29.10.17

no a l'haloween americano ( anche se poi americano non è ma del nord europa ) si a quello Nostrano sardo in questo caso

 haloween  secondo  i testimoni  di geova  (  ed  anche  , nonostante le differenze  dotrinali   dei buona parte dei  cattolici e dei protestanti  ) 
  Haloween   secondo  i cattolici  moderati

haloween sardo   


Come tutti gli anni si festeggia halloween o il culto dei morti come preferisco visto che mi sa di roba commerciale e consumistica con un oscuramento progressivo dei significati originari. Festeggiamenti che durano interi weekend sono ormai tipici in tutti gli Stati di influenza anglofona. Così in USA, Irlanda, Australia e Regno Unito, Halloween viene festeggiato come una "festa del costume", dove party in maschera e festeggiamenti tematici superano il tipico valore tradizionale del "dolcetto o scherzetto", per dar vita a una nuova tradizione di divertimento, caratteristica di una gioventù cresciuta.Inoltre ogni anno infuriano le polemiche da parte dei cattolici tradizionalisti e spesso degli ipocriti \ falsi credenti sul riotrno a celebnrare la festa vera e propria del culti dei defunti e di ogn santi quest'ultimo imstituiot dalal chiesa cattolica come reazione a rituali pagani .https://www.irlandando.it/halloween/storia/ . Ma il mondo cristiano cattolico èdiviso , infatti ,




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Per molte confessioni cristiane le origini di Halloween sono strettamente connesse alla magia, alla stregoneria, al satanismo e, quindi, considerano la festa come una via di influsso dell'occulto nella vita delle persone. L'enfasi di Halloween è sulla paura, sulla morte, sugli spiriti, sulla stregoneria, sulla violenza, sui demoni e sul male. I bambini ne sarebbero negativamente influenzati.[23] In risposta alla crescente popolarità della festa, alcuni fondamentalisti e alcune chiese evangeliche conservatrici sono ricorsi a opuscoli e brevi fumetti per trasformare Halloween in un'opportunità di evangelizzazione.[24] In generale però il mondo cristiano è contrario alla festa di Halloween, ritenendo che il paganesimo, l'occulto, le pratiche e i fenomeni culturali connessi siano incompatibili con la fede cristiana.[25]
Nella Chiesa Anglicana alcune diocesi hanno scelto di enfatizzare le tradizioni cristiane del giorno di Ognissanti[26][27]. Il World Book Enciclopedia afferma che essa rappresenta l'inizio di tutto ciò che è cold, dark and dead: freddo, buio e morto.[28] Alcuni cristiani, in modo particolare discendenti dei popoli celti, da cui ha origine Halloween, non ascrivono a essa un significato negativo, vedendola come una festa puramente secolare dedicata al celebrare "fantasmi immaginari" e a ricevere dolci. Per questi cristiani, Halloween non costituisce una minaccia per la vita spirituale dei bambini: gli insegnamenti sulla morte e la mortalità, e le credenze degli antenati celti possono essere una lezione di vita valida e una parte dell'eredità culturale dei loro parrocchiani. Nella Chiesa Cattolica degli Stati Uniti c'è chi ritiene che Halloween abbia delle connessioni col Cristianesimo.[29]
Padre Gabriele Amorth, esorcista della diocesi cattolica di Roma, affermò che «festeggiare la festa di Halloween è rendere un osanna al diavolo. Il quale, se adorato, anche soltanto per una notte, pensa di vantare dei diritti sulla persona».[30] L'Arcidiocesi di Boston ha organizzato una Saint Feast ('Festa dei Santi') per ricondurre Halloween alle sue radici cristiane come celebrazione della notte prima di Ognissanti o All Hallows Eve.[24]
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Per  i  più piccoli  e vuole  festeggiarlo   in maniera  alternatica   quale miglior compagnia per festeggiarla di Vampiretto o Geronimo Stilton e Tenebrosa Tenebrax, la coppia da brivido più stratopica della Valle Misteriosa. Del protagonista della collana bestseller di Angela Sommer-Bodenburg arrivano in libreria due nuovi titoli, “Vampiretto nella valle delle lacrime” e “Vampiretto torna alla sua cripta” oltre al libro illustrato del film 3D, che sarà nelle sale italiane dal 26 ottobre. (  ... continua su  http://www.lanuovasardegna.it/tempo-libero/2017/10/28/news/




un altro modo  è  quello di   farelo non omologandosi alla moda   Americana   ma  riscoprendo  tradizioni ormai     quasi  scomparse    su tale  eventi  dei  nostri Avi . Ecco  come   si festeggiava  e  ancora  , sopratutto  siu festeggia  ancora    nei pesi dell'interno  , in Sardegna  . Ecco alcuni articoli  (  altri  nei  trovate  sui link    riportati  sopra      al post  )    presi  da 



