Sempre musando per i clienti giornali vecchi ho trovato quest'altro articolo interessante
Giovane demografa legge il futuro dell’isola dei vecchi
Luisa Salaris, di Terralba: «Meno abitanti, età media più alta Ma la politica non se ne occupa». Sassari supererà Cagliari Dopo il «master» nei Paesi Bassi il «back» a Cagliari con Pippo Puggioni Il mio primo impegno: lo studio delle traiettorie di mortalità a Villagrande
CAGLIARI Ci sono due scenari. Il più ottimista ipotizza una Sardegna che nel 2030 perderà 50mila abitanti e che saliranno a 114mila nel 2040. C'è anche un'altra proiezione, “catastrofica” ma non del tutto avventata, firmata dai demografi delle università di Cagliari e Sassari e dagli studiosi dell'Istat: nell'isola sono previsti 131mila abitanti in meno nel 2030 e 252mila nel 2040. Nell'interno molti i paesi che avranno sempre meno abitanti (il Comune più piccolo - nell'Oristanese - è Baradili con 92 residenti). Ma la tendenza coinvolge anche i capoluoghi, a partire da Cagliari: nel 2035 la capitale sarda – oggi con 156.951 all'anagrafe – si ritroverà con 31mila abitanti in meno di oggi, Nuoro sarà
con una quota negativa di 2.594 e Oristano si attesterà a meno 1.600. Eccezione. Unica eccezione Sassari che, fra quasi vent'anni, dovrebbe ritrovarsi con 2.200 cittadini in più di quelli censiti al 31 dicembre scorso (128.096) e diventerebbe così il centro più popolato della Sardegna. Sassari batte Cagliari, chi vivrà vedrà. E chissà quale florilegio di battute in vernacolo campidanese e turritano. Dinamiche. Lo spopolamento dell'Isola, ma soprattutto l'invecchiamento della popolazione, sono uno dei temi di studio di Luisa Salaris ( foto a destra ) , assegnista di ricerca a Scienze politiche di Cagliari e autrice di un saggio (editrice Forum) a più mani proprio sulle “dinamiche demografiche in Sardegna”. Oltre ai tassi di incremento migratorio dei vari centri dell'isola, ai tassi standardizzati di fecondità e mortalità (a Cagliari la fecondità era 94,4 tra il 1962 e il 1971 ed oggi è calata 82,6 mentre a Sassari era di 98,5 trent'anni fa per salire al 103,4 tra il 2002 e il 2006), la studiosa analizza in particolare le politiche sociali che sono del tutto assenti nel campo della demografia. «In altri Paesi – penso alla Svezia o alla Francia – lo spopolamento dei piccoli centri è un fatto reale ma si attuano politiche a sostegno della famiglia che hanno determinato un incremento del livello di fecondità. Ci sono disposizioni per i congedi, per gli assegni familiari, per i nidi. In Italia no. L'unico nido sicuro è la casa dei nonni che suppliscono quasi in toto alle deficienze delle strutture statali. Per non parlare dell'invecchiamento della popolazione: oggi è affidato quasi esclusivamente alle famiglie, alle sempre più numerose badanti straniere che si occupano degli anziani e che ovviamente pesano sui bilanci di una casa. Perché? Perché manca l'intervento, direi l'attenzione pubblica a questo nuovo fenomeno che non può non essere preso in considerazione». Ancora la Salaris: «Nell'agenda sociale della Sardegna, nei progetti di programmazione, non si fa alcun accenno a questi due fenomeni. È evidente che con un numero sempre maggiore di anziani, talora non autosufficienti, i problemi dell'assistenza alla persona vanno rimodulati del tutto. Invece ci si accontenta di regalare una medaglia o una targa ai centenari e poi su di loro scende la notte. Idem per lo spopolamento: è da accettare una Sardegna del tutto deserta nel suo interno? Non hanno valore sociale, antropologico, storico i piccoli centri, la rete dei paesi? I due temi di cui stiamo parlando oggi costituiscono autentiche priorità. Che vanno analizzate in modo organico per proporre nuovi modelli di vita e di assistenza sociale che non pesino solo sull'impegno delle famiglie. Il Nord Europa ci può dare lezioni ma possono essere messe in campo anche strategie nuove, vicine alle esigenze dei più fragili anagraficamente». Cicerone. La demografia è una passione che giunge da lontano e che in questi giorni vede Luisa Salaris fare da Cicerone a ricercatori che giungono da tutto il mondo (Indiana University, Corea, Olanda, California, Giappone) e che puntano soprattutto verso la regione in assoluto dei centenari, l'Ogliastra, con i casi esemplari di Villagrande (i maschi vivono più a lungo delle donne), Talana Baunei, Perdasdefogu (qui abita la famiglia più longeva del mondo secondo il Guinness World