9.9.09

Non siamo tutti uguali (parte seconda)

Proprio nel giorno contro la violenza sulle donne, Lubna Ahmed Hussein ha vinto la sua battaglia: è libera, e non dovrà nemmeno pagare la multa (ci ha pensato il sindacato giornalisti). Ma lei insiste, vuole andare al carcere per deferire il suo caso alla Corte costituzionale. Una grande vittoria, seguita purtroppo da notizie tristi. I media stanno celebrando con solenni epitaffi (molto maggiori di quelli dedicati a Teresa Strada e al compleanno di Emergency) la morte di Mike Bongiorno, avvenuta ieri all'età di ottantacinque anni. Per carità, ha scritto la storia della tv (nel bene e nel male). Riposi in pace. Il fatto è che negli stessi istanti, nella Casa circondariale di Pavia, moriva a 41 anni Sami Mbarka Ben Gargi, oscuro tunisino dai trascorsi tutt'altro che gloriosi. Un "nessuno" deceduto per fame, dopo una protesta durata oltre un mese. Protestava la sua innocenza, evitando di toccare cibo e di bere acqua. Non un'associazione "per la vita" si è levata a sua difesa, nessun Giuliano Ferrara ha portato bottiglie d'acqua fuori della prigione. Così Sami è morto. Il direttore del carcere ha dichiarato, con un laconico e significativo anacoluto: "Un soggetto, già privo della sua libertà, non puoi privarlo della facoltà di poter decidere e quindi di autodeterminarsi". In questo pessimo italiano si potrebbe parafrasare la famosa formula "il carcere rende liberi", come rendeva liberi, e sempre da quella cosa chiamata vita, i soggetti d'un altro carcere di tanti anni fa. E poi, era solo un tunisino.


Daniela Tuscano


Aria di Daniele Silvestri

Non siamo tutti uguali (parte seconda)

Proprio nel giorno contro la violenza sulle donne, Lubna Ahmed Hussein ha vinto la sua battaglia: è libera, e non dovrà nemmeno pagare la multa (ci ha pensato il sindacato giornalisti). Ma lei insiste, vuole andare al carcere per deferire il suo caso alla Corte costituzionale. Una grande vittoria, seguita purtroppo da notizie tristi. I media stanno celebrando con solenni epitaffi (molto maggiori di quelli dedicati a Teresa Strada e al compleanno di Emergency) la morte di Mike Bongiorno, avvenuta ieri all'età di ottantacinque anni. Per carità, ha scritto la storia della tv (nel bene e nel male). Riposi in pace. Il fatto è che negli stessi istanti, nella Casa circondariale di Pavia, moriva a 41 anni Sami Mbarka Ben Gargi, oscuro tunisino dai trascorsi tutt'altro che gloriosi. Un "nessuno" deceduto per fame, dopo una protesta durata oltre un mese. Protestava la sua innocenza, evitando di toccare cibo e di bere acqua. Non un'associazione "per la vita" si è levata a sua difesa, nessun Giuliano Ferrara ha portato bottiglie d'acqua fuori della prigione. Così Sami è morto. Il direttore del carcere ha dichiarato, con un laconico e significativo anacoluto: "Un soggetto, già privo della sua libertà, non puoi privarlo della facoltà di poter decidere e quindi di autodeterminarsi". In questo pessimo italiano si potrebbe parafrasare la famosa formula "il carcere rende liberi", come rendeva liberi, e sempre da quella cosa chiamata vita, i soggetti d'un altro carcere di tanti anni fa. E poi, era solo un tunisino.

Aria di Daniele Silvestri



Senza titolo 1663

  QUESTA E' UNA VECCHIA CUCINA GIOCATTOLO DI LATTA !  VE LA RICORDATE ?  :-)


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Io Amo



mare_ombrellone_web--400x300 Foto tratta dal Web.

Protetta dal tettuccio
della sdraio
mi abbandono ai miei ricordi
lente lacrime scorrono sul viso
nessuno le vede
mi bagnano le dita.
Guardo verso l'orizzonte
tante vele bianche allineate
pronte per una regata
è emozionante
starle  ad  ammirare.
Si alleggerisce il peso che ho nel cuore
sento un senso di pace e di letizia
il Mare
toccasana ai miei dolori
niente e nessuno più di lui
io amo.

Scritto da Marilicia il 16/08/2009




Senza titolo 1662

  QUESTO E' UN VECCHIO CARRO GRU GIOCATTOLO DI LATTA !  VE LO RICORDATE ?  :-)


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09.09.2009

Oggi tutta di bianco per urlare in silenzio il mio NOoo più assoluto contro la violenza sulle donne, fisica, psicologica, subdola.. nascosta: NO ALLA VIOLENZA !

gli altri eroi del 11 settembre 2001

Voglio iniziare il post d'oggi con il film di Ken Loack tratto dal film collettivo 11’09’’01 - September 11 ( http://fr.wikipedia.org/wiki/11’09’’01_-_September_11 )  film  dei  seguenti registi Samira Makhmalbaf, Claude Lelouch, Youssef Chahine, Danis Tanovic, Idrissa uedraogo, Ken Loach, Alejandro Gonzalez Inarritu, Amos Gitai, Mira Nair, Sean Penn, Shohei Imamura   e non retorico , ma fiero ed indigesto , proprio come dovrebbero essere celebrati tali avvenimenti





In esso Ken Loach realizza un corto su l'11 Settembre 1973, giorno del colpo di stato militare in Cile ai danni del governo democraticamente eletto, rivolgendosi direttamente ai parenti delle vittime dell'11 Settembre 2001 e realizzando un parallelismo tra passato e presente, libertà e oppressione. 