I patiti di streghe e folletti e di “trick or treat” (dolcetto o scherzetto) si mettano pure l’anima in pace. Perché l’inquietante zucca intagliata si conferma elemento di sicura valenza antropologica nell’ambito del patrimonio culturale popolare del Mediterraneo. Sardegna compresa. E non soltanto “sa conca ’e mortu” (il teschio) – che per gli anglosassoni è “Jack O’Lantern” – ma anche per tutti quei gesti, parole, simboli, pietanze particolari di questo scorcio d'autunno, che hanno sfidato i secoli, arrivando pressoché intatti fino ai nostri giorni. Il passaggio tra la fine di ottobre e i primi di novembre, che comprende le festività di Ognissanti e dei defunti, è un momento particolarmente sentito anche in Sardegna, legato alla radicata e antichissima credenza che la morte non sia la fine di tutto, ma solo un cambiamento di stato con l’ingresso delle anime in una dimensione parallela, da cui – in determinati momenti – possono uscire, ristabilendo un contatto con il regno dei vivi. Ricorrenze vissute con rispetto, nostalgia, timore, ma anche con l’aspetto più “ludico” delle questue riservate ai bambini.



NOMI VARI, RADICE COMUNE

Cambiano nome, a seconda delle aree geografiche dell’isola, ma hanno tutte una radice comune: a Nuoro la chiamano “Su mortu mortu”, espressione dall’eloquente significato, in altri luoghi della Barbagia e del Marghine “Su bene de sas ànimas” (il bene delle anime) o “Su bene chi tocat”. In paesi come Sorgono e Tonara, poi, le somiglianze con Halloween – riscontrabili in riti che però precedono di decenni se non di secoli la diffusione in Europa della festa anglosassone – sono davvero impressionanti, tra zucche intagliate e illuminate e bambini che vagano per le case chiedendo doni. E questo, beninteso, accade da sempre, e non certo sulla scia mediatica del “dolcetto o scherzetto”. Se ci spostiamo poi nel Campidano la festa prende il nome di “Is animeddas” (le piccole anime), mentre in Ogliastra è conosciuta come “Su Prugadòriu” (il Purgatorio), evidente riferimento alle anime che aspirano al Paradiso. Altri nomi, che variano a seconda delle zone, sono Su Candeleri, Sas Animas, Su Peticoccone, Is Panixeddas.

IL RITO LUDICO

La questua è sempre affidata ai bambini, quasi alter ego dei defunti (in passato uscivano vestiti di stracci), vagano per le case fin dal mattino del primo e del 2 novembre, bussando e chiedendo doni per le anime dei morti: «A nos lu dazes su mortu mortu?» (ce lo date il morto morto?). Oppure: «Seus benius po is animeddas» (siamo venuti per le anime dei morti)», «Mi das fait is animeddas», «Carchi cosa po sas ànimas» (datemi qualcosa per le anime), sono le formule che riecheggiavano, e riecheggiano ancora, per i vicoli di paesi e città. La tradizione richiede che ogni bambino porti un sacco in spalla – di solito una semplice federa bianca – destinata a essere riempita di caramelle, dolci, frutta secca, agrumi – più raramente denaro – che ogni famiglia dona loro per onorare i defunti e propiziarsi la buona sorte.


