25.7.24

La guerra della Francia alle atlete musulmane Il Paese transalpino vieta loro di indossare l'hijab a dispetto di ogni norma internazionale.






 quando  un simbolo in questo  caso   non  solo  religioso  , anche  se  poi è a  religione   che ne ha  fatto la  sua  bandiera  \ uso dogmatico  e  molto  spesso  strumentale  ma fa parte  degli


usi  e dei costumi sociali    vietarlo o  imporlo obbligatoriamente   è una forzatura   della  laicità . E' quello    che  sta  avvenendo a queste  olimpiadi   di parigi  2024.

  da   https://www.ultimouomo.com/

«Sono stata squalificata dalle competizioni a gennaio 2023 e da allora non gioco più. È evidente che questo regolamento sia più che discriminatorio», ci racconta Salimata Sylla, giocatrice di basket francese, riferendosi al divieto di indossare l’hijab durante le competizioni imposto dalla Federazione francese alle cestiste. La decisione è stata presa dalla ministra della Gioventù, dello Sport e dei Giochi olimpici e Paralimpici, Amélie Oudéa-Castéra, che nel settembre del 2023 ha annunciato di estendere il divieto a tutte le atlete francesi anche durante le Olimpiadi, che si terranno tra pochi giorni a Parigi.
Secondo le parole della ministra, «la Francia è impegnata in un rigoroso regime di laicità», che implica «il divieto di ogni forma di proselitismo». Questa scelta arriva nonostante il Comitato olimpico internazionale (CIO) non limiti nessuna atleta a indossare l’hijab o un qualsiasi altro abbigliamento religioso o culturale. Oudéa-Castéra è pienamente consapevole e ha riconosciuto pubblicamente che la posizione francese non è in linea con quella del CIO, che considera «l’uso del velo non come un fattore religioso, ma come un fattore culturale». Il risultato è quindi che alle prossime Olimpiadi estive ci sarà una discrepanza tra le atlete straniere, che potranno giocare indossando il velo, in linea con le normative del CIO, e le atlete francesi, che non potranno portarlo.


Perché no?
La scelta di Oudéa-Castéra non è estemporanea e ha le sue radici nelle politiche francesi sull’hijab e più in generale sull’abbigliamento indossato da molte donne musulmane. Nell’agosto del 2023 l’allora ministro dell’Educazione nazionale e della Gioventù della Francia, Gabriel Attal (oggi primo ministro), aveva negato alle studentesse di fede islamica tra i 6 e i 18 anni di indossare l’abaya, una tradizionale tunica utilizzata da alcune donne musulmane. Poche settimane prima, il 29 giugno 2023, una decisione simile era stata presa dal Consiglio di Stato (organo con funzioni consultive nei confronti del governo e giurisdizionali in ambito amministrativo), che aveva confermato il divieto di indossare il velo nelle partite organizzate dalla federazione calcistica francese, come voluto dalla federazione stessa.
In quell’occasione il Consiglio ha ribadito che, a livello sportivo, il potere di regolamentare l’utilizzo del velo durante le competizione rimane nelle mani delle singole federazioni. Oltre a quella calcistica, anche la federazione di basket (FFBB) lo vieta da più di un anno; è per questo motivo che Salimata Sylla è stata esclusa dalle partite. La decisione della federazioni ha portato con sé conseguenze importanti.
«L’8 gennaio 2023 avevamo una partita a Escaudain, nel nord della Francia», ci dice Salimata Sylla, ex giocatrice della squadra di terza divisione Aubervilliers. «Come al solito sono scesa in campo con il mio velo omologato. Quel giorno ero anche capitana, avevo un ruolo importante». Sylla si sofferma sulla dinamica, spiegando che qualche minuto prima dell’inizio del match aveva avuto una conversazione con il suo allenatore: «L’arbitro gli aveva detto che non avrei potuto giocare con il velo. Così ci sono andata a parlare in prima persona per spiegargli che era dall’inizio della stagione che ci giocavo senza problemi». Il direttore di gara le ha spiegato che il regolamento era cambiato e da quel momento in poi tutti gli accessori che coprono la testa sarebbero considerati inappropriati. «Non hanno fatto nessuna comunicazione esterna, ne hanno solo parlato internamente. Da allora non ho più giocato». Nel dicembre 2022, la FFBB ha infatti introdotto l'articolo 9.3 nel regolamento sportivo generale, che vieta espressamente di “indossare qualsiasi equipaggiamento con connotazioni religiose o politiche [...] durante tutte le competizioni”.
Secondo il nuovo articolo, l’arbitro ha il dovere di impedire lo svolgimento della competizione nel caso in cui sia presente in campo una giocatrice che porti l’hijab o un qualsiasi altro indumento o riferimento religioso. Il mancato rispetto di questa regola può comportare un procedimento disciplinare nei confronti del/la giocatore/trice e di coloro che hanno permesso lo svolgimento della competizione. «È una vera caccia alle streghe», dice Salimata Sylla.




