17.3.16

RENATO ZERO, QUELLO CHE NON HA DETTO Nuova edizione di “Chiedi di lui”, viaggio tra le note dell’artista romano. Incontro con gli autori, Daniela Tuscano e Cristian A. Porcino Ferrara


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1) Una nuova edizione di “Chiedi di lui” alla vigilia del nuovo album “Alt”, anche questa godibilissima, ancor più ricca della prima. Ma perché questa scelta?
Cristian e Daniela: «L’idea della nuova edizione è nata l’anno scorso, quindi ben prima dell’annuncio del suo nuovo lavoro. Infatti è uscito prima di “Alt” e non in contemporanea o subito dopo. Abbiamo semplicemente avvertito la necessità di sviluppare altri aspetti che nella prima edizione erano stati solamente abbozzati. “Chiedi di lui 2.0” è sì una nuova edizione, ma al contempo un nuovo libro. Ci sono più di 150 pagine nuove e percorsi del tutto inediti».
2) Di Zero sembra si sappia tutto, in realtà non è così e forse in questo risiede il suo fascino, che ne pensate?
Cristian: «Certamente. In realtà nessuno può sapere tutto di un artista. Ogni libro è un tassello che arricchisce l’immaginario di un artista. Possiamo leggere mille biografie e interviste di quel dato cantante o pittore, ma non scopriremo mai il suo mondo segreto. Quello che tocca a noi scrittori e studiosi è, per l’appunto, analizzare certi aspetti poco conosciuti, anche da un punto di vista semiotico, e studiarli alla luce della logica, della critica e non basarci solo sull’opinione che ne hanno i suoi ammiratori».
Daniela: «Il fascino di Zero risiede proprio nel presentarsi come una sorta di fratello maggiore o amico intimo, uno che ti confida tutto, che è proprio vicino a te. Il coinvolgimento emotivo è totale. Credo che la sua intimità sia molto più variegata, come quella di ognuno di noi. Ma l’artista amplifica e semplifica: l’identificazione scatta automatica specialmente verso personaggi carismatici come lui».
3) Nella prefazione alla nuova edizione leggiamo che Renato proveniva dall’avanguardia e certo questa cosa sorprende: poi si citano sue frequentazioni davvero inaspettate… e si finisce con Parco Lambro. Come mai?
Daniela: «Oggi uno Zero di quel tipo sarebbe inimmaginabile, ma a quei tempi era un passaggio quasi obbligato. In altri contesti, non lo voleva nessuno. Che poi lui si trovasse a suo agio, era un altro paio di maniche. Negli anni Settanta si respirava quell’aria, volenti o nolenti. Peraltro, in ambienti, diciamo così, duri e puri, i suoi primi lavori suscitavano una certa diffidenza dato che si risolvevano nella consueta formula della canzone di tre-quattro minuti. Renato è riuscito a divulgare con l’essenzialità e con una certa facilità di scrittura espressioni artistiche altrimenti riservate a un pubblico di nicchia».
4) Avete dedicato molta parte della vostra opera alla relazione tra Renato e Pasolini. Non solo nella prima parte della sua carriera, come sarebbe logico supporre, ma anche nella seconda (mi sembra anzi che quella di Cristian sia più corposa). La vicinanza di Pier Paolo alla musica popolare è notoria ma perché nessuno sembra mai accorgersi delle tracce “pasoliniane” in Zero? Al limite si fa un generico accenno alle periferie romane, ma fermi lì. Mentre con De André, Giovanna Marini, De Gregori il discorso cambia notevolmente…
Cristian: «Con Pasolini ho un rapporto speciale e l’ho raccontato anche nel libro. Da ragazzino fui preso di mira da un insegnante che detestava Pier Paolo e lo considerava l’untore, il male assoluto. Nel mio lavoro precedente (“Tutta colpa del whisky” ndr) ho definito Pier Paolo un “maestro dell’esistere”. Pasolini è stato spesso trattato con snobberia, senza tener conto che la sua linfa poetica era alimentata dal popolo, dalla gente comune. In virtù di questo Pasolini può essere considerato un artista pop. Celebri le sue inchieste on the road. Per quanto riguarda Renato Zero all’inizio non fu preso in considerazione perché nelle sue canzoni raccontava le periferie esistenziali, mentre molti cantautori erano più propensi a narrare realtà sociali intrise di ideologie. Oggi però le cose sono sostanzialmente cambiate e Zero è amato e compreso dalla gente».
Daniela: «Le cose sono cambiate ma anche Zero è profondamente cambiato. E onestamente adesso non lo si può più accostare a Pasolini, nemmeno per analogia (non dimentichiamo che lui stesso ne prese le distanze in un’intervista del 2010). Un tempo, però, senza Pier Paolo sarebbe stato difficile comprendere del tutto l’opera di Renato. La scarsa considerazione nei suoi confronti non mi stupisce. La cultura italiana è spocchiosa e, di conseguenza, provinciale. Menzionare De André o Giovanna Marini è considerato un punto d’onore, citare Renato Zero no. Di qui la scarsa attenzione verso un artista che, al contrario, è stato fino a un certo punto il più vicino di tutti al mondo di Pasolini».
 5) De André, Zero, Pasolini… Quali legami, quali differenze?
Cristian: «Sicuramente ci sono dei legami e non solo con il mondo pasoliniano, ma in questa sede è quasi impossibile elencarli tutti. In parte mi sono già occupato della tematica culturale nel mio libro  “I cantautori e la filosofia da Battiato a Zero”. Lascio dunque la parola a Daniela».
Daniela: «Fabrizio aveva un approccio decisamente più intellettuale, di testa; o meglio, aveva il cuore in testa. Renato esattamente l’opposto. Ma cito solo un esempio. Il 28 novembre scorso, coi miei studenti di Ragioneria, organizzai un incontro [fra i partecipanti lo scrittore Mattia Morretta, ndr] dedicato al poeta nel 40° della morte. Aggregammo ai brani del poeta alcune canzoni, fra cui “Casal de’ pazzi” che venne eseguita dal vivo. Un mio collega, dopo averla ascoltata, ha esclamato: “Però! Più l’ascolto e più mi piace, ha un bel testo ed è musicalmente molto elaborata”. Ma prima di quel giorno non la conosceva nessuno».
6) Posto esista, qual è il disco o il brano più pasoliniano di Renato?
Cristian: «Ma un brano o un album in particolare non saprei indicarlo. Chiaramente il Renato Zero degli esordi è più vicino al mondo pasoliniano di quanto, invece, lo sia adesso. Per carità non so se Zero abbia mai letto Pasolini, ma ne condivideva, certamente molti aspetti, anche in modo inconsapevole. “Quando non sei più di nessuno” uscito nel 1993 in un certo qual modo conteneva tracce di quell’universo lì. Infatti al suo interno si trovava “Casal de’ pazzi”. Anche “Per non essere così” è un brano che mi riporta alla mente il mondo di “Accattone”; oppure “ Pionieri” o “Marciapiedi”».
Daniela: «Nemmeno per me esiste un disco “pasoliniano” al cento per cento nella produzione di Renato. Neppure “Zerofobia”, che nella sua metropolitanità esasperata è invece il suo album meno europeo, autenticamente e visceralmente rock. Quindi ben oltre la periferia di Pier Paolo, al limite più confinante con alcuni paesaggi di Testori, che non a caso era e viveva a Milano. Purtroppo oggi l’aggettivo “pasoliniano” è abusato e finisce per significare tutto e niente: qualsiasi situazione scollacciata, qualsiasi canzone con allusioni forti (o circa) viene sbrigativamente definita “pasoliniana”, quando spesso non lo è affatto. Comunque, sono d’accordo con Cristian; forse è proprio in “Artide Antartide” che troviamo affreschi, sia pure un po’ manieristici, capaci di rievocare alcune pellicole di PPP».
7) Un altro artista che ha molto in comune con Pier Paolo è Massimo Ranieri, di cui sta per uscire il film “La Macchinazione”. Anche in tal caso: quali le affinità tra Pasolini, Massimo e Renato? E tra i due cantanti?
Cristian: «Considero Massimo Ranieri uno degli artisti italiani più completi in assoluto. Ha una voce spettacolare e carisma da vendere. La sua presenza in un film o show televisivo è sinonimo di garanzia. Inoltre Ranieri è un eccellente attore di teatro e proprio qualche anno fa ho avuto modo di apprezzarlo dal vivo nello spettacolo “Viviani Varietà”. Con Pasolini Ranieri ha in comune l’aspetto. La sua somiglianza con Pier Paolo è davvero impressionante. Massimo e Renato sono stati, e lo sono ancora, degli istrioni. Devoti alla loro arte si sono cimentati in diversi ruoli e campi artistici. Non a caso la celebre canzone di Charles Aznavour, “L’istrione”, è stata cantata in coppia da Ranieri e Zero durante la trasmissione televisiva TGZDM. Sono certo che “La Macchinazione” renderà il giusto merito a Pier Paolo, sicuramente più del film di Abel Ferrara.»
Daniela: «Aspetto con impazienza il film di Massimo. È un attore molto espressivo. Con Pasolini sarà costretto a diventare espressionista, considerato che, poi, ha dovuto interpretare l’ultimo, e più fosco, capitolo della sua vita. Ecco, somiglianza a parte, per la carnale spontaneità accosto Massimo al Pasolini “friulano”, così goloso della vita, ma anche così ottimisticamente ingenuo e aurorale. Qui invece l’artista napoletano ha dovuto asciugarsi, riporre in un angolo la sua dirompenza meridionale per calarsi nel vuoto dell’uomo incupito, solo, sperduto, dirozzato. Quale che sia il risultato finale, ho fiducia comunque nella buona riuscita dell’opera anche perché l’uomo è umile, sa imparare. In questo è diverso da Renato, che Pier Paolo l’ha spesso subito, sentendoselo gravare sulle spalle in modo talora insopportabile. Poi ha voluto liberarsene. Adesso, Zero somiglia di più a un dispensatore di saggi consigli e sembra aver cancellato la parte nera – “dark”, direi – della sua arte e forse della sua esistenza».
8) Anche Paolo Bonacelli, altro attore pasoliniano (pensiamo a “Salò”) ha lavorato con Renato sia in “Ciao Nì” sia in “Tutti Gli Zeri Del Mondo” [film del ’79 e spettacolo monografico in quattro puntate andato in onda nel 2000, ndr]… Un caso?
Daniela: «Non ne ho la più pallida idea… Può trattarsi, com’è accaduto per “Calore”, d’intertestualità; non va dimenticato che in Bonacelli c’è anche molto Fellini, quell’atmosfera estatica, grottesca e saporosa capace di stendere sulle realtà più sordide un velo d’innocenza fatata».
9) Entrambi ricordate la parentela con Mario Tronti e alcune posizioni di Pasolini contro l’aborto e il divorzio che gli suscitarono fraintendimenti da parte dei settori della sinistra e, al tempo stesso, l’elogio della destra clericale e conservatrice…
Cristian: «Nonostante la parentela con Mario Tronti Renato Zero ha cercato di tenersi ben alla larga dalle correnti politiche. Purtroppo molte frange estremiste di destra amano le sue canzoni e le strumentalizzano per fomentare sentimenti di intolleranza e omofobia».
Daniela: «Tronti appartiene all’antica scuola marxista. È uno spirito immaginifico, con saldi principi morali. Per questo non sorprende la sua opposizione, condivisa da molti intellettuali della sinistra storica, alla tecnocrazia capitalista che trasforma i corpi in merce (utero in affitto oggi, aborto ieri). Pasolini venne strumentalizzato come oggi viene strumentalizzato Zero; fatte le debite proporzioni, sia chiaro. Ma quest’ultimo ha lanciato messaggi più ambigui».
10) Alcuni brani di Renato sono rimasti un po’ in sordina; altri vengono continuamente riproposti. Perché?
Daniela: «Bisognerebbe chiederlo a lui… Certo non è facile operare una selezione dopo 50 anni di carriera e non sta a me suggerire le scalette per i prossimi concerti! Non nascondo, però, che preferirei ascoltare canzoni come, appunto, “Casal de’ pazzi” al posto di altre, magari di maggior impatto, ma meno indicative della ricchezza dell’arte di Renato. Però, lo ripeto, si tratta di scelte molto personali sulle quali non mi pronuncio».
11) A proposito di scelte, cosa ne pensate della copertina di “Alt”? Parrebbe un ritorno a quelle atmosfere “dark” cui ci si riferiva poc’anzi…
Cristian: «La copertina di “Alt” ha un gusto vintage. A me ricorda molto gli anni’80 e in special modo alcuni video dei Pet Shop Boys o di Freddie Mercury e i Village people. Con quel look da Visitors sembra proprio omaggiare quel decennio lì».
Daniela: «Non lo so. Senza dubbio, se voleva scioccare, c’è riuscito. Tutto sta a vedere se rispecchia davvero il contenuto dell’album. A me rievoca certo situazionismo di “Voyeur”, ma le ultime prove, anche i due singoli, non sembrano andare in questa direzione. È pur vero che, a volte, i brani di lancio non esprimono appieno lo “spirito” dell’album. Penso per esempio a “A braccia aperte”: non si può certo dire che fosse il brano più riuscito, né quello più significativo d’un lavoro elaborato come “Cattura”».
12) E le critiche a Madonna?



