28.10.18

non credevo chi cercasse di stabilire la legalità sia razzista

Nicolai Lilin
Nicolai Lilin ha raccontato in un post sulla sua pagina Facebook una disavventura in cui si è trovato nella metropolitana di Milano:
“Stamattina ho preso la metro, cosa che faccio spesso perché a Milano è un mezzo utile ed efficace.Alla Stazione Centrale sono saliti un uomo e una donna che seguivano una giovane ragazza straniera che trascinava tre valigie e aveva una borsa a tracolla.Quando il treno è partito l’uomo ha spinto la ragazza, fingendo di non averlo fatto apposta, mentre la donna ha sfruttato il momento e abilmente ha tirato fuori dalla borsa della ragazza il portafoglio.Tutto è accaduto di fronte a tanta gente che non ha capito cosa era successo, oppure non ha voluto capire.Ho bloccato la donna, chiedendo di restituire il portafoglio rubato, in tutta risposta ho ricevuto una valanga di insulti in pessimo italiano inaspriti con una serie di frasi estirpate da una lingua a me ignota.Ho strappato il portafoglio della ragazza dalla mano della donna (che cercava di nasconderlo in una tasca interna della sua lunga gonna). In quel momento è intervenuto l’uomo, bloccandomi il braccio con il portafoglio.Ho allontanato l’elemento con tre sonori e generosi schiaffi dritti in faccia, così che dopo il terzo ha perso l’equilibrio e ha sbattuto contro la porta.Alla fermata Gioia ho buttato fuori a calci quei due dal treno, accompagnando la cosa con qualche parolaccia in russo, per non offendere la sensibilità di altri passeggeri.Nessuno dei presenti è intervenuto per difendere la ragazza e affrontare quegli schifosi ladri. Eppure penso che a nessuno piace essere derubato.Solo una signora ucraina seduta poco lontano mi ha detto con certo sollievo e approvazione: “Finalmente le hanno prese!”. Probabilmente viaggiando spesso su quella linea di metro conosceva bene quei due.

“Fascista!”

Mentre la ragazza straniera mi ringraziava in un inglese appesantito dalle rigide cadenze nordiche, con mani tremanti sistemando la borsa e controllando le valigie, ancora scioccata dal “benvenuto” che ha ricevuto dalla nostra splendida Milano, dietro alla schiena ho sentito il commento della giornata: “Fascista!”.Non ero sicuro che fosse diretto a me. Mi sono girato e ho notato un uomo sulla quarantina che si atteggiava da ragazzo giovane, con gli occhi annebbiati probabilmente per via di qualche vizio, vestito come alcune star musicali moderne, quelli che spendono un mare di soldi per apparire disagiati. “Mi scusi?” – ho chiesto io incredulo. “Potevi anche fare a meno di picchiare quel poveraccio, fascio!” – mi ha risposto lui convinto, con un tono irritato.“Se tu sai come si affrontano i ladri nei mezzi pubblici in maniera corretta, perché allora non sei intervenuto tu?”“Sono anarchico, per me ognuno sopravvive come vuole.” Ho sorriso, perché per la prima volta in tanto tempo mi è venuta una sana voglia di spaccare la faccia a qualcuno.Quel sentimento stupido, animalesco, rozzo che spesso accompagna i figli delle periferie che per la mancanza di occupazione si dedicano alle lotte per il territorio che hanno qualcosa di ancestrale, tribale, primitivo.Ho sentito sprigionare nel sangue cosi tanta adrenalina da poter saltare con il sorriso beato addosso all’uomo più grosso, più cattivo e anche bene armato.Credevo che quel sentimento fosse rimasto sepolto nel mio passato per sempre, che diventando uomo, marito, padre i miei sensi del dovere lo avessero cancellato per sempre.Invece niente da fare, eccolo qui, serpeggia nelle vene, vuole liberarsi. Si sente come i pugni si stringono tanto da far male alla pelle tirata sulle ossa.

Nicolai Lilin zittisce l’anarchico

Ho fatto un profondo respiro. Ho guardato il mio interlocutore con compassione, come mi insegnava a fare mio nonno quando dovevo affrontare persone che mi giudicano.“Se ti definisci “anarchico”, allora dovresti conoscere un tale Nestor Mahno, quello che aveva fondato la prima repubblica anarchica in una regione dell’Ucraina, quello che ha dato la terra ai contadini prima di quando i bolscevichi crearono il loro famoso motto “terra ai contadini”, quello che ha costretto i grandi imprenditori ad abbassare l’orario di lavoro ai lavoratori, contemporaneamente alzando di cinque volte il loro stipendio da poveracci, quello che ha fondato gli asili e le scuole gratuite con le mense gratuite per i bambini dei contadini e dei lavoratori. Quello che ha cercato di cambiare in meglio la società nella quale era nato e cresciuto. Hai mai sentito parlare di lui?”Un segno negativo, la testa leggermente scossa e l’espressione che urlava “non mi importa di quello che dici, tanto la ragione ce l’ho io, la tengo qui, in tasca, incastrata tra tutta questa erba.”“Quando qualcuno dei suoi soldati rubava qualcosa ad una singola persona, lo fucilavano immediatamente. Lo facevano perché il senso dell’anarchia è costruire un sistema sociale privo di governo centrale, ma non privo di regole.”Il mio interlocutore non ha fornito alcuna risposta, perché alla fine del mio discorso siamo arrivati alla Stazione Garibaldi e lui è saltato fuori dal treno, svanendo nel fiume di persone.Io ho accompagnato con lo sguardo la sua testa ricca di capelli disordinati e sporchi, pensando che noi viviamo in un tempo di enormi, giganteschi distrazioni che, probabilmente, generano la superficialità mai vista prima.

Nicolai Lilin ‘fascista’ e l’anarchico

Così uno che si espone per difendere una fanciulla dai ladri diventa un fascista, mentre colui che lo giudica è uno anarchico.Probabilmente quando Alice tornava dal Paese di meraviglie ha scordato di chiudere la porta.”Nicolai Lilin è un famoso scrittore russo, autore del romanzo Educazione siberiana, trasportato anche sui grandi schermi con la regia di Gabriele Salvadores.