La decisione di impedire alle giocatrici di basket di portare il velo è in disaccordo con le regole della Federazione internazionale di basket (FIBA), che dal 2017 permette alle atlete di indossarlo. La decisione della FIBA è stata raggiunta in seguito a una campagna di sensibilizzazione e di raccolta firme lanciata nel 2014 dalla giocatrice bosniaca-americana, Indira Kaljo, e dall’imprenditore indiano sikh RPS Kohli. «Non mi sorprende che ci sia questo contrasto normativo tra federazione internazionale e quella francese», ci ha detto Silvio Bogliari, avvocato esperto in diritto sportivo, dal momento che «gli ordinamenti sportivi hanno propri principi e propri diritti». Questo perché, spiega l’avvocato, «il diritto sportivo è un diritto a sé stante e anche le federazioni sportive hanno un’ampia autonomia nell’adottare le proprie norme».
Nonostante la federazione internazionale abbia adottato delle proprie regole e raccomandazioni che le singole Federazioni dovrebbero seguire, la scelta ricade comunque nelle mani degli ordinamenti nazionali. La stessa dinamica si può raccontare anche per il calcio. La federazione francese di calcio (FFF) vieta l’uso del velo, mentre quella internazionale (FIFA) lo permette. «L’autonomia è la regola che vige nell’ordinamento sportivo», aggiunge Bogliari. «Pertanto, sebbene le federazioni nazionali dovrebbero sottostare a quanto stabilito dalle federazioni internazionali, nella pratica possono decidere di adottare norme interne che entrano in contrasto con i principi generali delle norme internazionali».
La decisione di vietare l’hijab stride però con quanto affermato in altre due normative importanti: la carta etica del basket e il Codice dello Sport. Nella prima, redatta dalla FFBB, viene sancito che “il libero accesso alle attività sportive è un principio generale del diritto” e che “tutte le persone devono avere la possibilità di praticare basket". Sulla stessa lunghezza d’onda, anche l’articolo L100-1 del Codice dello Sport promuove “un accesso uguale alle attività fisiche e sportive, senza discriminazione fondata sul sesso, identità di genere [..] l’appartenenza a una nazione, etnia, religione”. Ma, spiega ancora l’avvocato Bogliari, «benché dipendente dall’ordinamento giuridico nazionale, l’ordinamento sportivo è un ordinamento autonomo». La scelta presa dalla FFBB, per quanto in contrasto con le norme internazionali e i codici di comportamento, può essere irremovibile.
La mobilitazione delle atlete e dei club
«Quattro anni fa ho iniziato a portare il velo nella vita di tutti i giorni e quello omologato in campo», dice Salimata Sylla «Prima di essere esclusa non c’era stato alcun problema proprio perché il velo era omologato: rispetta cioè le condizioni di igiene e di sicurezza». A portarlo non sono solo le donne musulmane per motivi religiosi e scelte personali, ma anche persone che, ad esempio, hanno problemi medici legati alla sudorazione. In questo secondo caso, con una richiesta del medico, il velo è ancora concesso. «Il problema non è l’accessorio», continua la giocatrice, in Francia «Il problema è che io sia visibilmente musulmana».
Quanto subìto da Sylla è successo anche a un’altra giocatrice di basket di 22 anni, Hélène, a cui la Federazione non ha concesso di giocare indossando il velo sportivo. L’atleta, a ottobre del 2023, ha così lanciato la petizione Basket per Tutte per denunciare la decisione della federazione. L’obiettivo era attirare l’attenzione sul fatto che “tale divieto costituisce una violazione della libertà di coscienza e di religione e del principio di parità di accesso allo sport, in quanto, oggettivamente, non è necessario, proporzionato o giustificato da esigenze di igiene, sicurezza o ordine pubblico”.
Nello stesso mese di ottobre, anche Amnesty International aveva attirato l’attenzione della federazione francese di pallacanestro e del ministero francese della Gioventù, dello Sport, dei Giochi olimpici e paralimpici, chiedendo di garantire che “le norme relative all'uso di copricapi sportivi nelle competizioni siano conformi al diritto internazionale sui diritti umani e non discriminino e violino i diritti delle giocatrici musulmane che indossano copricapi in Francia”. Prima della mobilitazione delle giocatrici di basket e di Amnesty erano arrivate le dichiarazioni dell’ONU, che a settembre si era detta fortemente contraria al divieto imposto alle atlete francesi di portare l’hijab durante i Giochi olimpici. «Come regola generale, l'Ufficio dell'Alto Commissario per i Diritti Umani ritiene che nessuno debba imporre a una donna cosa debba o non debba indossare», ha dichiarato la portavoce dell’Ufficio, Marta Hurtado, in merito alle dichiarazioni rilasciate da Amélie Oudéa-Castéra. «Secondo le norme internazionali sui diritti umani, le restrizioni all'espressione delle religioni o delle credenze, come la scelta dell'abbigliamento, sono accettabili solo in circostanze molto specifiche che rispondono in modo proporzionato e necessario a legittime preoccupazioni di sicurezza pubblica, ordine pubblico, salute pubblica o moralità», ha continuato Hurtado.
Nonostante molte atlete e associazioni abbiano preso parola, il regolamento non è cambiato. Oggi le giocatrici che portano il velo vengono squalificate e i club che permettono loro di giocare rischiano di essere sanzionati. L’ex giocatrice Salimata Sylla è rimasta stupita da questa decisione. «Se la legge e la Federazione internazionale autorizzano il velo e se ci sono degli accessori che non mettono in pericolo nessuno, non capisco perché non mi debba essere permesso di giocare», dice. «Da quando ne ho parlato pubblicamente non ho ricevuto nessuna risposta o spiegazione del motivo di questa regola. Ed è strano, considerando che alle Olimpiadi altre atlete straniere potranno giocare con il velo».
Ball Her e Les Hijabeuses: lo sport inclusivo
I divieti imposti dalle Federazioni hanno spinto le atlete a creare delle realtà sportive più inclusive. È il caso del collettivo Les Hijabeuses, creato per difendere il diritto delle atlete di giocare a calcio indossando il velo. Nato nel 2020, il collettivo organizza partite e tornei aperti anche ad atlete con l’hijab o con altri abbigliamenti religiosi o culturali.
A giugno il collettivo ha organizzato un evento su larga scala, le Olimpiadi delle Hijabeuses, che consiste in una serie di competizioni diverse, aperte e accessibili a tutte le amatrici. “Vogliamo riaccendere la fiamma dello spirito olimpico, in un contesto di continue divisioni”, si legge sul sito dell’evento.
Un’altra realtà nata dai divieti delle federazioni sportive è quella di Ball Her, lega di basket creata proprio da Salimata Sylla e attiva nell’Ile-de-France, la regione di Parigi. «L’idea è di aprire degli spazi sicuri per tutte le donne e ragazze che hanno voglia di giocare a basket», dice Sylla. «Ball Her è un bisogno. Io non ho deciso di smettere di giocare a basket, quindi non vedo perché dovrei farlo».
Seguendo lo slogan di “basket per tutti”, Salimata Sylla spiega che Ball Her serve anche per dare visibilità alle atlete con l’hijab. «Per mostrare che non è inappropriato giocare con il velo», ci dice lei.