Cristian: «Zero ha ammesso di non amare Madonna e di non stimarla affatto. Eppure i due artisti rappresentano una tipologia di musica che si concentra anche sull’aspetto visivo della performance musicale. Sull’immagine hanno costruito entrambi una carriera quindi non si capisce da quale pulpito parta la predica o in questo caso la critica di Zero».
13) L’esperienza poco riuscita di TGZDM dimostra che Zero “non è un mito transgenerazionale”, come si legge nel libro; molti, oggi, sarebbero pronti a giurare di sì.
Cristian: «Io non parlerei di esperienza poco riuscita. I programmi televisivi si misurano, ahimé, con i dati Auditel e non con la qualità degli stessi. Detto questo il Renato Zero di TGZDM non era il Renato di oggi. Nel senso che adesso il suo pubblico è enormemente cresciuto ed è diventato un cantante per famiglie. All’epoca manteneva ancora un po’ di quel sano distacco e non temeva la cosiddetta “emarginazione” della maggioranza».
Daniela: «Ho sempre sostenuto che Renato, proveniente dal teatro, non ha i “tempi” televisivi. Ciò premesso, se da un lato concordo con Cristian, dall’altro quell’one-man-show mi ha dato un’idea d’incompiutezza. E non solo per i superospiti negati a Zero. Talora ho avuto davvero la percezione di “vorrei ma non posso”. Quella trasmissione ha tentato di conciliare messaggi importanti, anche forti, e un’immagine sostanzialmente ancora trasgressiva, con la paciosità familiare e familista della prima rete Rai. Un’operazione praticamente impossibile, o impossibile a uno come Renato, che più cerca di “addomesticarsi”, più suscita perplessità». 
15) Cristian, come spieghi l’affinità con Jackson e la freddezza con Bowie dopo la morte? E perché, secondo te, Renato è più affine a Elton John?
Cristian: «All’interno del libro troverete diversi capitoli incentrati sul confronto Jackson-Zero e  Bowie - Renato. Le reazioni sono diverse perché con il Re del Pop Zero non si è mai sentito in competizione, mentre con Bowie ha subìto, nel tempo, diversi paragoni. Detto ciò la freddezza con cui ha trattato la scomparsa di David Bowie è inaccettabile e leggendo il libro capirete perché. Con Elton sono molte le cose che lo accomunano. Look, brio, comportamenti in scena, etc. Ovviamente Michael, David e Elton sono musicisti mentre Renato no. Comunque nel testo si discute delle sue affinità con questi grandi artisti e non di scopiazzamenti inesistenti. Sia chiaro!»
16) L’ammirazione del cantante per Wojtyla non può essere spiegata anche dal fatto che il papa polacco era stato un grande attore?
Cristian: «Ovviamente. Renato Zero ha portato in scena la maschera teatrale e frequentato il mondo della recitazione. Wojtyla è riuscito ad arrivare alle masse grazie proprio al suo trascorso di attore. Giovanni Paolo II nel suo libro “Alzatevi, Andiamo!” ricordava l’importanza formativa del teatro. Anche il pontefice descritto da Nanni Moretti in “Habemus Papam” dice alla psicologa che il suo lavoro è recitare. Senza offesa per nessuno ma Zero ha sempre avuto delle smanie di grandezza tipiche di un artista e Wojtyla è stato il papa più massmediatico di sempre. Non a caso subito dopo la sua elezione alla soglia di Pietro la Marvel, la casa editrice dei supereroi, gli dedicò un fumetto. La fede con lui è diventata spettacolo. Nacquero le messe di massa celebrate da una vera pop(e) star del Sacro».
17) Forse è vero che il travestito di “Mi vendo” non sarebbe mai andato a un Pride ma resta che le sue canzoni ai Pride ancora oggi sono eseguite. Come si spiega?
Daniela: «Perché nessuno meglio di lui ha saputo ritrarre non solo un’epoca ma uno stato d’animo, un vissuto. Chi c’era in quegli anni non può negarlo».
18) “Che lo si voglia ammettere oppure no Renato Zero, come ho già ricordato diverse volte, ha favorito la discussione sull’omosessualità in una nazione ancorata ancora a retrivi pregiudizi di matrice cattolica… Chi lo nega è solamente in malafede, oppure vuole ricondurre tutto ad una strategia di marketing improntata dal cantante per ingannare il suo pubblico e raggiungere facilmente il successo”. Cristian, queste frasi insieme con la matrice cattolica sembrerebbero smentire la posizione di Zero come un papa laico e così la copertina del nuovo album. Oppure no?
Cristian: «Al legame tra Renato Zero e la fede ho dedicato un intero capitolo. Ormai non è un mistero per nessuno che Zero, in più di un’occasione, si è allineato alle direttive del Vaticano. Zero è un cantante e da lui non mi aspetto nulla in materia di religione. Utilizzerà la sua arte per esprimere la sua spiritualità. Io da filosofo non credente non mi trovo nelle sue riflessioni attuali ma questo riguarda piuttosto me e non lui. Anche alla tematica dell’omosessualità nella canzone italiana ho dedicato un capitolo. Forse per non sminuire i concetti è meglio rimandare alla lettura degli stessi».
20) È stato riportato anche un siparietto frivolo (gossip). Perché questa scelta?
Cristian: «Ci è sembrata una scelta interessante per avvicinarci anche ad un pubblico meno propenso allo studio serio e serioso di un artista. È La gente ama il gossip ed è stato accontentato. Chiaramente più che pettegolezzi sono, per l’appunto, delle parentesi frivole in cui si narra di amicizie, di spettacoli televisivi che dovranno, forse, concretizzarsi, etc.»
Daniela: «Io ho cercato di evitarlo il più possibile, perché lo detesto e non sto nemmeno a scomodare Proust e il valore psicologico che dava al pettegolezzo. Per carità, si parla di artisti pop, fa parte del loro mondo (benché non sia inevitabile). Il punto è che però Renato ha deciso di servirsene in passato e lo sta facendo ancora in questi ultimi tempi. È una scelta professionale pure quella e noi ne abbiamo preso atto». 