L'incontro. Agnese e Adriana, la forza di uscire dalla prigione del rancore


Risultati immagini per a volte il passato viene a cercarti per  chiederti  di  fare  pace
L'articolo    che  segue    mi ha  riportato  alla  mente  ,  non so  se  comprarlo  o  meno ho  la stanza  troppo piena  di  libri e di  cd   devo decidermi a  fare  un ripulisti  e  regalare  a mercatini di riciclo   o  lotterie   delle feste   qualcosa  ,   questo   fumetto  ( foto  a  destra  )    sfogliato da poco in libreria e la  sua  frase   sula  quarta  di copertina  : <<   A  volte  il passato   viene  a  cercarti  per  chiederti di  fare  pace  . E se  l  ignori  t'intrappolerà  per sempre  >> . La  " storia    che  vi apperestate   a  leggere  presa dal sito https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/  trovata     tramite l'interessnte   sito in particolare     la sezione https://www.alganews.it/category/storie/   trovato   sulla bacheca  (  non riesco  a   smetterla  di   condividere   e  di leggerla nonostante  abbiamo litigato   tanto  da   farmi dire  : << [...]  Inutile richiedere l'amicizia. Ormai per me non esisti più >> ma  vent'anni di  frequentazioni    \  scambi ,  divergenze, ecc  cos e che    mica    si rimuovono  o scompaiono  dall'oggi a  domani  )  facebook   di una  delle prime  se  non addirrittura   la prima compagna di strada  Antonella  Serafini  di  www.censurati.it 






Maurizio Patriciellosabato 20 ottobre 2018


La storia fa da sfondo. Anche il nome di Aldo Moro non viene quasi mai pronunciato. Adriana lo chiama il «papà di Agnese». A sua volta Agnese ricorda solo i nomi degli uomini della scorta trucidati in via Fani il 16 marzo del 1978. Hanno accettato di venire, queste due signore, a Sant'Agata dei Goti, nel Beneventano, per renderci partecipi del travaglio dei loro animi. Siedono come due vecchie amiche, una accanto all'altra, sull'altare della cattedrale gremita e silenziosa. Gli occhi di tutti sono fissi su di loro. Agnese Moro, la figlia dello statista ucciso dalle Br, e Adriana Faranda, una dei brigatisti responsabili della sua morte, hanno trovato il coraggio di scavare dentro se stesse per estirpare l'antico rancore che le accomunava e le divideva. Hanno spalancato le porte della prigione del passato; hanno saputo trasformare il dolore che rischiava di agghiacciarle in un trampolino di lancio verso il futuro.
«Sento la necessità di portarvi nel mio mondo interiore» esordisce Agnese. È questa la chiave di lettura dell'incontro, di questo vuol parlarci, questo siamo venuti a sentire. Non è stato un convegno sul "caso Moro" quello che si è tenuto nei giorni scorsi a Sant'Agata, ma un momento delicatissimo in cui sua figlia racconta come sia stato possibile incontrare, dialogare, sforzarsi di capire gli assassini di suo padre. All'inizio c'è stato il rischio che «l'odio, la rabbia, la delusione, i sensi di colpa» prendessero il sopravvento. Un «incoercibile desiderio di giustizia» le ribolliva dentro, ma sapeva che il dolore dell'altro non avrebbe mai potuto lenire il suo. La «dittatura del passato» doveva cessare. A tutti i costi.
Intuisce che c'è da fare un percorso interiore per ritrovare la pace, la serenità, la libertà. Per ritornare a vivere. Per farlo, però, deve saper dire "basta". Con fermezza, convinzione. Il Signore mette sul suo cammino padre Guido, gesuita, e un gruppo di sorelle e fratelli che l'aiutano a elaborare il lutto e a fare piccoli passi per una possibile riconciliazione con chi le ha fatto male. Lentamente, si concretizza la possibilità di incontrare alcuni responsabili della morte di Moro. Non è facile. Non tutti capirebbero. Agnese accetta. E si accorge che quelle persone da sempre ritenute "mostruose" hanno conservato la loro umanità. Una scoperta che vale quanto una rivelazione. Durante un ritiro, in Piemonte, dalla loro bocca sente che hanno sofferto e soffrono per averle ucciso il padre. Rimane sbigottita. Com'è possibile?, si chiede. Quel dolore è suo, appartiene a lei, alla sua famiglia. Che c'entrano loro? Vittime e carnefici accomunati nella stessa sofferenza? Non stiamo esagerando?
Questo fatto "disarmante" la sconvolge. E capisce, Agnese, che per andare incontro all'altro deve spogliarsi di ogni pregiudizio. Senza opporre resistenza. Deve smettere di vedere in lui il nemico, l'assassino, e riprendere a considerarlo un uomo. Un uomo che ha sbagliato, ha ucciso, ha fatto soffrire, ha sofferto, ma che non ha mai smesso di avere un nome, un volto, una storia. Un uomo che puoi finalmente guardare negli occhi, chiedendogli: "Come hai potuto?" Allora i ghiacciai si sciolgono, i cuori intrappolati nel dolore si allargano. Si riprende a respirare aria di montagna. E tu capisci che il male non ha avuto l'ultima parola. Non ha vinto. Finalmente giustizia è fatta.
In cattedrale non vola una mosca. Gli sguardi sono bassi. Questo parlare è vangelo "sine glossa". Agnese è pacata, serena, non alza mai la voce, ma le sue parole, come lame affilate, penetrano negli animi commossi.
È la volta di Adriana. Esile, il volto lungo, solcato dalle rughe, anche lei, senza saperlo, andava sperimentando un travaglio interiore simile a quello di Agnese. È vero, si era dissociata dalle Br, aveva pagato il suo debito con la giustizia, aveva sofferto, ma sentiva che non poteva bastare. Per fare pace con se stessa, col mondo, con gli uomini, con il futuro, occorreva ricostruire le «relazioni spezzate». Anche lei sente forte il bisogno di uscire dalla corazza del passato che rischia di soffocarla. Per farlo, sente forte il bisogno di poter incontrare le persone offese. «Io oggi mi sento responsabile di Agnese», dice, sfiorandole delicatamente la mano. Un gesto che non passa inosservato. Una carezza che vale più di mille discorsi.
Il suo intento non è quello di chiedere perdono, atteggiarsi a vittima, o pretendere di essere compresa. È molto di più. È il desiderio di caricarsi sulle spalle il fratello incappato nei briganti, portarlo in salvo, rimanergli accanto, soffrire insieme, e insieme tentare di guarire. Riconoscendo che quel brigante sei stato tu. «Certo, ci sono cose che non possono essere riparate», ammette. Indietro non si torna, è vero, ma davanti si deve guardare. Il male fatto come un macigno rimane, ma possiamo disinnescarne la carica esplosiva perché smetta di generare divisione, sofferenza, morte. «La violenza, sia quando la si riceve sia quando la si esercita, provoca traumi profondi. L'uccisione del papà di Agnese per me è stata atroce», sussurra, socchiudendo gli occhi. Dal quel giorno sono passati quarant'anni...
Adriana Faranda chiude il suo intervento con parole che tutti vorremmo sentirci dire dal Giudice supremo nel giorno del giudizio: «Ho sempre visto le mani di Agnese tese, dopo che mi avevano spaccato in due col suo dolore». Confessione. Redenzione. Risurrezione. «A volte – aggiunge Agnese – il male è tremendo per la sua stupidità, per la sua piccolezza. Io sono sicura che Gesù quello che mi dice me lo dice per rendermi felice. E se mi dice: "ama il tuo nemico"... Ci ho pensato trent'anni». E tace.
Le parole possono prendere congedo. Silenzio. Riconoscenza. Preghiera. Lo Spirito aleggia. Abbiamo capito. Abbiamo imparato la lezione. Un applauso liberante, lunghissimo, esplode in chiesa. Agnese Moro e Adriana Faranda, due donne che hanno saputo mettere a tacere l'odio e imboccare la strada faticosa e bella della riconciliazione. La sola ricca di senso e di futuro.