24.7.24

Pogacar rinuncia alle Olimpiadi per quello che hanno fatto alla fidanzata Urska: “Sono disgustato” E Beatrice Colli che parteciperà a parigi 2024spiega i segreti dell’arrampicata speed: “Se non sali come vorresti impazzisci”

leggi anche

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il più forte ciclista al mondo in attività, Tadej Pogacar non sarà alle Olimpiadi a rappresentare la sua Nazione, la Slovenia. Colpa del ct Penko che non ha convocato per i Giochi Urska Zingart, la compagna
di Pogacar ma ancor prima la campionessa nazionale a cronometro in carica. Una scelta senza senso che ha infastidito oltremodo il vincitore di Giro e Tour: “E’ l’unica ciclista donna slovena ad aver mai raggiunto la top 10 in gare del World Tour di una settimana…”

                                  A cura di Alessio Pediglieri

Tadej Pogacar,  il più forte ciclista al mondo in circolazione non sarà alle Olimpiadi. Un forfeit che il campione sloveno aveva annunciato nell'immediato post Tour de France, dichiarando di "sentirsi troppo stanco". Una motivazione che celava ben altre spiegazioni, in primis la mancata convocazione ai Giochi di Urska Zigart, la sua fidanzata. Ma ancor prima, la più forte ciclista slovena a cronometro, gara in cui si è laureata per due volte campionessa nazionale. Alla fine, dopo aver fatto gli auguri al suo sostituto, Domen Novak, Pogacar ha ammesso il proprio fastidio per le scelte fatte: "Sono senza parole e disgustato" La decisione di Pogacar: rabbia e fastidio per l'esclusione alle Olimpiadi di Urska Tadej Pogacar aveva detto che la decisione della federazione slovena di non selezionare Zigart per i Giochi fosse a suo modo inspiegabile, al di là del legame sentimentale che lega i due atleti, proprio per meriti sportivi: "È l’unica ciclista donna in Slovenia ad aver mai raggiunto la top 10 in gare del World Tour della durata di una settimana. Ha fatto grandi cose negli ultimi due anni" ha continuato il fenomeno sloveno vincitore di Giro e Tour. "Da sola ha ottenuto punti per la Slovenia che, senza di lei, non avrebbe avuto due posti nella corsa su strada olimpica".
Così si spiega la scelta finale, quella di non partecipare a sua volta ai Giochi, precedentemente nascosta da altre non plausibili motivazioni: "Non è stata la ragione principale del mio no ai Giochi" ha spiegato ancora Pogacar. "Ma di sicuro non mi ha aiutato a scegliere diversamente. Penso che lei meritasse un posto, semplicemente perché è la doppia campionessa nazionale di corsa su strada e cronometri non ché la ciclista più quotata della Slovenia: sono disgustato e senza parole" ha concluso il proprio pensiero, prima della chiosa finale: "Ora andremo in vacanza insieme"
Le motivazioni iniziali di Pogacar per il no olimpico: troppa stanchezza
Subito dopo il trionfo in giallo Pogacar aveva fulminato tutti dicendo no alle Olimpiadi di Parigi. Un appuntamento che appariva naturale dopo i trionfi a Giro e Tour e prima dei Mondiali, che invece non ci sarà. Il campione sloveno aveva celato il motivo centrale dietro una eccessiva stanchezza. Anche il suo agente, Alex Carera, aveva rimarcato il concetto: "Pensiamo che il percorso dei Giochi sia poco adatto alle sue caratteristiche. Il vero obiettivo è il Mondiale a Zurigo. Fare la doppietta come Pantani è stato qualcosa di leggendario. Ora si deve riposare per cullare il suo grande sogno, quello di vincere tutte le più importanti corse al mondo. Gli mancano Mondiale, Vuelta e Parigi-Roubaix".
Chi è Urska Zigart, la campionessa slovena esclusa dalle Olimpiadi
Urska Zigart è da anni una delle più quotate e vincenti cicliste slovene in attività. Professionista dal 2015 ha partecipato a 5 edizioni del Giro d'Italia Donne, oltre ad aver corso sia al Tour sia alla Vuelta. Nel 2020 si impone per la prima volta nella prova a cronometro nazionale prendendosi la maglia di campionessa slovena. Obiettivo poi ripetuto sia nel 2022 sia nel 2023. Eppure, non è stata scelta per rappresentare il suo Paese a Parigi. La stessa Zigart aveva commentato così la sua esclusione a sorpresa: "Prima del Tour della Svizzera, ho ricevuto un messaggio dall’allenatore della nazionale Gorazd Penko che spiegava la sua decisione e le sue ragioni. Mi ha detto che aveva già deciso l’anno scorso".Chi rappresenta la Slovenia nel ciclismo a ParigiLa squadra maschile di ciclismo della Slovenia a Parigi 2024 sarà rappresentata da Domen Novak, gregario in UAE proprio di Pogacar di cui ha preso il posto ai Giochi, e completerà la squadra insieme a Mohoric, Tratnik e Mezgec. Al posto di Zingart, invece, per la crono femminile, il ct Penko ha selezionato Urksa Pintar, che si era classificata seconda al campionato nazionale sloveno di quest’anno, 11 minuti proprio dietro Zigart.

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 da    https://www.fanpage.it/sport/altri-sport/

Beatrice Colli spiega i segreti dell’arrampicata speed: “Se non sali come vorresti impazzisci” Lo sprint
scalando una parete di 15 metri è la disciplina che Beatrice Colli porterà alle Olimpiadi di Parigi 2024: abbiamo incontrato la 19enne durante un allenamento per capire cosa si prova a correre verso l’alto per provare a conquistare una medaglia.