              Donatella Tinari

16.3.16

Bimbo russo orfano e malato, la legge gli vieta un “padre” Quello naturale non lo vuole: il piccolo sta con il compagno della madre, morta 3 anni fa. Attesa a metà aprile la sentenza del Tribunale dei Minori che deciderà il suo destino

Complimenti ai retrogradi , cattolici opportunisti , e alle manovre politike \ populiste che hanno ricattato perchè fosse tolta la stepchild adoption adozione del figlio del partner . La mancata approvazione crea storie come questa . E quui mi fermo perchè se continuo finisco dentro o sotto processo i potenti che hanno permesso simili schifezze hanno il coltello dalla parte del manico . A voi ogni ulteriore giudizio .

  da  http://mattinopadova.gelocal.it/padova/cronaca/  del 16 marzo 2016

Bimbo russo orfano e malato, la legge gli vieta un “padre”

Quello naturale non lo vuole: il piccolo sta con il compagno della madre, morta 3 anni fa. Attesa a metà aprile la sentenza del Tribunale dei Minori che deciderà il suo destino
di Silvia Bergamin




Il piccolo con il "papà adottivo"

GAZZO PADOVANO. Ha perso la mamma, è malato e ha bisogno che il papà - non quello naturale, ma quello che lo ama e accudisce - possa prendersi cura di lui senza vincoli burocratici. Vive appena al di là del confine fra le province, a Lanzè di Quinto Vicentino, confinante con Villalta di Gazzo Padovano, un bambino russo di nove anni che è affidato al marito della mamma, morta il 10 luglio 2013 per un male terribile. La sua storia sta commuovendo tutti i paesi vicini: anche il bambino ha gravi problemi di salute, ha una forma molto aggressiva di malattia ed è in trattamento a Oncologia pediatrica a Padova; è rimasto con il marito della mamma, il 40enne Carlo, perché tra loro s’è creato un rapporto di grande affetto, un legame più forte della genetica.
Il padre biologico del bambino vive in Russia, a Orenburg: ogni atto burocratico (banalmente, firmare una pagella del figlio) competerebbe a lui, anche se da tempo ha mostrato di non tenerci affatto a esercitare la patria potestà. Ma la situazione è complicata dalle leggi che regolano questa materia delicatissima. Difatti tutto ora dipende dal Tribunale dei minori: i giudici si esprimeranno il 15 aprile sul futuro del bambino che, qui in Italia, ha trovato una vera famiglia, ma che secondo le leggi dovrebbe tornare nel Paese d’origine e farsi curare là.
Toccata dalla vicenda di questo piccolo, che non può certo rinunciare alle terapie già avviate da tempo a Padova e rivelatesi più efficaci per curare la sua malattia, si è attivata la deputata Pd Daniela Sbrollini: «Ho parlato con il ministero: stanno seguendo da vicino la questione; per prassi, devono aspettare la sentenza di appello. In base all’esito, sia il Parlamento sia il Governo sono pronti a intervenire immediatamente perché il bambino rimanga in Italia con il padre Carlo». Il Governo sta seguendo la partita sia con il Guardasigilli sia con la Farnesina; in queste settimane il dialogo diplomatico tra Italia e Russia si sta intensificando. Sbrollini, con l’associazione Team For Children, si è da subito messa in moto.
Una storia che fa riemergere la mancata approvazione della normativa sulla stepchild adoption: «Carlo avrebbe potuto adottarlo e il pericolo che il bimbo possa tornare in Russia senza garanzia delle cure mediche e della vicinanza del padre non si sarebbe presentato. Questa vicenda ci deve far riflettere sull’urgenza di alcuni
provvedimenti sulla famiglia, sui diritti e sulle adozioni e di come la politica deve imparare al più presto a far squadra per aggiornare velocemente e nel migliore dei modi le leggi così garantire i diritti a tutti i cittadini», conclude la deputata dem.

12.3.16

c'è femminismo e femminismo . la orima rivendica la propria libertà del proprio corpo , la seconda disprezza i maschi specie quelli immigrati

La prima una campagna per un nuovo modello di corpo alternaticvoalla anoressia imposta dai media della moda

Questo è il mio corpo, fatto per tutto ciò che voglio Questi corpi, le forme morbide e arrotondate, sono belli. Resilienti. Fieri. Corpi da far girar la testa. Protagonisti di una rivoluzione estetica. E' questo il messaggio di #ThisBody, nuova campagna lanciata da Lane Bryant per invitare tutte le donne a predere consapevolezza delle potenzialità dei loro corpi, a prescindere da ogni dimensione e colore della pelle. Davanti l'obiettivo del fotografo Cass Bird, si muovono le più famose modelle plus-size del momento: Ashley Graham, Precious Lee, Tara Lynn, Denise Bidot, Georgia Pratt. Onguna con un messaggio preciso: questi corpi non sono fatti per essere coperti ma per esprimere audacia, potenza, sensualità. Per amare ed essere amati. Dopo aver ridefinito il concetto di sexy con la campagna #ImNoAngel e aver preteso la stessa attenzione mediatica per i corpi formosi con #PlusIsEqual, Lane Bryant continua la sua battaglia per l'affermazione di ogni tipo di bellezza invitando le donne a prendere parte alla campagna utilizzando l'hashtag #ThisBody
(a cura di Marisa Labanca)



la  seconda  


sono  le  deliranti  esternazioni  della deputata Michaela Biancofiore ha detto la sua sui migranti. Secondo lei le ragazze "bionde belle ed eteree" dell'Alto Adige sono a rischio per gli ormoni dei giovani che arrivano nella sua regione

per  approfondire  http://altoadige.gelocal.it/bolzano/cronaca  del 10\3\2016 






La pima mi trova d'accordo . La seconda non comment altrimenti mi denducia o m'abbasso al suo livello o scado nel becero maschilismo