LE ANALOGIE CON GLI USA

Le evidenti analogie con il ”trick or treat” di Halloween rimandano a tradizioni forse sviluppatesi in modo indipendente, fra Mediterraneo e nord Europa, e successivamente meticciate negli Stati Uniti d'America. Così come nell’utilizzo rituale delle zucche svuotate, intagliate come teschi, con espressioni tenebrose e truci e illuminate da una candela o da un lumicino. All’esterno le case vengono addobbate con le zucche che, private della polpa interna, assumono le fattezze di un volto umano, e illuminate da una luce, tracciano alle anime la via del ritorno. La Sardegna ha sempre riservato un'attenzione speciale al rituale del cibo consumato o offerto per la festività dei defunti: quasi uno strumento per onorarne la memoria, ma anche un modo per stabilire una forma di simbolico contatto. Nella magica notte tra il primo e 2 novembre - nel Nuorese, in Barbagia e in altre zone dell’isola - sopravvive la tradizione di imbandire la tavola – con pasta (sos macarrones de sos mortos, i maccheroni dei morti), pane carasau, papassinos, acqua e vino, caffè – per i defunti (sa chena de sas ànimas) che, visitata la casa, sono pronti a sfamarsi, attraverso gli odori del cibo. Rigorosamente bandite le posate, soprattutto quelle con le punte (forchette e coltelli), possibili armi di offesa in un accesso d’ira. Già anticamente la famiglia riunita aveva in uso la tradizione di commemorare i morti con una cena frugale, che un tempo contemplava le fave, fin dall’epoca romana alimento dei morti per eccellenza.

DALLE FAVE AI DOLCI

Ma oltre che nell’antico uso delle fave, in Sardegna la simbologia funebre assegnata al cibo passa soprattutto attraverso i dolci: i papassinos e, nella Sardegna meridionale, gli ossus de mortu. Nella tradizione dolciaria di questi giorni, elemento base in Sardegna è la sapa (o binicottu), uno sciroppo dolce ottenuto dalla cottura del mosto (o, in alternativa, a base di fico d'india) che fa assumere ai dolci un colore scuro, quasi nero di terra, e che si ritrova nel rustico dolce detto pane ‘e sapa, condito con uva passa, mandorle, noci e pinoli.

Halloween in Sardegna: il vero significato di un rito dimenticato

di NATASCIA TALLORU*


Il passaggio tra la fine di ottobre e i primi di novembre è un momento particolarmente sentito da tutte le culture del pianeta. Volendo approfondire l’argomento, con grande sorpresa potremmo scoprire che, proprio in quei giorni, si presenta un appuntamento con la storia antica, sottoprodotto di un amalgama di religione, magia e credenze popolari.  Anche la Sardegna, terra dalle tradizioni millenarie tuttora visibili, che sembrano volersi opporre a  una  forzata modernizzazione, ha preservato parecchie usanze, incastrate con le dottrine che via via hanno impregnato  la nostra società.  Non si comprende ancora se alcuni modus operandi si verifichino con la consapevolezza del loro reale significato da parte degli abitanti stessi, o se, scaturiscano come riflesso di alcune tendenze d’oltre oceano.
E’possibile ci sia stata una contaminazione americana finanche i piccoli centri dell’entroterra? 
Ma facciamo un po’ di ordine cronologico.  La festa di Halloween ha avuto origine presso la popolazione celtica che divideva l’anno in due periodi: quello della nascita e del risveglio della natura, Beltane (intorno a maggio), e il periodo  nel quale la natura cede e muore, Samhain (metà ottobre), corrispondente al Capodanno celtico e alla fine dell’estate. Anche nella civiltà romana compare una festa analoga, che indicava il termine della stagione agricola, con omaggi e ringraziamenti per il raccolto ricevuto dalla terra nell’anno precedente. In seguito i romani divulgarono usi e consuetudini della loro civiltà, cui fece seguito l’inserimento della Chiesa, la quale, dedicava un giorno di commemorazione ai Santi il 13 maggio, coincidente nei secoli successivi con il Samhain di fine ottobre. Nacque così la festa di Halloween, vigilia di Ognissanti (All Hallows, tutti i santi; eve, vigilia).In questo giorno speciale e dall’atmosfera incantata nel quale tempo e spazio sembrano sospesi in una dimensione parallela, diverse popolazioni dell’antichità eseguivano dei rituali per ingraziarsi gli spiriti, offrire loro doni e cibo, rivolgere preghiere e, in cambio, chiedere protezione durante il buio dell’inverno alle porte. Ancora oggi in Sardegna tra il 31 ottobre e il 2 novembre i ragazzi percorrono le vie dei paesi, con una sacca o una federa, bussano di porta in porta e, recitando filastrocche in lingua sarda, ricevono doni offerti con l’intento di “tenere a bada” i defunti, che, in questi giorni, tornano nelle loro dimore, abitate durante la vita terrena. All’esterno le case vengono addobbate con le zucche che, private della polpa interna, assumono le fattezze di un volto umano, e illuminate da una luce, tracciano alle anime la via del ritorno. La zucca sostituisce, pare, un antico rito, praticato sia in Sardegna che in Corsica, secondo il quale venivano estratti i teschi dal cimitero per richiamare la pioggia. Riti volti a esorcizzare la paura della morte, con la richiesta, in cambio, del bene delle anime (su bene 'e is animas). I nomi variano a seconda della zona: su mortu mortuanimeddassu prugadoriuis panixeddas. Cambiano  anche i tipi di dolci preparati per l’occasione: pabassinas, su pan’ e saba o pane nero, le ossa di morto. Ma il valore di questi antichi rituali è comune, e niente ha a che vedere con l’America, la quale, ha acquisito le feste dei popoli emigrati e ha avuto l’accortezza di diffonderle in tutto il mondo, trasformandole in un carnevale macabro e commerciale.In Sardegna è la lingua stessa, con le sue varianti, a dirci che può non esservi un’influenza americana.   E’ il nostro stesso sentire, l’intuito, dimenticato, a riportarci in epoche lontane. A insinuare che, forse, dovremmo riappropriarci e mantenere vive le nostre tradizioni.

