7.10.13

All'inseguimento di un sogno: la chitarra è meglio di una laurea .o un cantante conta più d' un laureato ? la storia di roberto Palamas


le  coincidenze  della  vita  .  Avevo appena  finito  di  copiare  l'articolo che  trovate  sotto     , che nel  in canna  nello stereo  , inizia   l'avvelenata  di  Guccini  .  E  proprio  ascoltando   e  canticchiando questi  versi  :

(....)  Mio padre in fondo aveva anche ragione a dir che la pensione è davvero importante, 
mia madre non aveva poi sbagliato a dir che un laureato conta più d' un cantante: (...) 

continua  su angolotesti.it :

mi  è venuta  la  domanda  elucubratoria  :  visto   che  secondo  Palmas   la chitarra è meglio di una laurea non  è  che  rispetto  a Guccini  un laureato conta più d' un cantante, i tempi stando  cambiando  adesso sono  gli artisti  più importanti dei laureati  ?   a  voi  la  risposta  

l'unione  sarda  Edizione di domenica 06 ottobre 2013 - Cronaca Regionale (Pagina 11)


All'inseguimento di un sogno: la chitarra è meglio di una laurea

di GIORGIO PISANO
Da  http://robertopalmas.bandcamp.com/
I have a dream. Ora, non è che Roberto Palmas l'abbia pensata proprio così, proprio proprio con queste parole. Ma un sogno, grande e irraggiungibile, l'aveva pure lui. Credeva, o forse sperava, che con l'andare degli anni lo avrebbe lasciato in pace, che insomma sarebbe finito in un cassetto dove - come tutti sanno - dorme sotto un filo di polvere l'archivio dei sogni perduti.Il guaio è che non ce l'ha fatta. Ed è felice di poterlo raccontare. A un certo punto della vita (moglie e figlio inclusi), mentre era ormai sulla rotta di un futuro programmato e programmabile, ha buttato alle ortiche la laurea e il lavoro. Addio stipendio, e ancora di più, addio dottore. S'è liberato del macchinone che uno come lui doveva necessariamente avere e ha fatto un salto lungo, lunghissimo, infinito.È diventato chitarrista. A tempo pieno. «Era quello che volevo». Cinquantasei anni, cagliaritano, figlio di un medico condotto che per hobby pizzicava il mandolino, ha iniziato da ragazzino o quasi. A essere precisi, bisogna dire che giocava in casa: familiari a parte, suonavano molti suoi parenti, quindi è cresciuto in un'atmosfera dove il virus della musica era endemico. Ammalarsi è stato un attimo.Ha fatto parte di gruppi storici della scena musicale alla fine degli anni Settanta per proseguire poi la carriera da solista e affinare qualità che aspettavano soltanto di venire allo scoperto. Tour nei circuiti importanti e, a seguire, la decisione di non fare più anticamera, come tanti suoi colleghi. «Non riesco a stare dentro certi meccanismi di potere». Sta cercando di dire che gli artigli della politica sono calati da tempo sul mondo musicale e tutto questo, se stai cercando invece «rispetto, dignità, condivisione» fa venire l'orticaria. Con le conseguenze del caso.Ha un senso lanciarsi nel buio per inseguire un sogno? Roberto Palmas lo ha fatto in scienza e coscienza (come pontificherebbe un avvocato), immaginando a cosa sarebbe andato incontro, considerando probabili difficoltà e imprevisti. A distanza di tempo può affermare con orgoglio d'aver vinto la sua battaglia, quella che gli fa dire durante l'intervista che non voleva morire pedagogo. Non riusciva a vestire i panni di uno dei tanti operatori socio-assistenziali, vivere un lavoro che non sentiva suo, governare un'esistenza che gli sembrava quella di un altro.Oggi è pronto a certificare che i sogni «possono anche non avverarsi, l'importante è non imprigionarli. Anche perché, se sono sogni veri, non ti danno tregua». E alla fine scoppiano, ti esplodono dentro come una bomba. Un attimo prima che la miccia a lenta combustione finisse, lui è riuscito a gridare basta.