11.3.16

perchè non parlo qui o su fb del delitto Delitto Varani,

Musica  pere  sdrammatizzare  :




a tutti quelli\e che mi chiedono :_<< nulla sull'omicidio di Roma ? >> oltre a non essere tanto per i casi di cronaca nera , anche s e a volte ne ho parlato o lasciassero che ne scrivesse . E poi ne hanno già parlato e se ne continua a parlare nei media e la rete .Infatti
Luca Varani
Tv, siti web, giornali, quando si ritrovano tra le mani un caso di omicidio ricco di particolari morbosi, si sa, ci vanno a nozze . È quello che sta succedendo in questi giorni con la storia del giovane Luca Varani ucciso da Marco Prato e Manuel Foffo, rei confessi. C’è tutto: alcol, droga, sesso, bagordi, festini, inspiegabile crudeltà , omosessualità , ecc . Per questo i media non smettono di parlarne e  chi sa  fino  a   quando continueranno   nonostante gli assassini siano già stati arrestati e
fondamentalmente non ci sia alcun mistero da risolvere. C’è però tanto squallore, tanto sbigottimento davanti a una vicenda del genere, tanti dettagli schifosamente morbosi che “fanno audience” e vengono spolpati fino all'osso dai giornalisti  e  non .
È così dovuto intervenire  (  cosa   che  di solito  non  fa  con il normale  sciacallaggio  , forse perchè  n è una persona   VIP  o vicino a tale mondo  )    il Garante della Privacy che, con una nota, invita i media alla sobrietà. Ecco il testo:

“In riferimento all'omicidio di Luca Varani, si è riscontrato nelle cronache giornalistiche di questi giorni un eccesso di particolari riguardanti la vita sessuale e familiare dei soggetti coinvolti (compreso il rapporto di filiazione della vittima), che colpisce nei propri sentimenti e affetti le rispettive famiglie.
Il Garante per la protezione dei dati personali rivolge un appello a tutti i media affinché, nell'esercizio del legittimo diritto di cronaca riguardo ad un fatto di sicuro interesse pubblico, mantengano sobrietà, responsabilità e sensibilità ed evitino accanimenti informativi sul caso, astenendosi dal riportare dettagli eccessivi e limitandosi a profili di stretta essenzialità”

Ora  mi  chiedo e   chiedo a quelle persone     che mi  chiedono come mai non ne parlo   :  ma  che senso ha stare ancora a parlare di queste due "persone" ,ancora  ( non è il mio caso ) a giustificarle perché'sotto effetto di cocaina e alcol,ancora a scrivere le loro inutili dichiarazioni per salvarsi il culo farsi dare il minimo della pena .

La vittima, Luca Varani, e Marco Prato, uno dei due killer


Infatti Il problema e'che sono persone malvagie, indipendentemente dalla loro sessualità , come tante .Ricordarsi i particolari della serata fa intendere la consapevolezza delle azioni compiute . Anche Mario Alessi ha ucciso un bambino senza droga e senza alcol ..........!
Concludo Concordando con quanto dice Sara Caruana snei commenti nella pagina fb del quotidiano l'unione sarda tutto ciò è assurdo... Pensare che dei bravi ragazzi possano nascondere tante depravazioni, quali alcool...droghe e atteggiamenti omosessuali...senza che nessuno si accorga di nulla...famiglia...ragazze...amici.
Datemi pure del moralista , dell'auto censore tanto non me ne può fregare de meno . Se non ne parlo non è , come potrebbe ipotizzare qualcuno , che voglia fare come il fascismo che vietava di parlare sui giornali di fatti di cronaca nera , ma il fatto è che spesso i casi di cronaca vengono trattati come se fossero fiction da gente che non ha alcuna cognizione di cosa sia un processo penale. E per colpa di questo modo di operare ci vanno di mezzo tutti: professionisti, imputati, indagati e persone offese e loro familiari . Se si osservasse in modo corretto e si ascoltassero davvero i vari interventi si coglierebbe immediatamente la differenza tra chi svolge la professione di criminologo ed avvocato e chi invece si improvvisa per apparire in TV e internet . << Il problema principale è >> come giustamente dice Pierluigi Antonio nei commenti a questo post sulla pagina facebook di logichecriminali << che la causa dell'invasione delle trasmissioni che trattano casi di cronaca è soprattutto pecuniario, i responsabili dei palinsesti non fanno altro che sfruttare la morbosa brama di sapere dello spettatore (che non è la stessa cosa della fame di conoscenza) e volente o nolente tutti gli attori chiamati a partecipare non sono altro che ingranaggi per far aumentare lo share e gli introiti a vari livelli. Do ragione a Flaminia, un buon professionista deve studiare i fatti dal punto di vista oggettivo perché la verità è li e non nei giudizi di pancia che il popolo della tv è abituato a dare.>>

Ma  sopratutto     rispondo a


Esteban Laquidara Omissione mediatica per nascondere un omicidio di una coppia omosessuale?
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Giuseppe Scano per niente perchè non c'è niente d'aggiungere alla crudeltà di tali individui . non m'importa se siano omo o etero . sempre bestie sono
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Non so più che altro dire e mi fermo qui lasciandovi a questa canzone della mia infanzia ( anche se sono del 1976 ) : Vengo anch'io. No, tu no (1967) di F. Fiorentini - D. Fo - E. Jannacci

9.3.16

Eutanasia, in viaggio con Susanna: “Vi racconto i miei ultimi istanti di vita” Nella clinica svizzera con una torinese di 56 anni, malata da 25 di sclerosi multipla: “Ho visto passare la mia esistenza senza parteciparvi: oggi faccio una cosa per me”

Una delle tristi storie di chi è costretto ad andare all'estero ( in questo caso ) o a farlo nella clandestinità per poter decidere portare a termine con dignità la propria vita anzichè continuare a vivere e a soffrire come un vegetale un inerme

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Fine vita, quattro proposte di legge a confronto




Da www.lastampa.it/ del 8.III.2016



In Italia è vietato, ma a dieci chilometri dal confine, in Svizzera, c’è una delle cliniche in cui è possibile scegliere come morire. Tutto è molto accogliente, ma anche formale: la scelta del paziente è sacra.L’infermiera svizzera usa le parole con parsimonia professionale. «Come preferisce assumere il farmaco?». Gli occhi di Susanna Zambruno Martignetti, posati inquieti e neri sull’enorme lago che si stende oltre la finestra, si fanno all’improvviso piatti per intrappolare le emozioni. Qual è l’alternativa? «Può berlo, oppure posso farle una flebo». Susanna, che da 25 anni combatte con la sclerosi multipla, dice: «La flebo». L’infermiera le fa firmare un foglio e si allontana. «Vado a Lugano, compro il farmaco e torno». È il penultimo atto del rapido protocollo dell’eutanasia. Un minuetto preciso, apparentemente pulito - un accordo tra adulti consenzienti - che consegna ogni singola responsabilità legale e morale a chi ha scelto di morire, vietato in quella prateria bruciata dei diritti individuali che è ancora il nostro Paese, possibile appena dieci chilometri oltre il confine, dove, partendo dall’acqua, la linea dell’orizzonte si alza vertiginosamente sulla cima delle montagne per poi confondersi in un cielo luminoso e sterminato. Il mondo alla sua massima potenza.
Dove trova la forza per andarsene in un giorno spettacolare come questo?, le avevamo chiesto poche ore prima, nella sua casa di Torino. E Susanna, 56 anni, un’età nella quale si avrebbe ancora diritto di attendere la morte con stupore, aveva risposto pescando le parole in fondo alla pancia. «La trovo perché ho deciso». Poi, dopo una lunga pausa aveva aggiunto. «L’Italia costringe chi è schiavo della malattia a scappare come un ladro se vuole farla finita. Lo costringe a spendere un mucchio di soldi - a me sono serviti 13.000 euro - perché le tasse che paghiamo qui non sono sufficienti a garantirci un’uscita di scena dignitosa».