Natascia Talloru
Author: Natascia Talloru
Barbaricina dalle radici profonde, con lo sguardo rivolto verso il mare. Chimico farmaceutico di formazione, mi interesso di medicina alternativa, terapie naturali, alimentazione. Amo l’arte in tutte le sue forme, personalmente la esprimo attraverso la scrittura, la musica e la fotografia. Mission: comunicare che conoscenza e cultura sono essenziali per la vita, come l’aria che respiriamo. “E questa terra, una terra che c’è anche se viene zittita o irrisa o insultata, guai a chi me la tocca. Guai a chi me la ruba, guai a chi me la invade.”
Su Twitter: @na_talloru



 unione  sarda  Oggi alle 13:35
Halloween o Is animas: "Salviamo i nostri riti"
Bambini festeggiano Halloween a Luras


Ad Austis, il suo paese, l'usanza era il pedi coccone.
"Noi bambini bussavamo di casa in casa e ricevevamo in dono soprattutto castagne e nocciole", racconta il professor Benedetto Meloni, ordinario di sociologia dell'ambiente e del territorio all'Università di Cagliari.
È un ricordo della fanciullezza e oggi, rileggendo con gli strumenti del docente i simboli di quella tradizione che ancora resiste in molti centri della Sardegna, dice che sì, "Halloween non può essere liquidata come un elemento di totale importazione. Intanto perché deriva da antiche usanze europee legate al culto dei morti, e poi perché si è innestata in una tradizione pregressa, importante e ancora praticata. Se c'è un rischio che la moda cancelli l'usanza? Ma no, diciamo che sono tradizioni parallele che talvolta si ibridano".
I SIMBOLI - La coreografia di Halloween avrà pure l'impatto dirompente di una moda, ma tra zucche iridescenti (peraltro usanza di molti paesi dell'Isola) e costumi stregoneschi sembrano aver ritrovato ancor più vita i nostri riti di evocazione dei defunti.
Dal Nuorese al Campidano, dalla Gallura all'Oristanese, dal Cagliaritano all'Ogliastra.
Sono i bambini, anime candide, i sacerdoti della questua di Ognissanti. Bussano alla porta di ogni famiglia e chiedono qualcosa in nome delle anime ricevendo dolci, pane, frutta secca, agrumi.
"Altro non era che un meccanismo di scambio dei beni sacralizzato nella celebrazione dei defunti. Sì, una sorta di mutuo soccorso - sottolinea Benedetto Meloni -, un modo per far circolare prodotti che non tutte le famiglie avevano. Ad Austis, per esempio, non tutti potevano disporre di una provvista di castagne e nocciole".
I bambini, poi, bussavano a ogni portone, liberi da logiche di inimicizie, faide, liti di vicinato.
"Passavano dappertutto: si ridefiniva così la rete di appartenenza alla comunità".
L'ELEMOSINA - Dolores Turchi, studiosa di tradizioni popolari, puntualizza che si trattava "di un'usanza molto seria: un rito in suffragio delle anime. Quale l'origine? Sono rituali legati alle Antesterie, le feste celebrate in onore di Dioniso che si credeva tornasse per qualche giorno sulla terra e alle feste delle anime nell'antica Roma".
E Halloween, avvisa, "con tutto il suo carico di festa commerciale non fa che deformare la nostra tradizione che sembra essere diventata un gioco".
Al suo paese, Oliena, la tradizione si chiama pane e binu e sì, come in tantissimi centri dell'Isola, "non è stata mai dimenticata. Ovunque in Sardegna ci fu una sospensione negli anni del consumismo, poi è ricomparsa durante la crisi economica".
Anticamente, racconta, "succedeva che anche gli adulti andassero a fare la questua. Erano i poveri del paese che si coprivano bene per non essere riconosciuti".
NUOVA VITA - Un tempo, spiega Tatiana Cossu, antropologa dell'Università di Cagliari, "era la ricorrenza che segnava la chiusura del ciclo agricolo e l'avvio del nuovo. Una festa che, nella sua specificità del progettare la nuova produzione con riti che richiamavano la benevolenza dei defunti, ritroviamo anche in terre molto lontane, come l'Oceania".
Quella Sardegna è scomparsa.
"Il paese si è trasformato. Non c'è più quel contesto economico e sociale che faceva da sfondo a tradizioni che coinvolgevano famiglia e comunità. Oggi magari c'è il desiderio di ricercare le usanze e riproporle, ma si tratta di una rievocazione".
LE RADICI - Non è dunque Halloween il danno.
"Il problema, invece, è che stiamo abolendo i nostri riti, togliamo ai bambini momenti di crescita importanti, fondamentali - dice Lorenzo Braina, pedagogista -. Pensiamo solo ai dolci per la ricorrenza dei morti: un tempo i papassinos si facevano solo per Ognissanti, oggi li troviamo tutto l'anno".
Ma qual è l'importanza dei riti da un punto di vista pedagogico?
"Danno radici ai bambini. Insegnano loro lo scorrere del tempo, il passaggio delle stagioni, la felicità dell'attesa e del gustare qualcosa che si è desiderato a lungo".
                                                    Piera Serusi