infatti  riaffermando   quello  che  dice   quel  fumetto citato all'indio del post  e  quest'articolo   concludo  con questa  slide   che trovate   sotto  
Risultati immagini per a volte il passato viene a cercarti 
allla  prossima  

27.10.18

Auguri a uno dei parrucchieri più antichi d'Italia: non usa il rasoio ed è specializzato nel taglio "alla Umberta"

Dopo notizie   e riflessioni   su brutture   ritorniamo alle classiche storie  .Ecco  a voi  una   storia   d'amicizia e di solidarietà fra   colleghi   . 
dall'unione  sarda    di qualche giorno fa  

Antonio Cardia, 91 anni, barbiere da una vita: "Da me niente tagli per 'burumballa'"

Ha scelto un modo un po' singolare per festeggiare il suo compleanno. Antonio Cardia si è fatto tagliere i capelli. In realtà, la scelta non è poi così strana: a 91 anni, Cardia continua a lavorare nel suo salone di via Cimarosa, all'angolo con via Pergolesi
antonio cardia nel suo salone di via cimarosa (foto marcello cocco)Antonio Cardia nel suo salone di via Cimarosa (Foto Marcello Cocco)
E lunedì ha chiamato nella sua bottega una persona ancora più anziana di lui, Cireneo.Ufficialmente, l'uomo è pensionato dopo aver fatto per tanti l'infermiere. Il suo primo lavoro, però, è stato quello del barbiere."Ma, nonostante questo - racconta Cardia - non ha certo perso la mano. Anche perché, quando avevo molto lavoro, veniva a darmi una mano nel mio salone".Adesso, invece, i clienti sono diminuiti.Anche perché Cardia non ha certo intenzione di rinunciare al suo stile. Anche perché è diventato un maestro specializzato in un taglio che, sino a qualche anno fa, andava per la maggiore: quello "all'Umberta". E lui non si vuole adeguare."No, i tagli attuali non mi piacciono e non li faccio. E qui non si passa il rasoio sulla testa. Il mio è un salone di classe: non voglio 'burumballa', gentaglia, qua dentro".Una vita trascorsa in quel salone. Che non vuole lasciare."Certo, vorrei andare in pensione. Ma, prima, voglio lasciare la bottega a chi vuole fare questo lavoro seguendo la mia filosofia. Ci sono tanti clienti storici, non posso deluderli".Che sia solo questo il motivo? Qualche tempo fa, una trasmissione televisiva nazionale si è occupata dei barbieri più vecchi d'Italia. Cardia ha scoperto di essere al secondo posto. "Più anziano di me c'è un altro sardo, un barbiere di Porto Torres che lavora ancora a 93 anni".[ ne  ho parlato qui  sul blog  da qualche  porte  ]Che voglia aspettare la pensione del collega per diventare il barbiere più anziano d'Italia?
Marcello Cocco

26.10.18

Il mio primo e ultimo giorno di lavoro al macello: lettera di una donna sconvolta



Non ricordo     se  hi ricevuto    via  wtzap o  su  un social  d'amici vegani    questi due  documenti  che  riporto   sotto  .



Attenzione, le immagini e le foto che seguono potrebbero urtare la vostra sensibilità

  



Il Primo 




intitolato  Dominion  film che denuncia la violenza sugli animali di ogni specie, scritto, diretto e realizzato da Chris Delforce, dell'associazione australiana Aussie Farms. Racconta in modo estremamente toccante gli orrori dello sfruttamento animale in ogni settore, ma soprattutto in quello degli allevamenti per l'alimentazione umana.Attraverso le immagini catturate dalle telecamere nascoste all'interno di allevamenti e macelli, e le riprese effettuate dai droni telecomandati, il regista riesce a farci davvero percepire dentro di noi con grande forza, l’estrema sofferenza degli animali, la loro disperazione, il loro grido di aiuto.Il film è stato doppiato in italiano da AgireOra Network e messo a disposizione di tutti gratuitamente, per la visione on-line o per scaricarlo.
  il  secondo  





 Ha mangiato carne per tutta la vita, poi un giorno Faith ha trascorso una giornata di lavoro in un macello. Quella notte ha cambiato la sua vita ed è diventata vegana. Lei è una voce testimone per tutti gli animali. Ecco la sua lettera.
IL Giorno in cui ho accettato il lavoro: “Oh mio Dio! Se ci penso…Ho sempre mangiato carne e latticini e non ci ho mai pensato su due volte. Sono stata senza lavoro per più di due anni ma finalmente ho trovato lavoro al macello. Non ho mai pensato a quello che potrebbe accadere, sono solo contenta di avere un posto di lavoro.”