                         A cura di Simone Giancristofaro

Quindici metri di parete da scalare in pochi secondi – 6"88 è il record italiano che ha ottenuto a maggio – e in 20 movimenti: in questi numeri c'è tutto il sacrificio, la forza e la passione di Beatrice Colli, 19enne di Colico (Lecco), che gareggerà a Parigi 2024 nell'arrampicata speed.Entrata nella squadra della polizia di Stato a soli 17 anni, Colli vive per la velocità in verticale e la incontriamo nella palestra Big Walls di Brugherio, fuori Milano, al termine di un allenamento. Si riposa per qualche minuto davanti alla parete dell'arrampicata speed, che osserva quasi con riverenza."Mi sono avvicinata a questa disciplina da piccola perché mi arrampicavo ovunque, sui muretti di casa, sugli alberi poi mia mamma mi ha portato in una palestra di boulder" e da lì non ha più smesso. Poi il cambio palestra e l'ingresso nella squadra di arrampicata dei Ragni di Lecco. "Mi piaceva veramente tanto, andavo più di una volta a settimana, avevo i calli distrutti alle mani, ne ero orgogliosa", racconta a Fanpage.it Colli.
Road to Paris 2024
Ma cosa si prova a stare sospesi a più di dieci metri di altezza? "Scalo non per essere sospesa – ci risponde –  ma perché amo il gesto di portare il mio corpo verso l'alto e vedere come reagisco sotto pressione". E questo le darà un'ulteriore spinta a Parigi 2024: "È la mia prima Olimpiade, sono emozionata e super contenta di essere riuscita a guadagnarmi la qualificazione per cui ho combattuto per un anno e mezzo, sognata giorno e notte".Colli ha staccato il pass per le Olimpiadi all'ultimo giro di qualificazione e, con in testa sempre l'ossessione per la parete e per i movimenti da ripetere all'infinito, dice:

"Il mio obiettivo è dare il mio meglio, non voglio dire che voglio divertirmi, ma nelle gare di qualifica ero talmente agitata che non sono riuscita a fare una salita fatta bene e questo mi dà davvero fastidio, voglio fare vedere cosa ho coltivato durante tutti questi mesi di preparazione, se faccio il mio meglio posso andare lontana, qualificarmi nelle finali".



"Noi speed climbers siamo veramente perfezionisti – spiega Colli – lavoriamo sul millesimo di secondo, sul posizionamento dei piedi, tutto deve essere perfetto, se non riesci a salire come vorresti impazzisci, arrivare al top del percorso, sentirti forte, quel plus che ti regala l'adrenalina è qualcosa di magico".


Arrivano le ragazze



"Vincere è un sogno" confessa Beatrice Colli e un risultato a Parigi darebbe ulteriore lustro al mondo dell'arrampicata, che già vede in Italia un vero e proprio boom di iscritti alle palestre della disciplina, pur se non ancora nella versione sprint che è l'eccellenza di Colli:  "Ho notato che sto dando molta speranza alle ragazze, prima che portassi risultati nello speed a livello italiano, le gare femminili erano veramente ridotte. Adesso ci sono un sacco di giovincelle che vanno veloci, forse non diventerà uno sport nazionale ma stanno aumentando i numeri dei tesserati della Federazione arrampicata".


Claudio Carastro, lavora a Milano e fa l'università in Sicilia: si sveglia alle 3 del mattino e torna alle 2 di notte. La storia del pendolare estremo



   da  ilgazzettino  tramite  https://www.msn.com/it

 di   
Cecilia Legardi
 • 2 ora/e •




Lavora a Milano e studia Economia aziendale a Catania: «Aereo alle 5, alle 9 gli esami». È la storia di “pendolarismo estremo” di Claudio Carastro, un ragazzo italiano che ha scelto un percorso "al contrario" e lo ha concluso da poco.
La scelta dello studente
Quella di Claudio Carastro, 24enne di Paternò, è una vicenda da fuori sede “al contrario”: un lavoro al Nord non gli ha impedito di laurearsi a casa sua, in Sicilia. Per sostenere gli esami, partenza all’alba e ritorno in tarda serata. Perché lo ha fatto? per dimostrare che le università del Sud non hanno nulla da invidiare al resto d’Italia. Lo ha spiegato lui stesso al portale Skuola.net.È lui stesso ad aver soprannominato il suo stile di vita con “pendolarismo estremo”: lavora in Lombardia in uno studio di commercialisti, mentre consegue la laurea a Catania, facendo un percorso inverso a quello che tanti suoi compagni scelgono. E la distanza tra le due sedi è di 1.400 chilometri. Per fortuna, Claudio deve recarsi fisicamente nelle aule universitarie soltanto nelle giornate in cui si tengono gli esami.
Claudio è un pendolare estremo
A Skuola.net il ragazzo ha spiegato come è nato il termine "pendolarismo estremo": «Mi è venuto in mente quando, durante la lettura di un bando per le borse di studio, vidi una tabella che riportava varie attribuzioni a seconda della distanza dello studente fuorisede. Si partiva dai “pendolari a stretto giro”, al di sotto dei 15 km di distanza, per poi proseguire a scaglioni. Ovviamente il mio caso era fuori da ogni schema, così pensai che, con una distanza di 1.420 Km non potevo che essere un “pendolare estremo”».
La giornata di viaggio di Claudio
«Per rendere l’idea, la giornata tipo della “trasferta” aveva inizio alle 3 di mattina, dopo una rapida preparazione mi dirigevo in aeroporto, dove parcheggiavo l’auto - racconta Claudio - Il volo tendenzialmente partiva tra le 5.30 e le 6.00 ed era l’unico che mi permetteva, salvo imprevisti, i quali ovviamente si palesavano spesso, di essere presente per l’orario di inizio dell’esame generalmente alle ore 9.00/9.30. Durante il volo, 1 ora e 35 minuti, avevo modo di simulare l’esame nella mia mente, la quale si spegneva in una stanca dormiveglia. Arrivavo a Catania, prendevo il bus che mi lasciava davanti la facoltà, il tempo di un caffè e successivamente entravo in aula. Finito l’esame, se restava ampio margine prima del volo ritorno, che sovente partiva all’ultimo orario disponibile (22.30/23.30), rientravo volentieri al mio paese, a trovare la mia ragazza, gli amici e i parenti. Altrimenti, se avevo meno tempo, passeggiavo per Catania e attendevo l’orario per tornare direttamente in aeroporto. Il rientro avveniva, causa continui ritardi dei voli, verso le 2.00 di notte. L'indomani ricominciava la giornata di lavoro, sicuramente con maggior vigore se l’esame era stato superato».