Avvicinandosi la ricorrenza dell'attentato alle Torri Gemelle di New  york  ritengo doveroso ricordare , quelli che sono i veri eroi  ,  e non  (  o almeno  non solo dipende  dai  punti di vista   )  le  vittime ,  i volontari grazie ai quali tutte le famiglie coinvolte possono celebrare tale giornata commemorativa  opossono  in aluni casi  , ancora, abbracciare i loro cari sopravvissuti a tale memorabile tragedia,  i trecento cani che instancabilmente hanno guidato i soccorritori a cercare tutti coloro che erano stati seppelliti dalle macerie. Trecento eroi che, purtroppo, possiamo solo ringraziare commemorandoli in quanto la maggior parte di loro, a causa della loro opera di salvataggio, si è ammalato e continua  se   non lo  è  gia    a morire    in seguito ai grandi sforzi compiuti, alle ferite riportate, alle infezioni contratte e ai fumi tossici inalati. E non solo  come dimostrano questo video   che mette indiscussione la versione ufficiale    . Tra questi  : <<  Bear, un magnifico  che non ha quasi mai smesso di scavare per ore consecutive.Bear si è meritato, una citazione nel guinnes dei primati,ma non sarà per questo che rimarrà nel cuore di chi deve la propria sopravvivenza al suo sacrificio.>>  (  da una  lettera  , SIC , anonima    nella posta  del nord sardegna del  7\11\20009 .
Concludo  raccogliendomi in silenzio  per  celebrare  le vittime dei due  11  settembre e 






8.9.09

anche i morti se fatti parlare raccontano storie



Quello che i morti non dicono Ernesto D'Aloja, misteri e silenzi di un medico legale






dalll'unione srda del 6\9\2009

Gli hanno riservato un compito difficile: interrogare i morti. Da un cadavere deve riuscire a farsi dare il maggior numero di informazioni, comprese quelle ultra-riservate, quelle che da vivo custodiva come un privatissimo segreto e non avrebbe mai confessato a nessuno.Finora Ernesto D'Aloja ( foto sotto )







ha svolto non meno di millecinquecento autopsie ma sarebbe riduttivo ricorrere a questo numero per definire il suo ruolo di medico legale. C'è molto di più: una sacrale osservazione del corpo umano e dei suoi silenzi post mortem, una minuziosa ricerca scientifica che non deve mai sconfinare col lavoro degli investigatori, la battaglia interiore per conservare rispetto verso il materiale da lavoro e non lasciare che la routine da bisturi diventi tran tran impiegatizio. D'Aloja, che ha 49 anni e un figlio, dice di essere credente e di sorprendersi ancora davanti alla meraviglia dell'uomo. «Più lo studio e più mi rendo conto che il nostro organismo è una macchina strepitosa e irraggiungibile, un insieme che sfiora la perfezione».
Presidente dei genetisti forensi italiani, professore ordinario da quattro anni all'università di Cagliari, si è formato alla scuola di un fuoriclasse (Angelo Fiori) alla Cattolica di Roma e perfezionato negli Stati Uniti. È finito dentro le indagini più clamorose degli ultimi anni: dal delitto di via Poma a quello della contessa Filo della Torre all'Olgiata. Ha lavorato nel cimitero criminale aperto dalla banda della Magliana, seguito e frugato nella morte, più o meno misteriosa, di molti intoccabili. Una grande capacità comunicativa l'ha fatto finire tra gli ospiti di Superquark, trasmissione televisiva che non è certo passerella di pacchisti e prezzemolini.
A salvarlo dal pericolo di una tetraggine che vada oltre l'orario d'ufficio è l'educazione all'ironia, al distacco. Anche nei momenti più delicati. Per esempio quando, in un camposanto del nord Italia, stava esumando un cadavere sotto l'occhio attento di un becchino che non l'ha mollato un istante mentre smanettava tra poveri resti dentro una bara mordicchiata dal tempo. Alla fine il becchino si è fatto coraggioso: professore, posso dirle una cosa? Il suo mestiere fa veramente schifo.
D'Aloja, forte di una stazza notevole, ha gli ammortizzatori per incassare senza traumi. Da quattro anni abita a Cagliari, prima stava nel romanissimo quartiere di Trastevere. «La differenza? Lì non sei nessuno, qui sanno dove vai e cosa fai». Dei sardi, visto che non ha perso l'abitudine di studiare anche i vivi, s'è fatto un'idea precisa: «Vissuta da dentro, quest'isola è molto più bella di quella che visitavo in vacanza. Ma siete talmente fieri di essere sardi che vi capita di isolarvi dal resto del mondo. Appena arrivato all'università ho scoperto, con grande stupore, che avete difficoltà a lavorare insieme. Meglio soli, vero?».

Grazie alle tecnologie, la medicina legale ha fatto enormi passi avanti. Attraverso l'analisi di un capello è possibile sapere non solo se si è cocainomani ma pure l'ultima volta che si è sniffato; un banale esame del sangue consente di calcolare quanto si è bevuto nelle ultime due settimane.


Professor D'Aloja, qual è il suo rapporto con la morte?
«Quotidiano, e senza pentimenti. Non ne ho paura, non mi ha mai messo i brividi. Frequentare la morte aiuta ad apprezzare le cose belle della vita».
È vero che i morti dicono moltissimo?
«Sì, soprattutto cose che non vorrebbero raccontare. La nostra è una strana professione: entriamo in maniera violenta nella vita di un cittadino. Scopriamo che aveva in frigo, cosa aveva mangiato prima di morire, quali erano i vizi privati e le pubbliche virtù. Non ho mai dimenticato un acclamato professionista che indossava mutandine da donna o il gioielliere che nascondeva diamanti nei calzini: aveva paura che glieli rubassero».
Dietro un cadavere c'è sempre qualcosa di non detto?
«No. Di solito sono storie di desolazione, solitudine. Colpiscono gli omicidi in famiglia perché nascondono una ferocia particolare. Ricordo un ragazzo malato di mente che ha ucciso prima il cane, poi la madre con venti coltellate e infine si è messo a letto zuppo di sangue. Quando la polizia ha fatto irruzione nel suo appartamento era apparentemente sereno. Ho avuto un incubo, ci ha detto».
Un caso risolto grazie all'autopsia.
«Succede il 90 per cento delle volte. L'autopsia, se eseguita con scrupolo, offre elementi fondamentali, per capire. Può durare da un'ora e mezza a una giornata intera ma svela con assoluta precisione dettagli-chiave: l'epoca della morte (con un certo grado di approssimazione) e il mezzo».
Allora com'è che tanti assassini sono liberi?
«Sono errori di valutazione, non tecnici. Prendete l'epoca della morte: si basa su fenomeni naturali molto evidenti. Eppure, come sta accadendo nella vicenda di Garlasco, uno scarto di quindici-venti minuti può rivelarsi determinante per stabilire l'innocenza di una persona».
Spesso non si viene a capo di nulla.
«Gli unici omicidi risolvibili sono quelli con un movente chiaro. Ma il movente, oggi, non è quello di una volta».
Cioè?
«Una volta si uccideva per furore, interesse, gelosia. Tutto questo ora non vale più: abbiamo perso la tolleranza, il che spiana la strada a delitti assurdi, difficili da ricostruire. Non abbiamo più la forza per controllarci prima di fare una follia».
Questo spiega, secondo lei, il flop di tante indagini?
«Non credo che ci si ammazzi adesso più di ieri. E neppure che i suicidi siano cresciuti in misura esponenziale. È vero invece che ci siamo abbrutiti, è vero che col prossimo cerchiamo lo scontro perché viviamo immersi nella nevrosi ma la verità è più banale: oggi abbiamo le informazioni in tempo reale, un lampo e sappiamo tutto. Ci sembra di vivere in un'apocalisse di violenza ma in realtà non è cambiato molto rispetto al passato».

