23.10.16

Storie d'amore con i crampi di matteo tassinari

 in sottofondo la struggente your love  - Ennio Morricone e Dulce Pontes


E' nell'altra che ti     confondi,
in realtà, quanto     ti piace?
Shakespeare secondo Branagh

E poi l’amour     fou
Kenneth Branagh
Pene d’amore perdute. Languori. Svenevolezze e smancerie. Sorrisi sornioni e baci assassini, tremori, pallori, assolutori, ingenuità e perché dare gioia, è un mestiere duroSe non ricordi che l’amore t’abbia mai fatto commettere la più piccola follia, allora non hai amato nel tuo mondo senza malinconia dove gli usignoli ruttano. Incantesimi e parole vaghe, trecce sciolte dal balcone, avito e cartigli avidamente scartati da cioccolatini ben noti, i quali, dopo 95 anni d'onorato impegno letterario, abbandonano i versi di Dante e aprono a Kurt Cobain e Pieraccioni. Sempre in peggio, prima Facebook, ora Pieraccioni. Ora, chi ci dobbiamo aspettare, Luca Barbareschi? L'uomo che meglio di chiunque altro, sintetizza gli aspetti più deleteri e vili dei vizi peggiori degli italiani. Perché lo dico e come faccio a saperlo? Son giornalista da 34 anni.
Bisogna che una sensazione sia caduta ben bene in basso perché si degni di mutarsi in idea. Non azzardatevi a toccarli mai, non azzardatevi a giudicarli, tirate via le vostre mani sporche, non confondetevi coi loro sogni. Hanno aerei per volare, ma quegli aeroporti non ci sono più. Possiedono treni e una stazione lontana tra il cielo e terra, hanno le nostre fandonie nelle orecchie, conoscono le nostre facce. Madri pompate a tranquillanti, padri che vanno sul sicuro, i ragazzi nascondono lacrime sospese come gatte gelose dei figli hanno un bagaglio di speranze deluse. Un mondo storpiato dissestato, malridotto, squinternato, traballante, ingannato tradito, massacrato pur sapendo che hanno una rosa dentro che vien da chiedersi come abbia fatto nascere e crescere in una Gomorra di sifatta teatralità disorientata.
Peter Greenaway, regista 
Come quella giraffa che ha il cuore tanto lontano dai pensieri. Pensa che s'è innamorata ieri e ancora oggi non lo sa. Tra mezzora forse inizierà a sentire la farfalle nello stomaco. Ma sopra tutto, lo script luminoso del regista Peter Greenaway: “Nei miei film, parlo sempre di sesso e non di amore. Io sono un buon darwiniano e, dato il pensiero comune sull'evoluzionismo e sulle teorie comportamentali, dico che siamo come delle valigie che servono a continuare il passaggio di geni”. Ma non c'illudiamo. E' questo un triste mondo dove un uomo che legge ad alta voce versi o testi spirituali, in solitudine, passa per squilibrato. Una persona singolare, per parlare in politicamente corretto.
  S'era instaurato     un bel clima 
Ma la voglia, il desiderio, è ben diverso, simile alla passione "cristalla". Già a 5 anni, mi faceva paura la prigione, non conoscendo ancora gli uomini con i quali avrei convissuto. Mica per altro, o la pena da scontare, pur non essendo mai stato in prigione Ci sono stato di striscio parecchie volte, grattandomi pure il sedere, modo di dire quando la Questura ti porta in quelle loro stanze segrete e ti fanno domande, di gossip più che altro. S'era instaurato un bel clima fra di noi, dopo avermi preso le impronte digitali, foto segnaletiche, davanti, dietro, sinistra e destra e rossori sulla pelle stile decorazioni ornamentali, tutte spesate dal Questore o forse più a spese mie. 
Sangre        love,
loviente in cor
Vi sono più cose in cielo e terra, Orazio,
di quante se ne sogna la tua filosofia.
(William Shakespeare, 1600, "Amleto")

Amori da poco, vacui e scontati, superflui. Amori impellenti, che chiedono resa perché incompresa. Amori da ridere, altri da morire. Tragedie e commedie, mondanità, paranoie. Credo che la fine del XX secolo sia un momento di rinegoziazione sulla procreazione sulla nascita e sul sesso. La politica sessuale ci ha dato libertà più ampie. L'approccio alla sessualità e alla castità ha aperto molte possibilità. È la morte a rimanere non negoziabile. È l'ultima frontiera. Si potrebbe scrivere che la civiltà ci ha sottratti alle spade per farci meglio sentire la paura dei chirurghi. Pensate, quanta gran gente, i mediocri, quanto sono operosi, attenti e pacati. Non hanno scatti di pensieri, di affetti, di soluzioni, calme di vento, slanci d’infantilismo. Fanno quel che possono e sanno, magari quel che non sanno, ma con tanta buona volontà!
Paura del   tempo
Sarà stata la pazzia a indurre l’innamorato non corrisposto a parlare tutte le lingue per esprimere un concetto così universale, come quello dell’amore? Perché l’amore è quel miscuglio che tu sei da una parte e lei dall’altra, eppure gli sconosciuti s'accorgono che vi amate. Come aver preso insieme un trip e avere entrambi le stesse paranoie, è una responsabilità enormemente reciproca che non ammette tradimenti di nessuna ragione. E' una cosa molto seria. Che cazzo, mica pugnette! Una volta pensavo che i libri si facessero così: arriva un poeta, lievemente disserra la bocca e di colpo comincia a cantare il sempliciotto ispirato: di grazia, ma perchè! (Vladimir Vladimirovič Majakovskij).
Sergej Esenin, poeta
Non ho mai saputo interpretare il diktat di Majakovskij rispetto alla morte-omicidio-suicidio (altro aspetto ancora da chiarire)  del poeta russo Sergej Esenin: “Se ci fosse stato inchiostro all'Angleterre, non avrebbe avuto bisogno di tagliarsi le vene”. Non capisco se ci sia, nelle parole di Majakovskij, un velato senso d’ironia, quasi guappa nei confronti del povero e magnifico Esenin che difenderò fino a morir. Se lo merita, che ne pensate? Non ho forse ragione?
Ancora Shakespeare,  ancora Branagh 
che ha raschiato il  fondo del barile.
Tutto evanescente e  pomposo, troppo
Le frasi hanno un senso compiuto, ma le parole vengono dai posti più disparati. Ecco che ci troviamo il napoletano, l’inglese, lo spagnolo, il francese, il provenzale, perfino l’italiano antico e per finire qualche termine reinventato, strani miscugli dalla fonetica accattivante. Spesso l’amore trova difficoltà nella comunicabilità dei sentimenti che si provano. Due cuori e una capanna di Babele dove l'ordinario e l'esiguo spirito associati alla pigrizia, abbiano prodotto più intellettuali che la riflessione e le letture dotte e ignaro di ogni orifizio.
Se tutti coloro che abbiamo ucciso col pensiero scomparissero davvero, la terra non avrebbe più abitanti, non è una boutade e non lo vuole essere, è un dato di fatto. Con Sangre loviente in core (che ama in cuore). Se della Morte vara ne è l'ora, orsù, saluta la Signora col mantello nero, figlio mio. Fa male, ma è gentile, almeno è quel che ci si augura. La morte, caro, è un'usanza che tutti dobbiamo rispettare. Adeguiamoci mio figliuolo. 