Primo approccio con la chitarra.
«Autodidatta. Avevo sedici anni. Mio cugino, che aveva una certa esperienza, mi ha insegnato a scoprirla sugli accordi di Fabrizio De André e Bob Dylan, che per lui era una fede più che un poeta in carne e ossa».
L'esordio di fronte al pubblico?
«Sempre da giovanissimo. Sono tra i fondatori di un gruppo che si chiamava Suonofficina. Con loro ho fatto cose importanti, per esempio un disco alla Fonit-Cetra. Era il 1976. L'esordio vero e proprio è legato all'Arci, braccio culturale del Partito comunista, che mi ha invitato a prendere parte ad un concerto. Tengo molto a dire che, nonostante le richieste, non ho mai voluto aderire a niente: io ho un nome, cognome e codice fiscale. E qui mi fermo».
Sta parlando delle Feste dell'Unità?
«Esatto. Non avevo neppure vent'anni. Mi manca un ricordo nitido. Di sicuro non ero emozionato».
E neppure autoreferenziale.
«Non mi piace parlarmi addosso. Il mio album della memoria è simile a tanti altri fino a quando non ci si è messo di mezzo il lavoro, cioè una di quelle sterzate che - piaccia o no - ti fanno cambiare vita».
Cosa significa suonare?
«Per me è un ansiolitico. Mi basta sfiorare la chitarra, qui in casa mia, per sentirmi più sereno. Sarà anche banale, ma per me suonare significa trasmettere agli altri qualcosa che ho dentro. Non potrei fare a meno della chitarra».
Che lavori ha fatto prima dello strappo?
«Ho insegnato per un po': tutti promossi... poi ho iniziato con la Pedagogia e quindi ho attraversato, una dopo l'altra, le strutture socio-sanitarie della Sardegna. Fino all'Aias, che credo sia piuttosto nota. Per ragioni rimaste misteriose fino a quando lavoravo sottopagato ero semplicemente signor Palmas. Dottori erano i miei colleghi, pedagoghi come me ma stabilizzati. Per gli altri sono diventato dottore anch'io soltanto più tardi. Dottore, s'intende poi, per modo di dire».
Perché per modo di dire?
«Perché non eravamo medici, che sono considerati dottori veri. Diciamo che noi eravamo la serie B. In compenso mi affidavano corsi di chitarra acustica che gestivo molto volentieri».
Tra queste esperienze qual è stata la più frustrante?
«Quella da pedagogo. Avevo chiesto di poter lavorare con la musica. Non quella che viene oggi chiamata musicoterapia, mi riferivo alla musica in generale. Mi è stato risposto no, senza uno straccio di spiegazione. Ne ho sofferto, soprattutto per questo: ero e resto convinto che avrei potuto recuperare qualche paziente. I Down in particolare, che spesso sono estremamente sensibili nei confronti della musica».
Così matura l'idea della fuga. Quanto ci ha pensato?
«Prima di mollare tutto credo d'aver valutato pro e contro. Ancora oggi però, quando mi capita di parlarne con gli amici, resto appeso a due aggettivi: incosciente e coraggioso. Sul serio, non ho ancora deciso se sono stato l'uno o l'altro o tutt'e due contemporaneamente».
D'accordo ma quanto ci ha pensato prima di rompere?
«Non moltissimo. A spingermi era qualcosa che non riuscivo ad accantonare: una passione segreta a fronte di un lavoro che non mi trascinava, non mi dava neppure tanti soldi e che, in ogni caso, consapevolmente o inconsapevolmente, desideravo rimuovere. Di una cosa ero sicuro: non volevo morire pedagogo. Devo dire anzi che all'Aias mi sono trattenuto molto, molto più del necessario».
Come mai?
«Ci promettevano, non soltanto a me ovviamente, soldi in più. Ci parlavano di stipendi futuribili, prodigiosi o quasi. E questo, ognuno ha le sue debolezze, mi ha fermato ogni volta che volevo spiccare il volo verso altri lidi».
Prima di dire basta, ha sondato gli umori in famiglia e tra gli amici?
«Naturalmente. Mio figlio era troppo piccolo per poter partecipare al dibattito. Gli altri, a cominciare da mia moglie, finivano per darmi ragione. Un secondo prima della fuga, ho lavorato anche al centro-giovani di Elmas da dove mi sono licenziato per incompatibilità col pedagogo-capo: avevamo visioni diametralmente opposte sul significato di assistenza».
Nessuno le ha detto che era matto?
«Che ero matto me lo dicevano più o meno tutti. Magari non in modo esplicito, però certi sguardi spiegano meglio delle parole. Ma poi devo confessare che i miei erano sondaggi un po' ipocriti: mentre chiedevo consigli agli amici, stavo già registrando il mio primo cd da solista. Questo vuol dire che, opinioni degli altri a parte, avevo preso da tempo la decisione finale».
Esiste una depressione da musica?
«Senz'altro. Mi imbarazza definirmi compositore, compositore per me è Mozart, tuttavia debbo dire che ci sono fasi in cui manca l'ispirazione. Non parlerei comunque di depressione vera e propria, anche perché è in quei momenti che qualche volta nasce un disco eccezionale. Da un po' preferisco in ogni caso suonare in pubblico e basta. Ho scelto di stare in un circuito molto speciale».
Ovvero?
«L'ambiente musicale è fatto di niente e di moltissimo. Io ho deciso di stare in una sorta di sottobosco, di piazza parallela a quella dei grandi circuiti. Ne sono felice perché mi ha permesso di conoscere un mondo pieno di dignità, rispetto e condivisione».
Per chi e come?
«Difficile da dire. Giorgio Gaber, riferendosi a certe idee, cantava che le aveva in testa ma non ancora nella pelle. Per dire che tutto questo fa parte del cammino iniziato molto tempo fa. Ho scelto un altro modo di vivere, tutto qui. E in quel solco mi muovo».
Com'è cambiata la sua vita?
«Mi sento più normale rispetto a me stesso. E non è poco. Prima dovevo stare a certe regole, ora non più. Per un certo periodo ho fatto anche il mercenario. Che, nel mondo musicale, significa saltare da una band all'altra: libero professionista, pagamento in contanti».
Poco dignitoso?
«No, però non facevo parte di nessun gruppo. È stato durante quella stagione che ho prodotto tre dischi. Uno è arrivato alla terza ristampa, ne sono molto soddisfatto. Nel 2010 dal Piemonte mi hanno invitato ad un festival internazionale per chitarra acustica. M'hanno scritto loro, non mi sono proposto».
Cambia qualcosa?
«Sì, molto. Vuol dire che non stai sgomitando, non stai cercando santi in paradiso per fare il prezzemolo più o meno dappertutto. Di quella splendida occasione ricordo uno strano particolare, qualcosa che nella mia Sardegna non sarebbe mai potuto accadere».
Che è successo?
«Tanto per cominciare mi hanno offerto aereo, albergo e altre spese. Dopodiché mi hanno pagato in anticipo pure il concerto. Ma a colpirmi è stato il fatto che nessuno mi ha chiesto cd in omaggio. Li hanno venduti tutti. E pure quelli m'hanno pagato».
Dove sta l'eccezionalità?
«In Sardegna è un atto dovuto regalare i tuoi cd agli assessori che hanno organizzato il concerto. Manco te lo chiedono, devi essere tu a fargliene dono subito dopo le presentazioni e dire pure che ti senti onorato».
Vendere a casa propria è facile?
«Per niente se non sei legato a un carro. Ma sono contento così. D'altra parte ho potuto togliermi grandi soddisfazioni: per esempio, fare l'artista di strada. Mi incuriosiva. L'ho fatto a Parigi (e ne ho ricavato un bel po' di quattrini), l'ho fatto a Pula (e stavo a testa bassa per timore che qualcuno potesse riconoscermi)».
Non è capitato?
«Sì, proprio a Pula. Un amico. Ma anziché regalarmi un po' di pietà a buon mercato, ha preferito farmi i complimenti. E quando gli ho detto che sotto sotto mi vergognavo... e di cosa?, mi ha chiesto: stai spiegando ai sardi che anche questa è cultura».
Di musica si vive?
«Direi di sì. Certo, ci sono alti e bassi, momenti più o meno felici. Ma questo è un problema secondario, comunque ci sto provando. Resistere non è poi una gran fatica: ho un'auto di seconda mano che tento di tenere in vita, abolita la tivù e altre cosucce assolutamente inutili. Nel frattempo tiro avanti come voglio io: sono il cittadino Roberto Palmas e nient'altro, appartengo solo a me. Felice d'una malattia adolescenziale che mi perseguita ancora adesso: sono e resto un fan. Sindrome di Peter Pan, si dice?»
Dica la verità, tornerebbe all'Aias.
«Neppure per un minuto. Vivere con la musica e per la musica mi rende felice. Sa cos'è la felicità? Io l'ho incrociata tante volte. Dura un istante ma è indimenticabile. Ricordo un concerto magico, una serata che - vai a scoprire perché - tutto ha girato a meraviglia. Alla fine, siamo scesi dal palco ad abbracciare il pubblico. Meraviglioso».
Ha ragione Edoardo Bennato a dire che senza padrini non si suona?
«Purtroppo sì. È il senso della politica per la musica».
pisano@unionesarda.it

6.10.13

Il giornalista Francesco Gangemi in carcere per diffamazione Il sindacato: "Allucinante, ha 79 anni " e Sallusti libero ? la legge non è uguale per tutti

due  pesi  e due  misure    sallusti  aveva  le spalle  coperte   dal  padrone    e  dai  suoi  lacchè tanto da  volerli fare  un lodo  ad  personam ed una  grande  campagna  stampa  . Poi  conclusa  in un nulla di fatto e la legge  astrusa   che  è  rimasta  in vigore  . Infatti  è news  d'oggi 



IL  giornalista Francesco Gangemi, di 79 anni, è stato arrestato a Reggio Calabria dalla polizia in esecuzione di un provvedimento di carcerazione emesso dalla Procura generale della Repubblica di Catania.