Il medico legale fa spesso anche l'investigatore.
«Certo. Ma solo nei film. Il medico legale non deve essere malato di narcisismo ricostruttivo. Per le inchieste ci sono polizia e magistratura. A ciascuno il suo».
La tentazione comunque deve essere forte.
«Chi può negarlo? È umano essere curiosi».
Quindi lei un'idea su chi ha assassinato la contessa dell'Olgiata ce l'ha?
«Ce l'ho. Ma non la racconto ai giornali».
Ce l'ha anche per il delitto di via Poma?
«Sì, però appartiene a congetture personali che non possono essere oggetto di un articolo di cronaca».
Suicidi camuffati da omicidi.
«Succede. E c'è una ragione netta: il suicidio è un messaggio per i vivi. Rammento il caso di quel dentista che si è fatto trovare incaprettato, una busta di cellophane in testa e la casa a soqquadro in un quartiere-bene di Roma. In bella vista, vicino al comodino, aveva lasciato copia d'una polizza-vita in favore del figlio».
E allora?
«Siccome l'assicurazione non paga in caso di suicidio, aveva montato una sceneggiata per farci pensare a una rapina. Ma le corde che lo avevano strangolato erano troppo lente e abbiamo intuito che si trattava di una patetica finzione».
Capita di frequente?
«No. Ma capita. Il suicidio, che viene considerato un gesto inconsulto e irrazionale, è quasi sempre premeditato, studiato e messo in atto con lucidissima ragione. Di irrazionale c'è forse solo l'ultimissimo atto, il colpo di pistola, la corda sul collo».
Morte apparente.
«Esiste solo nelle fiction. In Italia c'è una legge che dice esattamente cos'è la morte: non è l'anima che fugge con l'ultimo respiro, non è il battito cardiaco che sfuma ma il blocco dell'attività dell'encefalo».
Per questo si parla di cadaveri a cuore battente?
«È la definizione più moderna della morte. Ci dice che il cervello si è fermato e il cadavere può essere utilizzato per i trapianti. Se invece si muore di crisi cardiaca possono essere impiantate solo le cornee».
Ha mai trovato corpi rimasti intatti?
«Sì, in alcuni casi perchè sono stati sottoposti a un trattamento di conservazione. Padre Pio, ad esempio, è stato ritrovato incredibilmente integro. In queste circostanze penso comunque che stiamo perdendo il senso profondo della vita. Ricordate polvere eri e polvere tornerai? ».
L'Italia è disseminata di omicidi rimasti senza colpevole: il delitto perfetto esiste.
«Mi spiace no, non esiste. Esiste il delitto difficile da interpretare, che consente di mettere insieme prove che reggano il confronto in un'aula di Tribunale. Il che è una cosa diversa».                                                                                                                                                          Ma Scientifica e Ris hanno preso colossali cantonate.

«Un attimo, si tratta sempre di interpretare. Faccio un esempio: trovo un cappello sulla scena del crimine, faccio un esame di tracce pilifere e scopro che non appartengono all'indiziato. Significa che è innocente? Può darsi. Ma significa anche, come mi è capitato di osservare in una vicenda recente, che l'assassino ha casualmente utilizzato il cappello di un altro: ovvio che le formazioni pilifere lasciate nella trama del tessuto non fossero le sue».

Il sospetto di un'incapacità investigativa non le viene mai?
«La qualità media dei nostri investigatori è molto alta. Pensate a un serial killer che ogni due-tre anni decide di colpire: credete sia semplice stanarlo?».
Bisogna scoprire tutto nelle prime 48 ore, altrimenti addio.

«Le prime 48 ore sono molto, molto importanti. La vera difficoltà sta tuttavia nell'entrare e capire la mente umana: che non è più quella di un omicidio di Conan Doyle o di Agatha Christie. Oggi c'è un raggelante disinteresse perfino nell'uccidere».



                            pisano@unionesarda.it


Senza titolo 1661

IL CERVELLO E' COME UN OMBRELLO PER USARLO OGNI TANTO BISOGNA APRIRLO... (MAH)

Basta steccati ideologici e disinformazione nela lotta contro l'omofobia ... .

... Altrimenti  non è  lotta  , ma  caccia allle streghe  , come  quella  che  si  vuole  combattere  .

Il post d'oggi è ispirato : sia dalla denuncia persecutoria e omofoba subdola ( almeno questa è l'idea che mi sono fatto io leggendomi la documentazione   della vicenda  sul loro sito   ) al M[ovimento]O[mosessuale]S[ardo]  ., dall'ennesimo video di disinformazione che continuamente viene messo da alcuni miei utenti di facebook  che  fanno campagne   contro (
causa giustissima , se fatta bene e non a casaccio ) l'omofobia e contro la cultura omofoba presente in italia purtroppo   in etrambi gli schieramenti politici ., sia infine   da questa lettera ( che condivido , inffatti questo è uno dei motivi  come diceva  Giorgio Gaber   per cui non, 






tranne l'ultima riga perchè è una resa all'omofobia strisciante in italia e dentro di noi ) trovata su repubblica del 4 settembre 20009