Rubinetti    gocciolanti
scoregge    appassionate
Che dolci premesse,   amor mio
Amori  basta. Quelli dentro la confezione levigata e attenta all’air du temps. Negli intenti, una ricerca concentrata anzitutto sulla dichiarazione d’amore. Vale a dire su quella piccola catastrofe delle emozioni in cui, dei due soggetti coinvolti, uno assume il rischio e lo spavento e lancia una parola, un gesto, spesso uno sguardo alla Paolo Conte, verso l’altro. "Tutti quelli che nell'ora suprema vogliono circondarsi di amici lo fanno per paura e per incapacità di affrontare i loro ultimi istanti. Cercano di dimenticare, nel momento capitale, la propria morte". (script, Emil Cioran). Charles Bukowski, invece in "Taccuino di un vecchio sporcaccione, scriveva: "Rubinetti che gocciolano, scoregge di passione, pneumatici bucati. Sono tutte cose più tristi della morte".
Emil Cioran
Fuori di sé, a rischio di perdere sé stessi. Ebbe a scrivere il magnifico Emil Cioran, intellettuale rumeno del secolo scorso e tanto altro: "Lo scrivere, per poco che valga, mi ha aiutato a passare da un anno all'altro, perché le ossessioni espresse si attenuano e in parte vengono superate. Sono certo che se non fossi stato un imbrattacarte mi sarei ucciso da un pezzo. Scrivere è un enorme sollievo. E pubblicare anche".
Non più dentro la capsula protetta e ottusa dello spazio pubblico, d’improvviso dentro uno spazio privato che annulla le distanze e che spaura. Aulentina tu non vivi per moi.
In realtà, una riflessione che dell’amore finisce per attraversare tutto lo sconnesso frasario, le figure maggiori e quelle più frequentate dagli artisti coinvolti secondo un principio, come sempre, sincretico ed indifferente alla successione cronologica, che procede per sistematica contaminazione. Figure dell’amore. Danze di congiunzione, tensioni che reggono le sorti del mondo. O amore o morte, o insieme per sempre o per sempre disgiunti. Stilemi come quelli della corte amorosa, dall’immaginario cortese alla tenerezza colta da Ingres (1843), all’ardore di Boucher (1600) ai Cuori neri di Warhol (1981).
Majakovskij e l'amata Lily Brik 
Corpi d’amore e di sesso perché come scrive Arthur Rimbaud, è nell’altro che ci si confonde e ci si ritrova, attraverso lo scambio delle carni, degli umori come degli abbandoni. Baci. Quelli timidi e quelli voraci, Klimt e Schiele, Luis Bunuel e Man Ray. Sessi. Ricordi che non possono più riportare quello che è stato un solo bel tempo. 
Sono tutti i percorsi ed i luoghi della passione amorosa in una sorta di caravanserraglio che lascia, alla fine del viaggio, esausti e disarticolati. Un po’ smarriti. Non è facile parlare d’amore, come sanno tutti gli innamorati e non sanno invece chi festeggia san Valentino, povero cretino pure col codino. Il nostro è un periodo incapace di decidere tra leggerezza e pesantezza, tra sensazione e passione, tra fuga e vertigine. Tutto marcato da una vena neoromantica a forte investimento narrativo, spesso languida come una lingua di bue o inutile, inspiegabile come il successo della “Lettera d’amore” di Cathleen  Schine, una libreria tinta di rosa, sulla costa atlantica degli Stati Uniti. Come vorrei essere tagliente come un eccomi.
                            Il tuo dramma è il più
 importante della Storia
Avete mai provato la belluina ed eccitante appagamento dei sensi nel guardarvi in uno specchio dopo innumerevoli notti bianche riempite d'alcol? Avete mai subìto la tortura dell'insonnia, quando si avverte ogni istante della notte, quando esistete solo voi al mondo, e il vostro dramma diventa il più importante della storia, di una storia ormai svuotata di senso, e che neppure più esiste, giacché sentite levarsi in voi le fiamme più spaventose, e la vostra esistenza vi appare come unica e sola in un mondo nato soltanto per portare a termine la vostra agonia avete conosciuto questi innumerevoli momenti, infiniti come la sofferenza, per vedere poi riflessa, quando vi guardate allo specchio, l'immagine del grottesco?

 Non      sarebbe 
meglio       proferire?
Che succederebbe se lo sguardo umano esprimesse fedelmente le lacerazioni che s'accusa dentro, se svelasse il supplizio provato? Riusciremmo ancora a conversare? Non sarebbe meglio proferire, raccontare, sciogliere i diktat, strombazzare, esprimersi confidandosi nello sfogo borghese, per sbottonarsi ancora e ancora confidare, conferire, conversare nascondendoci il volto con le mani? La vita assumerebbe connotati orribili, impossibili se le nostre prerogative personali evidenziassero la potenza della dimensione spirituale. Alcuno ha più la forza, l'integrità morale di guardarsi allo specchio, perché un'immagine insieme grottesca e tragica mescolerebbe ai contorni della fisionomia macchie di sangue, piaghe sempre aperte e rivoli di lacrime irrefrenabili, intervallate dal malcostume come la corruzione, il senso carnale di chi puzza di sesso.
Stendhal o Barthes,
   Shakespeare       o Baudelaire?  
Una bella libraia, divorziata senza rimpianti e appassionata del suo mestiere. Un variegato ventaglio di clienti e commessi. Infine, una lettera d'amore che sbuca fra la posta e i libri. Un libro che è più palloso di quelli stucchevoli della triestina Susanna Tamaro. Perché metterne alla prova, scagliandola a tentoni, la capacità speculativa e l’eredità filosofica di Stendhal, Barthes, Shakespeare e Baudelaire? Tuttavia mi rimane ancora da capire perché il poeta Mannerini, grande amico di De André, riuscì a concepire i seguenti versi: "Un ferroviere era quel tale che per morire scelse per Natale.
Da una finestra, un oblò vetrato, entrò nella Storia del mondo che parla di fame, sete, morti, gioia e bellezze, non certo di gloria. Ma quando la sorte è puntigliosa, arriva la morte in forma curiosa che gli procura, umano aeroplano, un volo notturno da un quarto piano e lo riduce in quattro e quattr'otto in un mucchio di cenci, di ossa un fagotto. All'alba non muore soltanto la notte, muore anche l'uomo e il suo divenire e il sangue caldo che bagna il selciato, è un discorso appena iniziato.
Pasquale Panella, paroliere di Battisti dopo Mogol
Tiranna mia tu non vivi per me, ed io impazzisco per te. I fou de love (impazzisco d’amore) appriesse a te (per te). Loviente in core (che ama in cuore) rossiente por ti (ardente per te), vurria vurria (vorrei, vorrei), ma prima ‘e murì (ma prima di morire), vida d’erotica ambicion (vita di erotica ambizione). Grande Pasquale Panella, che ci ha reso il miglior Lucio Battisti della storia musicale, non quello con Mogol, perso fra le gote rosse e canti liberi, ma in chiave di volta con le mani a gesticolare nel ventoPenso che se non ci fosse stato Battisti non ci sarebbe stato Mogol, e viceversa. Personaggio che non ama di certo i riflettori, evita accuratamente tutti gli inviti calorosi e di alto "encomio" economico, di tante trasmissioni televisive che lo vorrebbero nel loro parquè d'ospiti da intervistare, ma lui è risponde picche a tutti. E' orfico, ermetico, nel suo caso dadaista, un Brian Eno più raffinato, meno commerciale, un autore che parla alle note del pentagramma.
Il     “dilemma atroce
gaberiano
Valenze dell’instabilità che governa il mondo secondo un ritmico principio di alternanza che assicura il divenire per paura di restare abbandonati. La storia, il racconto, sono fatti selvatici, non si possono condurre a proprio piacimento. Dimentichiamo allora per un momento l’amore degli enigmi e degli stereotipi. Una cravatta blu, con strisce bianche. L’onestà e la coerenza con sé stessi. La fedeltà verso i propri dubbi che, risolti, portano al senso della vita come nel caso di "Gildo". Chi è?
Il Signor G.. Una colonna della creatività narrativa teatrale. Giorgio Gaber, in molte sue canzoni eppure, come le cose più belle e semplici, non sempre era facile capirlo. Poco male per GG. Prima o poi sarebbe tutto arrivato, sapeva già che era necessario il passaggio di qualche anno prima che arrivasse il messaggio.  
Era   un grande davvero, solo che le parole sonostate  inflazionate e svuotate del loro significato
perdendo l'effetto   autentico ed originale
 Morir je         vurria 
Quello delle rime e delle metafore eleganti e anche quello dell’estasi dalle feroci malinconie. La logica di un percorso passionale di una coppia in pieno “dilemma gaberiano”, spaventata e disillusa, tensione dura e scintillante come una fune metallica tesa tra due solitudini. Tra due soggetti spaiati. La loro relazione, è la loro relatività e la passione come qualità dell’esistere che trasforma il percepire in sentire e perturba il fare di giorno in giorno morir je vurria (morire io vorrei).

