29.9.13

credevo che la caccia fosse solo maschile invece ci sono anche donne cacciatrici le storie di Michela Poggi e Erica Billai,



inizio con quella " nostra " cioè di Enrica B . la storie è racconta da Giorgio Pisano sull'unione sarda d'oggi 29\9\2013 .




Nb l'articolo è senza foto perchè : 1) da due anni circa l'edizione digitale free de l'unione sarda online non riporta più le foto ., 2) avaxhome ( raggiungibile con delle estensioni particolari di mozzilla fire fox non riporta più fra i giornali l'unione sarda ., 3) in rete forse non so cercare non ho trovato nessuna foto della persona in questione



La ragazzina con la doppietta: duello calibro 12 con il cinghiale


di GIORGIO PISANO

Ha iniziato che era in quinta elementare, dieci anni. Lungo praticantato prima di arrivare ai diciotto, porto d'armi e battesimo di fuoco: al cinghiale, naturalmente. Non ha più smesso. Oltre che un fidanzato, ha un Benelli superleggero calibro 12: «Due chili e settecento grammi in tutto». Meno pesante, per capirci, della classica doppietta da portare a tracolla per una giornata intera.Erica Billai, terz'anno di Scienze Politiche a Cagliari e ferma sicurezza delle sue scelte, è una delle duecento (circa) cacciatrici in un'Isola che conta quarantottomila licenze: un esercito. Ignazio Artizzu, presidente di Federcaccia, spiega che «il numero delle donne è in crescita» e cita un caso forse unico nel panorama nazionale: in Gallura opera una compagnia di sole donne. A riprova che questo sport (sport?) non è affatto in estinzione: e più crescono i mugugni degli anti, più gente chiede di andare a sparare.Perché lo fa? Erica, che ha ventiquattro anni, è nata in mezzo ai fucili. Suo padre, muratore, ha trasformato la casa dove abitano - a Buggerru - in una sorta di dopolavoro di categoria. «Ero bambina e stavo ad ascoltare incantata racconti che duravano ore ed ore. Racconti di caccia. Babbo e i suoi amici trascorrevano intere serate a discutere di selvaggina, di momento giusto, di stagioni». Il risultato di questa lunga e martellante terapia non si è fatto attendere. «Appena ho potuto mi sono lanciata anch'io». Dopo molto tempo e molte cartucce, nessun rimorso, sia pure tardivo: mai pensato di smettere neanche per un attimo. «Perché dovrei?»La passione, a suo parere, ha un'eccellente giustificazione: «Mangio tutto quello che prendo». Tordi, cinghiali, lepri, beccacce, cioè quello che il calendario venatorio consente. Con un sorriso che vola da un orecchio all'altro aggiunge che il suo piatto preferito è la pasta al sugo di lepre ma confessa anche un debole per i tordi arrosto. «Io e mamma ne andiamo matte». Dunque, che male c'è?Erica è una ragazza che sa bene quello che vuole. Studia e lavora: attualmente fa la commessa in una focacceria-gelateria e dice di trovarsi benissimo. Ignora, insomma, il menu tradizionale della casa: la lagna - tutta sardesca - per proporre l'immagine di uno studente-lavoratore quasi eroico. Due cani, famiglia affiatatissima, espone le sue ragioni senza avere la pretesa di imporsi, tantomeno fingere di indignarsi per l'inevitabile pianto greco dei miscredenti.

Perché va a caccia?

«Perché mi regala un'adrenalina che fino ad oggi nient'altro mi ha dato. È un'emozione particolare, non riesco a immaginare niente di meglio».

Il bello della caccia. E il brutto.

«Il bello? Scegliere la giusta compagnia e starci felicemente in mezzo. Giornate bellissime: alla fine si è stanchi ma molto, molto soddisfatti. Il brutto? Costa troppo, sicuramente».

Quanto?

«Ogni sei anni bisogna rinnovare il porto d'armi: una cinquantina di euro. Ogni dodici mesi, si spendono inoltre 250 euro tra versamenti alla Regione, concessioni governative, assicurazioni. Da quando ho cominciato a pagare di tasca mia, ho sentito il peso di questa mia passione».

Quanto costa una cartuccia?

«Per un pacco a palla, parlo di caccia grossa, si spendono intorno ai sette euro».

Quante se ne sparano in una battuta?

«Si spera sempre di consumarne molte ma c'è tanta gente che torna a casa con la cartuccera piena. Speriamo non succeda a me».

La prima volta.

«Avevo dieci anni quando ho partecipato alla prima battuta di caccia grossa. Avevo talmente asfissiato mio padre che alla fine si è arreso e mi ha portato con lui. Meraviglioso».

L'esordio col calibro 12?

«Avevo diciotto anni appena compiuti. Un'emozione che non dimenticherò mai, emozione grande. Era il primo cinghiale che passava in posta. Sapevo bene che se avessi sbagliato avrei mandato in fumo il lavoro paziente e meticoloso di tante persone, di un'intera compagnia. Ricordo che era un esemplare neanche troppo grosso, proprio bello».

Paura mai?

«Paura di cosa?».

Qualche volta restano a terra ragionieri anziché cinghiali.

«C'è molta attenzione alla sicurezza, regole precise che seguiamo senza sgarrare. Fino all'anno scorso sono andata a caccia grossa con mio padre e questo comportava, per quel che mi riguarda, affidabilità totale. Lui ed un suo amico mi hanno insegnato le regole fondamentali, come comportarmi, che fare in caso di necessità. Da loro ho appreso l'etica della caccia».

Timore d'essere aggrediti da una preda ferita?

«Mi è successo con una scrofa. L'ho colpita male e quella ha puntato dritto nella mia direzione. M'ha sfiorato. Le ho sbarrato la fuga con la gamba. Non me lo sarei perdonato se fosse riuscita a scapparmi».

Per una donna è più difficile?

«No. La caccia richiede certamente un notevole sforzo fisico. Per esempio, quando vado a tordi col mio ragazzo, camminiamo tutta la giornata, dall'alba al tramonto. La cosa più difficile è reggere il peso del fucile».

Il fatto di essere unica donna in mezzo a tanti uomini?

«Mah... io ho iniziato nella scuola creata da mio padre. Poi c'erano i miei zii, miei cugini... mi hanno sempre trattato come una figlia. Adesso siamo una compagnia di circa venti fucili. Mio padre l'anno scorso ha smesso».

Mai provato pietà per un animale da uccidere?

«Arriva quando non riesci a finirlo subito. Un cuore ce l'ho anch'io. Mi dispiace soprattutto quando lo vedo soffrire. Allo stesso tempo però tutto questo non mi blocca perché quello che prendo lo consumo, non spreco niente. E questo mi rincuora. Il giorno che mangio cinghiale non vado al mercato».

Ha un senso la caccia oggi?

«La caccia nasce come esigenza primaria dell'uomo. È vero che spendiamo tanti soldi per praticarla. Se io vendessi la carne che porto a casa, intascherei un bel gruzzoletto. Il problema si può vedere però anche in un altro modo: una sfida, perché no? Noi andiamo a caccia per sfidare l'animale, c'è il giorno in cui vinciamo e quello no. È uno scontro alla pari».

Alla pari? Voi siete armati, lui no.

«Certo, ma lui sta giocando in casa».

Favorevole o contraria alla vivisezione per ricerca medica?

«Contraria quando riguarda la messa a punto di cosmetici e roba del genere, favorevole se può servire a sconfiggere una malattia. La mia famiglia è stata falcidiata dall'anemia mediterranea: ne ho visto troppi morire, compreso uno zio che mi ha cresciuto. È venuto a mancare dopo molte sofferenze. Insomma sì, sono favorevole alla sperimentazione animale».

Perché tanti vi detestano?

«Spesso perché non capiscono. L'intolleranza nei nostri confronti nasce da un pregiudizio. Pensano che in fondo siamo soltanto dei sadici, che andiamo a fare massacri. Poi ci sono quelli, amici compresi, che invece ti fanno la morale ma se gli proponi una cena a base di selvaggina, corrono. Fanno anche di peggio».

Di peggio?

«Magari arrivano a casa tua con una chilata di bistecche di cavallo. E allora chiedo: quello, e mi riferisco al cavallo, è morto di morte naturale oppure macellato?»

Ambientalisti.

«C'è una misura per tutto. Credo ce ne siano tanti in buona fede, gente che rinuncia a mangiare la carne per una questione morale. Insomma, gente che predica bene e razzola meglio. Ne ho grande stima e rispetto. Come rispetto però, e lo dico per fugare qualunque ombra, anche chi viene a caccia con me».

Bracconieri.

«Io non violo il calendario venatorio nonostante pensi che abbia bisogno di essere rivisitato e, soprattutto, che sia finalmente gente preparata a programmarlo».

Ce ne sono trecentomila in tutta Italia.

«Di bracconieri? Non pensavo fossero così tanti. In ogni caso, anche se il calendario venatorio è davvero da rifare, io osservo le regole. Se c'è una norma, sia pure sbagliata, non mi piace infrangerla. Ma non posso fare a meno di rilevare che certe ingiustizie finiscono per istigare il bracconaggio».

Per esempio?


«Ci hanno levato un mese di caccia al tordo ma ci concedono di sparare ad alcune specie dannose, che non si mangiano, tipo cornacchie e ghiandaie. Io non sparo a quello che non finisce in cucina. Che faccio, le ammazzo e le lascio lì? Non ha senso. Da tre anni, poi, la situazione sta peggiorando».

Perché?