Davide Ialeggio davide.ialeggio@gmail.com
HO letto l' analisi di Sofri sull' omofobia. Ho 27 anni e sono gay. Vengo da un paesino del sud e dieci anni fa mi sono trasferito a Roma per studiare medicina. Mi sono laureato, ho trovato un compagno con il quale convivo da tre annie ho anche scritto un libro. Non ho mai militato in un' associazione. Ma forse come qualunque gay in questo Paese mi ritengo un attivista. Ho scoperto che l' omofobia è una sorta di substrato sempre pronto a venire fuori. Ma mentre in altri paesi europei la società e la politica hanno cercato di battersi contro questo istinto, in Italia questo non è mai accaduto. Anzi, i gay italiani oltre a lottare contro l' omofobia strisciante devono confrontarsi con quella palese: da una senatrice del Pd che crea un parallelismo tra omofobia e pedofilia ad una ministra di non si sa quali Pari Opportunità che ci definisce costituzionalmente sterili. Senza dimenticare i ministri che ci definiscono "culattoni". Se lo dicono delle figure pubbliche perché non potrebbe Svastichella? Le vittime dell' omofobia non sono solo i ragazzi accoltellati davanti al Gay Village. C' è tutto un esercito di suicidi, trattamenti psichiatrici e dolore. Sono figli di quelle" famiglie naturali" che i cattolici si premurano tanto di difendere. Come molti altri sono stanco di buttare la mia giovinezza sentendomi a disagio, chiedendomi se sono nel posto giusto per prendere la mano del mio compagno. Per questo i documenti sono tutti pronti e l' anno prossimo sarò in Spagna. L' Italia non ci merita.

Riprendo Il filo del discorso , speriamo definitivo su la questione del post

Circola in rete un video dove, con sottofondo ( in alcune versioni ) di Faccetta nera, renato zero è accomunato ai peggiori omofobi italiani di destra e di sinistra, per una frase DISTORTA attribuitagli ben cinque anni fa , decontestualizzata e in seguito smentita in molte interviste e due libri. I suoi accusatori, spesso, hanno dimostrato di non aver nemmeno visto il programma in cui Zero avrebbe, secondo loro, pronunciato quelle parole. Ora pero queste parole come dice questa letera di una mia cara amica a tv sorrisi e canzoni( qui il testo completo ) << (...) Peccato che Zero,quelle frasi non le abbia proprio dette. Il testo esatto del discorso è il seguente: «La storia è vera, perché pur di non fare il militare mi presentai così [vestito strano]. Questi me davano delle schicchere in quegli arcipelaghi per capire se ero... se sentivo come uomo, sentivo qualcosa, e io devo dire me so tenuto, ho urlato come Fantozzi dopo la visita, andando verso la Montagnola urlai che me sentirono tutti, però lì ebbi un contegno talmente perfetto, e poi s’è visto che ho militato altrove con risultati molto più attendibili di quelli che m’avrebbero visto con un fucile in mano. Quindi ringrazio il colonnello che ebbe quei dubbi, e caro colonnello si tranquillizzi perché invece siamo di tutt’altra pasta».La discussione era volutamente sopra le righe, in un contesto scanzonato e, come si vede, nessuna allusione all’omosessualità vera o millantata. Quel «siamo di un’altra pasta» significava semplicemente che non occorreva imbracciare fucili per essere uomini veri e che, d’altra parte, le «checche» o presunte tali sono persone come tutti e non necessariamente saltano addosso al primo maschio che incontrano.>>

L'allora direttore del settimanale non ha potuto che ritrattare, ma ho verificato che la maggior parte di questi accusatori non conosce niente della carriera artistica e umana di Zero perché di lui tutto si può dire, può piacere o no, può aver deluso o meno, ma al di là della rabbia momentanea (che qui tanto momentanea non è) nessuno può seriamente pensare di accostare Renato Zero a quella gente, e lo sapete bene. Se poi avete acredini con lui per altri motivi, o perché non vuole parlare della sua vita privata come ha evidenziato Gennaro Cosmo Parlato, ( suo uo grande amico peraltro) , affari vostri, ma non si capisce perché inserirle in una polemica pubblica. Sono state ignorate le successive interviste, anche quelle dove parlava dei Dico, e l'ultima .
Quindi cari amici che combattete ( intento puiù che lodevole e condivisibile ) l'omofobia fatelo ma occhio alla disinformazione rendetevi conto del momento in cui viviamo, in cui stanno ritornando più forti che mai rigurgiti fascisti e omofobi che si creda marginali e latenti . Ma lo sapete che Renato ha preso calci e pugni quando ha cominciato la carriera ? E continuano a prendersela con bersagli sbagliati facendolo passare per omofobo lui che non è ? Tanto più che è ancora stimato da molti gay E  poi cari amici\che occhio alle trappole. La vera lotta all'omofobia non è ne' di destra ne' di sinistra . Smettela d'usare steccati ideologici .

Senza titolo 1660

  VI PIACE QUESTA BARZELLETTA ?  :-)


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In mutande e in pantaloni



Due capi d'abbigliamento estremi. I primi ridotti all'osso, i secondi castigati per antonomasia (eppure, come scriviamo più sotto, qualche testa bacata è giunta a considerarli indecenti). I primi, non solo simbolici (alcuni disoccupati e precari della scuola hanno davvero protestato in questo modo); ma sicuramente anche segno d'una spoliazione, d'una perdita non solo del lavoro, ma della dignità. Ebbene in questi giorni, molti lavoratori, al Nord come al Sud, sono in mutande. Per lo più nel chiassoso silenzio dei media, in tutt'altre faccende affaccendati. "Devi attirare l'attenzione delle telecamere, altrimenti non esisti": frase che suona grottesca perché non esce dalla bocca di Fabrizio Corona, ma da uno degli operai della Esab di Mesero, alle porte di Milano, che da giorni, coi compagni, grida sui tetti - il Vangelo coglie sempre nel segno - la sua lotta e la sua resistenza ai licenziamenti. Il regime videocratico impone leggi ferree: tanto vale sfruttarle a proprio vantaggio, visto che le protezioni sociali si affievoliscono sempre più. Hanno creato anche un blog, Quelli del tetto. La rete sembra essere rimasta l'unica arma per far udire le voci libere e disperate.