20.10.16

"Tu mi hai scelta e io ti ho dato la luce": il testamento di Elena Furlan , mamma coraggio La lettera alla figlia Maria Vittoria, fatta nascere rinunciando alla chemioterapia.e Valentina Milluzzo morta di parto a causa di presunto medico obbiettore antiabortista

Non riesco  ad esprimiere  nessun  commento  sulle due  storie   del post  d'oggi  . Infatti   sono talmente  scosso  ed  emozionato  dala  prima  , indignato    dalla seconda  .
  Iniziamo da   quella    più toccante  

Sempre  sula stessa   elena  furlan  leggi  l'antefatto 


Elena Furlan, di Santa Maria di Sala, è mancata sabato dopo aver lottato contro il male incurabile
La lettera alla figlia Maria Vittoria, fatta nascere rinunciando alla chemioterapia. Le toccanti parole lette dal fratello al funerali





CASELLE. «Tu mi hai scelta contro ogni teoria medica e contro ogni previsione io ti ho fatta nascere, perché la tua fiducia mi ha fatto credere che io fossi una persona speciale. Ti amo piccola, tornerò presto e ricominceremo a crescere insieme». Sono le parole toccanti di Elena Furlan, la mamma di 36 anni di Caselle, scritte alla piccola figlia di pochi mesi da un letto d’ospedale, prima di morire.:
La lettera è stata letta durante i funerali della giovane mamma-coraggio, che già malata ha scelto di rinunciare alla propria vita per darla alla piccola Maria Vittoria, che oggi ha 11 mesi. Poche righe scritte il 2 giugno scorso in ospedale a Udine, dove Elena stava combattendo una delle tante battaglie del suo calvario.
A leggerla in chiesa è il fratello Alessandro, che come tutti trattiene a stento le lacrime: «Piccola mia», scriveva Elena, «ho deciso di scriverti una lettera, poi chissà, forse te la leggerà la nonna o magari un giorno la leggeremo insieme. Quante cose vorrei dirti, anche se tante te le ho già dette dal primo giorno che ho saputo che mi avevi scelta ed eri dentro di me. Ero così orgogliosa: contro ogni legge medica tu comunque avevi scelto me e ho pensato: “Allora sono una persona speciale se vuole me”. Io e te, unite, abbiamo lottato come leonesse e abbiamo vinto. Tu hai vinto su tutto».


Poco prima, durante l’omelia, l’ex parroco di Caselle don Lucio Monetti, tornato in paese per celebrare le esequie, aveva paragonato Elena all’evangelico chicco di grano, che dopo essere stato seminato, muore per dare frutto: «Non c’è amore più grande del dare la vita, Elena ha fatto lo stesso percorso di Gesù», ha detto don Lucio, «al suo esempio ci inchiniamo, è stata una donna meravigliosa, una tosta. Non ha tentennato quando le hanno prospettato altre soluzioni: di fronte alla scelta, in piena libertà, ha donato la vita per la vita».




A commuovere è stata però quella lettera, che la piccola Maria Vittoria un giorno, cercando il conforto della mamma che non c’è più, potrà leggere e rileggere mille volte: «Amore mio, da quando ci sei tu è come se avessi iniziato a vivere per la prima volta», scrive Elena, «certe emozioni non le avevo mai provate e a volte penso: che triste sarebbe stato se tu non fossi mai arrivata, perché non avrei mai capito cos’è vivere veramente, amare qualcuno sopra ogni cosa. Ti amo figlia mia, amo il tuo sorriso, amo cantarti canzoncine buffe senza vergognarmi, amo farti i balletti perché so che ti diverti. Amo baciarti, ti bacerei sempre, amo ogni tuo piccolo progresso e conquista. Tornerò presto piccola, ricominceremo e cresceremo insieme. Ti amo infinitamente. La mamma che hai scelto».
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la  seconda  
  da  http://www.ilfattoquotidiano.it/ sempre del  20\10\2016 

E’ morta di obiezione di coscienza Valentina Milluzzo? La Procura della Repubblica accerterà se sia stata immolata sull’ara del fanatismo religioso, per l’arroganza di chi gioca a fare Dio con la vita delle donne che ricorrono alle strutture ospedaliere per ricevere assistenza, cure e uscirne vive. Valentina aveva 32 anni ed era incinta di due gemelli, al quinto mese di una gravidanza avuta grazie alla fecondazione assistita. Il 29 settembre era stata ricoverata per una dilatazione all’utero, per 15 giorni la situazione resta stabile poi precipita, arrivano dolori lancinanti e la febbre alta. Valentina chiede aiuto, collassa, la febbre sale ma il ginecologo che la assiste, dichiarano nell’esposto i familiari, non interviene perché sente ancora il battito cardiaco del feto: dice che èun obiettore di coscienza. Se le cose fossero andate così, ci troveremmo di fronte ad un fatto gravissimo, alla scellerata omissione di assistenza di un medico posseduto da furia ideologica, delirio di onnipotenza.Valentina Milluzzo sarebbe morta, in questo caso, come Savita Halappanavar, una donna indiana che giunse alla clinica Galway University di Dublino, con forti dolori addominali e la febbre alta ma venne lasciata morire di setticemia. La legge irlandese permette l’aborto solo in caso di imminente pericolo di vita della madre e i medici irlandesi attesero tre giorni fino a che non si sentì più il battito cardiaco del feto. Savita morì di sepsi a trentun anni. Ma l’Italia non dovrebbe essere l’Irlanda. Nel nostro Paese, 40 anni fasi decise con un referendum popolare che le donne avevano diritto all’autodeterminazione, a non morire di aborto clandestino, ad essere assistite per un aborto.Ora l’ospedale Cannizzaro di Catania declina responsabilità, cita altri decessi di donne accaduti in altri ospedali italiani. Si spera davvero che la Procura accerti se ci sono colpe del personale medico. Esiste il grandissimo rischio che si accetti il travalicamento dell’obiezione di coscienza ben oltre il significato che gli aveva dato la legge 194. La mancanza di un tetto ha già tramutato l’obiezione di coscienza dei singoli, in obiezione di intere strutture (al Cannizzaro sono tutti obiettori di coscienza) ma le cose potrebbero peggiorare. Potremmo trovarci di fronte ad un escalation di integralismo con obiettori che si arrogano il diritto di applicare la loro legge, quella che vorrebbero fosse vigente in Italia al posto della 194. Non dobbiamo permetterlo.Già sotto attacco da anni, la 194 è stata svuotata dall’obiezione e costringe le donne al pendolarismo per motivi di aborto. Questo avviene non a caso, per le donne di altri due Paesi cattolici, l’Irlanda e la Polonia che affrontano viaggi in Inghilterra e in Germania per abortire.La situazione italiana è denunciata da anni: dal movimento delle donne, da gruppi che difendono l’applicazione della 194, dalla Laiga,dalla Cgil. Sono stati presentati ricorsi al Comitato Europeo del Consiglio d’Europa senza che i parlamenti e i governi che si sono succeduti abbiano mai deciso di intervenire. La ministra per la salute, Beatrice Lorenzin, è tutta presa, senza alcun senso del ridicolo, dalle cartoline propaganda sul Fertility Day. Oltre la propaganda il nulla. Nessun intervento da parte del suo ministero per tutelare la salute delle donne che si rivolgono alle strutture ospedaliere per le Ivg. Ora ci sarà il solito rito dell’invio degli ispettori ministeriali, già.Gli ispettori vanno ma nel nostro Paese sono già avvenuti fatti gravissimi, denunciati più volte che hanno messo a rischio la vita delle donne per non parlare del clima di ostilità talebana da parte di ginecologi e paramedici che umiliano le donne lasciate anche ore su lettini con il feto espulso tra le gambe, senza che nessuno arrivi ad assisterle. Laura Fiore ha lasciato una toccante denuncia in Abortire tra obiettori di cosa accade negli ospedali italiani alle donne che si sottopongono ad Ivg.Nel marzo del 2014 al Pertini di Roma una donna, Valentina Magnanti, dopo essere rimasta incinta scopre una malformazione al feto, decide di abortire, ma c’è il cambio turno, non sono presenti medici non obiettori, resta senza assistenza e abortisce nel bagno assistita dal suo compagno. Nel 2010 a Pordenone, una donna dopo una Ivg, rischia di morire con un’emorragia. La ginecologa in una sorta di delirio punitivo nei confronti della paziente, si rifiuta di intervenire nonostante l’aborto sia stato già praticato. Interviene il primario che salva la vita della donna. La ginecologa viene denunciata e condannata dalla sesta sezione della Corte Penale della Cassazione ad un anno di reclusione. Per fortuna non potrà più esercitare la professione medica.Quando si arriverà a mettere la parola fine a questa guerra misogina contro le donne? Le denunce ci sono, il problema della riemersione dell’aborto clandestino anche, eppure nulla si muove. Siamo il Paese dei muri di gomma, dell’ignavia, dell’omertà, delle menzogne. In questo Paese puoi batterti una vita per le porcate commesse o permesse dallo Stato in danno di cittadini e cittadine senza che dopo il clamore, o nonostante il clamore mediatico, nulla accada. E’ la palude dell’incoscienza e dell’immobilismo, dell’assenza di passione.Ora l’ospedale Cannizzaro contraddice le dichiarazioni dei famigliari di Valentina Milluzzo e sostiene che non ci sia stata negligenza. Avvenne così anche per Valentina Magnanti che al Pertini abortì in bagno senza assistenza. L’Ausl sostenne che fu solo un disguido causato da un cambio turno.Eppure una abortì in un bagno, senza assistenza, l’altra è morta di setticemia e i familiari puntano il dito contro l’obiezione di coscienza.