Che "tabella di marcia" dovevi rispettare per conciliare un lavoro comunque impegnativo con lo studio a distanza?
«Sfruttavo ogni momento libero della giornata: studiavo sul treno durante il tragitto verso lo studio con il quale collaboro ormai da alcuni anni, o mentre rientravo a casa, o durante la pausa pranzo, o ancora appena rientrato a casa, ecc. Sicuramente il weekend era il momento in cui massimizzavo gli sforzi, anche se ciò comportava dover rinunciare a molti aspetti legati alla vita sociale, per non andare eccessivamente oltre con le tempistiche del percorso».
La strategia per andare avanti con gli esami, invece, qual era?
«L’iter base prevedeva il superamento per ciascun appello di due esami, per due materie differenti. La difficoltà principale che ho dovuto affrontare era la sfida costante con la consapevolezza di non poter sbagliare. Avevo un solo tentativo per ogni materia: lo ripetevo sempre a me stesso. Un passaggio a vuoto avrebbe comportato un dispendio ulteriore di energie e di soldi, un carico supplementare di stress, nonché lungaggini dei tempi di completamento. Ogni errore faceva slittare all’appello successivo. Con un approccio del genere sono riuscito a terminare il percorso di studi in poco più di 3 anni e mezzo, arrivando a 4 con la discussione della tesi».
A questo punto la domanda sembra scontata: perché non hai scelto un corso di laurea a Milano? Sarebbe stato più comodo…
«La mia forma mentis, la mia istruzione, la mia crescita derivano tutte dal percorso fatto nella mia terra. Per cui, se da un lato le strade si sono divise per varie ragioni, dall’altro ho nutrito il sentimento di creare un legame indissolubile con essa, concludendo il mio percorso di formazione, per l’appunto, in Sicilia, la quale investe per me, come per tutti gli altri studenti, nella nostra formazione. E poi, in qualche modo, ho voluto dimostrare che le università al Sud sono valide tanto quanto le università del Nord».
Oggi, alla fine del percorso, qual è il tuo bilancio di questa esperienza?
«La mia missione è man mano diventata, anche e non solo, una sfida d’orgoglio. Mi è stato spesso chiesto il motivo della mia scelta e, devo dire, molte volte ho pensato, soprattutto a metà percorso, di trasferirmi in un'università più vicina. Nel momento in cui, però, durante una normale conversazione a riguardo mi risposero: “Fai bene, così concludi velocemente visto che giù gli esami li regalano”, nonostante tu sapessi dentro di te quanto è difficile superare ciascuna prova e quanta ansia dovessi affrontare ogni volta. Allora ho sentito quasi il dovere di portare a termine ciò che avevo cominciato, al fine di poter sottolineare, qualora la vita mi avesse riservato anche semplici soddisfazioni a livello lavorativo, di essere laureato presso l’Università di Catania».
A conti fatti, consiglieresti ad altri giovani una esperienza simile alla tua?
«A chi deve intraprendere un corso di laurea, più che la mia esperienza in senso letterale, consiglio di scegliere non in base al blasone dell’istituto in sé. Anzi, bisogna far sì che ognuno porti avanti il nome degli istituti della propria terra natale, in qualsiasi regione si trovino, anche al Sud, dove molte strutture hanno ben poco da invidiare al resto del Paese».
Intanto, però, i dati sugli immatricolati ci dicono che ogni anno c'è un vero e proprio esodo di universitari dal Sud al Nord. Secondo te perché?
«Ritengo che gran parte degli studenti opti per un’università situata al Centro-Nord più che altro nell’ottica di un inquadramento lavorativo futuro più celere e immediato. Sono indiscutibili i legami e le porte d’accesso che varie facoltà al Nord offrono agli studenti. Mi sento però di evidenziare, per quanto riguarda l’università di Catania, l’organizzazione e la puntualità dei professori, oltreché le competenze in materia».
Ora quali sono i tuoi piani per il futuro, sia a livello professionale che personale? Sceglierai Milano o Catania?
«A livello lavorativo, purtroppo, non è possibile al momento eseguire lo stesso ragionamento proposto a livello di istruzione. Ho provato ad approcciarmi al mondo lavorativo anche in Sicilia ricevendo, però, delle delusioni. Inoltre, per chi come me ha intrapreso un percorso in ambito economico e finanziario, Milano rappresenta il vertice in Italia. Attualmente, a livello professionale e personale, sto bene. In futuro si vedrà».

Sasha Zhoya, l'atleta francese sfilerà con la gonna alla cerimonia d'apertura E la leggenda dei letti anti sesso per gli atleti



dopo le prevvisioni e le curiosità
della XXXIII dei Giochi olimpici (Jeux de la XXXIIIe olympiade), commercialmente noti come Parigi 2024, si terranno a Parigi, in Francia, dal 26 luglio all'11 agosto 2024, a 100 anni esatti dall'ultima volta che la città ha ospitato l'evento.L'assegnazione dell'evento è stata ufficializzata il 13 settembre 2017 durante la 131ª Sessione del CIO svoltasi a Lima, Perù . Parigi è la seconda città, dopo Londra (1908, 1948 e 2012), a ospitare per tre volte i Giochi olimpici estivi, dopo le edizioni del 1900 e 1924. per ulteriori news  e  sugli eventi   Giochi della XXXIII Olimpiade - Wikipedia

iniziamo come ogni anno con le storie olimpiche   . la prima presa  dal portale https://www.msn.com/it 





Oltre ai giochi olimpici c'è di più.
Alla vigilia della cerimonia di apertura di Parigi 2024, fa notizia l'annuncio che l'atleta francese Sasha Zhoya, sfilerà con una speciale divisa del team transalpino all'inaugurazione dei giochi. Il campione del mondo Under 20 dei 110 metri a ostacoli a Nairobi 2021, infatti, ha ricevuto l'ok dal Comitato Nazionale Olimpico e Sportivo Francese e dalla Federazione transalpina di atletica leggera per sfilare venerdì sera indossando la gonna e non i pantaloni di ordinanza (come previsto per gli uomini).
"Se le donne hanno il diritto di indossare i pantaloni, potrebbe essere un bene che gli uomini abbiano il diritto di indossare le gonne", aveva affermato lunedì Zhoya, aggiungendo che "nel 2024 possiamo metterci di tutto. Non ci sono più uomini e donne di moda ormai".Dopo alcuni giorni di battaglie, secondo quanto riportano "Le Parisien" e "L'Equipe", l'atleta transalpino ha avuto oggi il consenso per partecipare alla parata di apertura di Parigi2024 indossando la gonna.