26.10.17

ecco perchè ho scelòto nonostante la laurea di non insegnare ed altre storie scolastiche ( bambini obbligati anche a 145 anni a rientrare a casa da scuola con i genitori )

canzone consigliata

Giorgio Gaber - Non insegnate ai bambini



da http://gazzettadimantova.gelocal.it/mantova/cronaca/2017/10/25/

d
Blue Whale, il gioco del suicidio. La polizia: "In Italia troppi casi sospetti"Quaranta casi segnalati, il "Blue Whale" ossessiona anche i ragazzi italiani. Si tratta del gioco che arriva dalla Russia: 50 prove da superare, molte di autolesionismo come quella di incidersi una balena blu sul braccio con un coltello; l'ultima prova è il suicidio. A comandare il gioco in Russia ci sarebbero dei responsabili. E in Italia? Emulazione o c'è qualcuno che se ne approfitta. Nella sola Pescara ci sono stati tre casi, uno ha coinvolto una 13enne arrivata a un passo dal suicidio. Antonio Iovane (Radio Capital) ha intervistato il vice questore aggiunto di Pescara Elisabetta Narciso

MANTOVA. Ha mostrato in classe il servizio televisivo delle Iene sulla Blue whale - quell’assurdo gioco sul web che, soprattutto in Russia, induceva giovani fragili a idee suicide. Ma i genitori di una studentessa si sono lamentati il giorno dopo con il preside, spiegando che la figlia era rimasta sconvolta da quanto visto e il dirigente ha preso provvedimenti disciplinari nei confronti dell’insegnante. La vicenda non è piaciuta al sindacato, lo Snals, a cui l’insegnante si è rivolto e che ora porterà il caso davanti al giudice del lavoro.
Blue Whale, un virus nato in rete alimentato dai mediaPaolo Attivissimo, giornalista informatico, spiega il fenomeno del Blue Whale, il presunto “gioco del suicidio” che sta spaventando le famiglie italiane. Consisterebbe in una sfida in 50 passi, tra cui atti di autolesionismo, sotto la guida di un “curatore”: l’atto finale dovrebbe essere la morte. Molti esperti della rete sono scettici su origine e natura del fenomeno,  ma è necessario stare in guardia. “A furia di parlarne si è creato il mito e se le persone ci credono diventa vero”, avverte Attivissimo (intervista di Maria Rosa Tomasello, video a cura di Andrea Scutellà)