Ballo e sballo: il mondo delle discoteche racconta un’altra storia



Lo so che è un articolo vecchio è datato , ma come da titolo , vede ( ed almeno ci prova ) il mondo delle discoteche e dei locali da ballo sotto un altro aspetto che non solo l'equazione discoteca = droghe . 





da http://www.lavocedinewyork.com/news/primo-piano/ 13\8\2015 di Barbara Gigante

Ballo e sballo: il mondo delle discoteche racconta un’altra storia


In un'estate segnata dalle morti di giovanissimi e polemiche su droghe e discoteche, proviamo a dare un altro punto di vista, quello di chi, come il dj Claudio Coccoluto, nelle discoteche ha passato la vita (senza sballo) o di chi, come suo figlio Gianmaria, nelle discoteche ci è cresciuto (da sano), o di chi, come il buttafuori L.B., nelle discoteche ci lavora (e non è un pregiudicato). Per trovare soluzioni, lontano da giudizi e pregiudizi

di Barbara Gigante - 13 agosto 2015


Avremmo voluto ricordare diversamente l'estate 2015 che mischia alla salsedine dei litorali italiani un'insopportabile scia di morte. Sacrifici umani d'adolescenti o poco più, immolati sull'altare del divertimento o forse solo dell'incoscienza che la tenera età in cui hanno lasciato la vita di per sé comporta. Lamberto Lucaccioni, appena 16 anni, di Città di Castello, prende una pasticca di ecstasy mentre si trova nella discoteca più famosa d'Italia, il Cocoricò di Riccione, e mentre balla e si sballa muore. Era il 20 luglio, meno di un mese fa. Lorenzo Toma, diciottenne leccese, ci ha lasciato all'alba del 9 Agosto, dice l'autopsia, per una malformazione cardiaca, ma solo dopo esser stato al Guendalina, una tra le discoteche più famose del Salento. Tanto è bastato per far pensare si trattasse di un nuovo caso di morte per droga. Non lo era, ma passate poche ore, sulla spiaggia di Messina, viene rinvenuto il corpo ormai esanime di Ilaria Boemi, sedici anni anche lei. L'ultima cosa che ha fatto in vita sua è stata prendere una pasticca di ecstasy “cattiva”. Mancano gli esami tossicologici e forse di nuovo in fretta si cerca di bollare il caso. Allo stesso modo, però, se è vero che questi episodi siano diversi tra loro, sarebbe stupido ignorare un messaggio palese: gli adolescenti, anche se non tutti, muoiono per droga.
La polemica infiamma. Sotto il sole di Ferragosto, ognuno dice la sua sulle presunte responsabilità di morti così sciocche, così inaccettabili. Chi addita la società civile, chi la famiglia, chi se la prende con le istituzioni. La stampa italiana si è data alla pazza gioia: alla povera Ilaria Boemi non è stato risparmiato il setaccio su quanti piercing avesse in volto e come portasse i capelli, in un trionfo di qualunquismo misto a ignoranza che lunga la dice su chi dovrebbe aiutare a interpretare un mondo che invece gli è totalmente estraneo, di cui ignora i codici e i processi sottesi e per questo si permette una perentorietà che tanto somiglia alla boria degli stolti.
A guardare i fatti, un primo dato possiamo trarlo: il provvedimento che ha portato la questura a chiudere per quattro lunghissimi mesi estivi il Cocoricò di Riccione non sembra sia servito affatto a fermare la scia di decessi per abuso di sostanze stupefacenti. Con buona pace del senatore Stefano Pedica del PD, che, come riporta il quotidiano Libero, ha avuto la brillante idea di proporre la chiusura indiscriminata di tutte le discoteche in Italia per un anno, quella del locale romagnolo non ha risolto neanche un po' il problema dello 'sballo'. E' ormai evidente a tutti che sulle coste italiane da quel giorno non sia stata venduta o messa nel bicchiere di altri una sola pasticca di meno. Chi avesse dubbi circa l'inutilità di un provvedimento tanto miope, che altro non ha fatto se non bloccare un'azienda funzionante e prolifera della riviera, dovrà spiegare anche il perché quegli stessi spacciatori che la inquinavano non abbiano mai smesso di vendere pillole letali. 
La tendenza generalizzata è quella dell'associazione discoteca-droghe, come se bastasse allontanare i giovani da quel tipo di musica per metterli in salvo dal pericolo d'inquinarsi il sangue con le famigerate droghe pesanti. Un po' come dire che tutti i metallari sgozzano conigli o che prima della musica dance nessuno si sballasse. Dobbiamo davvero ricordare la diffusione a macchia d'olio dell'eroina negli anni '80? Sul serio serve far notare che tra le soavi melodie dei pacifici Beatles – quella che avranno nello stereo i genitori modello che in questi giorni si sgolano additando le famiglie degli altri – c'era una canzone dedicata all'LSD? Eppure non troverete la versione remixata di Lucy in the Sky with Diamonds sui dancefloor, a conferma dell'equazione discoteca = droghe.



Claudio Coccoluto in consolle a New York

Claudio Coccoluto, uno dei dj storici del Cocoricò e non solo, in queste ultime tre settimane si è speso in tutti i modi, dai giornali alla TV, per provare a salvare quella musica che anche lui produce da una semplicistica riduzione a strumento del demonio. “Sono cresciuto trovando nella musica il mio sballo personale, è sempre una questione di endorfine – afferma – mi sentivo bene a fare quello che facevo e ne ho fatto un lavoro. La verità è che quando uno si sballa la musica se la perde. Si perde un pezzo di creatività e un po' di se stessi. Impossibile, sotto effetto di droghe, cogliere tutte le sfumature che la buona musica ha dentro di sé. A farci caso la musica dei drogati è brutta, di pessima qualità. Quando a contare non è la musica, ma lo sballo, è la musica la prima a perderci”. 
Viene da pensare a Platone che ne la Repubblica aveva bandito la musica per far sì che i suoi cittadini modello crescessero senza distrarsi dalla buona polis. Era il IV sec. a. C., eppure pare ci sia chi la pensi ancora così. C'è da temere, in realtà, che seppure chiudessero tutte le discoteche del mondo, non ci fosse più un solo concerto, una sola performance musicale live sul pianeta, molto probabilmente, chi aveva deciso di farlo lo stesso, riuscirebbe a sballarsi a ritmo di canti gregoriani infiltrato in qualche chiesa. Ancora una volta non si vuol vedere, il pensiero di doversi prendere qualche responsabilità in più atterrisce chi di dovere. Meglio l'esemplarità della chiusura di un'azienda come il Cocoricò, meglio lasciare a piedi i suoi dipendenti e colpire il turismo locale, così da sedare l'opinione pubblica con una bella dose di morfina giustizialista e lasciare tutto com'è, aggiungendo alle droghe dello sballo i sonniferi per l'intelligenza.
Quello che d'interessante c'è nella parabola personale di Claudio Coccoluto non è solo la sua capacità di produrre musica apprezzata a livello internazionale lontano dalle droghe. Tra le discoteche ci ha anche cresciuto due figli. Sani. Il figlio maschio, Gianmaria, ha coraggiosamente scelto d'imboccare la stessa strada del padre, eppure non barcolla sbavando da una consolle all'altra.“Ho cercato d'indirizzare già da molto presto i miei ragazzi a un ragionamento su cosa gli accadeva intorno – spiega il dj – non puoi chiudere gli occhi di fronte alla realtà. Li ho portati con me a curiosare cosa facesse il padre a 13, 14 anni e ho sfruttato l'occasione per spiegargli cose che a chi è estraneo all'ambiente possono sfuggire”. Creare un dialogo, dunque, non demonizzare o far finta che il problema non esista, ma parlarne per rendere i propri figli capaci di una scelta consapevole.