Giorno in cui ho accettato il lavoro: “Oh mio Dio! Se ci penso…Ho sempre mangiato carne e latticini e non ci ho mai pensato su due volte. Sono stata senza lavoro per più di due anni ma finalmente ho trovato lavoro al macello. Non ho mai pensato a quello che potrebbe accadere, sono solo contenta di avere un posto di lavoro.”
“E’ durato un giorno. Non sono riuscita a rimanere. E’ stata la cosa più orribile che abbia mai visto in vita mia! Non c’era nulla di umano là dentro.
Sono tornata a casa il Venerdì in lacrime. E l’odore! L’odore della morte, posso ancora sentirlo sotto le narici! Da allora non riesco a dormire una notte intera, quelle immagini sono dentro alla mia testa e non posso più dimenticarle.
Non ho mai più sentito il desiderio di toccare di nuovo la carne. Non pensavo che sarebbe stato così. Non ho mai provato nuove diete o cambiamenti di stile di vita, perché i miei nonni ci hanno allevati in una fattoria”.
“Quello che ho visto però era atroce e quello che ho vissuto la notte scorsa, mi ha fatta stare male fisicamente e moralmente. Ho fatto sei docce, continuavo a sentire l’odore del sangue e della morte. Non so come avverrà il mio cambiamento ma ho intenzione di farlo. Ho due bambini, ma non compreremo mai e poi mai più carne. Voglio provare un’alimentazione vegan. Solo il pensiero di acquistare carne e doverla cucinare, ora mi fa sentire male. E durato un giorno il mio lavoro e non sarebbe mai potuto durare di più. La prima settimana dovevo solo guardare per imparare ma non avevo idea di ciò che avrei visto nel macello!”
“Mi sento così stupida perché alcuni dei miei amici da tempo sono vegan e ho pensato che fosse semplicemente una scelta folle, che seguivano una nuova tendenza hippy. Ora mi sento male per aver giudicato le loro decisioni. Mi è stato detto di guardare documentari e non l’ho mai fatto.
Ho sempre pensato che gli animali non soffrissero nei mattatoi ma che venissero prima storditi e poi uccisi all’istante. Non è così! Sono vivi e urlano. E anche se fossero morti, il sangue solo quello… OH MIO DIO!

1 ° giorno: “Sono seduta qui stasera e tutto è ancora nella mia mente come se fosse ieri. Sono stata senza lavoro per così tanto tempo, ed ero così contenta di avere un lavoro. Ho creduto che era tutto ciò che volevo che era umano! Gli animali non sentono!
C’era un grande paddock accanto al macello, pieno di mucche, stavano mangiando l’erba e tutto sembrava normale. Ho sentito una fitta di tristezza nel sapere che la loro tranquillità sarebbe durata poco ma il peggio l’ho visto dentro alla struttura. Mi hanno mostrato la stanza macelleria, sembrava il negozio di un macellaio. Tutto normale e non mi ha impressionato più di tanto.
Poi nel proseguire mi sono avvicinata e ho accarezzato una delle mucche. Da tempo non mi ero avvicinata ad una mucca, da quando i miei nonni avevano la loro fattoria. Mi è stato mostrato la camera di imballaggio e ho incontrato gli altri dipendenti e poi uno di loro mi ha detto “metti su questi, devi andare e devi vedere come si svolge il lavoro”.
“Mi ha dato degli stivali di gomma e un grembiule di plastica e poi siamo passati attraverso delle enormi porte dove le mucche erano allineate vive una dietro l’altra e si lamentavano, non era il solito “muu” , quello che fanno di solito, era chiaro che avevano paura. Alcune delle mucche urinavano spesso e lo facevano per la paura. Così, dopo aver attraversato più porte, mi è stato detto che non mi sarebbe piaciuto quello che avrei visto da lì a poco, ma così è la vita. “Parte del settore agricolo vive con le mucche che sono state allevate per questo scopo” ha detto l’uomo che mi accompagnava, secondo lui non avevano altro scopo per cui vivere”.
“Un uomo ha aperto un cancelletto dove era tenuta una mucca e le ha bloccato la testa. Ha cominciato a lottare e mi sentivo male, ma mi sono convinta che faceva parte del suo destino, della vita. Questo era il suo scopo.
Qualcun altro in quel momento si è avvicinato con un attrezzo che sembrava una piccola asta ma che serviva per lo stordimento. L’animale colpito è caduto immediatamente a terra e mi aspettavo che fosse morta. Proprio così. Ma non lo era. Tremava e mi hanno detto che erano solo i nervi, la mucca era morta e il suo cervello non avrebbe sentito nulla. Ma dopo circa un minuto mentre hanno legato le sue gambe, ha cercato di alzarsi in piedi.
E Questi non sono i nervi cazzo! E’ inciampata e ha cercato di nuovo di rialzarsi ma è stata issata per le zampe posteriori. Ho chiesto se era morta e mi è stato detto che lo era. Ma i suoi occhi erano aperti e per un momento i miei occhi hanno incontrato i suoi.
Poi è rimasta appesa per le zampe ad una zona di piastrelle tutte bianche, simile ad un enorme box doccia con uno scarico nel pavimento. Un uomo mi disse: “Lei non potrà mai avere a che fare con questo lavoro se per aver visto questo è già turbata.”
L’operaio si è avvicinato e mentre la mucca stava ancora lottando gli ha tagliato il collo, mentre lei lottava disperatamente per liberarsi! E ha gridato. Ha sbattuto la testa di scatto prima in avanti e poi indietro. Il sangue è schizzato, ha spruzzato tutto il muro mentre altro sangue scendeva dal suo collo. Il suo “muu” è diventato meno forte e sempre meno forte fino a quando non aveva più forza per lottare e il dolore e la morte ha finalmente messo a tacere il suo dolore.Ho guardato verso il basso. Ero in piedi quattro piedi dall’animale e gli stivali erano di colore rosso vivo, appena coperto di sangue.
“Non ho mai visto così tanto sangue e non conoscevo l’odore del sangue. Che odore! E’ un odore metallico, di morte, come quello della mucca che è stata appena uccisa in questa stanza ancora sanguinante, mentre stava per arrivare il turno della successiva che ha subito esattamente lo stesso trattamento.
Di nuovo i medesimi step: lotta, occhi aperti e muggito feroce e anche qui hanno detto che erano solo i suoi nervi. La mucca è morta di morte cerebrale a causa dello stordimento! Ma io non credo.
Rimasi lì a guardare sette vacche uccise e non ho fatto nulla, ero come impietrita. Dopo la quarta ho dovuto andare fuori e vomitare. Mi è stato detto di mettere un panno con del Vicks sotto il naso per eliminare l’odore.
Ho pensato ai miei figli e che avevo bisogno di un lavoro e così sono tornata dentro e ho visto l’uccisione di altre tre mucche.
Poi sono tornata fuori nel punto in cui le mucche erano vive. Mi sono tolta stivali e grembiule e sono tornaita nella stanza prima del macello, dove gli altri dipendenti hanno cercato di consolarmi suggerendomi che era troppo presto per me per assistere alla macellazione. Così ho atteso la fine del turno di lavoro nella stanza antecedente al macello, quella che non mi aveva dato fastidio prima.
Quando ho finito il mio orario ho detto a loro che non sarei tornata su quel luogo e hanno capito. Mi hanno dato 75 dollari anche se ho solo guardato e poi ci siamo salutati.
Il mio ragazzo mi ha detto stasera che il sangue non ha odore, quello che ho sentito è immaginato. E gli ho detto- ‘hai mai visto un vero e proprio diluvio di sangue? Litri e litri di sangue che scorrono sopra i tuoi piedi?’
Non ho mai sentito tanto dolore per un altro essere vivente come quello che ho provato per quelle mucche. Ha avuto un effetto drammatico su di me, un’esperienza che non dimenticherò mai più. Sto ancora piangendo stasera mentre sto scrivendo questa lettera e per un certo verso forse è un bene che io abbia visto.
Dopo quel giorno ho parlato con i miei tre amici vegani. Ho chiesto scusa per aver criticato loro e la loro decisione quando hanno fatto una scelta vegan. Me, ero una mangiatrice di carne convinta di essere nel giusto.
Mi dispiace tanto per averli derisi. Loro hanno accettato le mie scuse e ora sono disposti ad aiutarmi nel percorso di transizione di me stessa. Una cosa so per certa ed è che mai e poi mai mangerò di nuovo carne.
Non potrò mai più dimenticare quel venerdì. Ogni dettaglio, ogni suono, ogni odore, rimarrà impresso nella mia mente come il momento che mi ha cambiato la vita. Sono disgustata da quanto mi è stato detto e dal fatto che mi hanno mentito, che lo stordimento li uccide. Da allora ho scoperto che in realtà non è così.
Mi sento ancora male e ci vorrà del tempo perché io possa riprendermi ma sono determinata a fare anche il più piccolo cambiamento. Gli animali non meritano questo. Vorrei solo aver visto tutto prima.
Ora che ho visto quello che ho visto, sostengo pienamente la scelta di un’alimentazione etica e vorrei che ognuno si renda consapevole della crudeltà dei nostri macelli definiti da molti “umani”.