Ieri è giunto un inquietante comunicato degli operai dell'Innse: "Stanno arrivando a diversi sostenitori della nostra lotta provvedimenti con multe da 2500 a 10.000 euro per il blocco della tangenziale avvenuto il giorno 2 agosto, il giorno in cui l'Innse era presidiata da più di 300 poliziotti", scrivono. "Lo riteniamo un colpo basso contro una mobilitazione che, sostenendo l'iniziativa diretta degli operai, ha portato al risultato che tutti conosciamo. Come insieme abbiamo resistito allo smantellamento della fabbrica, assieme reagiremo a questa azione intimidatoria". La notizia è circolata, ancora una volta, solo sul web. Leggendola, mi è tornata in mente un'antichissima canzone di Dalla, Le parole incrociate ("Chi era Bava il beccaio? Bombardava Milano"). Mi chiedo se davvero non siamo tornati al 1898, quando gli industriali si chiamavano ancora padroni e alle rimostranze dei lavoratori si rispondeva con le cannonate.


Voleva i pantaloni, hanno parafrasato in tanti. No, Lubna Ahmed Hussein voleva, e vuole, essere sé stessa. Anche lei, su altri fronti, a combattere una battaglia di libertà. Vinta. Non verrà frustata, non intende nemmeno pagare una multa. Simbolicamente, l'una e l'altra sarebbero la stessa cosa, una resa. E Lubna non vuole arrendersi. Anch'essa ha gridato sui tetti. I calzoni contrasterebbero la legge coranica? Non sta scritto da nessuna parte, naturalmente, poi si guarda la foto del "presidente" sudanese Omar al Bashir, quello delle stragi silenziate del Darfur, che solo due anni fa è stato ricevuto dalle alte cariche del nostro Paese e dal Papa, la si confronta con quella di Lubna, e non occorre aggiungere altro.


Da quelle parti c'è sempre stata, qui ha conosciuto un picco di recrudescenza: parlo della furia maschile [pochi giorni fa, in Sicilia, un branco di ragazzini ha brutalizzato una minorenne disabile, e contemporaneamente sono avvenute quattro stragi con vittime femminili all'interno di rispettabili famiglie, tutte compiute da uomini, n.d.A.]. E' sempre la stessa storia, il frutto venefico di un clima avvelenato, quindi non mi ripeterò. Per fortuna esistono altri uomini, che dietro i pantaloni hanno un cuore e un cervello, non solo un organo genitale. Ma rischiamo di perderli. Caspian Makan, fidanzato della celebre Neda Agha Soltan, si trova in carcere dal giugno scorso, come segnala Amnesty International, per aver gridato sui tetti il nome degli assassini della compagna. Una buona notizia, invece, arriva almeno per Sayed Parvez Kambaksh: è stato graziato ieri. Chissà se riuscirebbe a spiegarlo lui, al presidente golpista del Sudan e a tanti suoi zelanti correligionari, che nel Corano non c'è traccia di sottomissione delle donne. Per aver affermato questo, Sayed ha rischiato la pelle. Ma, in verità, non frega niente a nessuno. E uomini di questa sorta si trovano ormai nei luoghi più remoti e impensati. Quaggiù si soffre e si muore nel silenzio più sepolcrale.


Daniela Tuscano




SESSO: A LETTO NESSUNA FINZIONE!

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  L'AVETE VISTO IL FILM UNA VITA DIFFICILE ?  :-)


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7.9.09

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Senza titolo 1657

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GOOGLE BREVETTA LA HOME PAGE!

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La Casa Delle Conchiglie



E' una villa della Romagna. Il davanti della cancellata, il pozzo,
le aiuole e tutte le decorazioni, sono completamente ricoperte
di conchiglie. Da qui il romantico nome.
Un effetto piacevole, che mostro con alcune foto, per darne
un'idea.

DSC00347DSC00354.DSC00349DSC00357                   Foto di Marilicia.

Sosteniamo le donne.

Mercoledì indossiamo qualcosa di bianco per sostenere la lotta alla violenza sulle Donne

A proposito di lettere anonime

A proposito di lettere anonime, pare che adesso sia sufficiente una di queste per infangare una persona, al pari di una calunnia diffusa sapientemente per screditare un avversario o una  persona odiata. Ma la Civiltà romana che è alla base della civiltà occidentale aveva capito da tempo che le denunce anonime sono da cestinare. Perciò rinfresco le idee di chi ha dimenticato il famoso carteggio all'inizio del secondo secolo d.C. tra Plinio e Traiano.


Plinio fu governatore della Bitinia dal 111 al 113 d.C. e durante il suo mandato aveva avuto a che fare con le persecuzioni dei cristiani e, essendo una persona retta, davanti alle delazioni e alle lettere anonime, chiese appunto con una lettera il parere dell'imperatore Traiano. Eccola (il testo latino e la traduzione che copio è qui) insieme alla risposta dell'imperatore:


Gaio Plinio all’imperatore Traiano


È essenziale per me, signore, riferirti tutti i miei dubbi. Chi infatti potrebbe meglio di te guidare le mie esitazioni o correggere la mia ignoranza?In realtà non sono mai stato presente a un interrogatorio di Cristiani, così non so quale punizione sia richiesta o quanto debba essere spinta avanti. Non comprendo nemmeno le basi legali per un atto di accusa, né quanto stringente tale atto debba essere. 


 


Nemmeno ho chiaro il tipo di accusa relativamente all’età delle persone, se cioè nessuna distinzione debba essere fatta tra giovani e anziani, e ancora se un perdono debba essere concesso in caso di ravvedimento o se invece non vi sia alcun riconoscimento per chi cessi di essere Cristiano. È forse il nome “Cristiano” a essere perseguibile di per sé, anche se non vi sono atti criminali, o la “criminalità” è inevitabilmente connessa al nome stesso? 


 


Nel frattempo con coloro che mi sono presentati come Cristiani io mi comporto in questo modo: chiedo loro direttamente se sono Cristiani, lo chiedo anche, per essere sicuro, una seconda e una terza volta, e indico loro il pericolo della loro situazione. Se essi persistono, ordino la loro esecuzione. Non ho problemi riguardo a questo, perché qualunque sia la loro ammissione o dichiarazione,  ho deciso che la loro ostinazione e irremovibile fermezza dovrebbe essere ragione sufficiente per la punizione. 


 


Ho mandato a Roma per il processo alcuni che erano virtualmente folli per questo culto, ma erano cittadini romani.
Man mano che procedo in questo modo di affrontare la situazione, come spesso accade il numero e il tipo di accuse diviene sempre più ampio. 