In carcere a 79 anni con una condanna per diffamazione a mezzo stampa. E' quanto accaduto a Francesco Gangemi, classe 1934, giornalista pubblicista dal 1983, direttore del periodico mensile Il Dibattito che esce Reggio Calabria. Gli agenti della squadra mobile della città calabrese hanno notificato al giornalista un ordine di carcerazione emesso dalla Procura generale della Repubblica di Catania a firma del sostituto procuratore generale Elvira Tafuri. Alla base del provvedimento c'è l'ultima sentenza, passata in giudicato che lo riguarda, del 21 novembre 2012 emessa dal tribunale della città etnea. In tutto, però, sono otto le sentenze emesse, dal 2007 al 2012, a carico del direttore del mensile nei tribunali di Reggio Calabria, Cosenza e Catania, in gran parte per il reato di diffamazione. In un solo caso, inoltre, Gangemi, è stato condannato per falsa testimonianza: la vicenda è relativa all'attività politica svolta dal giornalista che ha anche ricoperto la carica di sindaco di Reggio Calabria, per poche settimane, agli inizi degli anni '90 in un periodo molto travagliato per la città calabrese dello Stretto. Gangemi, dopo l'arresto, è stato condotto prima in Questura e, successivamente, nella casa circondariale San Pietro di Reggio Calabria. Nel provvedimento di arresto della magistratura etnea è scritto anche che il "condannato" Gangemi "ha omesso di presentare l'istanza per la concessione delle misure alternative alla detenzione nei termini prescritti". A dare notizia dell'arresto di Gangemi è stato il figlio, giornalista anche lui e direttore di un sito d'informazione on line che, dopo avere definito "grottesco" il provvedimento, ha ha fatto riferimento alle patologie di cui soffre il genitore che, ha aggiunto, si è visto assegnare una "invalidità al 100%". Il provvedimento di carcerazione ha provocato l'immediata reazione della Federazione della stampa. "E' allucinante - hanno commentato il segretario generale, Franco Siddi, e il vicesegretario nazionale e segretario del Sindacato giornalisti Calabria, Carlo Parisi - che a 79 anni, un giornalista, condannato per diffamazione e per non avere rivelato le fonti fiduciarie di notizie, venga arrestato e portato in carcere. Quanto accaduto al giornalista pubblicista Francesco Gangemi appare una mostruosità difficilmente concepibile per qualsiasi ordinamento democratico che si fondi sulla libertà di espressione, di stampa e sul pluralismo delle idee". Siddi e Parisi, nella dichiarazione, hanno fatto appello al Parlamento "perché voglia, con urgenza riformare la legge sulla diffamazione" e si sono rivolti anche alle cariche istituzionali dello Stato per chiedere "una considerazione appropriata e umana del caso che faccia uscire al più presto il giornalista Gangemi dalle patrie galere". A favore dell'appello si è schierata anche l'Unione cronisti.



Vajont 9\10\1963. -9\10\2013 una ferita ancora aperta

Questa è una dele rare  volte  che  , anziché mettere   direttamente  il video da  youtube ,  uso  donwloadhelper  di  mozilla firex   in maniera  da  salvare  questo  video  .


 Il post  d'oggi  è , per provocazione   e scelta  personale  davanti  al fiume  di  inchiostro\bit   che ci  sarà fra qualche  giorno  ( per  poi  cadere nel dimenticaio  fino  alla prossima  celebrazione  ) per  i  50 anni dell'evento  , senza  parole  . Lascio che  a parlare  siano  i link riportati sotto per  chi volesse    approfondire   (  chi non conosce  )  e ricordare  (  chi  ha dimenticato  ) o  vuole  ricordare  ancora  .



 concludo  con quanto detto   dal mio prof  di  francese  delle superiori    , quando  ho postato    questo documentario sulla sua bacheca  di facebook  : << é bene ricordarlo a un popolo senza memoria>>

5.10.13

Roma, arrestati tre poliziotti per violenza sessuale su due donne

quasi quasi m'iscrivo , tanto ci saranno colleghi a difendermi e scendere in piazza ( vedere i fatti di napoli 2001 ) o verrò promesso se commetto reati ( diaz e bolzaneto genova 2001 ) . OVVIAMENTE SENZA GENERALIZZARE perchè in mezzo alla merda ci posso essere delle perle



Roma, arrestati tre poliziotti per violenza sessuale su due donne

Le vittime degli stupri sono una donna sudamericana agli arresti domiciliari e una ragazza italiana che era stata fermata per accertamenti. Destinatari dei provvedimenti di custodia cautelare sono un sostituto commissario, un assistente ed un operatore tecnico della Questura


E a quanto si è appreso da ambienti investigativi gli stessi poliziotti avrebbero ammesso le accuse. La prima vittima aveva 18 anni all’epoca dei fatti. La ragazza, romana, era stata fermata assieme ad altri amici nel 2012, la sera della finale degli Europei di calcio, perché in possesso di hashish. Una volta trovatasi da sola in ufficio al commissariato di San Basilio, mentre gli altri ragazzi fermati venivano sottoposti al foto segnalamento, la vittima sarebbe stata costretta ad avere un rapporto sessuale con l’agente in borghese. Tutto sembrava essere passato sotto silenzio. Alcuni mesi dopo, però, la giovane ha denunciato l’accaduto. Ma il commissariato aveva altre due ‘mele marce’. A denunciarli è stata una prostituta sudamericana che era agli arresti domiciliari dal dicembre 2012. La donna era stata arrestata assieme al marito perché accusata di gestire un locale notturno con delle squillo.Nei mesi seguenti, durante i controlli dei due agenti, la donna sarebbe stata costretta ad avere diversi rapporti sessuali. In entrambi i casi – chiariscono gli investigatori – le vittime non sarebbero state picchiate, ma costrette dalla sudditanza psicologica di fronte al ruolo che quelle persone rivestivano. Per la Squadra Mobile sono stati mesi di pedinamenti, analisi di tabulati e ricerche di testimonianze che hanno portato a prove concrete su quelle accuse mosse dalle due donne. La vicenda ha ricordato l’episodio della caserma del Quadraro a Roma nel febbraio 2011, quando – secondo le accuse di una 32enne – tre carabinieri ed un vigile avrebbero indotto la donna a subire atti sessuali mentre era ristretta nella camera di sicurezza dopo averla fatta ubriacare. Solo alcuni mesi fa invece altri agenti sono stati arrestati con le accuse di violenza sessuale, corruzione, falso e furto. A far scattare le manette da parte della Squadra Mobile era stata una denuncia presentata da un commerciante. I quattro agenti avrebbero preteso dagli stranieri, tra il 2009 e il 2010, somme di denaro in cambio di mancate denunce. Le accuse di stupro invece riguarderebbero violenze ai danni di prostitute. I quattro indossavano sempre la divisa per tenere sotto scacco le vittime.L’operazione della Squadra mobile, inoltre, arriva pochi giorni dopo la sentenza definitiva che ha condannato un altro poliziotto per stupro. Massimo Pigozzi, tra gli agenti responsabili delle violenze di Bolzaneto dopo il G8 di Genova, dovrà scontare dodici anni e sei mesi di carcere per quattro episodi di violenza sessuale risalenti al 2005. Le vittime erano prostitute, rumene e senza fissa dimora, fermate e seviziate in Questura a Genova.