So  solo  che  sto pensando   , devo solo   trovare   il coraggio  di  bandirla  del tutto  ,  di  non mangiare  carne  o  altri animali   .  Per  il momento   la  scelta   di non comprare    carne  ( o pesce   d'allevamento  , ma  direttamente  dai pescatori )    ed uova   d'allevamenti intensivi  .  Infatti   come    ho  replicato  e  qui  riprendo    ( qui l'intera  discussione  e   la replica  integrale   ) su fb  ad un commento  a  questo  precednte  post   :  Vigne del futuro e antica balentia

essendo cresciuto   ( anche  culturalmente   ) sul finire della cultura ormai scomparsa o standardizzata \ folkorizzata degli stazzi (  I  II  )  dove  sia  l'allevamento , l'uccisione   degli animali   e  l'usoi  dei  è quello del'uso dei buoi per  arare     erano  " naturali  "   in  un economia  autarchica  e  di sussistenza  è il più rispettoso del'ambiente . E' vero c'è uno sfruttamento degli animali ma è compatibile con l'ambiente e crea meno sofferenza rispetto a quelli intensivi \ industriali . [....]  


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25.10.18

Desirèe Mariottini un forte rumore di niente

L'immagine può contenere: testo
lo  so  che  il titolo , preso a   prestito   da questa  vignetta   (  vedere  a lato  di  Mauro Biani  ) ,  può sembrare  "  buonista  " o immigrazionista    per  alcuni   oppure  scontata    per   alrtri   che  la pensano  come me , ma  è la stessa  domanda    che   mi faccio  (e che  dovremo  farlo )   ogni qualvolta  che   i media  e la rete   (  indipendentemente  dal colore  politico  po filo \  contro  governo) ogni qualvolta  imedia  o sulla  rete  si parla di  fatti  del genere  femminicidi  e  vilenze  sulle  donne  . 
Infatti  ha  perfettamente  ragione   questo  l'intervento di Eretica Precari(A) sul  ilfattoquotidiano  del  25 ottobre 2018 .<< Desirée come Pamela. Se non ci fossero di mezzo gli immigrati se ne parlerebbe tanto? Se gli stupratori assassini fossero stati bianchi e italiani avrebbero dedicato a queste vittime di violenza di genere le prime pagine sui media? Gli italiani commettono più del 93% di stupri e gli immigrati meno del 7%. La maggior parte degli stupri avviene in casa, per mano di parenti, padri, zii, fratelli, ex fidanzati, ex mariti, conoscenti. Molti tra questi non sono neppure denunciati. Il sommerso è composto da cifre che almeno valgono il triplo degli stupri denunciati. [ ....  ] Quante volte abbiamo visto ragazze stuprate essere due volte vittima, la prima durante lo stupro e la seconda quando sono costrette ad essere processate in tribunale da parte di chi indaga sulle sue abitudini sessuali, sulla sua avvenente presenza o sulla sua presunta facilità nelle relazioni. Processi che si estendono ad ogni marciapiedi e ogni casa nei luoghi in cui famiglie arrabbiate stanno lì a proteggere i branchi di stupratori.
Quante volte abbiamo visto che attorno a stupri che coinvolgono figli di papà, bianchi, etero, italiani, si realizza un silenzio orribile. Omertà, difesa a oltranza, amici e amiche degli stupratori che perseguitano la vittima sul web, nelle strade, ovunque, per farla demordere e farle attenuare le accuse. E’ successo anche questo, mille e più volte.L’unico momento che ha una ragazza per essere creduta è quando l’ha stuprata un branco di immigrati e, ovviamente, quando muore per mano degli stessi stupratori. A quel punto c’è chi strumentalizza, >>
eccone  un esempio  su  il giornale.it  . Infati  <<  c'è  
chi usa i corpi delle vittime per diffondere allarmismo, psicosi, isteria collettiva. Per generalizzare, per fare in modo che si dica che tutti gli immigrati, i rifugiati, i richiedenti asilo, di qualunque età e sesso, farebbero meglio a crepare in mare giacché secondo i razzisti quelle persone sarebbero solo un branco di criminali. [....] Quando un cittadino dice che “da un italiano posso accettarlo, da uno straniero no” 