 


È stata fatta pervenire una lista anonima che contiene i nomi di molte persone autorevoli. Io ho deciso di lasciar cadere le accuse su chiunque, tra quelli nella lista, affermasse di non essere e di non essere mai stato Cristiano, a patto che essi ripetessero con me un’invocazione agli Dei e offrissero vino e incenso alla tua statua, che io ho fatto condurre nell’aula insieme con le statue degli Dei, proprio a questo scopo. Oltre a ciò, essi dovevano formalmente maledire Cristo, cosa che, ho ben compreso, un vero Cristiano non farebbe mai.


 


Altri, sempre in quella lista anonima, erano indicati come Cristiani nel passato, ma ora ravvedutisi. Alcuni dicevano che essi lo erano stati e avevano smesso di esserlo da tre, da molti o addirittura da venti anni. Tutti costoro onorarono la tua statua, quelle degli Dei e maledirono Cristo. 


 


Essi affermarono che tutto ciò che avevano fatto era stato di andare a un incontro in un dato giorno, prima dell’alba, di cantare in risposta un inno a Cristo come Dio, giurando con una santa ostia di non commettere alcun delitto, di non rubare o rapinare, di non commettere adulterio, di non giurare il falso o di rifiutare di restituire una somma affidata loro. Quando tutto ciò era finito, era usanza che se ne andassero per vie diverse e poi si riunissero per consumare assieme un cibo semplice. Dopo però il mio editto che proibiva tutte le associazioni politiche, essi avevano smesso di frequentare tali riunioni. 


 


Ho pensato a questo punto che fosse necessario ottenere informazioni da due schiave, che esse chiamano ministrae, per mezzo della tortura. Non ho trovato alcunché degno di biasimo se non la cieca e incrollabile natura della loro superstizione.


 


Così, posposto ogni atto di accusa, mi sono rivolto a te. Occorre prendere sul serio questa situazione, specialmente a causa del gran numero di persone che cadono in questo pericolo. Un gran numero di persone di ogni età, di ogni classe sociale, donne e uomini, vengono messi sotto accusa e tutto lascia pensare che la cosa continuerà. Il contagio di questo culto prende non solo le grandi città, ma anche quelle minori e perfino i villaggi e le campagne. Per ora sembra possibile controllare la situazione e addirittura rovesciarla, 


 


Perché è abbastanza evidente che i templi degli Dei, che sono stati per lungo tempo vuoti, ora cominciano a essere di nuovo pieni, si compiono i sacri riti che erano stati lasciati perdere, si vende di nuovo nelle botteghe, anche se per un certo tempo nessuno la comprava, la carne sacra per i sacrifici. Sembra ragionevole pensare che molti potrebbero essere convinti ad abiurare, se ci fosse una procedura legale per l’abiura stessa.




L’imperatore Traiano a Plinio


Ti sei comportato bene, caro Plinio, nell’affrontare il caso di quanti ti venivano condotti con l’accusa di essere Cristiani. Ma non è possibile affrontare una questione così delicata con una forma fissa o una formula specifica. Bisogna evitare di andare in cerca dei Cristiani, ma se vengono portati davanti a te e l’accusa contro di loro viene provata, essi devono essere puniti. Se qualcuno però afferma di non essere Cristiano e rende ciò evidente offrendo preghiere ai nostri Dei, costui deve essere perdonato sulla base del suo pentimento presente, per quanto sospetto possa essere stato nel passato.
Lettere anonime non vanno però prese in esame nei procedimenti legali: sono infatti un pessimo esempio e non sono proprie del nostro tempo


Senza titolo 1656

  L'AVETE LETTO IL LIBRO UN MATRIMONIO ALL'INGLESE ?  :-)


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6.9.09

Quello che i morti non dicono Ernesto D'Aloja, misteri e silenzi di un medico legale