la  seconda  da  fanpage




Letti anti-sesso alle Olimpiadi di Parigi, due atlete mostrano la verità: video inequivocabile© Fornito da Fanpage.itIl Villaggio Olimpico è un posto splendido, migliaia di atleti provenienti letteralmente da ogni angolo del mondo vivono lì tutti assieme e trascorrono momenti indimenticabili, al di là dei risultati. Gli atleti vivono in delle stanzette, che quando sono state presentate sono state oggetto di polemiche per i letti che qualcuno aveva definito anti-sesso. Ma non è così. La spiegazione è stata chiara, il divieto del Cio è stato abolito. Quindi quei letti non sono anti-sesso. Ma ora, con i primi atleti giunti a Parigi, sono arrivati anche dei test, diciamo artigianali, di due atlete australiane che hanno effettuato delle prove e hanno diffuso i risultati sui social.
Le polemiche per i letti e il divieto d’intimità abolitoI letti per gli atleti che partecipano alle Olimpiadi hanno creato diverse discussioni. Era stato così già tre anni fa. Le polemiche nacquero formalmente per via del fondista americano Paul Chelimo, che postò delle immagini e si chiese se quei letti cosi fragili, all’apparenza, però, non avessero come scopo quello di limitare l’intimità tra gli atleti. Preoccupazione dovuta anche al divieto di intimità per gli atleti ai Giochi di Tokyo. Ma quel divieto in realtà è stato abiurato lo scorso marzo. E quindi la regola per Parigi non vale, anche se i letti restano di cartone.
Saville e Perez testano il letto tra tuffi e tennisIn ogni caso quando sono giunte nelle rispettive stanze, a pochi giorni dal via di Parigi 2024, due atleti australiane di prima fascia hanno voluto testare i letti. Un video è finito sui social e ha mostrato le evoluzioni di Daria Saville e Ellen Perez. Daria Saville è un giocatrice di tennis, da tempo ha preso il cognome del marito, prima era nota come Daria Gavrilova. Buona giocatrice, che è molto popolare grazie alla sua simpatia e alla sua verve. E anche a Parigi non si è smentita. L’australiana ha postato sul suo profilo Instagram un video, realizzato in tandem con la sua partner di doppio Ellen Perez, top ten della specialità. Ne é uscito un video esilarante nella quale le si vedono testare, testualmente: ‘I letti di cartone del Villaggio Olimpico’.
Tilly Kearns commenta i letti olimpiciIl video vede Perez e Saville sottoporre il suo letto a una serie di prove. Si vedono le due giocatrici prima effettuare una prova di resistenza per le fasce muscolari, poi gli squat, degli ‘step ups’, prima di prendere il suo attrezzo per eccellenza, la racchetta, e scaraventarlo sul letto, in un gesto canonico, poi si prova a simulare all’in piedi sul letto un allenamento per le volée. Il video si chiude con un ‘cannon ball’, un tuffo sul letto. Ovviamente social impazziti. Test per il letto, tutto sommato, superato. La giocatrice di pallanuoto Tilly Kearns ha postato, pure lei, un video, dialogando con la compagna di squadra e di stanza Gabi Palm, Kearns ha espresso, senza testare, il suo verdetto sui letti della discordia dicendo: “In realtà è solido come una roccia. Puoi spostarlo e a quanto pare c’è un lato più morbido“.
I letti di Parigi 2024I letti sui quali dormiranno gli atleti che parteciperanno ai Giochi Olimpici sono lunghi oltre due metri e larghi 90 centimetri, con un telaio che utilizza pezzi di cartone e sono dotati di un materasso diviso in tre blocchi di rigidità differente, che ogni atleta può regolare in base alle proprie esigenze. Questi letti possono sostenere un peso fino a 200 chili, ma possono incrinarsi a causa di sollecitazioni troppo brusche. E l’aver fornito agli atleti dei letti singoli realizzati con materiali fragili ha fatto sì che in molti pensassero a dei letti anti-sesso, considerato anche il divieto che era stato stabilito dal CIO nel 2021. Ma quel divieto è stato poi revocato




Video correlato: Olimpiadi di Parigi, letti di cartone "anti-sesso" per gli atleti: il test delle tenniste smentisce l'ipotesi (Leggo)




. La casa produttrice è l’Airwave, che ha agito nell’ambito della sostenibilità, che è stata la parola chiave per i Giochi di Parigi e in particolar modo per il Villaggio Olimpico.
. La casa produttrice è l’Airwave, che ha agito nell’ambito della sostenibilità, che è stata la parola chiave per i Giochi di Parigi e in particolar modo per il Villaggio Olimpico.

23.7.24

l'uscita della polvere della lega Non è stata resa pubblica da neanche 12 ore che lo scellerato Ddl per vietare il genere femminile negli atti pubblici è stato già ritirato con disonore e vergogna.

 Non è stata resa pubblica da neanche 12 ore che lo scellerato Ddl per vietare il genere femminile negli atti pubblici è stato già ritirato con disonore e vergogna.


Resosi conto del boomerang, la Lega ci ha tenuto a dire che si è trattata di una “iniziativa personale” di un senatore, tal Manfredi Potenti, che - tenetevi forte - “non rispecchia in alcun modo la linea della Lega”.
Talmente personale che per anni la Lega - Salvini in testa - ha costruito buona parte della sua propaganda nell’attacco a Laura Boldrini solo perché chiamava le deputate “deputate”, come prevede la lingua italiana.
Riassunto?
Non rispettano le donne e le loro qualifiche, i loro titoli, le loro competenze.
Non conoscono la lingua italiana e la maltrattano sistematicamente.
Provano persino a vietare le parole per legge, in pieno stile ventennio.