nessuno si scompone. Ma l’idea di massima è questa. Gli stranieri – così dicono i fascisti – non devono toccare le “nostre” donne e, il senso della frase, si racchiude tutto in quel “nostre”. Dichiarando l’appartenenza di quelle donne si reitera la campagna di comunicazione che Mussolini & Company divulgava per giustificare la colonizzazione di paesi del Nord Africa. Che importanza può avere il fatto che i fascisti colonizzatori, italiani, da quelle parti, stuprassero delle bambine di dodici anni.uando i razzisti spostano l’attenzione sull’immigrato di fatto delegittimano la lotta contro la violenza di genere. Perché i razzisti negano l’esistenza di quel tipo di violenza e perché negano anche il fatto che lo stupro sia in primo luogo un delitto legittimato dai loro “la violenza di genere non esiste” o “la cultura dello stupro non esiste” o “le vere vittime sono gli uomini”. E quando si esercitano nella negazione di una violenza che le donne subiscono da secoli diventano complici e fanno di tutto affinché sia ripristinato il privilegio maschile.  Quando i razzisti spostano l’attenzione sull’immigrato di fatto delegittimano la lotta contro la violenza di genere. Perché i razzisti negano l’esistenza di quel tipo di violenza e perché negano anche il fatto che lo stupro sia in primo luogo un delitto legittimato dai loro “la violenza di genere non esiste” o “la cultura dello stupro non esiste” o “le vere vittime sono gli uomini”. E quando si esercitano nella negazione di una violenza che le donne subiscono da secoli diventano complici e fanno di tutto affinché sia ripristinato il privilegio maschile.Da chi condanna ogni libera scelta delle donne, sulla gestione del proprio corpo, sulla propria sessualità, come quando i razzisti appoggiano mozioni contro l’aborto, contro la contraccezione e contro le famiglie omogenitoriali, cosa ci si può aspettare di più? Non c’è un vero interesse nei confronti delle donne violentate. Non sanno chiamare per nome un delitto che ha le caratteristiche del femminicidio. Non gliene frega un tubo di quello che ci succede e non si può biasimare chi dunque scorge della malafede nell’improvvisa attenzione dei leghisti e dei fascisti nei confronti di una vittima di stupro e femminicidio.Quello che appare chiaro è che tu, donna, per essere creduta devi essere stuprata da uno straniero, solo così fingono di crederti, solo così sospendono le critiche che in altre occasioni ti avrebbero gettato addosso, sulle tue abitudini, sul fatto che stavi lì, a quell’ora e che avevi assunto stupefacenti. Se lo stupratore fosse stato un italiano pensate a cosa avrebbero detto della vittima. Il victim blaming, la colpevolizzazione della vittima, è uno dei modi per alimentare la cultura dello stupro. [...] >>
Sono d'accordo con questo post di





Fino a quando vi indignerete per la nazionalità dei carnefici, e non per il reato, che a seconda di chi lo compie, fa di una donna, una vittima oppure una che se l'è cercata, la vostra rabbia non sarà credibile.
preso dala bacheca  dell'amnica  e  compagna  di  viaggio  fin dalle  origini   tisbe  nemesi  alias Tina galante 
Concludo  questo post  anticipando coloro che   mi dicono    e  se  lo comette uno di  sinistra  non dici  niente  come ho  già detto  qualche  tempo  fa  in quest  due    post  
condanno   tali violenze  da  qualunque  parte  politica  \ politika   , etnica  ,   culturale  vengano  

22.10.18

premetto che non condivido completamente la tendenza pro euro e pro Ue in quanto sono per un eurpa  dei popoli e delle culture  cioè  un una “patria europea” contro i burocrati ed i politici  come tenta  di fare  pietro rumiz    ecco qui uno dei suoi tanti interventi  


no   delle banche  di questo articolo dell neo nato portale https://estremeconseguenze.it/ perchè s'è da un lato essi ci hanno salvato da un lato sempre a causa delo stesso sistema politico \ economico ci ha rovinato .  Concordo  con  le  conclusioni    finali  

Risultati immagini per sovranisti
con  di questo articolo dell neo nato portale https://estremeconseguenze.it/ perchè s'è da un lato essi ci hanno salvato da un lato sempre a causa delo stesso sistema politico \ economico ci ha rovinato . Concordo però quando dice :<< (...) C’è una domanda che aleggia nel Paese. Sui tavoli importanti, fino ai tavoli del bar: che si fa con i soldi? Perché siamo sovranisti, orgogliosamente italiani, sosteniamo scelte economiche di sfida nei confronti dei nostri creditori mondiali, ma poi, “padroni a casa nostra” badiamo, se e quando li abbiamo, ai soldi nascosti sotto il materasso.È così che da quando Palazzo Chigi ha cambiato inquilino si stanno moltiplicando i conti italiani all’estero, nella vicina Svizzera. Perché siamo un popolo di poveracci, ma anche di navigatori, come diceva il rispolverato criminale fascista Mussolini, e i navigatori esperti sanno sempre dove tira il vento. Quindi chi tra noi ha una barca o barchetta, la sta portando in un qualche porto sicuro, guarda caso lontano da quelli patri. Perché se sovranisti bisogna essere, è meglio esserlo con le barche degli altri.>>

questo non si chiama amore per gli animali ma follia che porta gli animali a ribbellarsi

 concordo   pienamente  con questo editoriale   dell'unione  sarda  d'oggi

Nessun testo alternativo automatico disponibile. I 98 % dei padroni dei cani sono così. Se lo prendono per moda e poi magari lo abbandonano o lo trattano a ... Per lamentarsi se qualcuno gli denuncia perché il loro cane ha aggredito una persona