Records), Arzana. Nata a Terralba, diploma di perito aziendale e corrispondente di Lingue estere al Mossa di Oristano, seconda di quattro figlie (Silvia agronoma a Bologna si occupa di certificazione di prodotti alimentari, Simona commercialista, Sara frequenta il primo anno di ingegneria biomedica), Luisa frequenta con Intercultura il quarto anno delle superiori in Russia, a Klimovsk (48 chilometri da Mosca), fa la ragazza alla pari a Leeds nel Regno Unito, si laurea in Scienze politiche a Cagliari con una tesi sul turismo con Maria Luisa Gentileschi (109 il voto) e poi vola in Olanda, a Groningen per un master di studi sulla popolazione. «È stato un anno e mezzo ricco di stimoli e di conoscenze, con l'analisi demografica estesa a tutto il mondo. Il direttore, Frank Willekens, è uno dei più autorevoli nel suo settore, i docenti erano estremamente qualificati e motivati. Sapevano dei centenari sardi e mi sommergevano di domande. A molti colleghi e professori interessavano soprattutto le geografie, i luoghi, gli ambienti fisici, li aveva colpiti il fatto che i centenari risiedessero quasi tutti in paesi di montagna quasi mai molto popolati, quasi mai un centenario in centri sul mare. E mi rendo conto che su questi temi l'interesse era maggiore fuori dalla Sardegna che da noi. E quasi tutti i ricercatori di Groningen hanno voluto fare esperienze sul campo trascorrendo diversi periodi, non brevi, in Sardegna. Anche nel massimo anonimato, per registrare comportamenti sociali, stili di vita, rapporti interpersonali, abitudini comunitarie civili e religiose». Dottorato. Dopo il master nei Paesi Bassi arriva un dottorato di ricerca proposto da un demografo belga (Michel Poulain) e lo conclude nel febbraio 2009. E poi il back come assegnista di ricerca a Scienze politiche di Cagliari sotto la guida di Pippo Puggioni. «In Sardegna il primo impegno organico è stato lo studio delle traiettorie di mortalità infantile, adulta e in età avanzata a Villagrande Strisaili. È una comunità coesa, dove i vincoli familiari sono forti, dove la sacralità della casa è vissuta quasi in forma religiosa, dove ci si rende conto che c'è qualcosa di più importante dei fattori genetici veri e propri. Colpisce molto l'affiatamento familiare, la dimensione della solidarietà, il sostegno comunitario. Più che altrove, un uomo o una donna anziana non sono mai soli, sembra che ogni cittadino sia figlio di tutte le case del paese. E ciò, naturalmente, non può non avere ripercussioni positive sulla qualità della vita e sull'allungamento della vita stessa». Desertificazione. E lo spopolamento? Il fatto che più deve preoccupare la classe dirigente è questo: dai piccoli centri vanno via i giovani, le loro braccia ma soprattutto le loro menti. E in assenza di forze positive e propositive è evidente che un villaggio tende alla desertificazione umana. L'assenza di giovani colpisce a Tadasuni, Bidonì, Modolo, Soddì, Setzu, Semestene, Cossoine, Pozzomaggiore. Nel testo curato da Marco Breschi si legge: «Le province più vecchie sono quelle di Oristano, Carbonia-Iglesias e Medio Campidano dove il peso della componente anziana supera quello dei minori di 14 anni per valori compresi fra il 75 e il 91 per cento, raddoppiandone quasi la consistenza. A distinguersi invece per una struttura più giovane rispetto alla media sarda è la provincia di Olbia-Tempio che appare tra le province demograficamente più in salute e in crescita e che beneficia degli effetti positivi di un maggior dinamismo economico. Secondo i dati più recenti delle tavole di mortalità l'aspettativa di vita alla nascita della popolazione italiana è di 78,8 per gli uomini e di 84,1 per le donne mentre quello della popolazione sarda è, rispettivamente, di 78,5 e di 84,2. Nell'isola si registra un guadagno medio di 6-7 anni per entrambi i sessi rispetto al 1980 quando l'aspettativa di vita alla nascita era di 71,9 per gli uomini e di 78 per le donne». Età media. Negli ultimi trent'anni l'età media del maschio sardo è salita di quasi sette anni e per le donne di 6,2. Le cose potrebbero cambiare? Sì, se aumenterà l'afflusso di immigrati, il più delle volte giovani. E per concludere? «Il tema deve essere al centro dell'analisi politica e delle decisioni conseguenti, tutto è da collegare alla sostenibilità economica di una popolazione sempre più anziana. E pone domande sulla qualità della vita e sull'assistenza. Temi esclusi dall'interesse della politica».