«Perché si inventano calendari venatori che sembrano fatti apposta per metterci delle multe. Ci sono tanti cacciatori che restano a casa per questo motivo. Allora, mettiamoci d'accordo: finché andare a caccia non sarà illegale, non si può penalizzare e scoraggiare chi la pratica».

Sarebbe bello tuttavia che chi va a sparare rispetti l'ambiente.

«I cacciatori lo fanno, di solito. È vero che alcuni sono maleducati e abbandonano in campagna bossoli e rifiuti. Ma è ugualmente vero che le nostre campagne sono attraversate da orde di barbari senza la doppietta in spalla».

Qual è la percentuale di cacciatori incivili?

«Facciamo quella delle persone incivili in generale, abbraccia meglio la realtà dei fatti. Sa quanti cacciatori raccolgono i rifiuti lasciati da altri?»

Non vorrà farci credere che siete pure netturbini dell'ambiente.

«Ho imparato dalla mia famiglia a rispettare la natura. Ogni volta che vado a caccia porto con me una busta dove raccogliere bossoli, carta, bottiglie. Che ci crediate o no, sono davvero tanti quelli che hanno rispetto del territorio».

Il giorno più felice.

«Una volta, e non potrò mai dimenticarlo, ho centrato un cinghiale in mezzo agli occhi a venticinque metri di distanza. Una gioia indicibile, resa ancora più grande dal fatto che accanto a me c'era babbo. Ha sparato anche lui nello stesso momento ma, come abbiamo scoperto dopo, il colpo mortale è stato il mio. Grandissima soddisfazione».

Si allena per avere buona mira?

«Macché. Difatti ancora oggi quando il tordo esce all'improvviso, tra imbracciata, puntamento e sparo può passare troppo tempo. Bisogna essere velocissimi e precisi. Per il momento a caccia grossa mi sono difesa bene ma c'è fucilata e fucilata: col tordo, per dirne una, è tutta un'altra cosa».

La preda più difficile?


«Il coniglio. Finora non sono riuscita a prenderne uno. A differenza della lepre che fugge andando sempre in linea retta, il coniglio ti frega perché dà scarti laterali e finisce facilmente per spiazzarti. Ogni preda ha una sua fucilata».

Quali debbono essere i requisiti per essere accettati dalla compagnia?

«Devi essere stato educato alla caccia, devi sapere e rispettare. L'importante, poi, è non mandare a monte il lavoro degli altri. Siccome la compagnia è una squadra, bisogna imparare a giocare correttamente. Lavorare tutti, lavorare insieme».

È vero che le sparate grosse?

«Vero. Non ho mai capito perché ma è proprio così: ai cacciatori piace moltissimo raccontare cose che non sono mai accadute. Quelli seri si fanno accompagnare da documentazione: la foto del carniere pieno».

Le piacerebbe che suo figlio diventasse cacciatore?

«Molto, sì. La caccia mi regala grandi tavolate in famiglia: i miei, miei zii, miei cugini. Che gioia vederli mangiare le mie beccacce, i miei tordi...».



Forza femminile per la caccia al cinghiale - Intervista a Michela Poggi
di Sabine Middelhaufe
La caccia al cinghiale, tradizionalmente, si fa con la squadra composta da un minimo di 25 a un massimo di 60 cacciatori/soci la cui gestione, organizzazione e rappresentazione nel confronto della provincia, dell'ATC e delle altre Squadre è compito del Capo Caccia o in sua assenza del vice Capo Caccia. Trovare delle donne in questa posizione è ancora l'eccezione; una donna così eccezionale è Michela Poggi.
Quando nel 2000, un socio anziano rinunciò al ruolo di vice Capo Caccia della squadra di Menconico in provincia di Pavia, Michela Poggi, incoraggiata dal marito cacciatore nonché Capo Caccia, si iscrisse al corso di specializzazione che tratta come punti chiave la sicurezza di caccia, le leggi venatorie, i vari metodi di caccia al cinghiale e la loro applicazione pratica, superò l'esame con successo e svolge la funzione di vice da ormai 13 anni.
Ma in che cosa di preciso consiste questa funzione?

Michela Poggi.
Michela: Il compito del vice è come in tanti altri ambiti quello di supportare il capo in tutta quella che è la gestione della squadra e delle persone iscritte ad essa.
Durante la stagione di caccia in assenza del 
Capo Caccia, il vice lo sostituisce, svolgendo le mansioni in prima persona che sono di vario tipo. Per esempio decidere insieme ai canai la zona di braccata, organizzare la ricerca delle tracce, mandare i cacciatori alle poste assicurandosi che tutti siano in sicurezza, compilare l'elenco giornaliero dei cacciatori partecipanti alla battuta e imbucarlo prima dell’inizio della braccata nell’apposita cassetta a disposizione delle guardie dell’ATC o della Provincia per eventuali controlli, recuperare i cinghiali abbattuti e mettere al tendine d'Achille il bracciale obbligatorio, predisposto dalla Provincia, prima di caricare l’animale su un mezzo di trasporto, compilare i verbali di fine giornata (con precisato quanti animali, sesso, peso, zona di abbattimento ecc.) questi vanno consegnati all'ATC, alla provincia e utilizzati per i controlli sanitari da parte dell' ASL.
Di ovvia importanza è la macellazione e preparazione dei cinghiali, per cui, finita la braccata, i cacciatori si radunano nella casa di caccia. Ci sono i soci che si occupano della cucina per preparare la cena, altri che si occupano dell'evisceratura e pelatura dei cinghiali abbattuti e altri ancora che pelano le teste, dividono e contrassegnano le mandibole che al termine della stagione dovranno essere consegnate all'ATC (dopo la bollitura) per verifiche o mostre.
Io sono tra i secondi. Anche perché i cinghiali presi vanno tutti misurati, pesati e visionate le eventuali anomalie che ci potrebbero essere e questa operazione si chiama biometria, io avendo superato un corso di specializzazione ho ottenuto l'abilitazione di biometrista e sono l'unica della squadra di Menconico.
Alla fine tutti a tavola e mangiando (e bevendo) si rivivono i momenti della battuta e si raccontano le esperienze delle battute passate.
Passati alcuni giorni, dopo aver lasciata la carne nella cella frigorifera, 4 o 5 soci volontari ed esperti, io compresa, dividono in parti uguali i cinghiali per i soci che erano presenti alla battuta. Insomma, io sono come il prezzemolo, sono in grado di fare tutto e sono sempre presente, questo è importante per poter gestire le cose e molte volte, essendo l'unica donna della squadra, serve anche per avere un po' di rispetto dai maschi, anche se qualcuno ne approfitta per fare vita comoda ed evitare di lavorare... 

Fuori stagione di caccia invece ci troviamo per programmare la gestione futura, organiziamo i censimenti in collaborazione con l’ATC e la Provincia, prendiamo iniziative come pulire strade e sentieri dove si dovrà passare e una altra cosa più impegnativa e importante che facciamo è mantenere allenati i cani.
Le mansioni del capo sono veramente tante, ma quelle più importanti riguardano, ovviamente, la sicurezza verso e per tutti e tutto
.

La zona di caccia della squadra si compone per la maggior parte di bosco misto poco accessibile.
Perché la sicurezza è di tale importanza è chiaro: durante le battute i tiratori utilizzano fucili ad anima liscia di calibro 12, 16 e 20 con munizione a palla unica e le armi a canna rigata di calibro non inferiore a 7 mm i cui proiettili possono uccidere ancora ad una distanza di 2-3 km, anche se nella prassi il tiro utile e responsabile è di 80 - 100 m ed oltre non si spara al bersaglio perché sarebbe troppo pericoloso.
Poi bisogna considerare che la zona di caccia della squadra, Comune di Menconico con esclusione della Riserva Naturale del Monte Alpe e della zona concessa dall'ATC alle Squadre di Varzi, consiste quasi esclusivamente di terreno collinare/montano, (parte da 500 m.s.l.m. fondo valle nella zona del torrente Aronchio e arriva ai 1460 m.s.l.m. Vetta del Monte Penice) in parte assai ripido, che si compone per la maggior parte di bosco misto poco accessibile, caratterizzato da sottobosco, folti di ginestra, ginepro, rosa canina e rovi, e solo in minor misura di piccoli campi da fieno e vari fondi rustici che a loro volta sono ovunque confinati da siepi naturali e strette fasce boscose.
Questi fattori ambientali spesso fanno la caccia piuttosto faticosa e richiedono dai tiratori in ogni momento la massima attenzione per poter, quando l'opportunità si presenta, fare fuoco in modo sicuro e responsabile.
La battuta al cinghiale, contrariamente alla caccia della penna col cane da ferma, è ancora oggi decisamente il dominio dei maschi, o per essere precisi, degli uomini intorno ai 60/70 anni, perché secondo un censimento del 2009 è proprio quella l'età media dell'attuale cacciatore italiano. Dato che il numero maggiore dei soci di una squadra vengono dallo stesso comune o da quelli confinanti, quindi si conoscono da una vita, gli potrebbe sembrare sconcertante quando una giovane donna di 23 anni non solo si associa a loro come cacciatrice attiva, ma a 27 ottiene la qualificazione necessaria per "comandarli". Dunque, come hanno reagito i signori quando Michela, finora la prima ed unica femmina nella squadra di 33 soci è diventata vice Capo Caccia?