Anche la morte  ha  delle  storie da raccontare 
 
dall'unione sarda del 6\9\2009


Gli hanno riservato un compito difficile: interrogare i morti. Da un cadavere deve riuscire a farsi dare il maggior numero di informazioni, comprese quelle ultra-riservate, quelle che da vivo custodiva come un privatissimo segreto e non avrebbe mai confessato a nessuno.
Finora Ernesto D'Aloja ha svolto non meno di millecinquecento autopsie ma sarebbe riduttivo ricorrere a questo numero per definire il suo ruolo di medico legale. C'è molto di più: una sacrale osservazione del corpo umano e dei suoi silenzi post mortem, una minuziosa ricerca scientifica che non deve mai sconfinare col lavoro degli investigatori, la battaglia interiore per conservare rispetto verso il materiale da lavoro e non lasciare che la routine da bisturi diventi tran tran impiegatizio. D'Aloja, che ha 49 anni e un figlio, dice di essere credente e di sorprendersi ancora davanti alla meraviglia dell'uomo. «Più lo studio e più mi rendo conto che il nostro organismo è una macchina strepitosa e irraggiungibile, un insieme che sfiora la perfezione».
Presidente dei genetisti forensi italiani, professore ordinario da quattro anni all'università di Cagliari, si è formato alla scuola di un fuoriclasse (Angelo Fiori) alla Cattolica di Roma e perfezionato negli Stati Uniti. È finito dentro le indagini più clamorose degli ultimi anni: dal delitto di via Poma a quello della contessa Filo della Torre all'Olgiata. Ha lavorato nel cimitero criminale aperto dalla banda della Magliana, seguito e frugato nella morte, più o meno misteriosa, di molti intoccabili. Una grande capacità comunicativa l'ha fatto finire tra gli ospiti di Superquark, trasmissione televisiva che non è certo passerella di pacchisti e prezzemolini.
A salvarlo dal pericolo di una tetraggine che vada oltre l'orario d'ufficio è l'educazione all'ironia, al distacco. Anche nei momenti più delicati. Per esempio quando, in un camposanto del nord Italia, stava esumando un cadavere sotto l'occhio attento di un becchino che non l'ha mollato un istante mentre smanettava tra poveri resti dentro una bara mordicchiata dal tempo. Alla fine il becchino si è fatto coraggioso: professore, posso dirle una cosa? Il suo mestiere fa veramente schifo.
D'Aloja, forte di una stazza notevole, ha gli ammortizzatori per incassare senza traumi. Da quattro anni abita a Cagliari, prima stava nel romanissimo quartiere di Trastevere. «La differenza? Lì non sei nessuno, qui sanno dove vai e cosa fai». Dei sardi, visto che non ha perso l'abitudine di studiare anche i vivi, s'è fatto un'idea precisa: «Vissuta da dentro, quest'isola è molto più bella di quella che visitavo in vacanza. Ma siete talmente fieri di essere sardi che vi capita di isolarvi dal resto del mondo. Appena arrivato all'università ho scoperto, con grande stupore, che avete difficoltà a lavorare insieme. Meglio soli, vero?».
Grazie alle tecnologie, la medicina legale ha fatto enormi passi avanti. Attraverso l'analisi di un capello è possibile sapere non solo se si è cocainomani ma pure l'ultima volta che si è sniffato; un banale esame del sangue consente di calcolare quanto si è bevuto nelle ultime due settimane.
Professor D'Aloja, qual è il suo rapporto con la morte?
«Quotidiano, e senza pentimenti. Non ne ho paura, non mi ha mai messo i brividi. Frequentare la morte aiuta ad apprezzare le cose belle della vita».
È vero che i morti dicono moltissimo?
«Sì, soprattutto cose che non vorrebbero raccontare. La nostra è una strana professione: entriamo in maniera violenta nella vita di un cittadino. Scopriamo che aveva in frigo, cosa aveva mangiato prima di morire, quali erano i vizi privati e le pubbliche virtù. Non ho mai dimenticato un acclamato professionista che indossava mutandine da donna o il gioielliere che nascondeva diamanti nei calzini: aveva paura che glieli rubassero».
Dietro un cadavere c'è sempre qualcosa di non detto?
«No. Di solito sono storie di desolazione, solitudine. Colpiscono gli omicidi in famiglia perché nascondono una ferocia particolare. Ricordo un ragazzo malato di mente che ha ucciso prima il cane, poi la madre con venti coltellate e infine si è messo a letto zuppo di sangue. Quando la polizia ha fatto irruzione nel suo appartamento era apparentemente sereno. Ho avuto un incubo, ci ha detto».
Un caso risolto grazie all'autopsia.
«Succede il 90 per cento delle volte. L'autopsia, se eseguita con scrupolo, offre elementi fondamentali, per capire. Può durare da un'ora e mezza a una giornata intera ma svela con assoluta precisione dettagli-chiave: l'epoca della morte (con un certo grado di approssimazione) e il mezzo».
Allora com'è che tanti assassini sono liberi?
«Sono errori di valutazione, non tecnici. Prendete l'epoca della morte: si basa su fenomeni naturali molto evidenti. Eppure, come sta accadendo nella vicenda di Garlasco, uno scarto di quindici-venti minuti può rivelarsi determinante per stabilire l'innocenza di una persona».
Spesso non si viene a capo di nulla.
«Gli unici omicidi risolvibili sono quelli con un movente chiaro. Ma il movente, oggi, non è quello di una volta».
Cioè?
«Una volta si uccideva per furore, interesse, gelosia. Tutto questo ora non vale più: abbiamo perso la tolleranza, il che spiana la strada a delitti assurdi, difficili da ricostruire. Non abbiamo più la forza per controllarci prima di fare una follia».
Questo spiega, secondo lei, il flop di tante indagini?
«Non credo che ci si ammazzi adesso più di ieri. E neppure che i suicidi siano cresciuti in misura esponenziale. È vero invece che ci siamo abbrutiti, è vero che col prossimo cerchiamo lo scontro perché viviamo immersi nella nevrosi ma la verità è più banale: oggi abbiamo le informazioni in tempo reale, un lampo e sappiamo tutto. Ci sembra di vivere in un'apocalisse di violenza ma in realtà non è cambiato molto rispetto al passato».
Il medico legale fa spesso anche l'investigatore.
«Certo. Ma solo nei film. Il medico legale non deve essere malato di narcisismo ricostruttivo. Per le inchieste ci sono polizia e magistratura. A ciascuno il suo».
La tentazione comunque deve essere forte.
«Chi può negarlo? È umano essere curiosi».
Quindi lei un'idea su chi ha assassinato la contessa dell'Olgiata ce l'ha?
«Ce l'ho. Ma non la racconto ai giornali».
Ce l'ha anche per il delitto di via Poma?
«Sì, però appartiene a congetture personali che non possono essere oggetto di un articolo di cronaca».
Suicidi camuffati da omicidi.
«Succede. E c'è una ragione netta: il suicidio è un messaggio per i vivi. Rammento il caso di quel dentista che si è fatto trovare incaprettato, una busta di cellophane in testa e la casa a soqquadro in un quartiere-bene di Roma. In bella vista, vicino al comodino, aveva lasciato copia d'una polizza-vita in favore del figlio».
E allora?
«Siccome l'assicurazione non paga in caso di suicidio, aveva montato una sceneggiata per farci pensare a una rapina. Ma le corde che lo avevano strangolato erano troppo lente e abbiamo intuito che si trattava di una patetica finzione».
Capita di frequente?
«No. Ma capita. Il suicidio, che viene considerato un gesto inconsulto e irrazionale, è quasi sempre premeditato, studiato e messo in atto con lucidissima ragione. Di irrazionale c'è forse solo l'ultimissimo atto, il colpo di pistola, la corda sul collo».
Morte apparente.
«Esiste solo nelle fiction. In Italia c'è una legge che dice esattamente cos'è la morte: non è l'anima che fugge con l'ultimo respiro, non è il battito cardiaco che sfuma ma il blocco dell'attività dell'encefalo».
Per questo si parla di cadaveri a cuore battente?
«È la definizione più moderna della morte. Ci dice che il cervello si è fermato e il cadavere può essere utilizzato per i trapianti. Se invece si muore di crisi cardiaca possono essere impiantate solo le cornee».
Ha mai trovato corpi rimasti intatti?
«Sì, in alcuni casi perchè sono stati sottoposti a un trattamento di conservazione. Padre Pio, ad esempio, è stato ritrovato incredibilmente integro. In queste circostanze penso comunque che stiamo perdendo il senso profondo della vita. Ricordate polvere eri e polvere tornerai? ».
L'Italia è disseminata di omicidi rimasti senza colpevole: il delitto perfetto esiste.
«Mi spiace no, non esiste. Esiste il delitto difficile da interpretare, che consente di mettere insieme prove che reggano il confronto in un'aula di Tribunale. Il che è una cosa diversa».
Ma Scientifica e Ris hanno preso colossali cantonate.
«Un attimo, si tratta sempre di interpretare. Faccio un esempio: trovo un cappello sulla scena del crimine, faccio un esame di tracce pilifere e scopro che non appartengono all'indiziato. Significa che è innocente? Può darsi. Ma significa anche, come mi è capitato di osservare in una vicenda recente, che l'assassino ha casualmente utilizzato il cappello di un altro: ovvio che le formazioni pilifere lasciate nella trama del tessuto non fossero le sue».
Il sospetto di un'incapacità investigativa non le viene mai?
«La qualità media dei nostri investigatori è molto alta. Pensate a un serial killer che ogni due-tre anni decide di colpire: credete sia semplice stanarlo?».
Bisogna scoprire tutto nelle prime 48 ore, altrimenti addio.
«Le prime 48 ore sono molto, molto importanti. La vera difficoltà sta tuttavia nell'entrare e capire la mente umana: che non è più quella di un omicidio di Conan Doyle o di Agatha Christie. Oggi c'è un raggelante disinteresse perfino nell'uccidere».
pisano@unionesarda.it

