA, TEATRO CREATIVO, STORYMAKING e ARTE. qui  su  Dove nascono le storie



Bisogna aspettare che l’ispirazione giunga a illuminarci la mente, come facevano i poeti romantici dell’800, oppure è meglio lanciarsi in esperimenti di scrittura automatica come i surrealisti? Dipende tutto dal subconscio? Calma, gente: forse per trovare una buona storia non è necessario fare troppe peripezie.
Per scatenare la fantasia può essere sufficiente esplorare il quartiere come se fossimo turisti appena atterrati da Saturno, fare quattro chiacchiere con il vicino di casa che ci sembra un po’ matto, masticare una Big Babol, o mettere sul giradischi un LP che non ascoltavamo da anni. In poche parole, dribblare l’abitudine e cambiare, anche di poco, l’angolazione da cui guardiamo il mondo. Ogni piccola cosa diventerà la miccia capace di far partire una storia, ogni giorno sarà un’avventura.

Dove nascono le storie? Nascono dal ventaglio del caso o del destino, sgorgano come acqua dalle sorgenti delle famiglie, sorgono come alberi svettanti dalle insidie della vita come afferma ques articolo : Dove nascono le storie (tantestorie.it) .



 Oppure dai racconti inventati o mescolasti di realtà come faceva mio nonno paterno con me e mio fratello quando eravamo piccoli , come dimostra anche il libro di H.Kuresishi riportsto a sinistra ( vedi Da dove vengono le storie? di Hanif Kureishi - Cronache Letterarie ) Ogni essere umano ha un suo patrimonio di esperienza di vita e di immaginazione, una ricchezza di storie che non chiede altro che essere sprigionata e portata alla luce.
Scrivere significa ampliare queste potenzialità, allenare il vostro sguardo ad osservare il movimento della vita. “Le cose che accadono”, come diceva Virginia Woolf.
Le grandi storie ci emozionano e ci appassionano perché parlano di noi, dei nostri drammi, dei nostri conflitti. Siamo noi Raskolnikov e Madame Bovary, Shylock e il giovane Holden.


Come scrittori il vostro compito principale è restare attaccati alla vita, alla realtà quotidiana, che non è mai misera, ai nostri desideri, alle nostre paure.
Le storie nascono da questo costante esercizio di osservazione che non deve venire mai meno: lo scrittore è un uomo che si preoccupa degli altri uomini, del suo tempo e del suo destino, delle ingiustizie
che patisce e delle gioie che prova.
Ogni storia che ci è stata raccontata, in un fiato da nostra madre   dai nostri nonni  \e che ci ha parlato dei suoi ricordi della guerra, o di un amico prima di partire per un viaggio, è uno spunto per una
narrazione.L’unico modo che esiste per scrivere e raccontare una storia è alzarsi e cominciare a farlo.Ma anche la nostra stessa diversità ha una storia ed è contenitore di storie Alcune diventate patrimonio universale come L'illiade e l'Oddisea . Concordo con quest articolo di (ferrucciogianola.com) :  << Come nascono le storie 
 Ci sono cose che sono in grado di condizionarci la vita in maniera profonda. Magari per tutta la vita e non lo sappiamo neppure. A volte sono cose che riteniamo senza importanza e rimangono sepolte nell'inconscio, poi in determinate condizioni si risvegliano e ci si trova di colpo ad avere delle risposte a quesiti che prima di quel momento sembravano insormontabili. Magari anche riguardo a come nascono certe storie che scrivo.
Difficilmente mi chiedo da dove vengono certe idee che metto nei miei racconti. Di solito parto da un'immagine e da esperienze del mio passato ben presenti nella mente o da un fatto che mi colpisce o che mi ha colpito. A volte magari da studi. Insomma le casistiche sono tante.
Ci sono però alcuni racconti talmente fuori da questi schemi e dai contesti miei abituali che più di una volta mi sono domandato del perché li ho scritti e cosa, sopratutto, li ha ispirati.
A volte tuttavia riesco a darmi una risposta...
Un paio di settimane fa, per esempio, mi sono passati davanti agli occhi dei video musicali e tra questi c'era un video con una canzone delle Orme. Ricordo di come questa canzone mi


piacesse molto quando ero bambino, tanto che fu una delle prime che imparai gli accordi per la chitarra. Ma fondamentale è il testo di quella canzone, Felona.
Dico fondamentale perché mi ha fatto capire, riascoltandola, che le sfere contenute nel mio racconto Buio all'alba che cadono dal cielo dopo un buio improvviso, sono molto simili alle sfere di luce del brano firmato da Aldo Tagliapietra, Antonio Pagliuca e Gian Piero Reverberi.
Luci che hanno dato vita a un racconto fantastico e metafisico, magari un po' diverso dalla mia produzione ma che non mi sento di ripudiare proprio perché il punto di partenza di questa storia era situato nel profondo del mio inconscio, finalmente decifrato.Be' forse, qualche colpa ce l'ha pure il quadro di Nino di Mei che ho inserito.