4.10.13

Guerra e Sorcinelli, tweet (falsi) "Chi ti piglia?". L'altra: "Sei cessa".

Le ex olgettine Guerra e Sorcinelli in una delle tante pose lesbo





 da  l'unione  sarda
Guerra e Sorcinelli, tweet (falsi)
"Chi ti piglia?". L'altra: "Sei cessa".




Tweet al vetriolo tra le due ex olgettine Barbara Guerra e Alessandra Sorcinelli. La notizia fa il giro del web ma poi le due svelano che era tutta una bufala per attirare l'attenzione. Ci sono riuscite.
Barbara Guerra e Alessandra Sorcinelli, ex olgettine, per una giornata intera sono sembrate essere anche ex socie in affari ed ex amiche. Hanno fatto finta di insultarsi su Twitter dopo aver registrato insieme un marchio di abbigliamento, facendo intendere che il disguido era partito proprio da lì ma dopo 24 ore, le due si complimentano tra loro - chiamandosi sempre "socie" - per aver tenuto incollati fans e curiosi ai loro tweet volgari e carichi d'insulti studiati a tavolino. Una trovata pubblicitaria, l'ennesima. Ecco quello che hanno avuto il coraggio di scriversi.


I TWEET AL VETRIOLO - Pronte le accuse della Guerra. "Esclusiva!!! Tra poco pubblico Sorcinelli e il suo sessantenne alcolizzato... Mentre ti lecca nuda la cioccolata. Poi sul lettone bacio", scrive sul suo profilo.
"Brutta l'invidia. Le sue amiche sposate e innamorate e lei con il panzone vecchio. Ecco perché si sveglia al mattino rompendo i c..., cinguetta ancora la Guerra, senza ricevere risposta. Poi spunta anche la foto di una conversazione su Whats App delle due che si insultano. "Ti rispondo esclusivamente per farti sapere che con te non voglio più avere a che fare visto le tue belle parole di ieri, lasciami vivere, io sono felice e fidanzata non ho bisogno di te ripeto! Per quanto riguarda la mia metà (della linea di abbigliamento, ndr) lascia esattamente tutto com'è li regalerò ai poveri in Africa", scrive la Sorcinelli.
E giù con il tema "forte", la chirurgia estetica e i fisici mozzafiato mostrati nelle foto lesbo pubblicate a più riprese dalle due. Ecco altri finti tweet: "Bella sorcina! Prima di dimagrire come me ti eri già rifatta ma sempre cessa eri. E ora l'esclusiva sorcina con il suo salam solo per voi" e "Ora capisco perché Claudia Galante e Aida la snobbano sta disperata ci imita a tutte e poi accusa noi. Ahh rifatta quanto cazzo ericessaaa!", scrive la Guerra. La replica: "Stolker adesso fa la vittima che ho finalmente risposto alle sue calunnie e insulti". Poi ancora: "Il suo pseudo fidanzato ci ha provato con me per fare una cosa a tre e io non ci sn stata per questo parla male di me", scrive sul social la Sorcinelli tirando ancora in ballo il presunto amore della Guerra.
"Io ho talento e non mi andava più di mostrare solo tette e culo tu l hai presa molto male", per poi pubblicare le foto della Guerra (che l'accusava di essere una rifattona) che si fa pompare le labbra dal chirurgo: "Hajajajaj ma chi te piglia, questa sei tu b.... , prima e dopo il chirurgo faicagare lo stesso".
LA RIVELAZIONE: "CI SONO CASCATI" - Fine di un'amicizia? Macché, era tutto uno scherzo. Come le foto lesbo e le tante immagini delle due paparazzate mentre fanno shopping per le vie di Milano. Tutto studiato e costruito da due ragazze che evidentemente amano sentirsi addosso i riflettori.

3.10.13

L'ultimo viaggio sulla Terni-Carpinone un giorno sulla Transiberiana d'Italia

   vi potrebbe. e interessare
http://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2013/09/su-vecchie-locomotive-per-un-viaggio.html


se invece di portarla dove non serve o in maniera scriteriata cioè creando doppioni anziché fare delle migliorie su tratti già esistenti s'eviterebbero fatti del genere


da repubblica online del 3\10\2013
L'ultimo viaggio sulla Terni-Carpinone un giorno sulla Transiberiana d'Italia 
Otto ore dal mattino fino alla sera sugli Appennini. Dall'Umbria fino al Molise. Raggiunge gli spazi più freddi e le vette più alte che le ferrovie in Italia abbiano mai raggiunto. Ma ora non la si può più fare. Un estratto dell'ultimo viaggio sulla Terni Carpinone tratto dal libro Giro in Italia del Touring Club Italiano

 