“La mia dolce morte in Svizzera: diecimila euro per non soffrire più”La diagnosi di sclerosi alla cinquantatreenne torinese Paola Cirio è stata fatta nel 2002: «È una discesa senza freni, ma la vita è mia e voglio il lieto fine. Non so quando partirò per la Svizzera, ma so che è giusto farlo». Così parla Paola in attesa della chiamata della clinica elvetica dove ha deciso di ricorrere all’eutanasia: «Mi hanno detto che per morire ci vogliono cinque minuti e diecimila euro. Ti danno un gastroprotettore e subito dopo un bicchiere di veleno. A quel punto te ne vai. Senza sentire dolore».
di Andrea Malaguti



LA DOLCE MORTE

Corso Fiume, a pochi passi dal Po e dalla Gran Madre, appartamento elegante e silenzioso. Susanna Zambruno Martignetti, ex assicuratrice di famiglia ebraica, ha passato la sua ultima notte dormendo male. Si è svegliata prima dell’alba di questo lunedì 7 marzo e non è più riuscita a chiudere occhio. «Eppure, apparentemente, non mi sento agitata». Sono sempre stati gli altri ad andare da lei piangendo. «Io resisto. E in genere li consolo. Da più di un anno la vita mi fa orrore. Ma sto facendo la cosa giusta ed è per questo che l’ho fatta chiamare. Per offrire la mia testimonianza estrema, anche se la politica capirà quello che dico solo tra 20 anni». Non è né arrabbiata né delusa. Solo stanca. E ha un progetto da portare a termine. Il suo.
Chiama Maria, la donna che da troppo tempo le fa da braccia e da gambe, e le chiede di infilarle i vestiti. «Da sola non posso fare più nulla». Sceglie un maglione rosso e nero per congedarsi. E dei pantaloni marroni di velluto. Ha un corpo sottile, che non le dà più retta, i capelli neri e il viso scavato, sofferente, eppure ancora bello, disegnato bene, capace di sorridere con larghezza. «Un anno fa ho cercato di suicidarmi con i farmaci. Mi hanno portato alle Molinette e lì mi hanno salvato. Un’infermiera mi ha detto: lo sa che siamo bravi. Ho capito che aveva ragione». Così ha organizzato il piano B. Internet, la Svizzera, la buona morte. Tutto per conto suo. Suo marito Damiano, che sta con lei da trentasei anni, le ha detto: non lo fare. Suo figlio Davide, che ha 25 anni e studia da grafico, le ha detto: mamma ti prego, no. Lei li ha guardati con tenerezza e ha risposto a entrambi: «Certo che lo faccio. Senza attendere che la malattia lo faccia per me, ma solo dopo avermi schiacciato dentro questo corpo che mi fa male». La sclerosi l’ha attaccata poco prima che nascesse Davide, quando ancora sciava, giocava tennis, andava in barca, guidava la moto e con Damiano ascoltava Bowie e «I Will Survive» di Gloria Gaynor. È andata diversamente.
La gravidanza ha fatto esplodere il male, come se la vita con una mano le consegnasse il senso più profondo di sé e con l’altra cominciasse a toglierglielo. «Sono stati 25 anni difficili. Ho guardato la mia esistenza senza poter partecipare. Come un’anziana. Mi sono indurita. E ora l’unica cosa che mi dispiace è lasciare del dolore. So che Damiano e Davide soffriranno. Ma questa è una cosa che faccio per me, non per loro». A tredici anni aveva festeggiato il bat mitzvah, la festa con cui le donne ebree entrano nella maturità, decidendo di consegnare a Dio il proprio percorso terreno. È cambiata piano piano. «Credo che non ci sia nulla oltre la vita. E questo nulla un po’ mi dà fastidio. Ma non mi spaventa. Nessuna religione, d’altra parte, consente il suicidio, no?». Nella sua testa ha sistemato ogni cosa. Davide, che è un ragazzone buono e di talento, le dice: mamma è l’ora, è arrivato l’autista. E sembra un cucciolo di cerbiatto che ha messo una zampa in fallo. Si controlla sapendo bene che le sue lacrime arriveranno lentamente. Sono le dieci del mattino.
L’ULTIMA FLEBO
Susanna vorrebbe andare da sola. Ma Damiano e Davide non ce la fanno a lasciarla così. La seguono. E con loro Silvana,la sorella di Susanna, Sara, la fidanzata di Davide, quattro amici fedeli, la sorella di Damiano. Un cordone impotente d’affetti. L’autista sa che la meta è vicina a Lugano, ma non conosce i motivi del viaggio. Lo fanno fermare lungo uno stradone davanti a una casa su tre piani che guarda il lago. Un cubo di cemento grigio arredato in modo accogliente. Il salotto. La macchina per il caffè. Un letto spazioso. Susanna si apparta con un medico venti minuti. È sicura, signora? Mai stata più sicura di niente. Ultimo atto. Alle 15,30 l’infermiera torna con il farmaco, lo inietta nella flebo. Gli occhi di Davide si sgretolano, quelli di Susanna si chiudono. È stato bello conoscervi.
Silvana attraversa la strada ancora piena di neve. Entra in un bar e si offre un bicchiere di rosso alla salute della sorella. «Lo so che ora stai meglio». E si volta a guardare la casa davanti al lago come se stesse osservando un paesaggio lontano.

Piombino Diventa nonna a 34 anni,In famiglia adesso ci sono cinque generazioni di donne

in un paese dove   a  " figliare  " sono solo  gli extra  comunitari ( sia   quelli  che sono d'anni in Italia  sia  quelli giunti  da  poco in attesa   del  diritto d'asilo  )   questo è un evento  .Speriamo sia   seguito d'altri
 da  http://iltirreno.gelocal.it/piombino/cronaca  del 8\3\2016


Diventa nonna a 34 anni, la figlia ha partorito Evelyn
In famiglia adesso ci sono cinque generazioni di donnedi Francesca Barone






Anna Visconti (a destra) con le figlie Assunta (con Evelyn in collo) e Francesca (foto Paolo Barlettani)

PIOMBINO. Nonna a 34 anni: giovedì 3 marzo, alle 3 del mattino, Anna Visconti ha festeggiato l’arrivo della nipotina Evelyn.
Nata all’ospedale di Piombino con parto cesareo, la piccola è figlia della diciottenne Assunta De Biase e del compagno, il ventiquattrenne Rares Maruca.
Assunta De Biase con la piccola Evelyn (foto PaBar)
Assunta è la primogenita di Anna, che, con il marito Alfonso De Biase, quarantaseienne, ha anche altri tre figli: Francesca di 16 anni, Asia di 11 ePietro di 6. La famiglia De Biase, originaria di Napoli, da sette anni si è trasferita per lavoro a Piombino.E proprio a Piombino, due anni e mezzo fa, la neomamma Assuntaha conosciuto Rares, di origini romene. La giovane coppia ha poi deciso di avere un bambino e a maggio scorso ha comunicato alle famiglie l’arrivo di un figlio.
«All’inizio siamo rimasti un po’ sorpresi, soprattutto perchéAssunta non aveva ancora 18 anni - racconta la giovane nonna - ma devo dire che la notizia ci ha reso subito felici. Una nuova vita è 
sempre qualcosa di meraviglioso. E poi, quando ho partorito mia figlia, io non avevo ancora 16 anni».

«Adesso che, dopo un parto molto difficile, mia figlia e mia nipote sono uscite dall’ospedale, mi occuperò un po’ di loro», dice con gioia la giovane nonna.
Evelyn alla nascita pesava 3,180 chili. «Somiglia molto alla madre», sottolinea con orgoglio Anna. Presto la famiglia De Biase farà visita ai parenti a Napoli, e la piccola Evelyn conoscerà la bisnonna Francesca, che ha 57 anni e la trisavola Annunziata di 85 anni.
Cinque donne per cinque generazioni.