Gianmaria Coccoluto in consolle

Gianmaria Coccoluto ricorda la prima volta che è entrato in una discoteca insieme al padre: “Mi piaceva molto l'aria festosa, mi è subito sembrata una cosa bella. Intrattenere gli altri con della buona musica mi è parsa una missione nobile”. Rispetto agli eventi drammatici dell'ultimo mese si è fatto una sua idea: “In Italia dovrebbe esserci non dico prevenzione, ma almeno informazione sul tema. Non se ne parla, ci si rifiuta di affrontare il problema come se discuterne equivalesse a diffonderne l'uso”. Quando gli si chiede se ha subìto una qualche forma di pregiudizio perché proveniva e apparteneva al mondo della notte, risponde: “La disinformazione e l'ignoranza creano discriminazione. Vige il pregiudizio di chi non immagina nulla di quanto accada nel mondo dei club. L'unica cosa che sanno fare è condannare, ma è perché non gli interessa sapere. Come con il tema dell'immigrazione, ci si ferma a un titolo di giornale, difficilmente ci si sforza di capire i processi che sono alla base del fenomeno”.
Sull'educazione dei figli da parte delle famiglie di oggi si è detto tutto e il contrario di tutto. Dai commenti sui social di ragazzi orgogliosi d'avere genitori cui debbono rendicontare ogni spesa, fino alla mamma di una delle vittime di ecstasy che chiede di spiegare ai ragazzi come assumere droghe nel modo più sicuro possibile: il ventaglio di opinioni in proposito è quanto mai ampio e colorito. Quella madre, però, non è completamente pazza: all'estero, in numerosissimi festival, piuttosto che fare i benpensanti preferiscono fare i realisti, addirittura allestendo banchetti per analizzare al microscopio le pasticche che i giovani vogliono ingurgitare, in modo da salvarli almeno da quelle tagliate male. Questo in Italia non è che non si può fare, non lo si può manco dire, perché per l'opinione pubblica equivarrebbe a mettergli di proposito un po' di MDMA nel bicchiere, come se quelli che non si drogano non lo facciano perché ne ignorano l'esistenza. 
Contemporaneamente, un certo prurito a sentire le esclamazioni di certi figli modello effettivamente viene: “Mia madre a quell'età mi tirava due sberloni se facevo tardi” e bla bla bla, riporta uno dei tanti commenti Facebook a un link di Repubblica sull'argomento. Che qualcuno faccia tutto quello che dicono mammà e papà, fiero di essere preso a botte in caso di contraddizione, difficilmente basterà a rendere conto di una società sempre più liquida e complicata, in cui la perdita di verticalità nell'educazione viene stupidamente additata come il problema. Anziché prenderla come una possibilità di sostituire il dialogo all'imposizione, sviluppando un'educazione in orizzontale, viene avvertita come una perdita di autorità nelle famiglie. Saranno quelle stesse famiglie in cui al divieto di uscire con un ragazzo si rispondeva facendosi mettere incinta per scappare di casa? Dopo la nostalgia del ventennio fascista dobbiamo davvero sopportare anche quella di una forma educativa obsoleta e improduttiva che tanto lo ricorda? Il viziatone di turno, il figlio di papà coi soldi in tasca, insensibile ai sacrifici e sconsiderato nei comportamenti, è sempre esistito. Sicuramente un atteggiamento lascivo e disattento da parte degli educatori non aiuta, ma sembra altrettanto ridicolo invocare l'ipercontrollo o scaricare sulle famiglie la totale responsabilità di quello che accade al loro esterno. Se è vero che l'adolescenza è una di quelle epoche della vita in cui, per partito preso, si è totalmente in disaccordo con le figure procreatrici che si cercano di contrastare, è altrettanto vero che tenere il fanciullo in una fase d'infanzia perenne, postdatando il momento in cui deciderà di fare di testa propria, non farà che ritardare a sua volta il tempo della maturità, la quale non può che seguire alla messa in discussione del dogma genitoriale, e meno male! Altrimenti se mamma spara con la lupara dovrei farlo per forza anch'io, perché non sono stato capace di fare quel salto, quello scarto dato dalla messa in discussione del mondo che i nostri genitori, ritenendolo il migliore possibile, hanno creato per noi. 
Sarebbe il caso di smettere di puntare il dito esclusivamente sulle famiglie, come ha fatto l'ormai celebre (e dimissionario) sindaco di Gallipoli Francesco Errico, twittando “Se le famiglie esercitassero un po’ più di controllo sui figli non morirebbe un 18enne la settimana in disco. Se non sai educare non procreare”. Forse costerebbe troppa fatica a un sindaco pensare che spetti anche a lui trovare il modo di interessare i ragazzi che vivono nel suo comune con attività ricreative che li distolgano dal cercare se stessi in una pasticca che pompa serotonina. Che si debba essere felici in un modo concepito in laboratorio è non solo inquietante, ma dovrebbe aprire mondi di riflessioni sul perché la vita stessa non sia più in grado di rendersi appetibile agli occhi di giovani sempre più apatici, continuamente annoiati perché non stimolati alla creatività. Il cervello serve a quella: tolto lo stimolo a produrre, di neuroni se ne hanno fin troppi, tanto vale eliminare quelli in eccesso con una bella pasticca.
Oltre la famiglia e la città c'è però lo Stato. E qui si apre un altro burrone senza fondo. Una cosa sembrerebbe ovvia: lo Stato legifera. Orbene, dove sono queste leggi? Quelle basilari, che ad esempio dovrebbero mettere in condizione un locale di escludere la presenza di minorenni al suo interno. Se lo chiede L. B., da più di 20 anni responsabile della security nei locali, ma anche negli stadi e per qualche anno appartenente alle forze dell'ordine (e che ci ha chiesto di rimanere anonimo). “Non è cambiato nulla rispetto al passato – spiega, forte dell'esperienza accumulata sul campo dal 1989 –L'unica legge in proposito è il decreto Maroni del 2009. Una legge incompleta e approssimativa, poi mai più modificata. Quella fu una prima timida operazione per cercare di mettere ordine nei locali. Da allora, l'ex buttafuori è diventato operatore della sicurezza e dovrebbe evitare che la droga entri nei locali ma il decreto non dice come. Il buco legislativo è evidente, non ci mettono in condizioni di fare una perquisizione, non siamo degli incaricati di pubblico servizio. Servirebbe una delega speciale”. Dunque l'addetto alla sicurezza c'è, ma di fatto non può fare nulla per contrastare l'entrata di droghe in una discoteca perché la legge non glielo consente. Come aggravante c'è che rischia personalmente non solo la propria incolumità, trovandosi spesso a separare ubriachi in rissa, ma anche giuridicamente, dal momento in cui, se nel tentativo di riportare l'ordine lascia un segno visibile sul corpo di un cliente che si azzuffa, deve pure rispondere di aggressione privata. “Il risultato è che, contrariamente a quanto previsto dalla legge, i buttafuori sono spesso pregiudicati, perché sono quelli che si fanno meno scrupoli a mettersi in mezzo a situazioni limite – spiega L. B. – con l'aggravante che proprio perché già a contatto con l'ambiente criminoso siano proprio loro a consentire le piazze di spaccio nei locali”. 