 FEDERICO PACE
Prima scorrono le irregolari forme degli orli urbani. Le pareti assolate degli edifici, i cortili premuti tra le strade e la solitudine verticale dei pali della luce. Poi è già tempo di campi coltivati. Il treno è partito dalla stazione di Terni quando sono passate da poco le nove e trenta del mattino. E' un'automotrice diesel. Un convoglio della Ferrovia Centrale Umbra capace di muoversi da sé nella cui sigla, ALn 776, stanno celate le segrete caratteristiche. Il tipo di rotabile, la trazione e persino il numero di passeggeri. Con questa arriverò fino a L'Aquila. E' uno di quei veicoli che, con la sua moderata velocità, fanno pensare alla ferrovia come a un organismo che può essere trattato ancora con cura e attenzione. Anche lì, dove si è lontani dalle traiettorie privilegiate degli affari e a risaltare sono le persone e la natura.
Questa è la vena ferroviaria che passa dentro il corpo centrale dell'Italia. Un itinerario che comincia al mattino e si conclude al tramonto. Otto ore per percorrere il dorso degli Appennini da Terni a Carpinone. Dall'Umbria fino al Molise. Anche questa ferrovia, desiderata a lungo, divenne realtà, come molte altre in Italia, solo alla fine dell'Ottocento. Il treno, che ha un motore a sei cilindri e duecentottanta cavalli, comincia a salire. Nel breve volgere di venti minuti si passerà dai cento metri di altitudine di Terni ai quasi cinquecento di Contigliano. La ferrovia va verso sud, gira quasi intorno a Terni, passa Stroncone e poi risale verso nord e arriva dove il Nera si incontra con il corso del Velino e dà vita alla precipitosa Cascata delle Marmore. Un balzo di quasi centosettanta metri. Poi, a sinistra, il lago di Piediluco.
La linea ora passa nell'agro reatino lungo l'alveo del fiume Velino e sfila tra i Monti Sabini e i Monti Reatini. Si direbbero luoghi immutabili. Eppure, anche i paesaggi, segretamente, mutano le loro forme seguendo però una cadenza che oltrepassa le nostre vite. E il nostro sguardo. Un tempo qui c'era un grande lago: il Lacus Velinus. Ora restano solo esigue acque a rammentarne l'esistenza. Cosa ci sarà in questo stesso spazio tra trecento anni? E tra mille, cosa vedrà chi si inoltrerà fino a qui?
Quasi in ogni punto di questa linea ci si ritrova sulla cresta di un monte, nell'alveo di un fiume e tra una vegetazione esemplare. Si è condotti, incessantemente, in un "a tu per tu" con una natura denudata e fragilissima. Poi, d'improvviso, in un finestrino balugina la figura luminosa di una mucca bianchissima che appare e scompare. Arriviamo a Contigliano. Dal finestrino si vedono filari di alberi e foglie di rame. L'andare piega ancora più decisamente verso est. Alla Stazione di Rieti, il macchinista della littorina si affaccia a guardare di fuori. Dopo essere ripartiti, il treno sale di nuovo. Dieci minuti e si arriva a Cittaducale. Due ciclisti scendono dal treno. Sono già pronti per pedalare. Ai fianchi della ferrovia, le vette sono presenze costanti, insistenti, protettive. Il monte Paterno è tra quelli più vicini. In lontananza svetta il monte Terminillo. A destra la valle del Salto. Poi Castel Sant'Angelo e Borgo Velino. Da Antrodoco il treno torna a inerpicarsi. E' in questo tratto che la ferrovia raggiunge la pendenza massima.
Quando ci si infila nelle gole, quando il treno si ritrova a passare tra le trincee, in quei muri di controripa, il punto di vista laterale, privilegio particolare del viaggiatore ferroviario, diventa una sorta di costrizione. Quando infine vengo ammesso nella cabina con il banco di guida, provo una vertigine. In questo punto, proprio tra Antrodoco e Sella di Corno, è stupefacente avere, per la prima volta, davanti a sé l'orizzonte. La traccia della ferrovia, i binari, le traversine in legno, la lucente massicciata di ghiaia e pietrisco sembrano comporre un varco segreto che passa fra i monti. Il treno si infila, e pare chinare la testa quando lo fa, sotto le volte in pietra della gallerie. E' in questo tratto che la linea compie un mezzo giro e si arrampica verso il valico, il punto acuminato, in cui la valle dell'Aterno si dà il cambio con quella del Velino. Si passa il confine tra il Lazio e l'Abruzzo. Proprio qui avvenivano le scene di doloroso distacco tra le madri e i figli di quelle famiglie che, alla fine dell'Ottocento, andavano a lavorare nell'agro romano e nel Grossetano. Andavano a fare gli spaventapasseri per poche lire.
Gli ultimi colori dell'anno crepitano sui fianchi delle montagne. Piccoli punti colorati. Verdi luminosi, gialli, aranci e rosa. Se è vero che ciascun viaggio, ciascun percorso, sembra avere un momento in cui ne viene svelata l'essenza, questo sembra averne più d'uno. Ogni volta che esci da una galleria, solo tra Terni e Sulmona ce ne sono almeno trenta, il mondo si ripresenta sempre, eppure cogliendo di sorpresa. Il treno va verso L'Aquila. Lì, quando si arriva verso le undici e trenta, si cambia automotrice. Si riparte dopo un quarto d'ora. Si va ancora verso est-sudest. Si passano Paganica e San Demetrio nè Vestini. A sinistra, i Monti della Laga. A destra, il Gruppo del Sirente-Velino. Tra le rocche calcaree si trovano nascosti valloni isolati ricoperti di boschi e altipiani verdi di pascoli. Sui versanti più alti, ci sono le faggete della Val di Teve. Lassù c'è anche qualche betulla. Poi dal finestrino, per un attimo, pare di intravedere il brillare di uno specchio d'acqua. E' solo un'illusione. Una rifrazione.

Passiamo Castelvecchio Subequo. A sinistra la Riserva naturale delle Gole di S. Venanzio con la roverella, il biancospino, il terebinto e le orchidee. La linea scende fino a Raiano per almeno cento metri di altitudine e prosegue la sua traiettoria longitudinale attraverso tutto l'Abruzzo. E' il treno è il mezzo ideale per venire tra gli abruzzesi. Loro lo conoscono bene questo marchingegno ferrato. Si potrebbe quasi dire che lo loro storia è intessuta con quella dei treni. Nelle foto d'epoca si vedono i volti delle persone che dall'altopiano delle Rocche andarono a costruire ferrovie in tutto il mondo. Erano talmente bravi, tenaci e ostinati, e bisognosi di un impiego, che molti si ritrovarono a mettere insieme, nei gelidi inverni della Russia, il tratto più difficile della Transiberiana: quello che costeggia il lago Bajkal. Si scende ancora un poco fino ai circa trecento metri d'altezza di Pratola Peligna. Quando mancano una ventina di minuti all'una, si arriva a Sulmona.
Da qui, il primo trenino per Carpinone parte quando manca un quarto d'ora alle quattro. La littorina è una di quelle un po' più datate. Il treno comincia ora una vertiginosa salita. Si va verso sud. Sulla sinistra il parco nazionale della Maiella. A destra si vedono, appollaiate alle basi del Monte Genzana, le case di Pettorano sul Gizio. Difficile non venire attratti da questo paese, dall'apparizione della schiera di case che si sporge e sembra intonare un muto richiamo. Poi la linea gira per ascendere la Cresta di Pietramaggiore. Una sequenza di gallerie prima di Cansano. Il giorno comincia già a piegare il suo capo. La luce diventa radente e si intravedono persino singoli raggi solcare lo spazio delle valli. Sembra di stare più in alto di quanto siamo in realtà. Di avvicinarsi al cielo. La ferrovia passa su viadotti che si insinuano nelle creste di pietra dei monti. Alla stazione di Campo di Giove, a quasi novecento metri di altezza, una vecchina dai capelli argentei, avvolta in cappotto nero, scende portando dietro di sé un trolley blu. Il treno prosegue la sua marcia.
La Majella mostra tutta la grandezza mentre andiamo ancora verso sud. Le stazioni sono approdi desolati. Nessuno, o pochissimi, stanno ad aspettare. Qualche antenna satellitare. Il treno continua a salire come preso da un anelito. Stiamo per arrivare a una delle stazioni ferroviarie più alte d'Italia. Andiamo verso il Monte Calvario e arriviamo a Rivisondoli e Pescocostanzo. Siamo a oltre mille e duecento metri di altezza. Un padre aiuta la sua bimba, intabarrata in un giubbettino, cappelino e calzoni imbottiti di colore viola, ad attraversare il binario. Poi Roccaraso. Da qui il treno comincia a scendere di nuovo. Alfedena-Scontrone. Il mondo sembra farsi meno teso e acuto. Lasciare la montagna, ad ogni modo, restituisce una sorta di tranquillità. E' come se le maglie dello spazio e del tempo stiano tornando ad allentarsi dopo essersi strette fittamente.
Ad un passaggio a livello una macchina aspetta. Anche le persone a bordo stanno andando verso una meta, una casa. Alla stazione di Castel di Sangro, tre persone sono gli unici segni di vita in questa terra che pare relegata a un silenzio assoluto. La ferrovia torna di nuovo a salire. Poi lasciamo l'Abruzzo ed entriamo in Molise. Arriviamo alla stazione di S. Pietro Avellana, passiamo la riserva naturale di Montedimezzo con le faggete, la festuca dei boschi, gli scoiattoli e le vipere. Poi il Monte Pizzi. L'automotrice trova sollievo in una nuova discesa. Una giovane cinese sta da sola e guarda fuori dal finestrino. Anche lei sembra sorpresa da come la giornata sia riuscita, nonostante tutto, a consumare inesorabilmente la sua brillantezza. In questo spazio così recondito, così lasciato a se stesso, tutto appare più acuto, anche la presenza di un uomo o di una donna. Anche i pensieri e le emozioni.
Ora il mondo, anche quello che sta aggrappato alla schiena dell'appennino, è quasi buio. Si vedono le scie dei fari delle vetture agli incroci. Le ombre delle persone che si affrettano verso casa. Siamo a Carovilli. Due donne, illuminate dal freddo di una luce a neon, agitano la mano per salutare qualche caro che è appena partito. E' facile intuire la solitudine inumidita che proveranno quando rientreranno, sole, nella loro cucina. Senza luce il percorso ferroviario diventa un discorso le cui uniche parole, la cui unica punteggiatura, è formata dai chiarori delle stazioni ferroviarie. Il resto comincia a sparire. A sinistra c'è, celata nella semi-oscurità, l'abetina di Collemeluccio con il suo bosco relitto di abete bianco. Dopo tutti quei colori, dopo tutte quelle valli e queste vette, tutto sembra essersi dissolto con lo svanire del giorno. Quando si intravedono le luci della stazione di Carpinone, ultime boe luminose di questo mare, approdiamo al nostro porto finale mentre l'oscurità della notte ha ormai rimarginato la ferita del giorno.