Senza titolo 1655

  L'AVETE LETTA LA FIABA IL FARFALLONE ?  :-)


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Senza titolo 1654

  QUESTO E' UN VECCHIO PIANOFORTE GIOCATTOLO !  L'AVETE MAI VISTO ?


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5.9.09

BASTA CON IL FANGO ED I VELENI

Il  caso Boffo sembrava chiuso   invece   ,   continua su libero  . In maniera  che  si dimentichi  la  mezza bufala  de IL Giornale  .  


                            dalla  nuopva sardegna  del 5\9\2009


Infatti  su LIBERO    d'oggi  5\9\2009  si legge    questo articolo di       Gianluigi Nuzzi



Boffo, mistero sul dossier segreto sparito
Questura: non esiste. Belpietro: "C'era"


La storia di Dino Boffo sembrava chiudersi con le brusche dimissioni del direttore dell’Avvenire. Fino al giorno prima ha sparato pagine di autodifesa, raccogliendo consensi, per poi abbandonare la trincea così, come se si sentisse colpevole, oppure, peggio, solo o indifendibile. Non sappiamo se esistano altri motivi oltre a quelli indicati nel commiato, inviato al cardinale Angelo Bagnasco prima di lasciare la direzione. La domanda diventa concreta quando si apprende che in Questura a Milano da tempo esiste un fascicolo personale intestato “Boffo Dino”. Prima che si alzasse la buriana, il carteggio era custodito in archivio. Ora, non c’è più. Tecnicamente è “in trattazione”, ovvero un ufficio l’ha richiesto per “lavorarci” sopra. Per consultarlo, compiere verifiche o, magari, accertamenti. L’ufficio in questione è quello della Digos. Il dirigente, Bruno Megale, quello che aveva “gestito” la vicenda delle inchieste sulla rendition di Abu Omar, è in ferie. Impossibile saperne di più: nessuno dice nulla. Segreto. Se la Digos ha preso quelle carte quando la vicenda Boffo è finita sui giornali, quindi già una settimana fa, ci possono essere solo tre motivi. O si è voluto “blindare” il fascicolo. Impedire quindi che qualche “manina” passasse le informazioni ai cronisti. O gli investigatori su indicazioni del ministro Bobo Maroni hanno voluto verificare che all’interno non ci fossero informative, note, appunti sulla presunta omosessualità del direttore dell’Avvenire. Un dettaglio che ci avrebbe portato ai tempi bui del Sifar. Oppure, ipotesi remota, ci sono delle indagini in corso. Sapere perché questo fascicolo è finito sotto chiave sarebbe interessante. Ancor più interessante conoscerne il contenuto. Di certo né raccomandate, né multe della polizia municipale o verbali dell’annonaria ma documenti forse rilevanti, magari capaci di dare l’impronta a quanto accaduto e che oggi all’istante sono finiti lontani dagli scaffali degli archivi. Non c’era nessun anomalia sulla presenza di questi documenti. Boffo è residente a Milano e il fatto solo di aver subito una condanna determina l’apertura di un fascicolo personale. Cosa diversa è se da quel fascicolo dovessero uscire altre o diverse storie tali da posizionare Boffo in un inedito contesto. Non necessariamente negativo. L’ex direttore dell’ Avvenire poi potrebbe persino risultare parte lesa di un’attività informativa non legittima ma già smentita dal ministero dell’Interno.
In questo scenario si inseguono le indiscrezioni che in mancanza di un quadro certo alimentano solo, al momento, confusione come quella che vede nel “recupero” e nella “sparizione” del fascicolo un’iniziativa sì della Digos ma dettata da uffici esterni ovvero dall’Aisi, l’ex Sisde. Gli 007 avrebbero quindi voluto aver contezza di quanto era stato raccolto in Questura sul direttore del quotidiano della Cei? Difficile, improbabile anche perché non rientrerebbe nelle loro competenze. Di certo quel fascicolo dov’era non c’è più. E questo solleva interrogativi, dubbi che andrebbero chiariti. Anche perché della vicenda di Terni, di quelle molestie, di quella sentenza ancora oggi si conosce poco, pochissimo. Dettagli che non dicono abbastanza di quest’uomo che a un certo punto, proprio quando la Chiesa spende parole dure contro chi lo critica, mezza stampa lo eleva a martire, la redazione lo sostiene, la storia dell’informativa vacilla aprendo varchi insperati, ecco proprio adesso getta la spugna e si dimette. Non si può legare la storia del fascicolo alla scelta di Boffo, che può essere benissimo dettata solo dal peso della situazione. Né, ribaltando lo scenario, si può indicare nel fascicolo la causa delle mosse felpate del Vaticano, di quei segnali trapelati, delle parole di Vittorio Messori che scandivano la distanza gelida che stava creandosi. Ma considerare che questo carteggio nulla c’entra con tutta questa storia, che non offre chiavi prospettiche, ci porterebbe con ogni probabilità su una strada sbagliata.




                                 


Se  cosi  fosse  perchè  non citano  la posizione    nell'archivio   dove 'era contenuto ?

In piazza Duomo a Firenze la bottega dei colori che resiste al mangificio., Il negozio di vinili che dice no al Black Friday: «Clienti da tutta la Toscana, il nostro segreto è la roba popolare»

 Corriere della Sera In piazza Duomo la bottega dei colori che resiste al mangificio In questi anni hanno visto la città intorno cambiare, ...