Non per fare gli esterofili a tutti i costi, ma possibile che in Italia non si riesca a chiedere uno straccio di documento all'ingresso, mentre in altri Paesi europei l'addetto alla sicurezza è considerato un pubblico ufficiale? Rimettere mano al decreto Maroni sarebbe già qualcosa, per quanto non risolverebbe un problema di alienazione giovanile sul quale occorre interrogarsi più approfonditamente e che non necessariamente passa per le droghe, ma può riscontrarsi anche nell'abuso di legalissimo alcol. Dopo il ricovero al Perrino di Brindisi di quattro minori in coma etilico, il direttore dell'ASL di Lecce, Giovanni Gorgoni, ha tuonato: “Chi beve non è figo è un coglione”. Niente, non ce la possono fare. Appena c'è un problema tirano fuori la bacchetta e iniziano a spartire le acque tra i buoni e cattivi, di qua gli alcolizzati, di là i ragazzi dell'azione cattolica, senza mai una volta chiedersi il perché delle cose, senza che l'eco delle loro parole vuote abbia la minima risonanza su una realtà che va da tutt'altra parte.
  1. Non si finirà mai di parlarne, né di sparare a caso su argomenti che non si vuole neanche provare a cogliere da punti di vista alternativi a quello di partenza. Una cosa però la si può provare a chiedere: salvate la musica, tutta, anche quella che dite non sia degna d'esserlo come la musica da discoteca! Lasciatela stare. Non solo non c'entra nulla, ma potrebbe invece aiutare a salvarsi. “La gente non capisce il mondo delle discoteche perché non vuole capirlo – spiega Coccoluto padre in una delle sue uscite più efficaci – gli rimprovera l'assenza di dialogo che è invece la sua ricchezza. Ci sono moltissimi tipi di linguaggio, non c'è solo quello verbale. In discoteca non si parla, sento ripetere continuamente. Ma è proprio questa la sua bellezza: lasciare spazio ad altre forme di comunicazione, come il body language che non è una chiave di decifrazione della realtà meno nobile della parola. La gente davvero non sa cosa si perde!”.

18.10.16

Madrid, a 71 anni il primo tatuaggio: l'amore eterno è sulla pelle

ma è possibile che un sito o un giornale in questo caso quando raccontano una storia


Il protagonista di questa storia è un 71 enne di Madrid che ha deciso di ricordare la moglie morta da poco in un modo molto speciale. "Mi tatuate questa dedica?", ha chiesto il signore entrando al "Gotham Tattoo", uno studio di tatuaggi madrileno. I tatuatori hanno pubblicato un breve video sull'account Instagram dello studio raccontato questa incredibile storia
 https://goo.gl/1fgq9v ) ,


che non sia di cronaca nera o di violenza ed abusi scrivano articoli fotocopia . come dice l'estratto 


sotto riportato di un famoso film di Nanni Moretti ( una volta tanto concordo con lui )

16.10.16

curare \ ridurre la depressione senza uso ( se non in casi eccezionali ) di farmaci ed antidepressivi

In attesa che si placassero le polemiche e trovare ( soprattutto le parole adatte per parlare di tali argomenti senza venire accusato di lanciare accuse d'insensibilità ( vedere discussione sula mia bacheca ) verso tali tematiche, ho deciso di parlarne solo ora ,dopo un periodo d'ibernazione
A  farmi cambiare  idea    sono  stati   : 1  )  quest'articolo e  questo video  su  Piero cipriani  ., 2)  la  canzone  (  che    sto sentendo in sottofondo   con spotfiy mentre  scrivo  il post  )   le  storie che  non conosci   di  Samuele Bersani - Pacifico   e   questa   cover  di Bob Dylan



 che sentite  e sentirete  ancora  riecheggiare   sui media   ufficiali  e  non   fino al   10  dicembre  ovvero quando  sarà consegnato    il  nobel  ( non   sto a  dilungarmi  troppo  le  rispettive polemiche ,   su pro e  i contro     che  esso  ha  suscitato  , ne  dirò   da  che  parte  sto   anche  se  chi  legge iil  blog  e  i  interventi  su  facebook   sà  che  sono  fautore  del sincretismo culturale  e   della  contaminazione delle  arti  e  quindi lo capirà ) a  Bob  dylan  il premio nobel  per la letteratura  del  2016  .

Ora  dopo questo  spiegone  vediamo  di chiarire   il mio pensiero già  espresso    nella  discussione avvenuta  sul  mio  fb  (   collegamento righe  precedenti  )




Io non volevo   come sono stato accusato  anche  molto  duramente   d'offendere  chi  chi ne  soffre   ,  ne ha sofferto  in maniera    diversa  e\o più o  meno ciclicamente    ne esce  e    e   ci  ricade  (  come il  sottoscritto  )
Ovviamente  dipende  da  caso a caso  per  me    o per  altri  tali metodi   senza  medicine  funzionano   e  me  li attenua  (  perchè  io  ,  da profano  penso  che  tali problemi  siano per  sempre  )  altri  non  funziona  ed   hanno bisogno anche  del supporto di tali medicine   . come  queste    testimonianze  . La prima presa  dal mio post


le  altre  due  dalla

Il filosofo-casaro nel cuore del Texas fa il formaggio con le ricette friulane


da http://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca/ del  16 ottobre 2016

Andrea Cudin, pordenonese, ha aperto una latteria di Moulton. Il suo miglior cliente è il MasterChef Luca Manfè


PORDENONE.
C’è un angolo di tradizioni friulane nell'immenso Texas. Un puntino bianco nel verde sterminato. L'ha creato Andrea Cudin, quarantaquattrenne pordenonese, a Moulton, un paese di un migliaio di anime, tra Houston e San Antonio.
Aveva una carriera accademica a portata di mano, in Italia, fatta di studi, di pubblicazioni e di conferenze. Invece ha lasciato da parte la vita da ricercatore precario per inseguire altre passioni a lui più care: l'amore per Jillian, prima di tutto, una ragazza americana conosciuta a Venezia e corteggiata a lungo, e poi i sogni adolescenziali di una creatività legata alla trasformazione dei prodotti alimentari, in particolare il latte.
«Mi ha sempre attratto il formaggio - spiega Cudin - che per me, da bambino, era oggetto di mistero. Mi interessavano i sistemi di lavorazione manuale di quella massa bianca, la capacità di modellare forme assai diverse le une dalle altre, il fascino della materia che si trasforma. Questa non è filosofia? Perché mai, allora, un simile incrocio tra amore e sapienza dovrebbe essere limitato a una trasmissione delle conoscenze esclusivamente nel chiuso delle aule universitarie o nei salotti di pochi intellettuali? Il sapere può essere anche un valore intrinseco nella cultura dei gesti e della manualità del lavoro».




Il nuovo mestiere. Che cos'ha fatto Cudin per intraprendere questo percorso di vita? Semplice. Si è messo a studiare da autodidatta sperimentando per un paio d'anni l'arte di ricavare dei buoni prodotti dal latte. Ha fatto prove concrete a casa abbinandole con alcuni corsi online di chimica e di biochimica.
Ha imparato a creare e gestire siti web per poter sperimentare tecniche di marketing e di e-commerce. Ma l'apprendimento per molti versi teorico non era sufficiente senza un'applicazione pratica. Così ha frequentato latterie e caseifici friulani, lavorando soprattutto a Savorgnano, sotto l’attenta regia di Massimo De Giusti suo primo maestro, e a Pradis con Narciso Trevisanutto. E proprio tra le montagne clauzettane ha incontrato Ignazio, il pastore sardo che gli ha insegnato il segreto della ricotta, in una gelida alba autunnale. Alla fine, è riuscito a mettere assieme due forti pulsioni: quella dell'Homo faber (mani intelligenti che seguono tradizioni antiche) con quella dell'Homo digitalis (capacità innovative e informatiche).