21.10.18

quella dei pro vita non vera vita . il caso dei trapianti



leggendo questo articolo  del neonato   ed  ottimo  (  almeno  fin ora  )   sito  di  notizie    https://estremeconseguenze.it/

In  cui    si  dice    che    : 
TRAPIANTI. TRIPLICATO IL NUMERO DI ITALIANI CHE SI RIFIUTANO DI DONARE UN ORGANO
L’Italia è uno dei primi paesi in Europa per numero di donatori di organi e per numero complessivo di trapianti ma contemporaneamente aumentano vertiginosamente le persone che dichiarano di opporsi alla pratica e rifiutano di dare il proprio assenso.  continua  qui 

mi ero appena chiesto ma perchè si è cosi egoisti . e qui mi fermo perchè essendo trapiantato ( ho subito nel lntano 1992 un trapianto di cornea ) sarei di parte e sarei poco obiettivo

Ma   fra  i  commenti sulla mia  bacheca  di  fb  trovo   che  una  mia  amica  (  non   so   perchè la tengo    ancora   sono troppo buono     non elimin  nessuno  ed  aspetto , salvo  casi  gravissimi  ,    che sia  lei    a  cancellararsi    )  fondamentalista  cattolica   mi riporta  questo articolo  :  Trapianti : “cadaveri” viventi e cuori “non battenti”di  https://www.notizieprovita.it/che  non riporto  direttamente   ma  attraverso il link   perchè non riesco a  sintetizzarlo  essendo lungo  . Ciò mi  fa  rompere    gli indugi   sulla mia astensione   approvando   e  condvidendo  questo   commento presente    nell'articolo   dei pro  vita

mi  spice   cara  Cinzia  ****  
 ma do ragione a questo commento presente nell'articolo
mi ha disgustato il tenore dell’articolo. vorrei capire quali sono le terribili conferme. se parlate di quello che avviene nei Paesi stranieri mi fermo qui perchè non ne ho esperienza diretta e non parlo di cose che non conosco ma in Italia la gestione del paziente in morte cerebrale è ben codificata e non può sfuggire dai binari che il legislatore italiano (molto più garantista di legislatori di altri paesi nei confronti della persona morta) ha indicato per decretare la morte. tante persone muoiono in italia per mancanza di organi ma non c’è nessun predatore dietro l’angolo pronto a rubarti il cuore o il fegato o meglio non hanno la possibilità di farlo. articoli come il vostro fanno impaurire le persone che non sono addentro a questa materia o peggio fanno pensare alle persone che con un incredibile gesto d’amore hanno dato un senso alla morte di un caro di essere state ingannate.

In quanto da  trapiantato   posso di  dire    che   dala morte    rinasce un altra  vita   o meglio una speranza  di miglioramento    o  di    guarigione  nel mio caso

  a voi decidere  da  che parte  stare



Vigne del futuro e antica balentia

colonna  sonora  

leggi  anche 

Credevo che l'uso dei buoi per arare fosse scomparso   e retaggio  di un passato   ormai  scomparso  o rimasto  solo nelle feste  folkristiche   che   non ritorna  più , invece , leggo con stupore , questi due articoli  di Luca Urgu   (  il  titolo del  post   d'oggi    è preso dal   secondo   articolo  )   da http://www.lanuovasardegna.it/speciale/la-mia-isola  inserto settimanale    della  nuova sardegna   che  a  Mamoiada    c'è ancora  chi produce  vino    all'antica  e   chi usa  l'aratro  con i buoi    anzichè il trattore  o  altri mezzi moderni    per  arare le  vigne      

Ecco il    primo 





Franco, l’ultimo dei massajos di Mamoiada

È l’ultimo di sos massajos di Mamoiada. E da quella maledetta giornata di giugno in cui è avvenuto il fattaccio – ovvero un incidente che da lì a dieci giorni si è rivelato fatale per uno dei suoi...



Può fare altro è vero (e Franco non è uno che riesce a star fermo), ma non è la stessa cosa. Chi è nato respirando la terra e conoscendo palmo a palmo le vigne di Mamoiada, che il suo affilato aratro ha solcato per trent’anni con poche interruzioni, capisce e sa bene che il suo posto è la. Tra quei filari scoscesi e realizzati in altitudine, testimonianza di un’agricoltura eroica che non ha ancora ceduto il passo completamente alla modernità. Qui per scalzare la terra a gennaio e per ricolmare i solchi a primavera non servono trattori e cingolati, utili ed efficaci nelle vigne di nuova generazione, dove ormai la tecnologia la fa da padrone. Occorre solo lui con i suoi buoi secondo un’andatura che segue i passi della storia della viticoltura in Sardegna. 








Le 20 cantine

Che pratiche e riti come l’aratura con i buoi siano il passato della viticoltura è un dato certo. Ed è altrettanto evidente il percorso che il paese sta costruendo con forza e modernità per affrontare le sfide future. Qui tutti fanno vino e – record assoluto in proporzione agli abitanti – esistono ben 20 cantine. Sono aziende (producono vere e proprie chicche, la maggior parte di loro non arrivano comunque alle cinquemila bottiglie) gestite per la maggior parte da giovani sotto i 40 anni che hanno deciso di abbandonare i lavori più disparati per dedicarsi interamente alla terra e alle migliaia di ceppi, nuovi impianti o centenari, ereditati o acquistati in omaggio al “Dio” Cannonau.
Ma in molti casi c’è ancora bisogno dell’incedere fermo e deciso dei buoi che va di pari passo con le braccia forti e temprate dalle stagioni e tanto equilibrio. Siccome il giogo funziona solo ed esclusivamente in coppia, dopo Amorosu, Franco ha dovuto salutare anche Grassiosu. E ora, da quattro lunghi mesi, attende di rimettere insieme i buoi e ripartire con una nuova formazione. Detto così sembra facile, ma non lo è per niente. Così come il costo per acquistarli rappresenta un investimento importante che non si può fare in leggerezza. «Ne ho visti diversi in queste settimane, soprattutto attraverso foto e video, ma ancora nessuno mi ha convinto. Trovo sempre alcuni elementi che non corrispondono alle caratteristiche che un giogo deve avere per lavorare con efficacia e con la giusta sicurezza», racconta Franco Mercuriu nel bar del Corso del figlio Riccardo.