La caccia al cinghiale è ancora oggi il dominio dei maschi.
Michela: Nel mio caso e, credo, in quello di tante altre donne, posso dire che non è stato e non è tuttora facile! Ci sono cacciatori che mi hanno accettato subito, anzi, mi hanno aiutato ad inserirmi nel mondo venatorio, mi hanno supportato ed insegnato molto e continuano a farlo tuttora. Con molti di loro si è instaurato un rapporto ottimo di amicizia che non è solo la caccia. Mi rispettano sia come donna che come loro "capo" quando lo devo fare.
Altri invece fanno fatica ad accettarmi e a sentirsi dare ordini, però lo accettano, anche perché dimostro di saper fare bene quel che devo e di conoscere bene le regole. Cerco di essere sempre precisa.
Poi ci sono (quelli che pensano di essere) "i veri maschi" che dimostrano proprio di non accettarmi soprattutto quando comando e si comportano in modo disfattista, non mi ascoltano e spesso non accettano la posta assegnata oppure cercano di sabotarmi. Credo che sia perché sono donna, ma forse anche per invidia, cattiveria o magari per pura ignoranza.
Tempo indietro mi rodevo il fegato, adesso ho imparato ad essere superiore e fregarmene. E' la vendetta migliore. Loro diventano sempre più cattivi e ora si rodono il fegato 
loro. Sono convinta che compatire ed essere uno scalino sopra sia sinonimo d'intelligenza e per potere gestire tante persone differenti bisogna esserlo. Quindi per concludere:"Chi non mi vuole non mi merita".

Michela con la preda e due ausiliari.
I cinghiali tutto l'anno arrecano molto danno alle coltivazioni, non solo nel frumento, nei prati, nelle patate, ecc., ma anche nei vigneti, e questo non solo in aperta campagna ma anche al margine dei paesi.
Nell'ATC cui fa parte la zona di caccia di Michela a la sua squadra nel 2010 il 39% dei danni indennizzati fu causato dai cinghiali; il 24% andava sul conto della lepre e il 20% del capriolo.
Nell'ATC vicino invece, per via della diversità di topografia, vegetazione e l'uso agricolo del territorio la distribuzione differiva notevolmente: là i cinghiali erano già responsabile per il 61% dei danni, mentre i corvidi, con 16%, stavanno al secondo posto, seguito dalla lepre con 11% e il capriolo con solo 1 % non aveva il proprio peso.
Piuttosto che pagare i danni è meglio contenerli. Alzare la quota di abbattimento è un mezzo, tuttavia non cosi facile da raggiungere!
L'ATC 5 include 28 comuni con 16 squadre di cinghialisti che nel 2008 erano riusciti ad abbattere complessivamente 600 capi - decisamente troppo pochi per ridurre notevolmente la popolazione di cinghiali nel territorio. Di conseguenza, nel 2010 l'ATC aumentò la quota di abbattimento quasi al 50% e dei 2828 cinghiali accertati nel censimento, furono uccisi 1351 capi.
Altre misure per evitare i danni è la protezione dei terreni coltivati con dissuasori (recinzioni elettrificate, reti metalliche, dissuasori acustici o visivi, ecc.) e in parte con la coltivazione di terreni incolti ai margini dei boschi.

Danni creati dai cinghiali in un campo.
Per quest'ultimo progetto serve soprattutto la "competenza sociale", perché lascia pure che l'ATC si assume le spese e paghi i danni ai contadini - se la popolazione locale non vuole partecipare c'è poco da fare. Come persone cresciute in zona, Michela e suo marito, naturalmente, conoscono tutti ed ognuno, sanno chi possiede dei pezzetti di terra, sanno chi, negli ultimi 10 anni circa, li ha coltivati sempre di meno perché specialmente i campi da fieno nei terreni ripidi dell’alta collina non rendono più. Nel dialogo amichevole, riescono spesso a convincere i proprietari di mettere a disposizione della squadra degli appezzamenti incolti nelle zone idonee.
E cosi, invece di guardare passivamente come nel corso di pochi anni le rose selvatiche e il ginepro trasformano i loro campi in un luogo selvaggio e quasi inaccessibile, eseguono trinciature e seminano una volta all'anno delle culture come grano, mais, sorgo o miscuglio autunno-vernino, che come tutta la selvaggina anche il cinghiale apprezza.
In questo modo il terreno viene coltivato, senza creare all'agricoltore ulteriore lavoro, la selvaggina comprende ben presto che lì può brucare indisturbato e in abbondanza e tende ad evitare gli orti e i campi vicini ai paesi. Certo che quei campi seminati per i selvatici garantiscono una buona alimentazione e questo aiuta a mantenerli in zona e per i cacciatori abbastanza carne di cinghiale per la tavola di casa.
E persino coloro che non favoriscono dall'arrosto vedono nel cacciatore piuttosto un aiuto che contribuisce decisamente al fatto che la verdura faticosamente seminata e curata viene, appunto, non distrutta o mangiata dai cinghiali.
Quindi, gli opponenti della caccia non ci sono?

Per gli abitanti nei piccoli paesi la caccia al cinghiale significa protezione dei loro orti.
Michela: Nella nostra zona devo dire è difficile che qualcuno ci disturbi mentre cacciamo, però è successo in passato e sicuramente capiterà ancora, comunque non sono le persone locali a farlo anzi! Sono sempre di più gli animalisti ed i protezionisti, gente a mio avviso fanatica che ha molti concetti "ignoranti". Io apprezzo le persone, cacciatori e non, semplici ed umili che hanno rispetto, che dialogano e discutono con me in armonia e tranquillamente. A me capita spesso di relazionare di caccia non solo con chi è con me in squadra, ma anche con chi pratica in altre squadre o altre forme di caccia. E' piacevole ed è una soddisfazione avere modo di interagire con tante persone che sono al di fuori di una cerchia ristretta, la reputo una dimostrazione di stima e di apprezzamento e non si deve per forza sempre avere le stesse opinioni. Con gli "anti-caccia" un dialogo del genere, purtroppo, non è possibile poiché per loro il cacciatore è il nemico predefinito.

Giovane cinghiale nel bosco estivo.
In Italia la pratica venatoria, sotto tanti aspetti, è fortemente regolamentato.
Per i "cinghialisti" in provincia di Pavia la stagione inizia il 1 ottobre e si conclude il 31 dicembre. Ma in realtà sono solo due i giorni quando possono effettivamente fare battuta, vale a dire ogni mercoledì e, alternando, sabato o domenica. Se si fa il conto rimane un totale di soli 24 giorni di caccia all'anno, di cui un minimo di 12 giorni feriali.
Ovviamente questo fatto ha conseguenze, perché chi non è pensionato, agricoltore o libero professionista difficilmente può restare assente dal posto di lavoro ogni santo mercoledì per tre mesi interi. Sicché a metà settimana la squadra è spesso assai ridotta e le battute devono essere organizzate in conformità con i tiratori presenti (minimo 15).
E al più tardi quando "l'ottobre d'oro" si accomiata, per giunta su in alta collina comincia la brutta stagione con piogge persistenti, nebbia fitta, gelo e se i Dei del tempo sono di umore particolarmente cattivo ai primi di novembre cade la prima neve.
Immancabilmente ci si chiede se la passione venatoria e il carniere compensano i cinghialisti per tutte le fatiche, le spese e le discussioni inevitabili con i colleghi al posto di lavoro?

Con la caccia al cinghiale, purtroppo, comincia anche la brutta stagione.
MichelaIn una stagione come la passata del 2012, per noi ottima, abbiamo abbattuto 55 cinghiali; ci sono stati anni che abbiamo fatto molto meno.
Gli animali vengono divisi fra i cacciatori presenti alla giornata di caccia, non vendiamo niente. Per noi la caccia non è business o lucro, ma un purissimo piacere e un modo per stare in compagnia. Infatti le altre squadre dell’ATC ci prendono in giro perché al mattino prima di partire facciamo colazione, a mezzogiorno se non ci sono i cani in battuta ci fermiamo a mangiare e terminata la battuta ceniamo, soprattutto quando piove o nevica ci troviamo al mattino nella casa di caccia, accendiamo il fuoco, mangiamo, beviamo e aspettiamo che arrivi il sole. Insomma se si prende qualche capo, bene, altrimenti sarà per la prossima! 

In quanto al lavoro, purtroppo, sia con i colleghi di lavoro che la Direzione non è sempre facile trovare l’accordo per essere a casa, anzi, capita spesso che devo perdere le giornate di caccia, perché non tutti vedono di buon grado il fatto che io vada a caccia, e così tante volte devo rinunciare o devo utilizzare tutta la settimana di ferie per una sola giornata. Quindi i sacrifici e le rinunce sono parecchi ma si fanno volentieri per la passione.
La spesa per la caccia è molto soggettiva, dipende da molte cose. Comunque, in media sono più di 1000 euro all'anno che spendiamo a persona. Per coloro che iniziano per la prima volta l’attività venatoria sono da aggiungere i costi per l'acquisto delle armi. Io per esempio di fucili ne ho 6, perché una volta praticavo anche la caccia con il cane da ferma, ora faccio solamente la caccia al cinghiale e la caccia di selezione al capriolo e uso sempre i soliti fucili con cui mi trovo meglio: per il cinghiale Remington con canna rigata (calibro 30-06), per il capriolo Marlin con canna rigata e ottica (calibro 30-06) e per l’altra selvaggina Fabarm con canna liscia (calibro 12).

In posta.
In squadra si caccia i cinghiali esclusivamente con la muta di cani, composta da un massimo di 15 elementi, cioè senza battitori umani. Particolarmente apprezzate sono razze come Segugio Maremmano, Griffon Bleu de Gascogne, Ariègeois, GiuraDachsbracke e Segugio Istriano, ma ci sono anche tanti meticci che svolgono un ottimo lavoro.
Nella squadra di Michela chi è responsabile per il mantenimento, le cure quotidiane dei cani e la loro preparazione per la caccia?