E, una volta perculati dall’universo mondo, se ne escono scaricando tutto sul “povero” (si fa per dire) anonimo senatore di turno, come se fosse un alieno sbarcato all’improvviso sul Carroccio.
Stavamo scherzando, insomma…
La solita, ennessima, figura da cioccalatai di un partito che sta colando a picco.
Insieme al suo comandante. Pardon, “capitano”.

22.7.24

Il caso di ‘Giacomo’, il bambino di due anni che vive in carcere con sua madre a Rebibbia: non parla e dice solo “apri” e “chiudi”


Il Riformista


Il caso di ‘Giacomo’, il bambino di due anni che vive in carcere con sua madre a Rebibbia: non parla e dice solo “apri” e “chiudi”
Storia di Redazione • 23 ora/e • 3 min di lettura



Ha due anni, non corre, parla a malapena e vive in carcere. È il caso di ‘Giacomo‘, un bambino che ormai da dieci mesi si trova insieme alla madre nell’istituto penitenziario di Rebibbia, a Roma, non certo per colpe sue. Nel carcere c’è una sezione nido dove si trovano i figli dei reclusi, come è Giacomo: la madre, una trentenne italiana, sta scontando una pena per reati minori; e anche il padre, il compagno della donna, si trova a Rebibbia.
Il caso di ‘Giacomo’, il bambino di due anni che vive in carcere con sua madre a Rebibbia
Dieci mesi in carcere, quindi, per Giacomo. E le condizioni in cui vive lo hanno portato a problemi di crescita e non solo: il piccolo – come racconta Repubblica – ha maturato un ritardo nello sviluppo psico-motorio. In più, non parla, non corre, è sovrappeso, porta ancora il pannolino. Dice solo poche parole: ‘sì’, ‘no’, ‘mamma’, ‘papà’, ‘apri‘ e ‘chiudi‘.
Il caso di Giacomo a Rebibbia, la nota dei senatori Pd
Dopo la denuncia di Repubblica, il caso è stato rilanciato dal Partito Democratico. I senatori del Pd, Alfredo Bazoli, Franco Mirabelli, Anna Rossomando, Walter Verini e Cecilia d’Elia, hanno prima definito “agghiacciante” la vicenda. “Tra le emergenze delle carceri italiane, che vogliono dire suicidi quotidiani, sovraffollamento disumano, trattamenti privi di seri e diffusi percorsi di recupero e reinserimento, situazione difficilissima per gli agenti di polizia penitenziaria) c’è anche la vergogna dei minori in carcere con le madri detenute“, si legge nella loro nota. “Riproponiamo di abolire questa situazione di crudele inciviltà, proprio in occasione del voto sugli emendamenti al decreto carcere che inizierà questa settimana in Commissione Giustizia al Senato dove andrà in aula la prossima settimana” proseguono i senatori Pd. “Ci batteremo e vogliamo sperare con forza che tutti i gruppi si uniscano per dire davvero basta alla vergogna dei bambini reclusi nelle carceri di questo Paese” hanno concluso i senatori.
La visita in carcere a Rebibbia

Ma gli esponenti del partito di Elly Schlein sono andati oltre alla semplice nota. D’Elia e Verini si sono infatti recati nel carcere femminile di Rebibbia, in particolare nella sezione nido per “incontrare di persona ‘Giacomo’, innocente assoluto di due anni e sua madre”. “Un’esperienza drammatica, com’è sempre la visita al nido di un carcere. Al momento in quello di Rebibbia ci sono tre bambini, che abbiamo incontrato e di cui dalle madri abbiamo ascoltato le storie, molto diverse fra di loro. Ma simile è la sofferenza. È inaccettabile che ci siano bambine e bambini nelle nostre carceri. Sulla situazione particolare di Rebibbia verificheremo con i garanti territoriali quali possono essere le soluzioni da perseguire” hanno affermato i due dem.
Poi l’attacco alle misure proposte dal governo di Giorgia Meloni: “Da domani come senatori saremo impegnati nella discussione del decreto carceri, che inizia il suo iter a Palazzo Madama. Un decreto vuoto, che non affronta l’emergenza carceri e il sovraffollamento. I nostri emendamenti intervengono per umanizzare davvero le carceri, per riempire quel vuoto e anche per liberare finalmente i bambini dal carcere. Continueremo la nostra battaglia per abolire questa situazione crudele, aumentare le case famiglia e gli istituti a custodia attenuata. Ci auguriamo che le forze di maggioranza accolgano queste nostre proposte, che sono proposte di civiltà”.

DIARIO DI BORDO N 64 ANNO II come la politica di mussolini contro le parole straniere La Lega dichiara guerra a “sindaca” e “avvocata”.,Violentò un’amica a scuola. Condannati i genitori: "Figlio educato male". Il ministro: verdetto giusto.

L'aula di Montecitorio (Ansa)