"Quel trenino che non c'è più"
L'Italia delle ferrovie perdute

Soppresso un sempre maggior numero di ferrovie locali. Dalla Sulmona-Carpinone alla Alba-Asti. Un'aggressione alla storia, alle piccole economie locali e alle speranze delle aree emarginate


Sono fragili e preziose e stanno scomparendo. Le ferrovie minori sono sempre meno, eppure sono quelle che uniscono i piccoli centri e si avvicinano all'anima più segreta dell'Italia. Ai suoi paesaggi e alle persone. Sulmona-Castel di Sangro-Carpinone o Alba-Asti. Sono nomi che evocano paesaggi e storie. Gli Appennini o i luoghi di Beppe Fenoglio. Sono solo tra le più recenti a essere state fatte fuori. Tante sono però quelle che vengono dismesse e abbandonate. Troppi costi per pochi passeggeri, si dice. Così, se si digitano i loro nomi sul sito delle Ferrovie Italiane, se si cerca di comprare un biglietto, al più ci si ritrova davanti agli occhi l'orario di un autobus sostitutivo. A oggi le ferrovie in abbandono ammontano a oltre 6mila chilometri in tutta Italia e il numero tende a aumentare di anno in anno.

Del destino del patrimonio infrastrutturale storico italiano si parla il 3 e il 4 ottobre a Rimini al convegno di CoMoDo, la Confederazione per la mobilità dolce che raccoglie venti associazioni che si occupano di tutela dell'ambiente e del paesaggio legati al recupero delle ferrovie in abbandono. Albano Marcarini, urbanista e presidente di CoModo, sostiene che se si sopprime un treno locale "si cancella la memoria e l'identità di un territorio, il suo presidio viene sganciato dal palinsesto della nazione. Ciò significa accentuare isolamento e perdita di relazioni. E questo accade spesso in aree già emarginate dallo sviluppo. Per questo è necessaria la realizzazione di una rete nazionale di mobilità dolce, basata sul recupero delle infrastrutture dismesse o male utilizzate: ex-ferrovie, strade, argini di fiumi e canali".
Le linee regionali del Piemonte o la Avellino-Rocchetta S. Antonio in Campania sono altri esempi di linee abbandonate nonostante lo straordinario interesse ingegneristico e paesaggistico. La chiusura della Sulmona-Carpinone, che cavalca gli Appennini tra Abruzzo e Molise rende ormai impossibile quel viaggio-impresa che era la Terni-Carpinone, un itinerario che comincia al mattino e si conclude sul ciglio del tramonto. Otto ore per percorrere il dorso degli Appennini.
La difesa di un treno locale, di una ferrovia abbandonata, è tutt'altro che un atto nostalgico. E' come bloccare un pezzo di un apparato circolatorio. "Le vicende che, fra la fine dell'800 e primi del Novecento, hanno condotto alla realizzazione in tutta la nostra penisola di migliaia di chilometri di ferrovie 'minori' - dice Marcarini  -  svelano il significato della loro presenza come capisaldi del territorio, identificazione delle comunità locali e investimento in capitale fisso sociale. E fanno capire tutti i benefici che potrebbero ancora arrecare sia sotto il profilo turistico, se recuperate come ferrovie, sia sotto quello del tempo libero e della mobilità dolce se trasformate in greenways aperte a una pluralità di fruitori: pedoni, ciclisti, portatori di handicap."
Molte di queste ferrovie minori, quelle dismesse e quelle che sono ancora in vita, possiedono un potenziale turistico immenso. Basti pensare alla ferrovia, vero miracolo ingegneristico, che sulla Siracusa-Ragusa attraversa tutto il Val di Noto tra digradare di terrazze, gallerie, la pietra bianca e i miracoli  barocchi di Modica, Scicli e Noto. Certo, non sempre è così. Ma non per questo però, devono essere lasciate a se stesse. Per Marcarini bisogna essere chiari su questo punto: "Non tutte le vecchie ferrovie possono essere una risorsa per il turismo. Molte però sì, ma per tutte comunque è possibile un destino migliore dell'abbandono che significa soltanto degrado e incuria del territorio, fenomeni non degni di un Paese che si considera avanzato".
Da fare ci sarebbe molto. In Europa si stanno già dando da fare per tutelare questo patrimonio. E alcuni modelli andrebbero osservati con attenzione. "Per quanto riguarda la valorizzazione turistica delle linee secondarie -  racconta Marcarini - la Svizzera fa da modello, ma ora anche in Italia con il successo della linea Merano-Malles. Per quanto riguarda il recupero, direi la Spagna, con il progetto 'Viàs Verdes', che ha portato in pochi anni alla trasformazione in piste ciclopedonali di oltre 1000 km di ex-ferrovie".
Ma è possibile un futuro programmabile per queste linee regionali italiane. Albano Marcarini che è un viaggiatore, soprattuto a piedi e in bici, e autore di numerose guide di viaggio e che l'Italia la conosce quasi palmo a palmo confessa che proprio in questo momento di crisi generale "sarebbe un lusso troppo grande disperdere e buttare al vento questo patrimonio" e lancia una proposta: "noi di CoMoDo proponiamo la sua conservazione immediata e la sua futura valorizzazione nelle migliori forme possibili anche attraverso l'istituzione di una Fondazione... o, mi si passi la battuta, di un'Opera Pia per la salvezza delle vecchie ferrovie"
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2.10.13