Rifiuta la visita con l’urologo donna, ora rivuole il ticket Protagonista dell’episodio all’ospedale di Gorizia un 56enne che non intendeva farsi vedere da una dottoressa

la  follia    non è ha nazionalità e sesso . Leggete questa news Rifiuta la visita con l’urologo donna, ora rivuole il ticket
Protagonista dell’episodio all’ospedale di Gorizia un 56enne che non intendeva farsi vedere da una dottoressa


  da  http://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca/  del 9.3.2016

di Vincenzo Compagnone





L’episodio è avvenuto nelle scorse settimane, la scena è l'ospedale di Gorizia e precisamente il reparto di urologia.
In quel giorno due medici sono assenti, uno per malattia e l’altro in ferie. Un’emergenza chirurgica impegna gli altri medici. Vi è un ritardo di circa due ore negli orari prefissati per le visite. Cose che purtroppo accadono, non è colpa di nessuno. In ospedale talvolta si ritarda per causa di forza maggiore, ma a differenza che nei trasporti ove non si parte, qui la prestazione anche se in ritardo, viene erogata sempre e comunque.
Un uomo di 54 anni, peraltro esasperato per il ritardo, si reca al Cup e vuole rinunciare alla visita e chiede la restituzione del ticket. Gli dicono che non è possibile, le rinunce per una disposizione regionale (condivisibile in quanto molti prenotano e poi non si presentano) devono essere esercitate almeno tre giorni prima. A questo punto il signore, suo malgrado, aspetta la visita.
Viene chiamato e con sua sorpresa trova ad attenderlo una dottoressa. Rinuncia alla visita urologica perché non intende farsi visitare da una donna.
Nei giorni seguenti invia un reclamo in cui racconta il fatto, aggiungendo, testuali parole: «Entrato alla visita con due ore di ritardo, ho avuto la sgradita sorpresa di constatare che il medico urologo era una donna. Data la delicatezza di questo tipo di prestazione, ho rifiutato la visita, dopo la consistente ed inutile perdita di tempo. Imporre un medico donna per queste visite, non tiene in alcun conto le convinzioni etiche ed il pudore dei pazienti di sesso maschile.
Non è stato tutelato il mio diritto alla salute e vorrei evidenziare la mia convinzione che se fossi stato una donna musulmana, in caso di medico uomo, avrebbero chiamato una dottoressa. Vi chiedo pertanto il rimborso del ticket».
L’episodio è stato raccontato, non a caso nel giorno della Festa della donna, su Facebook da un urologo del reparto, il dottor Sebastiano Callari. «In realtà da sempre le donne si fanno tranquillamente visitare da ginecologi maschi senza alcun problema – ha spiegato –, dimostrando una maturità ancora sconosciuta a molti uomini e personalmente visito ogni giorno anche donne musulmane senza alcun problema. Su quanto becera sia tutta la storia non credo sia necessario aggiungere altro.
Osservo però che è difficile ed improponibile nel nostro paese parlare di diritti civili, accoglienza e quant’altro quando ancora oggi vi sia questa vergognosa discriminazione contro le donne. Faccio notare – conclude il dottor Callari – che già oggi le donne rappresentano i 2/3 dei medici italiani ed il 20 per cento degli urologi».
«Si rassegni caro signore maschilista – conclude il dottor Callari –, quella dottoressa fa parte di quelle meravigliose creature che sono il futuro della medicina moderna».

8.3.16

IL VELO NUDO DI © Daniela Tuscano


Ripeteteli, non stancatevi, anche se vi sembrano un po' difficili. Ripetete questi nomi: suor Annselna, suor Margarita, suor Reginette, suor Judith. Ripeteteli, imparateli, senza dimenticare le apposizioni (suore, erano suore) né i luoghi d'origine: India, Ruanda, Kenya. Ripeteteli, imparateli, non stancatevi. Perché queste quattro religiose, uccise da uomini armati nella casa di cura mentre servivano la colazione agli anziani, nel martoriato Yemen, l'8 marzo lo meritano tutto. 


Ripeteteli, non stancatevi. E non stancatevi nemmeno delle loro fotografie. Sono poche e bellissime. Frontali come icone. Sguardi limpidi, che trasmettono fiducia. Queste quattro figlie di Madre Teresa erano contemplative nell'azione. Presenti dove nessuno andava. Il loro occhio penetrava ciò che la telecamera passava e via. 
Donne assolute. Donne di fatto. Consacrate perché donne. Non avevano bisogno di richieste né di suppliche. Già stavano lì. Prevenivano. Non temevano di scendere, dantescamente, umanamente, sulle vite. Su tutte le vite. Su tutto ciò che noi distratti non consideriamo più vita.
Non servivano, amavano. S'intendevano senza parole. Ma voi, noi, siamo a uno stadio molto più basso. Ripetiamone i nomi, che le racchiudono. Ripetiamo quel "suore", che dà loro una solenne, antica consanguineità. Asia, Africa. Quaggiù solo miti, forse esorcismi. Per loro la culla. Ne sono state la tomba. 
Sui giornali poche righe. La penna brucia di fronte a quei veli, a quella umanità così totale, così, ecco, cristiana. Cristiana nella scaturigine. Martiri dell'indifferenza, le ha definite il Papa. Ma l'indifferenza non è stata forse preceduta dal rinnegamento, dall'imbarazzo? Da una voluta perdita di significato, da una disforia dell'esistere? Suor Annselna, suor Margarita, suor Reginette, suor Judith: il vostro sacrificio ha dimostrato che i veli autentici li abbiamo noi. I vostri liberano, i nostri occludono. E si vaga a mezz'aria, in un rantolo d'anima. Ripetiamo, oggi, i vostri nomi. Certo siete già qui, ci vivete accanto. Ma i veli dei nostri occhi sono troppo spessi. E, al contempo, nudi. Madri, sorelle, amiche, asiatiche, africane. Donne! Accoglieteci, pur se indegni, nel vostro splendido, unico abbraccio marginale.

© Daniela Tuscano



7.3.16

Tre cromosomi di © Daniela Tuscano

Con quel cognome, uno letterato ci nasce. Se poi il turbine creativo ti porta ad approdare laggiù, in un evo mitico e affabulato, dove trovi un certo PPP, allora è fatta. Di cromosomi in più non ne hai uno, bensì due: la scrittura e Pasolini. Gianluca Spaziani, 23 anni, palermitano, ha conseguito la laurea in lettere con una tesi dal titolo "La riscrittura del tragico antico in Pasolini. Per una lettura 'corsara' di Medea". E allora, forse, i cromosomi in più diventano tre. Perché scegliendo Pier Paolo, e "quel" Pier Paolo, con "quell'"aggettivo, e, non bastasse, nel giorno del suo compleanno, sei decisamente contro il sistema. Contro le regole. Contro le previsioni. La vita te la inventi. La mordi. La scrivi. E la penna si fa pugnale d'amore. 


Ma la godi, anche. Gianluca sogna il teatro, adora Beppe Fiorello e ha la stessa grazia nativa d'una primula, la stessa logica inattesa d'un mattino sereno, naturalmente spavaldo. Come Ninetto. Come quel Sud "ultima Africa" della Trilogia della Vita. E in questo, per questo, per se stesso, piace da matti a Pier Paolo. Uso il presente perché so che il Corsaro l'ha seguito, negli anni di studio e nei pensieri solitari. Ed era lì, accanto a lui, l'altro giorno, di fronte alla commissione. Sembra si sia tolto gli occhiali, alla fine, e con lo sguardo l'abbia baciato.


© Daniela Tuscano

Nardò e gli 11 metri di capitan Vicedomini

leggendo la news che troverete sotto mi soni ritornate in mente oltre i miei classici ricordi d'infanzia : 1)il cartone Holly e Benji, due fuoriclasse ., 2) La Compagnia dei Celestini un romanzo di Stefano Benni, edito da Feltrinelli nel 1992.Da questo racconto è stata liberamente tratta una serie a cartoni animati di co-produzione italo-francese: Street Football - La compagnia dei Celestini  3)   il bar sport  sempre  di Benni e     queste  due  canzoni    che  canticchio  mentre    finisco di  copia ed  incollare  l articolo d'oggi


                                            Carlo Vicedomini, capitano del Nardò

NARDO’- “Non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore”, così Francesco De Gregori, nella celebre canzone “La leva calcistica della classe 1968” descriveva le avventure, le peripezie e le emozioni che il calcio può dare. Gioie, tante, e dolori, insopportabili. I rimpianti del Nardò dopo lo 0-0 di oggi contro il Taranto sono lunghi undici metri, quegli undici metri dai qualiCarlo Vicedomini ha calciato in aria la palla del potenziale 1-0, e del virtuale aggancio in classifica sulla Virtus Francavilla, ancora affetta da “pareggite” in casa contro il Manfredonia nell’altro 0-0 di giornata. Il tiro mandato sopra la traversa, a De Lucia battuto, ha tagliato le gambe alla voglia e alla lucidità di una squadra vogliosa nel conquistare il derby, bissando il successo di tre anni fa, ma con una diversa, più sostanziosa, posta in palio. Un pallone pesante come un macigno caduto rovinosamente sulla strada che portava il Nardò a un importantissimo salto di qualità, sbarrandola proprio al momento del potenziale affiancamento alla macchina Virtus Francavilla, con più cavalli di quella granata ma inceppata in qualche meccanismo in queste ultime uscite.
Vicedomini e il Nardò sono due entità del calcio salentino, e non solo, che sono ripartite insieme. Il centrocampista dopo la vittoria più importante della sua vita e la voglia di disegnare geometrie sui campi da gioco, il Toro rinato dalle proprie ceneri dopo l’onta della radiazione della vecchia Nardò Calcio.
L’occasione era ghiotta, ghiottissima, ma il Nardò ha ancora sette partite per lottare con le altre battistrada del Girone H e credere nel sogno della promozione in Lega Pro, da inseguire con unità d’intenti e con lo spirito giusto, quello tracciato dalla società e da mister Ragno sempre nel corso di questa stagione che, in ogni caso, avrà superato le più rosee aspettative. Dopotutto, chi se lo sarebbe aspettato due anni fa, prima di tracciare e percorrere una nuova storia…

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che fine hano fatto quelli che si spellavano le mani a funerale di Dalla o filmano che cellulari ed intasavano i social ? Lo hanno dimenticato e condannato all'oblio .