Vita tra le mucche. Così il filosofo-casaro, che ama definirsi “artigiano del formaggio”, era pronto per l'avventura americana, non in uno Stato qualsiasi, ma nel Texas che è considerato “il ventre degli Usa, la sua carne viva”. La Stella solitaria, come lo chiamano, è tormentata da profonde diseguaglianze sociali in una terra di agricoltura e di petrolio, di allevamenti e di alta tecnologia, di ricchezze ostentate e di povertà neanche particolarmente nascoste. Il Texas è un Paese conservatore tanto da essere la cassaforte elettorale di Donald Trump.
Da alcuni anni Andrea Cudin vive con la moglie e i due figlioletti a Victoria, a un'oretta di strada da Moulton, là dove ha stabilito la sede della sua micro-impresa nel cuore di una fattoria, che è di una famiglia proveniente dalla Moravia (una regione della Repubblica Ceca).
«I proprietari sono in Texas da quattro generazioni. Hanno messo in piedi un'aziendina - spiega Cudin - che campa con l'allevamento di circa 300 mucche Jersey. La struttura è immersa in una zona leggermente ondulata. Bellissima. Ci lavorano sei dipendenti messicani. Le dimensioni però sono molto piccole per quel tipo di attività che sono prevalentemente in mano a potentissime cooperative.
Ma nelle nicchie del settore si può resistere. Ovviamente, per sopravvivere la fattoria cerca di vendere latte di alta qualità per fare il formaggio, potendo solo così strappare un prezzo superiore alla media imposta dal mercato.





Dopo un'attenta analisi, mi sono inserito in questo contesto molto competitivo. Con me lavorano mia moglie e un aiutante. I padroni mi hanno costruito la latteria e io pago l'affitto dei locali. Abbiamo risolto ogni rapporto con un accordo alla texana, fatto da una stretta di mano, senza contratti scritti. Le attrezzature invece sono mie. D'altra parte, qui ti accompagna la banca interessata al progetto».
La rete di vendita. Le tecniche di lavoro ricalcano scrupolosamente le esperienze maturate: formaggio di vari tipi, mozzarella, caciotta alle erbe e al pepe, ricotta (molto richiesta quella affumicata con il legno di pecan, che sarebbe il noce americano) e, ultimamente, anche burrata.
«Nella trasformazione della materia - spiega Cudin - ci metto le tradizioni apprese nei caseifici friulani. Da molto lontano si coglie meglio il valore dei prodotti di casa nostra. Non avrei mai avviato un'attività senza quel tipo di maturità che mi sono fatto lavorando nei laboratori. Sono ancora in contatto con alcuni bravi professionisti. Ivan Novelli, capo casaro di Venzone, è venuto qui a Moulton: mi ha insegnato un sacco di cose. Lo consulto spesso, come faccio con Federico Ranieri, che vive a Ugovizza dopo aver girato il mondo, e con gli amici di Pradis».
E' salito così il suo livello di specializzazione. Dovendo puntare tutto sulla qualità, Cudin si sente più come un casaro di malga che di latteria, attento all'essenziale nella lavorazione per far risaltare al massimo i sapori. Dopo l'avvio dell'attività, è arrivata anche la decisione del marchio, “Lira Rossa”, che si richiama al titolo di un vecchio libro di poesie di Guido Piovano scritte nei tempi della Prima guerra mondiale: «Non ci sono particolari motivi dietro quella scelta, se non il fatto di aver trovato il volumetto nella camera di mio nonno, al quale ero affezionato. E' un suo ricordo».
In prima pagina. Il segno del buon momento aziendale è dato dall'interesse più volte dimostrato dal giornale della zona, “The Moulton Eagle”, con tanto di articoli e foto in prima pagina: un riconoscimento di popolarità per un friulano in terra texana, che mantiene però salde le sue vecchie radici come può testimoniare la bandiera con l'Aquila patriarcale tra i macchinari del laboratorio. «
E' stata una sorpresa - commenta Cudin - scoprire che tra friulani, qui nel Texas, c'è un senso di appartenenza a una comunità con valori condivisi. Ci sono amicizie e collaborazioni, per esempio come quella con Luca Manfè, originario di Aviano, vincitore del MasterChef Usa. Ha vinto per le sue qualità professionali, ma anche perché è riuscito a stregare gli States con il frico fatto a modo suo. Ora lavora a Houston ed è il mio cliente più importante. Ha messo nei menù un piatto di ravioli che rifinisce sempre con la mia ricotta affumicata, la quale riassume meglio di altri la strana vicinanza tra il Texas e il Friuli. Il sapore, forte e dolce, piace molto. E' il più “povero” di tutti i prodotti della latteria, eppure è quello che metto sul mercato al prezzo più caro».
Attività del Fogolar. I friulani hanno costituito una rete che si alimenta con le attività del Fogolar Furlan Southwest di Dallas. Il presidente è Gaetano Fabris, di Percoto. Il vice è Andrea Cudin, che rischia così di aprire un contenzioso diplomatico con l'altra associazione, l'Efasce, di emanazione pordenonese. Lui taglia corto:
«Dai, non scherziamo! Che senso ha andare in giro per il mondo con due enti che rappresentano un numero limitato di espatriati con un'unica identità. Io chiuderei tutti in una stanza e non li lascerei uscire fino a quando non si sono messi d'accordo. Avevo già espresso l'idea di un'istituzione pilota che rappresentasse entrambi qui nel Southwest, in modo da avviare il dialogo».
E com'è finita? L'offerta è caduta nel vuoto. Risultato: nel Texas si fanno le prove tecniche di unione, mentre in Friuli si difendono i confini territoriali tra enti che hanno le stesse finalità.

15.10.16

fare circo senza animali è possibile ? se si vuole si

un circo può essere  senza  animali  ?  secondo me   si

http://www.circo.it/cirque-du-soleil-senza-animali-solo-per-scelta-artistica/  ci prova
http://www.panorama.it/scienza/animali-natura/nando-orfei-circo-senza-animali/  ci ha  provato


da http://www.galluranews.org/


Tempio Pausania, Nasce su facebook una pagina per il NO alla presenza degli animali in gabbia nei circhi.




archivio immagini google - www.pescarewebtv.it

Tempio Pausania, 9 ott. 2016-
La sensibilità verso il mondo animale è aumentata in maniera esponenziale in questi decenni. Sempre più cresce l’attenzione per la loro tutela e anche le leggi si sono adeguate in risposta alla domanda di inasprimento delle stesse contro la sofferenza degli animali, privati spesso del loro habitat, della loro natura e della libertà di essere considerati alla pari di qualsiasi essere umano. Questo determina un immediato parallelo tra uomo e animale, non considerati uguali nel rispetto. Se ci si indigna per un maltrattamento verso un nostro simile, non altrettanto questo accade quando ad essere vittima è un animale. Eppure, animali e uomini sono uguali nelle specificità, nei sentimenti, nelle sensibilità. A loro manca la parola, il resto è proprio uguale a noi. Ciononostante alcune spettacolarizzazioni degli animali, come la loro presenza nei circhi, viene vista come normale, come se quello deve essere il loro ruolo,essere asserviti alla nostra volontà facendo a meno della loro natura che viene sottoposta a indegne presenze nei circhi equestri. Equestre poi! Certo, un tempo si chiamavano così perché gli unici animali presenti erano i cavalli da sempre animali domestici che ben volentieri si possono educare e addestrare ma per tutt’altro motivo. Poi, per il resto del loro tempo vivono all’aria aperta e in spazi consoni alla loro superba intelligenza. Il cavallo e le tigri però hanno nature diverse, o no?  Gli animali in gabbia, quelli feroci e quelli selvatici, invece destano qualche perplessità, perché non vivono nel loro habitat e sono assoggettati ad un mondo che certo non vorrebbero.Mio figlio aveva appena due anni quando lo portai a vedere lo zoo di Roma. Passammo in rassegna tutti gli spazi di quel posto e lo spettacolo fu quello di vedere animali tristi, sradicati dall’ambiente del quale il loro DNA chiedeva necessità. Erano silenziosi, assenti, persino un orso polare a maggio cercava una ragione per trovarsi lì, a 30 gradi, anche se il suo ambiente era tenuto fresco. Ne ricevette lui, mio figlio, ed io la stessa impressione. Non ci era sembrato giusto che esistessero quelle realtà che non rispettavano la natura degli animali presenti, anzi era una vera e propria violazione. Ricordo solo che mio figlio non ebbe alcuna sensazione di gioia.
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Peggiore la situazione degli animali nei cosiddetti circhi, dove vengono rinchiusi in gabbie, al buio spesso, senza cibo o contatti con il loro mondo che non è certo una passerella per spettatori plaudenti e gioiosi. No, non è e non sarà mai uno spettacolo gioioso uno spettacolo del genere.Su facebook, appena saputo che il 14 ottobre prossimo ci sarà il primo dei tre giorni di spettacoli di uno dei circhi più famosi d’Italia, il Dario Togni, si è aperta una pagina per boicottare questi spettacoli, No al circo con animali in gabbia, intesa proprio per diffondere delle notizie che aiutino gli indecisi, direi coloro che gli animali li rispettano, che nei circhi non devono esserci animali. D’altronde, ne esistono di alternativi e sono quelli che vanno per la maggiore. Vi si esibiscono acrobati, equilibristi, clown, e tutte le altre figure che tendono a stupire lo spettatore senza farlo sentire male come per quei poveri animali che hanno una storia alle spalle che, ne siamo certi, ha poco di umano e nulla di rispettabile.No quindi agli animali nei circhi e no a questo spettacolo di Tempio del prossimo venerdì. La pagina che potete aprire al link in rosso qui sopra, chiede anche il vostro consenso per allargare la voce di dissenso a questo spettacolo indecoroso. Sosteniamo sempre la libertà per tutti, animali compresi, specie se questi ultimi non nascono per stare in una gabbia. Chi sostiene il contrario provi a starci dentro una gabbia per il resto della sua vita.
Antonio Masoni