MichelaSono 14 i cani che utilizza la squadra, e sono di varie razze (francesi, istriani, maremmani,d achsbracke e incroci). Una parte (4 della squadra e 3 miei) vengono accuditi giornalmente da mio suocero e periodicamente da me e mio marito nel fine settimana.
Gli altri 7, anchessi di razze diverse, sono di proprietà di due soci e li accudiscono loro ma li usano esclusivamente nelle battute della squadra.
La preparazione dei cani purtroppo è una lacuna della squadra perché siamo in pochi che li portano in addestramento, la maggior parte dei soci arrivano il primo di Ottobre con il fucile in spalla e chiedono se i cani sono bravi e dove devono andare in posta per abbattere i cinghiali
...

Segugio Maremmano in servizio.
Il padre di Michela era un cacciatore appassionato, ma pur trasmettendo alla figliola l'entusiasmo per il mondo venatorio non la portò mai a caccia con se, perché lo considerava troppo pericoloso per una bambina piccola. Ormai Michela è madre di una figlia 16enne, Susanna, che va matta per i cani da caccia, è abituata alla vista di selvaggina abbattuta e naturalmente al fatto che madre, padre e nonno non perdono occasione di andare a caccia. Ovviamente è da anni che Susanna li può accompagnare quando vuole. Ha ereditato l'interesse genuino per l'arte venatoria con magari l'intenzione di fare la licenza un domani?
MichelaMia figlia è già molto appassionata, a volte la porto con me ed è una soddisfazione.
Penso proprio che a 18 anni vorrà fare la licenza di caccia e seguire le orme dei genitori e dei nonni. Spero sinceramente di riuscire a trasmetterle il concetto di caccia che io ho imparato da uno dei miei migliori maestri di corso: La caccia, di qualunque tipo sia, non è uno sport, ma è un arte che deve essere fatta sempre con etica. Questo vuol dire conoscenza approfondita della natura che ci circonda per avere rispetto e non fare distruzione. Solo se il cacciatore sa prelevare nella maniera giusta riesce anche a conservare e a non distruggere.
Questo è il concetto base che dovrebbero avere tutti i cacciatori e se lo avessero anche certi protezionisti, verdi ecc., forse riuscirebbero a non vedere i cacciatori come mostri distruttori ma come coloro che sanno anche conservare e custodire ciò che è patrimonio di tutti.

Femmina seguita..
.... da un cinghialetto assai curioso.

Testo (c) 2013
Foto 2, 6 Michela Poggi, tutte le altre: Sabine Middelhaufe

teulada Le mimetiche all'uranioLe divise pulite in una lavasecco: nella famiglia dei titolari cinque fratelli su sei sono malati di tumore, si salva solo l'emigrato



  

da l'unione sartda del 29\9\2013


Le divise pulite in una lavasecco: nella famiglia dei titolari le mimetiche all'uranio
cinque fratelli su sei sono malati di tumore, si salva solo l'emigrato

dal nostro inviato
Paolo Carta
TEULADA Di sei fratelli, tutti attorno alla cinquantina, quello emigrato in Brasile è l'unico sano. Gli altri, rimasti a Teulada, sono malati: tumori maligni e disfunzioni alla tiroide. «Siamo cresciuti nella lavanderia dei nostri genitori: sino agli anni 90 i militari portavano la roba da noi. Divise e mimetiche, mimetiche e divise. Il nostro dubbio - dicono Chiarella e Carla Murgia - è che ci siamo ammalate per aver respirato quelle polveri presenti negli abiti dei soldati dopo le esercitazioni».
LA BOMBA Il cielo è terso, la ventilazione appena apprezzabile, il mite autunno di Teulada invoglierebbe ad andare al mare ma non è possibile: neanche tanto in sottofondo i rumori dei cannoni annunciano che la stagione balneare è finita ed è cominciata quella delle guerre simulate. Ma stavolta fa più rumore in paese la bomba esplosa dal Palazzo di Giustizia di Cagliari: c'è un'inchiesta della magistratura che vuol far luce sui tanti ammalati di tumore tra civili e soldati che a diverso titolo hanno frequentato il poligono.
IL COMITATO Venti esposti già presentati, almeno altri 40 malati sospetti. Tutto è nato dalla denuncia dei genitori di un pescatore cagliaritano, Manolo Pinna, morto a 26 anni per un tumore al cervello diagnosticato dopo il servizio di leva a Teulada.
Già da anni in paese un Comitato spontaneo di cittadini, guidato dalla casalinga Elisa Monni (62 anni), ha raccolto un dossier con 55 storie. «Quelle dei compaesani malati di tumore. Ci hanno dato il loro consenso per andare avanti a chiedere la verità su quel che accaduto a Teulada dal 1956 a oggi. Esercitazioni senza controllo, parti del territorio irremedibialmente compromesse, strane polveri bianche e appiccicose che rimanevano giorni e giorni su mirto e lentischi. E poi le diagnosi, la chemioterapia, gli interventi, i funerali».
L'INCHIESTA Adesso quei documenti, cartelle cliniche e reperti istologici, sono finiti nelle stanze della Procura di Cagliari, a disposizione di un magistrato che indaga (contro ignoti) per omicidio colposo. Lo Stato ha mandato al massacro i suoi soldati in tempo di pace nelle esercitazioni senza controlli? Ha contaminato mari e campagne di Teulada?
Per adesso la battaglia del Comitato ha scatenato tanto rumore e ottenuto niente: 55 ricorsi presentati al Ministero della Difesa per ottenere il risarcimento per i tumori hanno ricevuto altrettanti dinieghi. Solita motivazione: impossibile stabilire il nesso di causalità tra test militari, vicinanza al poligono e malattie. Formula che non tacita i sospetti, anche perché era stata la stessa legge dello Stato a parificare i poligoni sardi di Teulada, Quirra e Capo Frasca ai teatri di guerra del Kosovo, Iraq, Afganistan e Somalia ai fini del riconoscimento degli indennizzi ai malati.
LE STORIE La gente di Teulada non si ferma perché non è interessata all'obolo di Stato, che non può restituire familiari finiti sottoterra o salute ormai compromessa, ma alla verità. Tito Frau, per esempio, ha 76 anni, un passato da operaio edile e un presente da malato di linfoma non Hodgkin: «Il paese è inquinato, arrivano le sabbie dell'Africa, figuriamoci cosa resta nei terreni e nelle acque dopo sessant'anni di test militari». Ancora più diretta Antonietta Albai, sorella dell'ex sindaco Gianni, morto un anno e mezzo fa dopo una malattia fulminante: «Sì, certo, quando è morto mio fratello abbiamo pensato che potesse esserci stato un collegamento tra il tumore e le attività svolte attorno al paese. Anzi, ogni volta che qualcuno si ammala a Teulada il pensiero va in quella direzione. Troppi giovani, troppe persone malate. Il paese è avvelenato, ben venga l'indagine. Mio fratello era una persona solare e aveva sempre chiesto maggiori controlli sull'ambiente per difendere i suoi compaesani». Ed Enrico Cara, bidello di 65 anni, «senza un rene», annuisce: «Voglio sapere perché mi sono ammalato, se i militari hanno rispettato l'ambiente e il nostro diritto alla salute».
Quasi a suggellare queste parole all'uscita di scuola il rumore dello sparo di un cannone sovrasta il suono della campanella. Cartolina da Teulada, paese sempre in guerra.

28.9.13

Slot Mob, a Milano "premiano" i bar senza slot




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I racconti dei malati di videopoker

Slot Mob, a Milano "premiano" i bar senza slot


Giuseppe stallone il proprietario del bar  


                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      Dopo il successo di Biella, lo Slot Mob arriva anche a Milano. In centinaia, questa mattina, si sono dati appuntamento in viale Jenner per premiare il Bar Persefone, tra i primi della città a scegliere di non avere slot machine nei suoi locali. "Una perdita netta di 2000-2500 euro al mese" spiega il titolare "ma è più importante non dare modo ai clienti di rovinarsi una vita col gioco d'azzardo". Per l'occasione l'Accademia Giochi Dimenticati, ha portato in strada il divertimento di una volta, dai birilli al tiro alla fune, mentre l'organizzazione ha allestito un torneo di biliardino "per stimolare la socializzazione, dato uno dei tanti problemi derivanti dalle slot machine è l'isolamento". "Speriamo di organizzare almeno 100 slot mob in tutta Italia" si augura Gabriele Mandolesi, coordinatore dello Slot Mob "la cosa bella è che i titolari di locali che rinunciano alle slot sono moltissimi, ma rimangono nell'ombra. Con queste iniziative riusciamo a premiare un gesto coraggioso" (video di Elena Peracchi)




da milano repubblica del 16\6\2013


Milano, il barista rinuncia alle slot:"In tanti qui hanno perso la dignità": "Le macchinette rendevano 3mila euro al mese, ma le ho tolte dopo che un ragazzo ha perso metà del primo stipendio". Il caso della pensionata che si giocò i 20 euro per la spesa

di ALESSANDRA CORICA



«Era impossibile stare a guardare. Una volta un ragazzo del quartiere, coetaneo di mio figlio, in due ore si è giocato la metà del primo stipendio: a quel punto ho detto basta. E ho fatto togliere le slot». Giuseppe Stallone lo scorso febbraio è stato il primo a ricevere l’attestato di “Bar anti slot” del comitato Jenner-Farini, per aver eliminato dal suo locale, ormai tre anni fa, le slot machine: una decisione controcorrente, all’epoca. Ma che adesso torna di attualità, con la discussione in Regione per una legge che ponga un freno al diffondersi delle slot. E con il dilagare del gioco d’azzardo patologico: almeno 25mila i malati in Lombardia, che con un giro d’affari da 9,9 miliardi di euro l’anno si piazza al primo posto tra le regioni italiane. «Non dico che eliminare le macchinette sia stata una scelta facile - ricorda Stallone - Con i tempi che corrono, rinunciare a una fonte d’incassi non è semplice. Ma ne sono fiero: qui si sta parlando di una piaga sociale, qualcosa va fatto».