che  altro aggiungere    se  non  che   la  storia  siamo  noi .   sta  a noi   prendere  i nostri pensieri    , i nostri sogni  e  le  nostre  fantasia e     fermarle  o   in  uno scritto  o  in qualunque  altra  forma  

27.5.22

E' morto Rossini, il gatto turista., Ex angelo del fango dona 10 milioni alla Syracuse di Firenze



E' morto Rossini, il gatto turista








Era un grande amore ma anche una relazione intellettuale. Il gatto Rossini, che Sergio Valentino, uno dei più valenti componenti del coro del San Carlo, portava ovunque con sè, in bicicletta, conosceva Napoli meglio degli umani e sapeva accompagnare il suo proprietario senza alcuna difficoltà.
Rossini venne così chiamato nel momento del suo ritrovamento, piccolissimo, 8 anni fa: uno di quegli indiavolati micetti che hanno fatto nascere una categoria speciale di soccorritori degli animali, i
"motoristi" capaci come nessuno di far uscire i gatti dagli chassis dove si nascondono per paura quando si perdono o vengono abbandonati da qualche dissennato. Rossini si era infilato nel "motore" (che poi motore non è mai, ma ci siamo capiti) di un'auto, in onore del creatore del "Barbiere", anche perché di Figaro ce n'è uno famoso, quello del Pinocchio Disney.
E da allora Valentino e quel piccolo tigratino dal pelo un po' più lungo del normale non si erano mai più separati. Il musicista ha con sè e assiste altri gatti, ma con quello aveva un rapporto particolare, di grande amicizia e condivisione, grazie alla sua intelligenza decisamente superiore. Valentino lo ringrazia per questo: "Per le passeggiate, i viaggi, la vita in due - scrive sul suo profilo Facebook al gattino che una trombosi ha portato via in un'età non avanzata - i giochi, la pazienza e anche le monellerie. Grazie per il sodalizio e le emozioni condivise con me e per aver saputo esprimere sempre i tuoi sentimenti e non aver mai finto".
I suoi amici, quando hanno letto il dolore del corista, hanno scritto messaggi empatici e belli per confortarlo, ma un Rossini che va via non è cosa semplice per coloro che lascia. Mancherà anche alle strade e alle piazze di Napoli e a tutti quelli che avvicinavano Sergio per raccomandarsi, col solito eccesso di zelo dei "tutori" di gatti e cani: "Non lo porti così, è pericoloso!", e lui con pazienza e con il suo garbo rispondeva sempre che Rossini era un gatto con la valigia, che aveva imparato in poche mosse a fare il viaggiatore, sapeva aggrapparsi e stava comodo nel cestino della bicicletta, che non aveva mai voglia di scappare, non temeva nulla e anzi, muoversi per la città e oltre gli piaceva decisamente: perché privarlo di quella bella attività che gratificava entrambi?

Ex angelo del fango dona 10 milioni di dollari  alla  Syracuse di Firenze 

Daniel D'Aniello, ex alunno della università, era stato tra i volontari durante l'alluvione del 1966



Nel 1966 fu un angelo del fango. Studiava alla Syracuse University ed era già innamorato di Firenze. Ha fatto una folgorante carriera imprenditoriale e oggi è uno dei 700 uomini più ricchi del pianeta. E ora ha deciso di restituire alla città in cui si è formato una parte del suo successo. Donando la bellezza di 10 milioni di euro alla "sua" Syracuse.
Che storia, quella di Daniel D'Aniello. Famiglia italo americana, self made man, nel 1987 è stato tra i fondatori del Carlyle Group, un fondo d'investimento che oggi vanta un patrimonio complessivo di circa 203 miliardi di dollari.
È stato un veterano del Vietnam, la sua "Wolf Trap Foundation", che si occupa di arte, è presieduta dalla first lady Jill Biden.
Legatissimo a Firenze, dov'è già tornato tante volte, ora D'Aniello e sua moglie Gayle hanno deciso di donare una somma cospicua alla Syracuse. Obiettivo: sostenere il programma fiorentino dell'istituto dove studi negli anni '60, finanziando gli aggiornamenti necessari alle sue strutture di piazza Savonarola, rafforzando il curriculum e il gruppo docente e aumentando l'accesso alle esperienze internazionali per più studenti.