gli anni del mare e della rabbia ( tiziano sclavi - seconda marea ) edizione con Xl di repubblica

 https://www.facebook.com/Secondamarea
https://myspace.com/secondamarea/
http://it.wikipedia.org/wiki/Tiziano_Sclavi


chi dice  che musica  e  poesia  sono cose diverse  ,  viene smentito  oltre  che dai classici  della musica  (  DE ANDRE  ,  BOB DYLAN , GABER  , ECC )      da questo  cd recente   i cui testi    sono di tiziano  Tiziano Sclavi



"GLI ANNI DEL MARE E DELLA RABBIA" è in edicola! 
Il cd (20 canzoni, con la partecipazione straordinaria di Antonio Marangolo e con i testi di Tiziano Sclavi) è allegato a XL di REPUBBLICA per tutto il mese di ottobre.

 se  nel caso  non dovesse trovare  in edicola   lo potete trovare qui   , anche  se  4  canzoni in meno  


restituisce con grande efficacia il tessuto esistenziale dal quale sono scaturite le atmosfere in cui si muove l’investigatore dell’incubo, nato dalla fervida fantasia dell’autore ma radicato anche in una tormentata formazione sentimentale propria di una generazione che, coltivando nel profondo dell’animo indefinibili paure, è cresciuta nella frustrante sensazione di non essere mai dove avrebbe voluto essere. Sull’aria di struggenti ballate e armoniose melodie, sorrette dall’alternarsi delle voci sui ritmi dettati da chitarre, tastiere, pianoforte, fisarmonica e batteria, si anima così un dolente ma appassionante romanzo di formazione che, grazie alle ispirate composizioni musicali dei Secondamarea, svela le sembianze di un poeta capace di indagare magistralmente il nostro orrore quotidiano, popolato da incubi come la solitudine e l’insignificanza di tutti giorni ben più temibili di zombie e vampiri. Dalle ancestrali paure del bimbo al grande vuoto dell’adolescente, tra ragni d’inchiostro ed oscene meduse, le estenuanti giornate al mare negli anni della rabbia e le inquietanti ombre che si levano nel buio della notte, nel succedersi di fiabe, ballate e filastrocche che cantano il mal di vivere in contesti nei quali è impossibile specchiarsi, si offre così allo sguardo e all’ascolto l’immagine più autentica di Sclavi senza la conturbante e fascinosa maschera di Dylan Dog. 



Ci sono grandi sogni e grandi spaventi in questi testi. Probabilmente il filo rosso che tiene
unite tutte queste canzoni è la metafora di un lungo romanzo di formazione. Se uno ascolta il disco dall’inizio alla fne ha l’impressione di crescere insieme a Tiziano e attraverso la nostra musica viaggiare nel tempo, dagli anni 70 fino a oggi, passando attraverso filastrocche, danze macabre, grande romanticismo e grande poesia anche se a Tiziano non piace che si parli di poesia: per lui sono canzoni, sono nate come tali e chissà, forse un giorno deciderà anche di interpretarle. Siamo partiti da quelle tratte dal suo libro Il tornado di valle Scuropasso che sono Sfera e Occhi. Gliele abbiamo mandate e lui si è mostrato entusiasta: da lì è iniziato il lavoro sui testi. Ecco una guida.

Chi ha paura?
Sei versi fulminanti su una musica nera di chitarre e voci di fantasmi. Si canta la paura, che appartiene a tutti, che è universale. Chi ha paura, dunque? Ha paura il mio bambino di incontrare l’assassino, ha paura l’assassino d’incontrare il suo destino.
Il grande vuoto
Un brano dall’aria popolare in cui si canta un ateismo romantico. Il sogno disperato del grande nulla, il desiderio dolce di scomparire. Si spengono le stelle e tutto cade a pezzi. Il mondo e l’universo e tutto, fnalmente, non c’è più, non è più niente.
Sfera
Uno dei brani più inquietanti e drammatici del disco. L’orrore, il male di vivere, la depressione visti attraverso lo specchio deformante di una sfera cromata sospesa nel vuoto. Il testo è tratto da Il  tornado di valle Scuropasso.
Dopo
Una canzone d’amore. Voce, chitarra e pianoforte per cantare il sentimento puro e assoluto tra un uomo e una donna. Dimmi, dimmi, in cosa credi? Credo solamente in te. E io allora sarò Dio solo per creare te.
Piove
Una canzone buia, temporalesca e minacciosa. Mentre la pioggia aumenta d’intensità, qualcosa di terribile sta arrivando. Che cosa? C’è chi fugge, chi si suicida, chi sbarra gli occhi attonito. Poi un rumore come un velo distende le ali su nel cielo: all’orizzonte, incolonnati, mille carri armati.
Filastrocca della notte scura
Un valzer sghembo, una flastrocca maledetta per cantare l’uomo nero. Voce, chitarra e fsarmonica si vestono di nero e danzano al ritmo del corvo.
Nel buio
Un brano sospeso, bianco, simbolico che parla del tempo e del vuoto. Quando il tempo fnirà e nel tempo finirai, come neve nella neve nel silenzio mi sentirai.
Gli anni del mare e della rabbia
Una delle canzoni più intense e sofferte del disco. Si canta il dramma dell’adolescenza, la diversità, l’incapacità di diventare adulti. Erano gli anni che cominciavo a capire la poca diferenza tra vivere e morire, la grande diferenza tra me e tutti gli altri: erano anni oscuri, e sono stati tanti. Erano gli anni  che in teoria sarei dovuto diventare uomo, e invece non son cresciuto, io bambino sbagliato, futuro gigante di vetro: non sono andato avanti, non so tornare indietro.
Fiaba
Un brano teso in cui chitarra, fisarmonica e voci si rincorrono e rimbalzano per raccontare Barbablù
e il mondo assurdo della fiaba. I tuoi occhi sono chiusi e non si apriranno mai, hai voluto addormentarti e mai più mi troverai, e i miei occhi sono neri e il mio nome è Barbablù, sono ancora nella fi aba e non tornerò mai più.
La ballata della città di notte
Una ballata dal passo deciso e notturno che canta i miserabili: ladri, assassini, tipi strani. Poveri mostri, anch’essi fgli di questo mondo. Il testo è tratto dallo splendido albo di Dylan DogDopo mezzanotte.
Canto
Una canzone dall’impianto essenziale per raccontare una storia crudele. Uno scrittore che perde i pezzi e che si dispera perché non potrà più scrivere, una voce di donna che lo acquieta e rassicura: scrivi scrivi con le scarpe sia di giorno che di sera, scrivi scrivi con le scarpe la tua storia vera.
La barchetta
Due chitarre e due voci per cantare la piccola e immensa navigazione di una barchetta fatta di giornale sopra un rivolo di pioggia che diventa magicamente il Mississippi.
Per dormire
Una ninna nanna che canta l’insonnia. Una notte che non passa mai, il Tavor nascosto nel cassetto, il sogno di una donna che ti culli. Le ore trascorrono inesorabili e il sonno non sopraggiunge. Al suo posto arrivano i fantasmi…
Il lungo addio
Una delle canzoni più intense e romantiche del disco. Si canta l’amore, l’anarchia, la verità, l’illusione. Ma si canta soprattutto la speranza. Il testo è tratto dall’indimenticabile albo di Dylan Il lungo addio.
Dieci omini
Una flastrocca originalmente crudele che canta la solitudine. E alla fne della storia, come capita in realtà, c’è un omino che sta solo perché amici non ne ha. danza di un anno Una danza macabra dal ritmo serrato. I dodici mesi dell’anno vengono cantati nel loro risvolto maledetto. Protagonista è ancora la paura. Viene dicembre e fnisce la danza, torna il silenzio della natura. Quest’anno ormai è durato abbastanza, fnisce il gioco della paura. Ma nella fne è anche l’inizio, e vita e morte riprenderanno, di sangue e orrore il nuovo supplizio, la danza macabra di un altro anno.
Occhi
Una ipnotica ballata, un divertissement letterario, una visionaria e inquieta danza rifessa nell’occhio di un pesce, una scena sospesa tra acqua e rugiada. Il testo è tratto da Il tornado di valle Scuropasso.
Regrets
Un inquieto valzer il cui testo è liberamente ispirato a François Villon. Si canta il tempo della gioventù, si cantano gli amici che non ci sono più. Il tempo fatto di cristallo che si è spezzato silenziosamente. Ma si canta anche, e soprattutto, l’amor perduto
Foglio di carta
Una ballata rock per raccontare il mestiere dello scrivere. Siamo fogli di carta spazzati via da un colpo di vento, siamo una parola, amata e perduta come se fosse un figlio. Siamo una strada costellata di cadaveri, gatti e cani che sognano campi di papaveri.
Solo
Un acquerello in punta di voce e chitarra, una passeggiata in solitaria sui ponti di un naviglio, la ricerca di una vita nuova tra falsi paradisi e incubi sereni