L’episodio è avvenuto in una scuola superiore di città, quando il “gioco” della Blue whale (Balena blu) era al centro dell’attenzione di tutti i media. Un’attenzione a volte morbosa, soprattutto sui social, dove le notizie accertate si mescolavano ai soliti fake. Un tormentone da web, ma molto pericoloso per il rischio di emulazione da parte di adolescenti particolarmente fragili. Anche gli esperti suggerivano che se ne parlasse nelle scuole per dare una giusta interpretazione del fenomeno.
Forse per quel motivo l’insegnante aveva deciso di mostrare in classe, a ragazzi e ragazze tra i 15 e i 16 anni, (a cui si era aggiunta un’altra classe) il servizio prodotto del programma televisivo Le Iene. Un servizio che fu successivamente al centro di polemiche e critiche sotto il profilo professionale. Il programma era comunque esplicito sui rischi che si corrono con questo delirante gioco. La Blue whale rappresenta uno degli esempi più tragici dei cosiddetti “pericoli del web”.
Ma l’iniziativa dell’insegnante non era piaciuta ai genitori di una studentessa rimasta molto colpita da ciò che aveva visto. I familiari hanno protestato con il dirigente, il quale ha avviato la procedura disciplinare nei confronti della docente. «Sto seguendo questa vicenda - spiega il segretario dello Snals, Tino Russo - e non posso fornire particolari. Difendiamo l’insegnante, quel servizio era pertinente e le stesse forze di polizia ne suggerivano l’uso. Abbiamo interessato il nostro avvocato, andremo davanti al giudice del lavoro». Secondo lo Snals i casi di procedimenti disciplinari verso il personale scolastico (docenti e non) sono aumentati. «L’anno scorso sono stati una ventina, contro una media di tre-quattro all’anno» dice Russo.Secondo il segretario di Flc Cgil, Massimiliano De Conca, «al di là del numero, noi ne abbiamo avuto una trentina, quello che conta è che il più delle volte i procedimenti non portano a sanzioni. I presidi sono obbligati dalla legge a farlo». Tra i casi seguiti dalla Cgil anche tre relativi a bambini fuggiti da scuola (materne ed elementari).
«Con i tagli di organico non c’è personale a sufficienza per garantire la sorveglianza» osserva De Conca. Nelle prossime trattative sul contratto i sindacati chiederanno il ripristino del comitato provinciale, organismo dell’amministrazione scolastica a cui presentare ricorsi.



Da scuola a casa con i genitori... o con la polizia
RONCHI. Studenti a casa da soli da scuola? No. Una preside della scuola media a Ronchi dei Legionari con una circolare ha deciso - come in molte altre città, adeguandosi ad altre direttive - di obbligare gli studenti a tornare a casa accompagnati dai genitori. In caso di assenza di quest’ultimi la scuola contatterà le forze dell’ordine per “scortare” i ragazzi. ( da Il Piccolo 

Grazie a Barbara Quattrini de Siena, Roma
"Mi permetto di scriverle per metterla a conoscenza di quanta arretratezza socioculturale esista ancora in Italia, e quanto ancora la scuola sia poco vicina alle famiglie. Sono una donna di 44 anni, che vive a Roma e mamma di un ragazzino di quasi 11 anni che frequenta la prima media"."L'istituto presso il quale mio figlio è iscritto, di quartiere e nelle immediate vicinanza di casa, impone la presenza dei genitori o di un delegato maggiorenne all'uscita della scuola per il rientro a casa. La scuola media fa orario 8-14 e non ha servizio mensa, non ha servizi di post scuola, nessuna attività ludico-ricreativa-culturale"."