Per quanto tempo ha avuto le slot?
«Circa un anno e mezzo. Quattro anni fa una ditta che noleggia gli apparecchi ci ha contattato e ci ha offerto di installarli: nessun costo di affitto, manutenzione a carico del gestore e introiti divisi a metà, al netto delle imposte. Con questo meccanismo riuscivamo a guadagnare anche 2.5003mila euro al mese».
Un buon affare.
«Sulla carta, sì. Poi, però, ho dovuto fare i conti con la realtà».
Ovvero?
«Pensionati, giovani, donne e uomini: tutti giocano alle slot. E tutti ne vengono trasformati: è come se quegli apparecchi cambiassero la fisionomia di una persona. Ho visto gente tranquilla bestemmiare, mettere da parte controllo e dignità dopo aver perso una partita. E più di una volta mi sono trovato in difficoltà».

In che senso?
«Una volta ho trovato un ragazzo cinese davanti alla saracinesca del bar alle sei e mezzo del mattino. Appena mi ha visto ha iniziato a chiedermi di aprire: voleva ricominciare a puntare per rifarsi di quello che aveva perso la sera prima. Chi gioca diventa maniacale: tante volte ho discusso con alcuni che non volevano allontanarsi dalle slot, malgrado fosse l’ora di pranzo e io dovessi spegnere gli apparecchi per far mangiare in pace gli altri clienti. Per non parlare delle volte in cui ho provato pena per chi avevo davanti».

Per esempio?
«Ricordo un’anziana che arrivò con il carrellino della spesa, ancora vuoto, e tirò fuori una banconota da venti spiegazzata. Se la fece cambiare in monete, poi iniziò a giocare: dopo dieci minuti ritornò, disperata, dicendo di aver perso tutto. E di non sapere come fare la spesa».

Il caso che l’ha colpita di più, però, è stato quello del coetaneo di suo figlio.
«Un ragazzo di 23 anni, cliente abituale: ogni tanto capitava che gli offrissi un caffè o una birra. A un certo punto, sparisce per un po’: lo incontro per caso dopo un mese, mi dice che ha trovato lavoro e che ha appena preso il primo stipendio. Dopo un paio d’ore torno al bar e lo trovo alle macchinette: si era giocato mezza paga. Mi sono chiesto: e se capitasse a mio figlio?».

26.9.13

ultime cartucce della disney italia prima di passare alla panini \ fantasy bonelli e fantasy disney

Con il n  3018   finisce   l'era   disney  italia e dal  3019  inizia   quella  panini  .  A firmare il passaggio epocale nella  storia  di topolino   - il secondo dopo quello da Mondadori a Disney nel numero 1702 del 1988, è il maestro  Giorgio Cavazzano .

da , tranne  i pezzi non in  corsivo  , dalle recensioni di papersera.net

da  papersera.net
In   questo numero  che  <<  chiude l'era Disney Italia e lascia spazio ad una nuova gestione quella Panini; forse per non impaurire troppo i lettori per questo cambiamento si è deciso di mandare alla stampa un numero mediocre, con storie di un livello piuttosto lontano da quello a cui siamo stati abituati negli ultimi mesi.
L'unica storia che rende il numero degno di essere letto è Bum Bum e l’androide perfetto (Mastantuono/Intini) in cui il tratto di Intini, sempre particolare e gradevole, attento ai particolari ed evocativo nelle espressioni dei personaggi, si adatta alla perfezione al carattere di Bum Bum Ghigno che in questa avventura deve trovarsi in una fase, diciamo maniacale, della sua esistenza. L'affresco che se ne ricava è un misto di divertimento e di riflessione che rende queste pagine molto intense e Bum Bum ne esce come sempre vincitore.>> . Ottima  storia  , mi descrive   alla  perfezione  , visto  che   in molti casi  mi  comporto cosi  .
<< Purtroppo da qui in poi non si riesce a trovare elementi narrativi interessanti; in Topolino, Macchia Nera e l’incredibile viaggio dell’acqua (Bianchi/Soldati) si assiste ad una didascalica avventura che descrive il percorso di una molecola d'acqua. Storia su commissione senza dubbio e questo giustifica in parte la mancanza di verve e di creatività, ma la storia utilizzata non sta in piedi, i personaggi sono caratterizzati in modo poco credibile e l'utilizzo continuo della parola "acqua" e dei suoi derivati invece che incuriosire infastidisce.>> Vero  avrebbe potuto  essere fatta meglio
 << La situazione non migliora con la breve Paperino, Paperoga e il tracciato cittadino (Valentini/Milano),>> la   solita  storia  alla  stanlio ( Paperino  )  ed  Onlio ( Paperoga  ) ,. << nè con Weird West Mickey - Scherzi della memoria (Pericoli/Dalena)  e Weird West Mickey - Il magico west di Pippo (Pericoli/Dalena), che forse non riescono nel loro intento di creare un mondo parallelo che suggestioni il lettore con atmosfere particolari, alla fine della lettura resta poco, non si riesce ad andare più a fondo del piano narrativo e la sensazione è che non ci si riesca perchè non c'è niente.Infine Wizards of Mickey - I custodi della memoria (Venereus/Perina) che non dona di certo smalto al numero, verbosa, prolissa, il cui intreccio si perde creando più confusione che altro. >>  Qui non concordo   completamente perchè  :     non è  solo prolissa e verbosa   , ma  è  interessante  perchè ci fa  capire  le origini ( salvo un aria   di mistero  del rapporto fra  Amelia  e  il ignore degli inganni )   di Amelia  ., le  due storie  di  WWM potevano   essere  raggruppate  in una storia  suddivisa  in due  tempi e  con topolino e pippo che  ricordano tramite  flashback  di come  sono entrati nel gruppo area 41  .
Insomma numero senza  infamia e senza lode che si salva solo per la storia d'apertura e per "Che aria tira..." della Ziche che è davvero esilarante... .  Bof.... giusto se già collezionate la testata...  soprattutto in passaggio cruciale  come questo  da  una casa editrice  ad  un'altra  . Comunque  nella media: non passerà alla storia, ma...  . 

Ora  Mentre terminavo questo post mi sono    venuti   in  mente  questi   due   link   :

il numero  zero di Orfani 
Oltre  a    rileggermi le  prime  2  saghe di WOM  ,   visti  i  continui  richiami  ad esse contenuti  in questa    2  puntata  del  VI  saga  ,  e  mi sono  messo  a  fare  un'analisi    fra  i  due  tipi di  fantasy . 
Mentre   alla Bonelli dopo,se  pur tormenta  ma feconda  (  vedi tutte le derivazioni  e  spin-off da  essa  scaturiti  )  di Zona X  la  Bonelli ha  trovato   : << (...)  la voglia e il coraggio di puntare sul Fantasy. Un genere che nell'ambito letterario è pieno di grandi autori, ma che nel mondo del fumetto è generalmente bistrattato. Dragonero è un titolo davvero eccellente che da giustizia a questo genere >>  (  Fabio Renzetti  )    creando cosi      nuovi  fantasy  ( drago nero  creata da Luca Enoch e Stefano Vietti. In uscita nel giugno 2013.  E Orfani   di  prossima  uscita   )



dalla  pagina facebook  di drago nero  
Da  quello che   ho visto  e  letto  in rete   , in quanto  momentaneamente   in  deficit  € (  compro  già tre  fumetti  ,  Dylan  Dog  , Martin Mystere  e   topolino ) non posso permettemi  ulteriori spese,  sembrano  eccellenti  .  Mentre  alla disney  il  fantasy  sembra    arrancare   sparando  le  sue     su  ultime cartucce l'ultima wizzard  of mickey   e  l'al'tra saga  ( prossima  alla  fine  peccato )  di Weird West Mickey  uno   "scopiazzamento" ( seppur 6 volumi di disney fantasy.
Ora  sto  finendo di leggere anzi rileggere   la  seconda  puntata  di  dell'ultima saga  di WOM . Essa   non  è  male almeno per  il momento , priva   di tutti  quegli  orpelli   che  avevano banalizzato   e fatto  si che   Wom  una storia  potenzialmente  intrigante  e   valida   sia diventata  una  saga   mancata .   Una mezza    delusione   poi passatami  con la  lettura  dei primi due volumi    dei   6 volumi di disney fantasy  
 fInfatti  mi sarai aspettato qualcosa    di  più dopo quasi  2  anni  d'assenza della serie *   di una semplice lotta  tra  il bene  e  il male , di  una  saga  traino alla   riedizione in unico cofanetto  dei    4 volumi comprendenti tutte le puntate della prima e seconda saga, più alcune storie illustrate inedite non a fumetti usciti  in contemporanea  ai  n. 2707-2708, 2740 - 2741  )  .
da  google  
Credevo   che  , vista   l'ormai  prossima   uscita  , per il periodo pre  natalizio ,  secondo  il sito ufficiale, del film  hobbit  II (  il  2  della trilogia  cinematografica  )   tratto dall''omonima  opera  di Tolkien  , ci    fosse    un  riferimento  \  trasposizione   fumettistica  sul modello  di     The Hobbit (Walt Disney Film) , oppure   una  parodia  (  come   quella di paperino  e  il signore  del padello  )  o rielaborazione  alla  Artibani  \  Gagnor . Potevano  farla  così : 1)  con   il  trio ,  di WOM  , ormai vecchio  vecchio   che    durante  una cena    narrano  ai  rispettivi  nipoti  ( qui  quo  qua     e  tip  e  tap  e  gilberto  o   gancio    )    il motivo  che  li spinse  ad intraprendere il viaggio  e  di  come  s'incontrarono ( vedi prima serie  )  spiegando come mai , per  paperino ,  gli incantesimi  di paperino sono ad  effetto  ritardato  o il perchè   clarabella che  dimentica  le visioni premonitrici  della sua  sfera  .  2)   con il mago Nereus che  decide  dire   a  topolino  il vero motivo   ( alla  hobbit  )    per cui  hai scelto lui  , raccontando  un avventura  con il padre di topolino e  i  genitori   di Pippo e   paperino   e  che avrebbe previsto l'incontro  con i loro discendenti  .  
Ora    Speriamo  che  il passaggio   alla panini 
26/09/2013 http://www.paninicomics.it/web/guest/news?id=83660