30.9.13

la commedia dell'antiberlusconismo della sinistra parlamentare

da  nocensura.com
L'antiberlusconismo degli anni passati è stata una commedia per distrarre, per dividere i cittadini e per ottenere consensi elettorali: milioni di persone hanno votato il centrosinistra "per votare contro Berlusconi" e non certo per convinzione. Un antiberlusconismo basato sugli scandali sessuali e altre minchiate, mentre le peggiori nefandezze sono passate sotto silenzio.

Che il centrosinistra abbia SEMPRE spalleggiato Berlusconi, è ampiamente dimostrato dai FATTI: memorabile l'outing di Violante:

 

Per "rinfrescare la memoria", leggete questo articolo che elenca i REGALI - REGALI CHE VALGONO MILIARDI DI EURO, NON BRUSCOLINI - fatti dal centrosinistra, ed in particolare da D'Alema, a Berlusconi.
Non solo ha assegnato le frequenze TV a Mediaset in cambio di un miserabile 1% dei profitti (di solito nelle 'concessioni' lo stato ricava un percentuale mooolto più alta: diciamo che sarebbe stata ACCETTABILE la pretesa del 20-25% degli introiti, COME MINIMO) ha addirittura SALVATO RETE 4, che trasmetteva abusivamente, a scapito di Europa 7... E MENTRE BERLUSCONI RICAVAVA MILIARDI, L'ITALIA PER QUESTO HA RICEVUTO DALL'EUROPA "PROCEDURE D'INFRAZIONE"...
Sarebbe interessante fare un CONTO di quanti MILIARDI DI EURO ha guadagnato Berlusconi grazie ai MAXI REGALI sopracitati: sicuramente moltissimi. Se poi sommiamo tutti gli ambiti in cui B. ha guadagnato, chissà che cifra viene fuori. Basta pensare che da quando è nato il governino Letta, Mediaset ha aumentato il valore azionario dell'83,2% in sei mesi: tradotto in soldoni, Berlusconi ci ha guadagnato 1 miliardo di euro!
E poi qualcuno si sorprende se Berlusconi offre il pullman ed il panino ai militanti del PDL che scendono nelle piazze a chiamata? Militanti... con quello che ha guadagnato dovreste esigere almeno un bel pranzo di pesce al ristorante... altro che un panino! ;-)


Alessandro Raffa

Come mai dopo anni di impunità oggi vogliono "far fuori" Berlusconi? Leggi Un golpettino per non condividere più il potere

Milano, non riesce a comprare un biglietto per i One Direction: tenta il suicidio. mma per qualcosa di più serio no :-)

musica consigliata :
you ain't seen nothing yet - Bachman Turner Overdrive e Rebel Rebel- David Bowie



lo so che non << (...) è giusto giudicare la vita degli altri, perché comunque non puoi sapere proprio un cazzo della vita degli altri. Credo che per credere, certi momenti ti serve molta energia. Ecco, allora vedete un po' di ricaricare le vostre scorte con questo...>> da





Ma stavolta non ce la faccio .a rimanere indifferente e a non esprimere il mio parere su tale gesto scriteriato dovuto al fanatismo o alla paura d'essere mal vista dagli amici \ che che hanno trovato i biglietti o chissà cos'altro
  da  http://www.newsmusica.com/







Non è riuscita ad acquistare un biglietto per il concerto dei suoi idoli ed ha pensato di compiere un gesto clamoroso. E’ successo in provincia di Milano, dove una quindicenne ha minacciato di suicidarsi ed ha tenuto in apprensione e nel panico mezzo quartiere, tenendosi in bilico sul balcone dell’appartamento in cui vive al secondo piano.Giunti i genitori, in quel momento a lavoro, hanno presto chiamato la vicina stazione dei vigili del fuoco che hanno portato in salvo la ragazza scoprendo che l’atto estremo era dovuto al fatto che non era riuscita ad acquistare un biglietto per il concerto dei suoi idoli, i One Direction, in programma il 28 ed il 29 Giugno allo Stadio San Siro di Milano, i cui tagliandi d’ingresso sono andati letteralmente in sold out in meno di due ore dalla vendita.
unica  cosa  che  mi    sento  di  dire  , ovviamente   in tono sarcastico  , suicidati per cose più serie


The Oldest Tattooing Family in the World \ 5 g L'antica tradizione di tatuaggio della famiglia Razzouk

Wasim Razzouk is a tattoo artist in Jerusalem’s Old City. Ink runs deep in his family. The Razzouks have been tattooing visitors to the Hol...