Viaggio nel tempo

In attesa che si riformi il giogo, «ne ho avuto otto in circa sei lustri di attività», Franco fa un viaggio a ritroso nel tempo per raccontare quando è entrato in questo mondo con le suggestioni respirate in casa fin da bambino. Un universo da cui non ha nessuna intenzione di uscire. Ci vorrà del tempo, forse non subito ma il suo giogo lo rimetterà in piedi. E tanta è la passione che traspare dalle sue parole che ci si può scommettere tranquillamente.
«Ho imparato a condurre i buoi da bambino, forse avevo 13 anni quando mio padre, mi insegnò i primi movimenti. Scelse un orto inizialmente, perché meno impegnativo della vigna – ricorda Franco –. Di sicuro non potevo avere un maestro migliore, mio padre Franziscu era uno di quei massajos antichi, che dopo aver lavorato per una vita ebbe il destino di morire anche in vigna, mentre guidava il suo giogo. Aveva 65 anni e si stava godendo il suo primo anno di pensione quando un malore lo ha colto». Il suo per certi versi sembra un racconto mitologico che si perde nella notte dei tempi, dove irrompono anche tuoni e saette. Come quella volta che un fulmine folgorò uno dei buoi del suo giogo uccidendolo sul colpo.
«Allora – ricorda Franco Mercuriu – smisi per un periodo dedicandomi all’edilizia, ma come feci anche in precedenza il fine settimana non riuscivo a stare fermo e aiutavo mio padre. Poi quando non c’era più lui ho ereditato il suo giogo e mi davo ugualmente da fare». I sacrifici sono tanti, ma la campagna tante volte è capace di ripagare come poche altre cose. 
La vita bucolica è fatta di silenzi e di alcune certezze granitiche: dopo una brutta annata ne arriva sempre una buona. Occorre l’ottimismo della ragione ma anche la volontà di non farsi travolgere dalle avversità. «È un lavoro che mi piace e mi dà una grande soddisfazione personale. Con gli animali, che vanno trattati bene, si instaura un rapporto speciale. Anche se il guadagno non è più come quello di una volta. Mamoiada è una realtà importante dal punto di vista vitivinicolo, ma molte vigne vecchie sono state estirpate e i nuovi moderni impianti vengono percorsi dai cingolati e non dagli zoccoli dei buoi», sentenzia. 
Nel pacchetto dei nuovi viticoltori c’è un po’ di tutto, giusto per far capire quanto la passione sia trasversale. Dai laureati ai baristi, dai fabbri ai commercianti, artigiani, dagli impresari edili agli agricoltori, per i quali forse il passo è stato più breve, alle donne.

La fatica e la festa

In questi giorni attraversando Mamoiada e quella strada di una bellezza struggente che collega il paese con Orgosolo, proprio dove si trovano i vigneti più alti (siamo quasi a mille metri), si percepisce il fermento della vendemmia.
Un rito che conclude con la raccolta il percorso di un’annata (non di sicuro abbondante questa) che è poi anche soprattutto una festa di amici e di famiglie allargate. Ovviamente questo dinamismo ha effetti positivi sull’economia locale: grazie all’enogastronomia con la nascita di locande e wine bar, ma anche a settori contigui come l’azienda che produce imballaggi in legno per il packaging di qualità che qui ha trovato casa diventando una piacevole realtà a livello isolano. I buoi restano indispensabili nei vigneti più vecchi perché i sesti d’impianto (ossia la distanza tra un filare e l’altro e tra un ceppo e l’altro) erano ridotti.
In poche parole se adesso tra un filare e l’altro vengono lasciati 2 metri, mezzo secolo fa lo spazio si riduceva a un metro e mezzo con il chiaro obiettivo di ottimizzare il raccolto facendoci stare più piante. Ovviamente come il cavallo con il fantino devono essere un binomio per funzionare, anche Franco Mercurio con i suoi voes deve avere una sintonia perfetta. L’andatura è modulata e incoraggiata dalla sua voce che conoscono perfettamente, così come i leggeri cambi di direzione e altri comandi sono comunicati con decisione con il timbro vocale del padrone. «Torra a susu, torra a zosso, o frimma», detti da lui hanno un altro senso. Il suo pensiero torna spesso ad Amorosu, lo sfortunato animale caduto rovinosamente in vigna. «Era intelligente, sembrava telecomandato, conosceva le vigne. E non sbagliava mai nulla. Mi riconosceva a distanza e muggendo mi chiamava. Ogni volta che dovevamo andare in vigna a lavorare lui capiva e non aveva bisogno di essere pungolato. Sembrava davvero non vedesse l’ora di iniziare. 

I passi dell’issohadore

«Quel giogo era davvero formidabile, riuscivo a fare seimila viti in una mattina», dice l’ultimo dei massajos che come

ogni buon mamoiadino vive nel dna i riti ancestrali del carnevale del suo paese. «Da bambino ero un mamuthone, poi dai 18 anni in poi issohadore, ma non avrei problemi a rifare il mamuthone. Non mi sono scordato i passi – dice sorridendo – è una cosa che abbiamo nel sangue»

il  secondo

In piazza Duomo a Firenze la bottega dei colori che resiste al mangificio., Il negozio di vinili che dice no al Black Friday: «Clienti da tutta la Toscana, il nostro segreto è la roba popolare»

 Corriere della Sera In piazza Duomo la bottega dei colori che resiste al mangificio In questi anni hanno visto la città intorno cambiare, ...