Latest news Topolino alla Panini!
Comunicato stampa
Panini S.p.A. è lieta di annunciare di aver perfezionato l’accordo con The Walt Disney Company Italia per l’acquisizione del ramo di azienda dei periodici Disney in Italia: a partire dal 30 settembre 2013 sarà quindi Panini l’editore di Topolino, Violetta, I Classici Disney, Paperino, Principesse, e di tutto il variopinto parco di testate sino ad oggi pubblicate da Disney Italia, assicurando continuità rispetto al patrimonio e l’alta qualità di storie e fumetti che hanno accompagnato e divertito intere generazioni di italiani.Questi titoli vanno a integrare il già vasto portafoglio del publishing Panini, che sotto i marchi Panini Comics, Panini Magazine e Panini Books edita oltre 1.700
 pubblicazioni all’anno in Italia, da Naruto a Cioè, da Rat-Man a Star Wars, da Hello Kitty a World of Warcraft, oltre all’intero parco titoli Marvel, che Panini gestisce con successo da quasi due decenni.
Attraverso questa acquisizione, entra a far parte di Panini lo staff di Topolino e dei periodici Disney, che da una nuova sede ubicata a Milano continuerà a produrre i contenuti del settimanale Topolino e degli altri titoli disneyani, leader assoluti in Italia nel settore dei periodici per ragazzi.
Il primo appuntamento in edicola è fissato per mercoledì 2 ottobre, giorno in cui uscirà il primo numero di Topolino targato Panini Comics, il 3019, un albo da collezione che avrà una copertina da consegnare agli annali della storia del fumetto, in cui Mickey Mouse interpreta la mitica “rovesciata Panini”, iconico simbolo degli album di figurine “Calciatori”. Il maestro Giorgio Cavazzano ha voluto così marcare nel suo disegno questo epocale passaggio di testimone, il secondo nella vita della testata dopo quello da Mondadori a Disney Italia nel 1988 con il numero 1702.
Per tutti i collezionisti, uscirà anche una preziosa versione “variant” dell’albo, con una copertina in materiale speciale color verde, che sarà disponibile allo stand Panini Comics durante le principali fiere di settore di ottobre e novembre, e nelle migliori fumetterie.
Aldo H. Sallustro, amministratore delegato Panini S.p.A., ha così commentato l’acquisizione: “E’ con grande soddisfazione che accogliamo Topolino e le testate Disney all’interno delle attività editoriali Panini. Da sempre Panini è in prima linea per divertire, intrattenere e anche educare i ragazzi di tutte le età, ed è motivo di orgoglio poter continuare a farlo attraverso periodici che già sono nelle storia dell’editoria e della cultura di questo paese, e continueranno a esserlo negli anni a venire grazie all’impegno nostro e di tutta la nostra squadra, Questa acquisizione consolida il nostro ruolo di editore leader in Italia nel publishing per ragazzi, e rende ancora più saldi i rapporti con Disney, di cui siamo licenziatari esclusivi per le figurine da decenni, e con cui siamo già in relazione nel settore publishing grazie alle licenze Marvel e Star Wars”.


 confermato anche  da  :  A)  da  https://www.facebook.com/luana.ballerani  della  Disney  .,  B )  da http://topoinfo.org/topolino/3018/  : <<    questo numero è da tenere d'occhio, perché -storicamente parlando- si tratta dell'ultimo numero edito dalla Disney Italia, che passerà il testimone alla Panini.
Quindi, in parole brevi, finisce un'era  e ne  inizia  un'altra  .Speriamo che  :  

  1. continui  la linea  editoriale  del direttore  (   sempre   che rimanga lei  )   Valentina  de Poli  nel recuperare  autori      che  disney  non ne  volevano sapere  .
  2.  che  gli autori  siano pagati meglio  onde evitare   casi ( qui e nel  pagine seguenti  la  querelle  con la disney  )  di    bruno concina  e  Carlo chendi
  3. migliori  e sia  più efficiente       nella distribuzione  in edicola  vedere  polemiche   sul n 3000 e  sulla  cattiva  distribuzione del cofanetto  prima  citato    e  la  distribuzione solo  nei super  ed ipermercati  di certe   edizioni  \ raccolte  di  topolino   e l'uso massiccio  delle ristampe  ( volgarmente   riciclo  )  con le rese    come  il  cofanetto  di cui si è parlato in questo post  
  4. si liberi   dal  "giogo "  tedesco  \ nord  europa  per  quanto riguarda le storie  straniere   e  torni come  un tempo a  pubblicare  anche  all'interno del  settimanale  altre storie  straniere  come  quelle  con  Josè carioca  e la  combriccola  d'amici    
  5.  riprende    o faccia  ritornare    vecchi come  Carlo Chebdi  che ancora   hanno  delle storie  inedite   vedi   3  collegamento del  punto 2 

E  che  si possa avverare  l'ottimismo di 


21 settembre tramite cellulare vicino a Vimodrone, Lombardia
Per me questo 2013 è un anno di nuovi inizi. E a me i giorni zero, i giorni uno, piacciono tantissimo. La vita è proprio questo, per me: ripartire, ripartire sempre, finché puoi, finché hai una possibilità. I giorni nuovi, carichi di idee, di ottimismo. Per questo, non vedo l'ora di ripartire. Con una redazione e un gruppo di colleghi così. Con una copertina così. Panini, giorno uno!
e
         
cliccare  sopra per  ingrandire 

 e  gli auspici  di 
Immagine Avatar Andrea autore k3vin  utente  di  topo info


  


Beh, eccoci dunque al "passaggio"... Non so bene cosa pensare, da una parte sono molto fiducioso nei confronti di Panini, sperando che voglia mantenere il percorso di aumento della qualità intrapreso in questi anni, magari dando una spinta in più con nuove testate e progetti innovativi. Dall'altra sono un po' preoccupato, ovviamente, verso questo futuro "sconosciuto". Per ora quindi sono neutrale, aspetto a vedere cosa succederà.
So due cose però. La prima è che mi fa molta impressione vedere il logo di un diverso editore in copertina, la seconda è che questa copertina non mi piace proprio. Capisco che le figurine dei calciatori Panini siano il prodotto di punta di Panini e un buon modo per presentarsi, ma a me del calcio non me ne può fregare di meno e anzi, mi infastidisce un po' vederlo associato così tanto a Topolino. Nel senso, non è uno speciale sul calcio, che ci potrebbe anche stare, è una copertina di presentazione di una nuova era di Topolino... .Noon partiamo prevenuti... In realtà la Panini è un colosso nella pubblicazione di fumetti e manga, possiede anche una rete di negozi fisici... Non si sa mai che la nuova distribuzione porti vantaggi per gli abbonati o la possibilità di chiedere arretrati, per esempio! Inoltre Panini è solita mantenere in vita anche testate che non vendono molto, quindi potrebbe decidere di lanciare qualche nuovo progetto... Riguardo alle storie puoi stare tranquillo, la redazione e gli autori rimangono gli stessi ! 