  sotto  le  mie  foto    dell'eventi. organizzato dalla   Moviment'Arti   di  Daniela tamponi e  dall'associazione  noi  veg  di  tempio pausania  



















e  questa mia    slide fotografica     di spettacoli circensi \  artisti di strada  organizzati dalla classe  1971  per la festa patronale  quest'estate 

13.10.16

quei genitori che difendono i figli anche dasvanti all'evidenza dovrebbero vedere e fasrsi un esame di coscienza il film I NOSTRI RGAZZI di Ivano De Matteo

ho appena finito di vedere Un film



che molti genitori dovrebbero vedere e farsi un esame di coscienza visto che non sanno o peggio minimizzano , quello che fanno i loro figli \ e . E poi quandi succede qualcosa che vede coinvolti e protagonisti i loro figli , o c'è qualcuno ( insegnanti o altri genitori ) gli fanno notare o semplicemente li rimproverano , li difendono a spada tratta fidandosi troppo delle loro versioni e scarica...no qualora l'atto e stato fatto in branco ( gruppo ) scaricano la responsabilità su gli altri amici \ che o peggio ( vedere i recenti fatti di cronaca nera e criminale ) sulle vittime delle loro violenze , anche se le prove a loro carico sono schiaccianti ed evidenti . O peggio li lasciano a libero pensiero e senza freni inibitori e senza regole .Ovviamente senza generalizzare . Anche se è sempre più difficile non farlo visto il crescente aumento di deviazione giovanili , del bullismo , criminalità minorile , consumo precoce di alcool e droghe , ecc

12.10.16

Street Food, a Bolzano arriva la vegan bike ed altre storie vegane

Anticipo e  brucio su i tempi  coloro  che mi diranno  : 1)    e passato  alla moda  vegana ., 2)  rinunci alla tua  identità  alimentare  per una cosa  non tua  , 3)  ti sei adeguato al sistema  , ecc .
Io non sono  vegano   (   troppi  sacrifici e troppe  rinunce oltre ad uno stile  di vita troppo  rigoroso e  ferreo  )  ache  se  ogni tanto     faccio pranzi  \  cene  con amici   vegani e    vegetariani (  ne  ho parlato qui nel  blog     da  qualche  parte  )   o mangio se  capita senza  fare lo schizzinoso    anche loro   cibi   e pietanze ,     ma  sono   onnivoro perchè limitarsi e   \o fissarsi  su  un determinato   alimento  è come non mangiare o mangiare  solo  cibo  " imposto "  \  standard   vedi Mc Donald e  simili   .  E'vero   che al  giorno  d'oggi   è diventata  un moda  ,   come  succede  a  tutto  il pensiero e l'arte cioè si nasce incendiari e   si finisce  pompieri   e  raramente  si resta   come   si  in origine  ,  ma   non è il mi caso  e\o  di persone  che  conosco   .  Dopo    questa premessa  mi  scuso  per  la lunghezza veniamo al post  d'oggi  









Street food, ma vegano. Kebab vegetariano con la maionese, ma sano. Il progetto "Vegan Bike" ideato da Manuel Biteznik è una sintesi di concetti che sembrano agli antipodi. È questo il segreto di un'idea che sta funzionando nelle varie piazze del centro città a Bolzano. Un piccolo tour giornaliero che lo porta a spostarsi ogni ora






Forest Green Rovers, in Inghilterra il primo club di calcio totalmente vegano
          
         
Forest Green Rovers, in Inghilterra il primo club di calcio totalmente vegano








E' capolista nella quinta divisione inglese, il suo stadio è completamente biostenibile e dal 2011 ha radicalizzato la scelta di non servire più carne ai suoi tesserati, eliminando dal menu anche tutti ii prodotti di derivazione animale.
“Andate in campo e mangiate l’erba”: è proprio questo il motto della squadra Forest Green Rovers, club di Conference, la quinta divisione inglese (la nostra Eccellenza), il primo ad essere completamente e orgogliosamente vegano. La squadra, già dal 2011 aveva eliminato la carne dal menù servito ai giocatori prima delle partite, ma adesso il cambio è stato più radicale, via tutti i prodotti di derivazione animale. La scelta vegan non coinvolge soltanto i giocatori ma vuole sensibilizzare anche i tifosi e gli addetti ai lavori. Perché il calcio pur essendo passione, grinta e lavoro a volte fa rima con innovazione e cambiamento.
squadra vegan 1
https://www.greenme.it/vivere/sport-e-tempo-libero/18235-squadra-calcio-vegan

http://veggoanchio.corriere.it/2015/11/03/
Mentore e artefice dell’iniziativa è il proprietario del club, Dale Vince, 54 anni, imprenditore per altro molto attivo nel settore dell’ecologia e naturalmente vegano. Il passaggio a questa nuova filosofia di vita ha portato a inserire il verde non soltanto nei piatti ma anche nelle maglie da gioco (la divisa prima era bianconera mentre ora è neroverde). “Il divario tra cibo vegetariano e vegano è in realtà molto piccolo – spiega Vince – Il nostro per esempio era già in parte vegano ma in questa stagione abbiamo scelto di eliminare anche latte e derivati di pesce”. Sebbene il palmarès del club, fondato nel lontano 1890 non sia ricchissimo, meriti sportivi a parte, tre anni fa il Forest Green ha raggiunto il gold standard Eco-Management and Audit Scheme per le prestazioni ambientali. La svolta “green” della squadra, non si limita comunque al cibo: lo stadio, il The New Lawn con sede nella cittadina di Nailsworth è alimentato con pannelli solari e ha un campo di calcio di erba organica dove non vengono usate sostanze chimiche e per l’irrigazione ci si basa su un sistema di raccolta dell’acqua piovana.
“L’industria di carne e latticini è la responsabile maggiore delle emissioni, più di tutti gli aerei che circolano sopra alle nostre teste – dice il patron dei Rovers – Cosa più grave tuttavia è la crudeltà verso gli animali che ne consegue, con numeri di produzione impressionanti e assurdi” conclude Vince. La dieta vegana sino ad ora sta portando i suoi frutti e la squadra è prima in classifica, un punto sopra agli odiati rivali del Cheltenham Town.

In piazza Duomo a Firenze la bottega dei colori che resiste al mangificio., Il negozio di vinili che dice no al Black Friday: «Clienti da tutta la Toscana, il nostro segreto è la roba popolare»

 Corriere della Sera In piazza Duomo la bottega dei colori che resiste al mangificio In questi anni hanno visto la città intorno cambiare, ...