Barbara con il figlio in gita a Pisa
Barbara con il figlio in gita a Pisa
Considerato che sia io che mio marito lavoriamo a tempo pieno, peraltro dall'altro capo della città, non possiamo essere all'uscita da scuola, come non ci siamo stati in questi anni dovendo ricorrere a babysitter, attività di dopo scuola e aiuti vari di mamme e amici. Speravamo che il passaggio alle medie potesse servire per alleggerirci di spese e pensieri, vista l'autonomia oramai raggiunta da nostro figlio, che riteniamo abbastanza responsabile da tornare a casa da solo"."Lui va al parco in bici da solo, resta a casa da solo da qualche anno, ha imparato ad attraversare la strada, sa prendere i mezzi pubblici e sa come e dove si oblitera il biglietto, e dove si acquista, ma per il dirigente dell’istituto mio figlio come gli altri ragazzi della scuola media sono ancora incapaci di gestirsi"."Abbiamo provato ad avanzare l'idea di una liberatoria alla scuola per esimere la preside e i professori da qualsiasi responsabilità, ma non è piaciuta. Ritengo che la decisione del dirigente scolastico sia  una forte ingerenza nelle scelte educative di noi genitori e influenzi negativamente la crescita dei ragazzi nell’ottica del raggiungimento di una sempre maggiore autonomia e maturazione"."Genera forte disequilibrio nella conciliazione famiglia-lavoro, ma soprattutto mostra il totale disinteresse da parte dell’istituzione scolastica alle problematiche familiari/educative/sociali. Solo un ultimo dettaglio: per il rilascio delle deleghe il dirigente chiede la presenza di entrambi i genitori che dovranno firmare in sua presenza o di un suo delegato. E per ritirare i ragazzi da scuola genitori e delegati dovranno essere muniti di apposito tesserino rilasciato dallo stesso istituto".Ho ricevuto diverse lettere da varie città d’Italia simili a questa di Barbara Quattrini de Siena. Mi stupisce che le scuole medie richiedano la presenza dei genitori all’uscita da scuola nella fascia d’età 11-14 anni anche contro il parere delle famiglie. Capisco che i dirigenti scolastici abbiano il problema della responsabilità degli alunni, e che i rischi siano molti e diversi. Ma capisco anche, molto bene, l’esigenza educativa dei genitori che stimolano i ragazzi a una sempre maggiore autonomia – non solo per problemi legati agli orari di lavoro degli adulti.Il ritorno a casa da soli è un momento della vita che ricordiamo tutti come un passaggio di libertà e indipendenza. Se la scuola è vicina e l’itinerario sicuro mi pare che l’eccesso di premura sia più legato a un bisogno degli adulti che alla crescita dei ragazzi. Togliere le mani a volte aiuta più che stringere la presa.
 concordo  con  il coraggio di tale madre  e di questi  due  commenti  


21 minuti fa
laziadaniela
La Ministra Fedeli e i dirigenti scolastici vogliono solo pararsi le spalle.  Non permettono ai ragazzi di crescere e ne.limitano l'autostima. Oltre a tutte le altre considerazioni tanto ovvie quanto sagge, ha considerato l'aumento di traffico? Se il ragazzo  è  abituato  a prendere in autobus, ci vorrà  uno con la macchina  per andarlo a prendere.  Che la smettano.

26 minuti fa
Stefania Carnevali
gentile concita, concordo con la madre e con l'idea che questa sia una linea sbagliata e dannosa soprattutto per i nostri figli, ma nessuno mai commenta l'antecedente. Il tutto è nato perchè la famiglia del povero 15enne ha pensato di accusare anche dirigente e insegnante per mancato controllo del loro figlio. Che a 15 anni è incappato in un tragico incidente, difficile da accettare, ma che può accadere per fato, disattenzione, sfortuna a qualunque ragazzino della stessa età. Ok chiedere autonomia per i nostri figli e rispetto delle nostre idee, ma occorre anche sapersi prendere le responsabilità in caso di incidenti, e finirla con questa logica della denuncia facile.





ed un fncl alla ministra fedeli che l'unica cosa che l'unica cosa che sa dire ( meglio strare zitti a questo punto anzichè ripetere il solito disco rotto )


 bambini che tornano a casa da soli alle medie dovranno farsene una ragione. Poichè hanno meno di 14 anni e una legge nazionale a tutela dei minori se ne occupa per la loro incolumità, dovranno aspettare un adulto all'uscita della classe, genitori, nonni o comunque un "grande" fidato che li accompagni, li prenda per mano. E' la ministra all'Istruzione Valeria Fedeli che stamani, intervistata in tv a Tagadà su La7, sgombera il campo dai dubbi e dalle pressioni di alcuni presidi se sia lecito o meno, per le famiglie con figli che frequentano le scuole medie, lasciare liberi i ragazzini di andare a scuola o tornare a casa da soli.

Fedeli: "I presidi devono seguire la legge, bisogna andare a prendere i figli a scuola"