Infatti   <<  (....)  A quattro anni dal suo 73esimo compleanno e beffa del destino anche a quattro anni dal suo funerale, il vuoto che lascia il cantautore bolognese nel panorama musicale è molto più grande della piazza celebrata in una delle sue canzoni più note. Ma l’Italia, si sa, è un paese dalla memoria corta. Grandi manifestazioni si fecero fino all’anno scorso per ricordarne la scomparsa, ovviamente concentrate nella sua Bologna, dove i litigiosi eredi di un patrimonio ultra milionario aprirono la casa-museo di Via D’Azeglio ad alcuni selezionatissimi visitatori ed agli amici musicisti di una vita che si esibirono a turno in una giornata per Lucio, a casa di Lucio.(...)  >>




LUCIO DALLA, QUELLA SERA AL PALASOJOURNER CON DE GREGORI / IL RICORDO
in Archivio, Cultura, Index, Personaggi 04/03/2016 17:11

(di Sabrina Vecchi)



 Quella sera aveva una scarpa da ginnastica blu ed una rossa perché si sapeva che per lui “l’impresa eccezionale”, era essere normale. Di tutte le volte che l’ho sentito cantare dal vivo, certamente il ricordo più vivo ed emozionante è quello del 2010, al PalaSojourner di Rieti con Francesco De Gregori per il tour “Work in Progress”. Due colossi della musica italiana di nuovo insieme dopo un trentennio dal geniale “esperimento” di Banana Republic: fu un evento. Lucio Dalla, anche quella volta, non si risparmiò al suo pubblico e diede il massimo tra il colore della sua verve e la poesia dei suoi capolavori senza risparmiare battute ed un’ironia fuori dal comune, spesso incompresa, a volte derisa.  (....)
Il grande escluso fu Marco Alemanno, compagno silenzioso e riservato di Dalla fino alla morte, estromesso dall’asse ereditario per mancanza di testamento, sfrattato dalla casa del cantante, e cancellato in un colpo di spugna. Duole questo rumore assordante del silenzio della memoria di un grandissimo artista, dolgono i litigi sull’eredità materiale e sugli amori terreni di una persona che ha cantato l’amore inteso in ogni sua forma in maniera tanto profonda. Ma in fondo, è solo la vita che finisce, e lui da qualche parte ci guarderà sentendosi felice, e ricominciando il suo canto.

Foto: RietiLife ©

3.3.16

che palle il tormentone petaloso sembra non finire mai . infatti Il papà di Matteo vuole registrare "petaloso", ma ci sono già tre brevetti

  puntata precedente  


Ecco che come previsto dal pst precedente ( vedere url sopra ) intorno a questo povero bambino , reo d'aver inventato per caso un neologismo , si sta consumando una battaglia legale ed economica ( leggi € ) simile se non uguale a quella di Macaulay Culkin il protagonista di mamma ho perso l'aereo

da  http://lanuovaferrara.gelocal.it/ferrara/cronaca/ del 03 marzo 2016

IL MARCHIO PETALOSO IN TRE SBARRANO...LA PAROLA INVENTATA
Il marchio Petaloso In tre sbarrano la strada ai Trovò
Il papà di Matteo vuole usarlo per aiutare i bambini Ma c’è chi lo ha preceduto: contano data e certi particolari






COPPARO. Ha una motivazione supplementare, Marco Trovò, per «andare fino in fondo» nel tentativo di registrare il marchio Petaloso, imperniato sulla parolina inventata dal figlio Matteo. «Vorrei far ricredere tutte le persone che ci hanno criticato, anche per insegnare a mio figlio che questa favola può avere un lieto fine - racconta dopo aver depositato il marchio alla Camera di commercio di Ferrara - Lo ribadisco, vogliamo usare l’invenzione di Matteo per aiutare i bambini di Copparo, di sicuro non intendiamo speculare nè tantomeno guadagnare soldi, tanto che l’eventuale ricavato dello sfruttamento commerciale del marchio sarà riversato ad una onlus per la quale ho già chiesto l’aiuto del sindaco».
La questione del brevetto non si preannuncia però di facile nè rapida risoluzione. Già lunedì, in largo Castello a Ferrara («mi hanno aperto subito tutte le porte»), Trovò ha scoperto che c’erano tre marchi registrati come Petaloso, uno dei quali addirittura con validità comunitaria, e tutti depositati il venerdì precedente. Ha proceduto ugualmente perché il nome non è l’elemento decisivo per definire l’originalità di un marchio, ma ora si apre una fase d’incertezza: al di là della conferma della registrazione da parte del ministero dello Sviluppo economico, che riguarda solo questioni formali ma si prenderà comunque qualche mese, bisogna vedere come reagiranno gli altri depositanti. Sì, perché l’avere inventato la parola non conferisce alcun vantaggio ai Trovò: «In queste questioni di brevetti, che sono delicatissime, conta solo il fattore tempo, cioè chi ha depositato per primo, e le caratteristiche dei marchi» spiega Mauro Giannattasio, direttore della Camera di commercio. In pratica Trovò potrebbe paradossalmente essere chiamato in causa dagli altri tre, ed essere costretto a cambiare qualcosa. Il marchio da lui registrato è stato disegnato da Matteo, e rappresenta una grande margherita con al centro della corolla un mondo, 22 petali con occhi e bocca (i compagni di classe copparesi), un sole che rappresenta lo stesso bambino e la scritta Petaloso nel corsivo del figlio. Su questa scommessa ci ha già messo un migliaio di euro, la famiglia copparese, e non vuole mollare. (s.c.)

Treno 8017 Balvano 3 marzo 1944 72º anniversario del più grave disastro ferroviario italiano

in sottofondo
PIPPO POLLINA CANZONE QUARTA - ULTIMO VOLO
Renato Franchi - Cento passi

 ti potrebbe interessare  http://www.trenidicarta.it/treno8017/
 dall'amico http://leonardopisani.blogspot.it/2016/03/quel-spoon-river-lucano-balvano-3-marzo.html 

« Nessuna Spoon River dei poveri ha mai raccontato le loro storie. » 
Così scrisse  Antonio Manzo sul Mattino il 29 febbraio 2004 ricordando la più grande tragedia ferroviaria italiana.

Era la notte del 3 marzo 1944 quando il  treno merci speciale 8017 imboccò la galleria delle Armi tra  le stazioni di Balvano e di Bella-Muro Lucano, e si estende per 1.968,26 metri con una pendenza media del 12,8‰ (0,73° di inclinazione) e punte del 13‰. Il treno si fermò a 800 metri dall'ingresso, con i soli due ultimi vagoni fuori. Il treno era lungo, molto lungo ben 47 vagoni  perché già da Napoli salirono molti passeggeri “clandestini”; che aumentarono fino a Battipaglia: era povera gente stremata che voleva scappare dalla guerra verso i paesini montani della Lucania o della Calabria.
In quello Spoon River Lucano perirono un numero imprecisato di vittime; ma centinaia. Alcune fonti dicono più di 600; altre dai 500 in poi.