La sede in piazza Savonarola a Firenze della Syracuse University (cge)



Lo hanno annunciato ieri il sindaco Dario Nardella e l'assessora all'Università e ricerca Titta Meucci accanto alla console generale degli Stati Uniti a Firenze Ragini Gupta e al presidente dell'associazione degli atenei Usa Aacupi, Fabrizio Ricciardelli.
"Una storia molto bella di amore per Firenze ma anche una conferma del valore delle migliaia di studenti che sono presenti nelle oltre 40 università americane in città: una presenza preziosa in grado di costruire legami che poi rimangono nel tempo. Dobbiamo essere capaci di valorizzare questo legame, facendo vivere questa comunità di studenti come parte della città e ampliando il panorama delle università da portare in città. Si parla tanto di fuga dei cervelli dall'Italia, Firenze vuole essere invece la prima città ad attrarre cervelli invece di farli scappare. Per ringraziare Daniel D'Aniello, abbiamo deciso che gli consegneremo le Chiavi della città non appena verrà a Firenze nel 2023" spiega il sindaco.
La donazione - spiegano dalla Syracuse University Florence - amplierà notevolmente il finanziamento delle borse di studio agli studenti per i quali i programmi di studio all'estero sono stati fuori portata, inclusi studenti a basso reddito, studenti post-tradizionali e studenti veterani.



Il museo delle guerre che educa alla pace., Mollo tutto, per lavoro risolvo il cubo di Rubik ., A scuola di parkour per affrontare la paura


A Trieste oggetti e immagini raccolti per testimoniare l'orrore dei conflitti. Un progetto che va avanti dal 1941: lo avviò un soldato. Morto in modo misterioso qui  la  sua  biografia  e  il  perchè della  sua  strana morte  . Il museo DIEGO DE HENRIQUEZ non è un museo "di guerra" comunemente inteso, ma il museo della società del Novecento in guerra con i suoi demoni e i suoi orrori, nel lungo e contrastato cammino verso una pace che si spera duratura.


 

                      di Simone Modugno

Dopo aver  parlato    di  giochi (  ludus  in  Tabula   Rivivere il passato attraverso i  giochi  , la storia  all'Archeologa    Monica Silvestri   e  all'artigiano Gualtiero  Tumolo   .,   il paese dei giochi senza età Una ludoteca, dove anziani e bambini giocano insieme.  )   ho scoperto  la  storia  di  Carolina Guidetti  Classe 1999 e originaria di Bologna (non è dato sapere esattamente quando sia nata), Carolina Guidetti è conosciuta come campionessa italiana del Cubo di Rubik. Grazie al suo talento nel risolvere il famoso rompicapo ha raggiunto enorme popolarità anche sui social (e in particolare su TikTok), per questo ha deciso di mettere in pausa i suoi studi (presso il Liceo Classico) e dedicarsi totalmente a questa carriera. Ha partecipato ad alcune competizioni ufficiali di speedcubing (la disciplina in cui si risolve sempre più velocemente il cubo di Rubik).

dal suo istangram  https://www.instagram.com/carolina.guidetti/

Ed  io che  credevo che il  cubo  di rubix  fose    solo roba  da nerd  . Invece la  storia   di  Carolina Guidetti di 22 anni che  detiene il record italiano col celebre rompicapo: impiega meno di 10 secondi.


Tra gare e social, per lei è un'attività a tempo pieno 


Il Parkour è un movimento rivoluzionario. Nel senso che rivoluziona il modo di pensare, di agire, di vivere gli spazi. Sia quelli esterni che quelli interni alla persona.Come ogni rivoluzione deve affrontare le sue battaglie:
- contro il riduzionismo scientifico
- contro la superficialità di chi fa solo finta di comprendere
- contro l'anacronistico approccio agonistico alle attività motorie e sportive
- contro il mito della prestazione come priorità assoluta, a discapito della Salute
- contro un sistema strutturato, scavato, barricato nelle nostre menti, che ci impedisce di osservare al valore educativo e sociale del Parkour. E che invece si ferma superficialmente a guardare alle tecniche.
Ricordate che quando osservate un praticante allenarsi per strada, esso sta compiendo una grande battaglia.

Ed  è  questo    che Antonio "Shino" Calefato di Trani (  foito  a  sinistra presa  dal  suo  facebok   ) da oltre 10 anni insegna anche ai bambini lo sport che sfrutta gli spazi tra salti, arrampicate e sospensioni. Gestendo i propri limiti



"Io, Babbo Natale dei bambini meno fortunati"

da  Quotidiano.Net  tramite  msn.it  Guido Pacelli è un Babbo Natale davvero speciale. Conosciuto come l’aggiustagiocattoli, lavora tutto l’...