Non so  più  c....  caspita dire  , se  non  arrivederci  in edicola   con il  nuovo corso 



*  In ordine cronologico (non di pubblicazione), le saghe sono:

  • Wizards of Mickey - Le leggende perdute del 2009 (Topolino nn. 2796-2809-2810)
  • Wizards of Mickey  del 2006 (Topolino nn. 2654-2663)
  • Wizards of Mickey II - L'Età Oscura del 2007 (Topolino nn. 2680-2689)
  • Wizards of Mickey III - Il male antico del 2008-2009 (Topolino nn. 2725-2726, 2739-2740, 2773-2774)
  • Wizards of Mickey IV - Il nuovo mondo del 2009 (Topolino nn. 2802-2805)
  • Wizards of Mickey (Gulp) del 2009 (da Topolino n. 2820)
  • Wizards of Mickey V - Lemuria del 2011 (Topolino nn.2909-2911)

  

Sassari . coraggio di donna e moglie : << cosi ho salvato mio marito dalle slot machine >> .


 da la  nuova Sardegna  online del  26\9\2013






Un falegname di 36 anni ha giocato per tre anni. Adesso riconquista la vita nella comunità di recupero di don Chino Pezzoli.

di Vannalisa Manca wSASSARI «Un giorno ha infilato un euro in quelle maledette macchinette e il tintinnare di monete lo ha fatto saltare dalla contentezza. Con un euro si era fatto uno stipendio. Non immaginava che quell’euro stava cominciando a cancellare la sua anima di uomo meraviglioso, di padre, di marito». Angela (il nome è di fantasia) è una donna minuta, ma la luce dei suoi occhi emana una forza enorme. Quella che ha avuto per strappare il marito dal vizio del gioco, da quella malattia che lei chiama da slot machine e che gli stava consumando la vita. Il tunnel è durato tre anni, un periodo che Angela ha vissuto come un incubo, cercando di capire che cosa avesse cambiato anche i sentimenti del suo compagno, un uomo di 36 anni, un bravo falegname che amava la moglie e i due figli di 10 e 3 anni. Una vita matrimoniale costruita in dodici anni con una serena convivenza, allietata dalla presenza dei due figli.
L’incanto si rompe all’improvviso. La crisi incombe anche sulla piccola falegnameria, meno clienti e minori entrate, mentre il mutuo della casa va pagato, così le bollette e le spese per mandare i figli a scuola. «È stata questa preoccupazione a fargli tentare la fortuna. Ma questo l’ho saputo solo dopo, quando sono riuscita a portare mio marito prima al Serd e poi nella comunità di recupero di don Chino Pezzoli. Là mio marito sta rinascendo». Tre anni sono trascorsi. «Mio marito ha toccato il fondo da dipendenza da slot machine a livello patologico, è stato un perfetto attore con doppia personalità. Si è comportato come un tossico: parlava male delle slot, negava ogni mio dubbio. Ha perso tutto, il lavoro ma soprattutto la sua autostima». Angela, che di anni ne ha 34, ha capito che il problema era serio, che il padre dei suoi figli stava percorrendo una strada sbagliata, ma non riusciva a capirne la causa. «Non lavorava più, non portava soldi a casa, non parlava con i figli, usciva e non diceva dove andava. Lo chiamavo al telefono e rispondeva vago. Dormiva poco, era diventato molto silenzioso. Non era l’uomo che avevo conosciuto io». Così, Angela ha cominciato a pedinarlo, a controllargli i numeri sconosciuti del cellulare e a scoprire questa doppia vita del marito. Un giorno, dopo vari litigi, Antonio (anche questo è un nome di fantasia), scrive una lettera al figlio di dieci anni. Una lettera carica di amore, dove Antonio dice di essere sempre un buon padre, ma chiede al figlio di stare vicino alla madre, «perchè è una brava mamma e non può stare sola». Una lettera che Antonio nasconde sotto il mucchio della biancheria da stirare e poi esce di casa. Angela sfaccenda e poi comincia a piegare magliette, calzini e camicie. Ed ecco che compare quel foglio. Angela lo legge e i polsi le tremano. «Ho capito che era una lettera d’addio», racconta mentre le lacrime le inumidiscono quegli occhi chiari. Comincia a cercarlo, a chiamarlo al telefono ma lui non risponde. Disperata, alla fine prende il telefonino del figlio e chiama da quello. Lui risponde, ed è lo squillo della salvezza. Moglie e marito si ritrovano, si parlano. Lui nega e confessa al tempo stesso. Si sente scoperto ma non vuole ammettere la verità. «Ci siamo chiusi in casa e sono riuscita a farlo ragionare. Ci siamo rivolti al Serd, ma pochi sono convinti come me che la slot può portare alla dipendenza. Un richiamo patologico dato dal tintinnare delle monete, che ti inebriano quando vengono giù. Vinci e giochi quello che hai vinto. E quando lui non aveva più soldi, si indebitava. Ha chiesto denaro a tutti gli amici che glielo davano perchè lui, da perfetto attore-tossico riusciva a farseli prestare. Non pagava il mutuo, né altro.Ma giocava. Andava in tutti i paesi per giocare e non farsi scoprire». Ora l’incubo è finito. Angela ha ottenuto di inserire il marito in comunità, da don Chino Pezzoli, fuori dall’isola. E da dieci mesi Antonio si è ripreso la vita. Impara nuovi mestieri e ha riconquistato la fiducia. La sua e quella di Angela. E rivede il sorriso luminoso dei figli. 

24.9.13

esiste realmente il biologico ?

  da  D  di repubblica  della scorsa settimana n  858


 Quel che è certo è che va alla grande,nella piccola e nella grande distribuzione.
Quello che fino a pochi anni fa era una nicchia di consumo adesso vale, solo per il cibo e solo in
Italia, 3,1 miliardi di euro, in crescita ininterrotta da un decennio.L’angolo dei prodotti biologici c’è
perfino nei discount, e molte catene hanno intere linee di prodotti derivati da un’agricoltura più sostenibile che non fa ricorso a sostanze chimiche. I prezzi continuano a essere più alti, ma il biologico è un “marchio” che vende,
anche in tempi di crisi. D'altronde, non saremmo un po’ tutti d’accordo che la salute viene prima di tutto? L’associazione è quasi scontata, biologico uguale più sano. Ma anche più gustoso, più ecologico, più naturale. Non sempre,però, le idee che popolano l’immaginario collettivo corrispondono alla realtà. Proviamo a verificare con gli esperti, a partire da alcune delle convinzioni più diffuse.

I cibi biologici sono più nutrienti?
Dalla letteratura scientifica emerge che alcune differenze  di qualità tra prodotti biologici e “convenzionali” ci sono. A volte a vantaggio del “bio”, ma anche a svantaggio », spiega Flavio Paoletti, ricercatore presso l’ex Inran, istituto oggi accorpato al Cra (Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura), che ha curato un studio degli articoli scientifici sull'argomento pubblicati dal 2005 al 2011, dal titolo La qualità nutrizionale dei prodotti dell’agricoltura biologica. «Il metodo di coltivazione può influenzare alcuni aspetti della qualità dei prodotti, ma contano anche altri fattori, che anzi spesso hanno un’influenza maggiore, come le caratteristiche genetiche della specie coltivata, le condizioni climatiche, l’esposizione alla luce, la qualità del suolo».
I prodotti biologici sono più salutari?
«Risultano meno contaminati da residui di pesticidi di sintesi, visto che la normativa ne impedisce l’uso», spiega Paoletti, «ma anche nella quasi totalità dei prodotti convenzionali non ce ne sono, o rientrano nei limiti di legge, anche se si discute da tempo della tossicità determinata dall'effetto combinato di più sostanze presenti contemporaneamente». Interrogando invece un esperto nella
prevenzione dei tumori emerge un altro distinguo: «Più che badare unicamente al biologico, bisogna fare attenzione a quello che si mangia», spiega Franco Berrino, oncologo e consulente della direzione scientifica dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano. «Fa male fondare la propria alimentazione su troppi prodotti animali o su quelli molto raffinati, come accade per zucchero e farine. Non importa niente che la farina 00 sia biologica, i pesticidi non ci sarebbero comunque perché, semmai, vengono
eliminati insieme alla crusca e al germe di grano nel processo di raffinazione. Lo stesso discorso si può fare per lo zucchero. Oggi l’industria del biologico produce cibi altamente processati di qualsiasi tipo, ma è inutile stare a discutere se le merendine meglio prenderle bio oppure no, il problema è la merendina in sé. Forse il biologico ha più senso per l’ecologia che per la salute, dove finora non ci sono molte evidenze di una maggiore sicurezza. Certo, si può scegliere di attenersi al principio di precauzione, ma la regola dovrebbe essere comunque quella di acquistare cibi, e non alimenti trasformati», conclude Berrino.
Nel biologico non si usano mai pesticidi?
«In realtà anche nelle produzioni biologiche c’è la necessità di usare agrofarmaci», obietta Antonio Pascale, scrittore e saggista, agronomo impiegato al Ministero delle politiche agricole e forestali nonché autore di un libro che parla proprio di agricoltura, Pane e pace. Il cibo, il progresso,il sapere nostalgico (Chiarelettere). «Nelle colture biologiche si usano antiparassitari e agrofarmaci quali il rame, il rotenone, o i piretroidi, definiti “non di sintesi” perché ricavati da elementi presenti in natura. Prendiamo per esempio il rame, che è un buon fungicida, ma in agricoltura non viene certo usato allo stato naturale, piazzando un pezzo di metallo nel campo. Cioè si usa anche in questo caso un prodotto chimico, a base di rame, tant'è che l’industria chimica vende agrofarmaci sia ai produttori che fanno biologico sia a quelli che fanno convenzionale.
Inoltre nel biologico spesso si usano maggiori quantità degli agrofarmaci consentiti: per esempio il rame è facilmente dilavabile, scivola via con  le piogge e quindi va dato più spesso; ma è comunque un metallo pesante che finisce nel terreno, dove poi si accumula procurando danni alla micro fauna. I vari insetticidi che vanno sotto il nome di rotenone sono abbastanza pericolosi, non agiscono in modo mirato e colpiscono qualsiasi organismo presente nell'ambiente circostante, comprese le api.
Un’altra classe di insetticidi usati nell'agricoltura biologica  è tratta dal bacillus thurigiensis, batterio che produce una tossina attiva per tre ordini di insetti: i lepidotteri,cioè le farfalle, i coleotteri, per esempio le coccinelle, e i ditteri, cioè le mosche. Il problema è che va vaporizzato sulle piante, quindi può finire facilmente nell'ambiente circostante o nei campi vicini e si accumula nel terreno,«La vera differenza dovrebbe essere fatta tra cibi processati e prodotti più semplici, meglio se meno ricchi di proteine animali», dice l’oncologo .  finendo per uccidere anche gli insetti utili, come le coccinelle. Per questo negli anni Ottanta i ricercatori hanno  cercato di mettere a punto piante che producessero da 
sole il batterio, in modo che fosse tossico solo per i predatori che mangiano la pianta. Ma sappiamo che c’è una totale e incondizionata opposizione dei produttori del biologico agli Ogm, nati in un certo senso come una sorta  di integrazione al biologico. In realtà gli intenti di questo metodo di produzione sono del tutto condivisibili: è giusto cercare di abbassare il più possibile l’uso delle sostanze nelle coltivazioni, ma è sbagliato il metodo, l’idea che il buono è solo quello del passato e che si debba sempre guardare indietro. In realtà il vero biologico è tecnologico, nel senso che i mezzi nuovi, più all’avanguardia, offrono vantaggi proprio nella direzione auspicata da chi crede nel biologico». 
La frutta bio è sempre più brutta?