Curiosità: all’estero il luogo della tragedia fu definito dall’agenzia Reutes , dal Corriere della Sera,  La Stampa ed altri come una generica Italia Meridionale oppure Italia Invasa; erano tempi di guerra…

Ecco i dati delle vittime secondo diverse fonti:
402 persone, di cui 324 uomini e 78 donne sepolti nelle fosse comuni a Balvano
427 vittime secondo il processo.
500 vittime secondo i quotidiani La Stampa, Il Corriere della Sera e Il Giornale d'Italia
509 vittime, di cui 408 uomini e 101 donne secondo la lapide del cimitero di Balvano
509 vittime secondo il quotidiano La Gazzetta del Mezzogiorno
517 vittime totali secondo il bilancio ufficiale del verbale del Consiglio dei ministri.
549 vittime, di cui 472 uomini e 77 donne secondo il quindicinale potentino Il Gazzettino


 Una tragedia in parte annunciata perché in quel tratto  u mese prima nella tratta   tratta Baragiano - Tito, immediatamente successiva a quella della tragedia e con pendenze superiori al 22‰, un treno  militare statunitense ebbe  un incidente simile:  il personale era rimasto intossicato dai gas di scarico del carbone di scarsa qualità.  Quella fu la fine dei passeggeri della tragedia di Balvano: il treno aveva due locomotive in testa e non la disposizione usuale di una avanti e l’altra nel mezzo:. Nella galleria il convoglio iniziò a scivolare; ad arrancare e poi a fermarsi mentre quel tunnel divenne una camera a gas piena di  monossido di carbonio e acido carbonico, facendo presto perdere i sensi al personale di macchina. In poco tempo anche la maggioranza dei passeggeri, che in quel momento stava dormendo, venne asfissiata dai gas tossici .


Una tragedia dimenticata perché l’indagine della Commissione Parlamentare la considerò una tragedia accaduta per forze di causa maggiore; senza alcuna responsabilità umana. Il danno e anche la beffa perché quando sopravvissuti e familiari chiesero un risarcimento Le Ferrovie Italiane declinarono dato che la responsabilità principale era del Comando Militare Alleato; unica autorità a poter disporre della composizione del treno, e del suo tragitto e viaggio compreso anche un eventuale stop e poi non erano passeggeri ma clandestini; senza biglietto. Una menzogna scoperta dopo anni; molti avevano regolare biglietto.  La commissione parlamentare portò questa motivazione alla sciagura di Balvano:
« una combinazione di cause materiali, quali densa nebbia, foschia atmosferica, mancanza completa di vento, che non ha mantenuto la naturale ventilazione della galleria, rotaie umide, ecc., cause che malauguratamente si sono presentate tutte insieme e in rapida successione. Il treno si è fermato a causa del fatto che scivolava sulle rotaie e il personale delle macchine era stato sopraffatto dall'avvelenamento prodotto dal gas, prima che avesse potuto agire per condurre il treno fuori del tunnel. A causa della presenza dell'acido carbonico, straordinariamente velenoso, si è prodotta l'asfissia dei passeggeri clandestini. L'azione di questo gas è così rapida, che la tragedia è avvenuta prima che alcun soccorso dall'esterno potesse essere portato. »
Per spegnere sul nascere una vertenza che avrebbe potuto trascinarsi per anni, il Ministero del Tesoro sancì l'emissione di un risarcimento come se si trattasse di vittime di guerra (risarcimento che venne erogato dopo oltre 15 anni).

Su quella sciagura è stato scritto un ottimo libro dell’avvocato, storico e scrittore romano Gianluca Barneschi: “Balvano 1944” edizioni Mursia  e vincitore del premio speciale per la narrativa del “premio Basilicata 2005”.
Per approfondire si segnalo http://www.trenidicarta.it/treno8017/  un sito web straordinario per la ricchezza della documentazione, compreso foto storiche, giornali dell’epoca e testimonianze di sopravvissuti e di parenti.

Ora quelle vittime hanno il loro Spoon River







2.3.16

Salta l'incontro con l'imam Telefonate minacciose e post velenosi sui social network contro la Pertile. Carabinieri e digos dal preside, poi la scuola annulla l'evento

presidi ed insegnanti senza palle \ coraggio o paura di genitori malpancisti e pieni di pregiudizi ed politici coglioni che strumentalizzano e sfruttano il diverso a scopo elettorale ? però  come ha detto il sindaco di tale paese   : << Il sindaco: «Ma i dollari dello sceicco non fanno schifo» Il sindaco Da Roit ricorda la visita a Cortina>>



AGORDO
Salta l'incontro con l'imam
Telefonate minacciose e post velenosi sui social network contro la Pertile. Carabinieri e digos dal preside, poi la scuola annulla l'evento

di Gianni Santomaso





AGORDO. Salta l’incontro con l’imam. La pressione della minoranza dei genitori, le minacce degli uomini politici di destra e il silenzio di quelli di sinistra impediscono alla maggioranza degli alunni di partecipare all'incontro con l'imam Kamel Layachi in programma martedì prossimo alla scuola media “Pertile”.
Il dirigente scolastico, Bernardino Chiocchetti, e i docenti hanno infatti deciso ieri mattina di cancellare l'evento approvato a settembre e inserito nel progetto di educazione alla mondialità, alla tolleranza e alla pace. Lo ha fatto perché il clima attorno alla scuola si era fatto nero. Gestire il tutto per un'altra settimana non sarebbe stato facile. Se in prima battuta erano arrivate le lamentele di alcuni genitori su Facebook (non risulta che alcuno in questi giorni abbia contattato la scuola direttamente), da sabato gli attori sono aumentati. Prima il senatore Giovanni Piccoli (Forza Italia) ha attaccato la scuola parlando di “follia”, quindi domenica l'assessore regionale all'istruzione, Elena Donazzan, sul fattoquotidiano.it ha minacciato l'ispezione. Ieri mattina, però, si è raggiunto l'apice. Alle 9.41 il leader della Lega Nord, Matteo Salvini, posta su Facebook il numero della “scuola della pace” e il telefono inizia a suonare. Uno chiede di partecipare all'incontro, altri per capire, altri vomitano nella cornetta insulti verso gli impiegati che stanno lavorando. Poi telefona il maresciallo dei carabinieri, quindi arriva la Digos per capire dal dirigente quello che sta succedendo. Ieri sera è arrivata la troupe di “La strada dei miracoli” (Mediaset) e sarà ad Agordo anche stamattina.
«In conseguenza del clamore mediatico suscitato in modo del tutto inatteso da un articolo pubblicato venerdì sulla stampa locale e ripreso a largo raggio con inaccettabili strumentalizzazioni», dice Chiocchetti «la scuola ha deciso di rinunciare all’intervento di Kamel Layachi, a fianco dell’insegnante di religione cattolica, in programma martedì dal momento che purtroppo non ci sono più le condizioni per un confronto sereno, presupposto indispensabile per il coinvolgimento degli alunni. 
da La forza delle Parole

Layachi concorda con la decisione presa, a conferma della sensibilità che lo contraddistingue e che nel 2013 gli è valsa il Premio Fraternità-Città di Benevento, a riconoscimento del suo impegno nel gettare ponti di dialogo fra le diverse confessioni religiose e realtà culturali presenti nel nostro Paese».
Una decisione non facile per la scuola. «Si tratta di una risoluzione presa a malincuore», continua Chiocchetti «visti i ripetuti interventi di Kamel Layachi attivati con le stesse modalità da più anni a questa parte, a stretto contatto con i coordinatori per l’insegnamento della religione cattolica, in molte scuole primarie e secondarie del Veneto e finalizzati a promuovere la conoscenza reciproca e ad eliminare il pregiudizio. L’iniziativa, presentata nelle assemblee per l’elezione dei rappresentanti dei consigli di classe e poi deliberata dagli organi collegiali con la presenza dei genitori, aveva seguito il consueto iter di approvazione».
Iter che, evidentemente, non è bastato a qualche genitore che ha preferito affidare a Facebook i propri turbamenti. «Nel prendere atto della contrarietà manifestata da una componente dei genitori», dice il dirigente «confermiamo la volontà di dialogo con tutte le famiglie con la precisa volontà di salvaguardare la sintonia finora intervenuta tra scuola e contesto ambientale, aspetto fondamentale per garantire il successo scolastico degli iscritti». La scuola, infine, ringrazia l’arcidiacono, il sindaco e l’assessore ai servizi alla persona di Agordo e il parroco di Rivamonte, Tiser e Gosaldo per l'appoggio dato nei giorni scorsi.

C'é bisogno di fare una differenza tra ebrei e sionisti, e questa differenza deve iniziare dagli ebrei stessi.

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