Stop ad "avvocata", "sindaca" e simili. Una proposta di legge della Lega punta a vietare negli atti pubblici «il genere femminile per neologismi applicati ai titoli istituzionali dello Stato, ai gradi militari, ai titoli professionali, alle onorificenze, ed agli incarichi individuati da atti aventi forza di legge».
Il testo, a firma del senatore leghista Manfredi Potenti, è ancora una bozza ma è già chiarissimo nelle premesse: «La presente legge intende preservare l'integrità della lingua italiana ed in particolare evitare l'impropria modificazione dei titoli pubblici, come 'Sindaco', 'Prefetto', 'Questore', 'Avvocato' dai
tentativi 'simbolici' di adattarne la loro definizione alle diverse sensibilità del tempo».Ocorre scongiurare secondo i nazilinguisti \ puristi che la legittima battaglia per la parità di genere, al fine di conseguire visibilità e consenso nella società ricorra a questi eccessi non rispettosi delle istituzioni», si spiega. E, per questo, si ritiene «necessario un intervento normativo che implichi un contenimento della creatività nell'uso della lingua italiana nei documenti delle istituzioni».Tale bozza prevvede nell'articolo 3 sull'uso della lingua italiana negli atti pubblici è messo nero su bianco il «divieto del ricorso discrezionale al femminile o sovraesteso od a qualsiasi sperimentazione linguistica. È ammesso l'uso della doppia forma od il maschile universale, da intendersi in senso neutro e senza alcuna connotazione sessista». Obiettivo - come recita l'articolo 1 - è «preservare la pubblica amministrazione dalle deformazioni letterali derivanti dalle necessità di affermare la parità di genere nei testi pubblici». Capitolo a parte le multe (articolo 5): «La violazione degli obblighi di cui alla presente legge comporta l'applicazione di una sanzione pecuniaria amministrativa consistente nel pagamento di una somma da 1.000 a 5.000 euro». Ecco quindo che in una delle situazione più drammatiche che il mondo abbia mai conosciuto, sapete quali sono le priorità di quest’individuo che non riesco neanche più a chiamare ministro ? Dichiarare guerra all’uso del genere femminile.Avete capito bene. Salvini e la Lega hanno pronta una proposta di legge per vietare l’uso negli atti pubblici di parole come sindaca, prefetta, avvocata, questora e qualunque declinazione che - senza togliere nulla a nessuno - aggiunge diritti e ricchezza alla lingua italiana e che ormai sono entrati nella lingua sia formale che informale che ci piaccia o meno . Perché queste parole, anche se il povero Salvini lo ignora fanno parte come dicevo a pieno titolo della lingua italiana.Chi non si adegua rischia multe - tenetevi forte - fino a 5.000 euro. Il tutto per elemosinare il voto e stuzzicare la pancia di milioni di disagiati e analfabeti funzionali, ovvero l’elettore medio leghista e non solo .Quando non hai parole per esprimere idee, l’unica idea è di dichiarare guerra alle parole. Erano cose queste che si facevano nel Ventennio con la politica linguistica . E non è un caso.
Infatti saranno come dice il commento non ricordo su quale bacheca , mi pare quella di Lorenzo Tosa Cristina Savi :
Sindaca, avvocata o architetta sono termini che anche io evito, mi fanno venire la pelle d’oca. Però questo non autorizza un ministro della Repubblica Italiana a perdere tempo con queste fesserie
  tra  i commenti   più educati 






Quindi come Come si usual dire, il problema non è lui ma chi lo vota, però, non dimentichiamo che è un alleato di Governo.In sintesi, Giorgia Meloni non lo trova così tanto fulminato poi !
 Una iniziativa di cui si sentiva la necessità 😂🤣 .A aggiungerei alla proposta severissime sanzioni per coloro che si rivolgessero ai politici chiamandoli "onorevoli", titolo che peraltro non esiste ma che piace molto ai nostri eletti ...e si offendono pure se ti rivolgi a loro in forma scrita o orale non lo usi

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Violentò un’amica a scuola. Condannati i genitori: "Figlio educato male". Il ministro: verdetto giusto


La violenza sessuale era avvenuta nello sgabuzzino del liceo che entrambi all’epoca frequentavano, 9 anni fa a Siena. Era il marzo 2015. Avevano indagato i carabinieri sui fatti. Profonde le ferite psicologiche riportate dalla ragazzina, 16enne come il suo compagno di scuola. E che solo adesso si stanno lentamente rimarginando.Dopo il pronunciamento sul caso del tribunale dei minorenni di Firenze nel 2022 è arrivata nel giugno scorso una sentenza civile, emessa dal giudice Massimo Maione Mannamo, per la quantificazione del danno. A seguito della quale sono stati condannati sia il giovane che i suoi genitori a risarcire 27mila euro alla ragazza per i danni patiti. Ritenendo la coppia responsabile di non aver vigilato ed educato correttamente il figlio, all’epoca dei fatti minorenne. Qui il cuore del pronunciamento che si richiama alla cosiddetta "culpa in educando" contenuta nell’articolo 2048 del Codice civile sulla responsabilità di padri e madri per i danni provocati da fatti illeciti compiuti dai figli minori. "Molto importante questa decisione giurisprudenziale che chiama i genitori a rispondere civilmente per violenze gravi commesse dai figli. Va nella stessa direzione della norma contenuta nel ddl sulla #condotta che prevede multe per chi aggredisce gli insegnanti. La scuola e la società devono sempre più fondarsi sulla responsabilità individuale", interviene sulla vicenda il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara.
Quella violenza sessuale, di cui si è occupato il tribunale dei minorenni nel 2022, era stata subito raccontata ai genitori dalla studentessa. Faticoso per lei uscire dall’incubo, erano servite le cure. E i medici le avevano riconosciuto un lungo periodo di inabilità temporanea. Un anno e mezzo. Anche se poi, grazie all’amore dei suoi cari e dei tanti che le sono rimasti vicino, ha lavorato e ricominciato a vivere. Dopo il procedimento penale è stato definito civilmente il risarcimento. Essendo stato chiamato in causa anche il ministero dell’Istruzione e la scuola, oltre al ragazzo e ai suoi genitori, la competenza era dei giudici fiorentini. Che hanno riconosciuto, come detto, 27mila euro alla giovane e non i 100mila richiesti, escludendo la responsabilità del liceo e appunto del ministero.

"Non mi esprimo, né commento il fatto ma rispondo solo in merito al principio perché è sicuramente una sentenza importante che riprende alcuni concetti già espressi dalla Corte di Cassazione in merito alla presunzione di responsabilità dei genitori per ’culpa in educando’ di cui all’articolo 2048 del Codice civile", osserva l’avvocato Michele Cortazzo che assiste la giovane. "Del fatto grave e dell’illecito commesso dal minore – prosegue – risponde in via di presunzione e a titolo risarcitorio anche il genitore laddove non dimostri di aver impartito al figlio un’educazione normalmente idonea, in relazione al suo ambiente e alla sua personalità, ad avviarlo a una corretta vita di relazione, nonché a prevenire un suo comportamento illecito. È onere dei genitori dimostrare di aver assolto il compito di aver fornito al figlio un’educazione tale da consentire un equilibrato sviluppo psico-emotivo improntato al rispetto degli altri".

FORZA DI VOLONTA DEI DISABILI IL CASO DI YOUSEF ABO AMIRA CHE NATO SENZA ARTI PRATICA SPORT

  PURTROPPO HO TROVATO SOLO EWS IN INGLESE SU DI LUI E PER GIUNTA L'INTRODUZIONE DELK SUO CANALE DI YOUTUBE...