«Non è sempre vero, anche se è più facile che possa presentare dei difetti. La frutta bio che troviamo nei supermercati non è certo più brutta di quella convenzionale, ma è stata selezionata per rispondere agli standard fissati dalla grande distribuzione. Bisognerebbe vedere quant'è lo scarto a cui è stato costretto il produttore bio, e quanto di quella produzione “imperfetta” gli viene comunque pagato dall’industria di trasformazione e quanto sia invece costretto a rivendere a un prezzo più basso, rimettendoci», osserva Paoletti.
 Il pesce biologico è pescato?
Il biologico vanta spesso l’associazione con il naturale, ma nel caso dei pesci che vivono sereni nel mare non si può usare la definizione di “biologico”, perché non se ne può in alcun modo controllare l’esposizione a eventuali sostanze inquinanti presenti nelle acque. «Si può definire il pesce pescato in mare aperto come selvatico, ma non bio. Per essere definito biologico deve essere allevato con un metodo di acquacoltura per il quale esiste una normativa specifica e appositi disciplinari di produzione», specifica Paoletti.
I prodotti biologici sono più gustosi?
Che siano più buoni è un argomento molto usato da produttori e sostenitori del biologico, e in definitiva è quello che gli stessi consumatori si aspettano. Partiva da queste  premesse il progetto Ecropolis, un’indagine europea curata per la parte italiana dall'Università di Bologna, che ha analizzato la qualità sensoriale dei prodotti biologici o convenzionali. «Dai risultati ottenuti non si può dire che i due tipi di produzione abbiano sapori diversi o uno dei due sia in generale più gustoso», spiega Tullia Gallina Toschi, tra i curatori dello studio e docente di Analisi degli alimenti del dipartimento di scienze e tecnologie agroalimentari dell’Alma mater. «Per contribuire al sapore sono 
risultate più rilevanti altre variabili, come il clima o il tipo di lavorazione. Inoltre, il gusto è determinato da fattori culturali e dalla familiarità con certi sapori, e la preferenza non è stata sempre accordata allo stesso prodotto in tutti i Paesi». 
Negli allevamenti bio non si usano antibiotici?
I regolamenti europei consentono l’uso di alcuni trattamenti della medicina convenzionale, e in caso di malattia anche per la zootecnia biologica si possono usare antibiotici, al contrario di quanto consentito negli Usa. «Alla base di questa idea c’è un’impostazione ideologica diversa: in Europa prevale l’intento di salvaguardare sempre il benessere degli animali, mentre negli Stati Uniti la priorità è il consumatore», spiega Andrea Martini, docente di zootecnia speciale alla Facoltà di agraria di Firenze. Negli Stati Uniti, nel caso il cui il trattamento antibiotico sia 
necessario, i capi vanno eliminati dall’allevamento biologico e trasferiti a uno convenzionale. Anche in Europa ci  sono però dei limiti: se i trattamenti antibiotici sono più di tre in un anno, gli animali devono essere sottoposti a una sorta di processo di “riconversione”». 
Una maglietta di cotone organico è bio?
In realtà, tutto dipende dal tipo di certificazione che il capo riporta in etichetta. I regolamenti europei dedicati riguardano solo il settore alimentare, «nel mondo del tessile si usano certificazioni che rispondono a norme stabilite da enti privati», spiega Paolo Foglia dell’Icea, l’Istituto per la certificazione etica e ambientale. «Le certificazioni principali sono due. Innanzitutto la Global Organic Textile Standard, la quale prevede a sua volta due classi di prodotti: una con contenuto minimo di fibra bio sopra al 95% e l’altra sopra il 70%. E poi la Organic Content, che certifica come bio un capo con una presenza di più del 5% di fibra coltivata con metodi naturali». Molto poco, dunque. «Questa certificazione fa capo alla Textile Exchange, organizzazione che raggruppa i grandi marchi dello sport e le multinazionali della moda low cost, e, al contrario dell’altra, non tiene in considerazione né premia nessun altro aspetto ambientale o sociale». 
I cosmetici a marchio bio sono tutti naturali? 
«Anche per i cosmetici non c’è una normativa specifica, e in effetti l’industria della bellezza, come anche quella dei detergenti, è un po’ il regno degli eco-furbi: purtroppo, ce ne sono tantissimi», osserva Fabrizio Zago, chimico industriale esperto di cosmesi e autore del sito biodizionario.it che 
offre una mappatura dell’origine dei principali ingredienti usati nei cosmetici e nei prodotti per l’igiene. «Un trucco classico del marketing è quello di esaltare il concetto di naturale, come se in natura non ci fossero pericoli né sostanze tossiche per gli esseri umani. Un esempio tipico in ambito di cosmesi “bio” è di sostituire i profumi con oli essenziali, che però hanno alte capacità reattive, e vengono assorbiti dalla pelle attraverso la quale passano al fegato, ragione per cui vanno dosati con estrema attenzione», avverte Zago. «Inoltre, per vantare diverse proprietà, spesso in un prodotto si mescolano tanti componenti, ma questo poi vuol dire che le quantità di principio attivo sono minime, ed è quindi difficile che le promesse riportate sulle confezioni possano essere mantenute: meglio scegliere prodotti con pochi ingredienti», consiglia.I prodotti bio devono per forza costare di più?
Anche per il biologico vale la regola per cui «non sempre il costo di produzione fa il prezzo finale», osserva Maurizio Canavari, docente di Economia ed estimo rurale all'Università di Bologna. «Con l’ingresso dei prodotti bio nella grande distribuzione abbiamo visto una drastica riduzione del sovrapprezzo, passato dal 150% di qualche anno fa al 10-15% di oggi». I supermercati in effetti riescono a “spalmare” meglio le voci di costo per produzione e distribuzione, «ma in effetti le aziende biologiche continuano a sostenere spese maggiori delle altre, a cominciare dai costi   di certificazione, che sono a carico dei produttori».

Su vecchie locomotive per un viaggio a ritroso nel tempo

  Leggendo  questo   articolo  dal portale   Tiscali    mi ritorna in mente  la  strofa  di questa bellissima  canzone  di de Gregori   :  << una storia d'altri tempi, di prima del motore  >> e  l'immortale  Gucciniana 


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Il treno a vapore porta la mente indietro nel tempo, ai film western, in cui il treno era immancabilmente attaccato dagli indiani, o ai romanzi di ambientazione vittoriana di Agatha Christie, con il suo Murder on the Orient Express. Ma il trenino, elettrico questa volta, è da sempre uno dei giochi preferiti dai bambini (e spesso anche dai loro genitori). Il treno, mezzo affascinante, è capace di legare le nostalgie dei più grandi e la curiosità dei più piccoli e rappresenta l’elemento ideale per un viaggio on the road molto sui generis.
 Il viaggio di cui stiamo parlando è quello proposto dalle Ferrovie Turistiche, associazioni di volontariato che danno nuova vita ai vecchi treni e alle linee ferroviarie non più utilizzate per il trasporto commerciale. L’idea di una ferrovia turistica è di matrice anglosassone; le prime associazioni di questo tipo sono nate in Gran Bretagna all’inizio degli anni ’50 con il duplice obiettivo di preservare il patrimonio storico delle ferrovie e di renderlo disponibile per la curiosità dei viaggiatori. In questo modo sono state recuperate linee ormai lontane dai tracciati del trasporto locale e nazionale ed è stata offerta la possibilità di scoprire zone del territorio altrimenti dimenticate.
L’idea col tempo si è diffusa anche in Italia. Le prime associazioni si sono formate negli anni ’90, con la nascita della Ferrovia del Basso Sebino (FBS) e della Ferrovia della Val d’Orcia (FVO) che, con la Ferrovia Turistica Camuna (FTC), rappresentano le tre associazioni che, nel 1998, si sono unite dando vita alle Ferrovie Turistiche Italiane (FTI). L’obiettivo è sempre lo stesso: salvaguardare il patrimonio ferroviario, fatto di treni, di binari morti e di stazioni abbandonate, e sviluppare un’idea di turismo innovativa e a impatto ambientale ridotto.
Accanto a queste tre associazioni, in Italia esistono altri esempi di ferrovie turistiche: la Ferrovia Colle val d’Elsa-Poggibonsi, in Toscana, che ha terminato la sua attività nel 2010, la Ferrovia della Valmorea, al confine tra Italia e Svizzera, che collega Castellanza, in provincia di Varese, e Mendrisio, nel Canton Ticino, e il Trenino Verde della Sardegna. Le linee non svolgono un servizio regolare ma possono essere prenotate per singoli eventi e vengono attivate secondo un calendario, spesso legato alle manifestazioni locali.

e proprio  sulle  note  di  un'altra  celebre  canzone   di viaggio     che   concludo  il post




   

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