"Questa è la legge, e deve essere rispettata. I genitori devono esserne consapevoli".
E anche lei non farebbe tornare a casa da soli i suoi nipoti sotto i 14 anni? le chiede l'intervistatrice. E la ministra: "Io sono una persona che per cultura rispetta le leggi e quindi sì. E' vero, è giusto sperimentare l'autonomia dei ragazzi ma si può fare anche di pomeriggio, non necessariamente nel percorso casa scuola casa". E se i genitori non possono perchè sono impegnati al lavoro?, gli si domanda "ci vadano i nonni" esorta la ministra, "i miei nipoti sono piccoli, e non ci riesco mai, ma è così piacevole per noi nonni farlo".
Il caso è nato dopo una lettera-appello per la liberalizzazione del percorso casa-scuola inviata al Parlamento e al governo scritta da alcuni dirigenti scolastici, tra cui Rosa Maria Lauricella, preside dell'Istituto comprensivo Giovan Battista Valente di Roma. Una battaglia che nasce da una recente sentenza della Cassazione che ha condannato preside e docente dell'ultima ora della mattina per non aver affidato a un adulto un ragazzino morto quindici anni fa sotto uno scuolabus.
Dopo la sentenza, in alcune scuole sono nuovamente comparsi regolamenti che impongono la riconsegna dei ragazzi solo nelle mani di un adulto, ma dove è accaduto sono esplose polemiche e battaglie con le famiglie. Ma, secondo la ministra, la legge in vigore va rispettata, non si transige sull'obbligo di presenza di un familiare e quindi, come avevano ricordato gli stessi dirigenti scolastici, resta confermato che "se dovesse accadere qualche disgrazia a un alunno delle medie mentre torna a casa da solo, anche i presidi rischiano una condanna da sei mesi a cinque anni".




  e  ciliegina  sulla torta  che  secondo me  si può risolveree   facendole  fare  l'anno scolastico   da privatista    o  se  lo perde      e  rincomincia l'anno prossimo  e poco  il  danno invece di fare  una  causa  inutile  che fa  ad  intasare  i tribunali  e  far spendere  alla famiglia   molti €  inutiilmente   . 



Non c’è posto, scuola negata a bimba

Ha 7 anni, costretta da due mesi a restare a casa dopo il trasferimento della famiglia da Casteggio a Voghera

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VOGHERA. Non c’è posto alla scuola Provenzal per una bimba di sette anni che in agosto si è trasferita con la famiglia da Casteggio e Voghera. I genitori di Antonella - il nome è di fantasia per tutelarne la privacy - si sono sentiti rispondere più volte che le seconde classi sono al completo e lo stesso è accaduto quando hanno bussato alle altre elementari della città. La morale è che la piccola da quasi due mesi è a casa e rischia seriamente di perdere l’intera annata. Ormai disperati, i genitori si sono rivolti a un legale, l’avvocato Giampiero Armano, uno dei decani dell’ordine.

«E’ una situazione davvero paradossale e incresciosa – attacca Armano – ho sollevato ripetutamente la vicenda, ma la risposta dei due istituti comprensivi è sempre stata la stessa: spiacenti, siamo al completo. Così si nega il diritto all’istruzione previsto non solo dalla nostra Costituzione, ma dal semplice buonsenso e dalle regole del vivere civile». La famiglia di Antonella ha lasciato Casteggio in estate, dopo l’acquisto di un appartamento nella zona di Pombio. «Il trasferimento – spiega ancora Armano – non era in programma, è stata una decisione improvvisa di fronte all’opportunità di una buona sistemazione abitativa a Voghera». Per questo, quindi, non è stata fatta la pre-iscrizione alla seconda elementare a marzo. Ma quando i genitori, dopo il cambio di residenza, hanno chiesto l’iscrizione alla Provenzal, l’elementare più vicina a casa, la strada era sbarrata. «Il papà – racconta il legale – fa il benzinaio nella zona di Casteggio, si alza prestissimo al mattino e non può accompagnare la figlia a scuola. La mamma non ha la patente e deve occuparsi anche dell’altra bimba di 4 anni che frequenta la materna. La soluzione della Provenzal, dunque, era la più pratica».
Dopo i ripetuti dinieghi, Armano ha scritto all’Ufficio scolastico provinciale e fatto poi partire una diffida all’istituto comprensivo di via Dante, da cui dipende la Provenzal. Quest’ultima lettera è finita ieri sul tavolo del dirigente, Marco Barbisotti: «Non ero a conoscenza del problema – puntualizza il preside – ma appena informato mi sono attivato per risolverla. Purtroppo alla Provenzal non  c’è più spazio (il tetto dei 25 alunni per classe si può superare solo in alcune circostanze), ma stiamo lavorando per inserire la bambina alla Leonardo da Vinci». La scuola è in via Aspromonte. Non proprio sotto la casa di Antonella

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   non ricordo la  fonte     in quanto     come    mio  solito a  volte   salvo  e faccio cute  past  in fretta e i doimentico   di riportar...