Niente d'aggiungere a quanto dice , non si tratta di un semplice copia \ incolla o cute\paste ,ma di condivisione ( completa la prima parte , un po' meno la seconda parte ) con un una persona incontrata nella strada internettiana ,
Luisa Bolleri autrice di questo intervento
IL CROCIFISSO: LO SCONTRO È APERTO
Se ci chiediamo perché troviamo il crocifisso esposto in luoghi pubblici, quali tribunali, scuole, ospedali, la risposta è che durante l’epoca fascista (tra il 1924 e il 1928) furono emanate specifiche disposizioni che in seguito non sono mai state abrogate. Nonostante la successiva stesura della Carta Costituzionale nel 1948, attestante l’uguaglianza delle religioni e non solo, resta oggettivamente difficile rimuovere tali simboli, con la motivazione supplementare che sono ormai considerati parte del patrimonio storico-culturale italiano.
Gli articoli 7 e 8 della nostra Costituzione riconoscono lo Stato italiano come una Repubblica democratica laica e aconfessionale. L’art. 7 dispone che “lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”. L’art.8 stabilisce che “tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”.
È evidente che la presenza capillare del simbolo cristiano, il crocifisso, in ogni forma di vita territoriale pubblica del Paese rappresenti un privilegio inammissibile per gli atei, gli agnostici e gli appartenenti ad altre religioni. Non potendo affiggere tutti i simboli religiosi, non rimane che la rimozione del crocifisso. Se negli ospedali, comuni, scuole, uffici vari la cosa è irritante, immaginiamo quanto lo sia nell’aula di un tribunale per chi, non cristiano, debba essere giudicato. La scritta La legge è uguale per tutti si trova sovente affissa a fianco del crocifisso…
Se la consuetudine non ci far rendere conto di quanto sia iniquo il perpetrarsi di una simile preferenza di carattere religioso, immaginiamo per un attimo che la bandiera di una sola squadra di calcio venga affissa in tutti i luoghi pubblici: gli avversari di quella squadra vivrebbero la cosa come un affronto, ritenendo di essere trattati da cittadini di serie B.
Alcuni negli anni si sono opposti, presentando interrogazioni parlamentari e ricorsi al TAR, fino al ricorso alla Corte Costituzionale. Il problema è stato valutato dalla Consulta e anche dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo, ma se nessuna sentenza obbliga al momento lo Stato italiano all’affissione del crocifisso, specularmente nessuna lo obbliga a rimuoverlo. Il tema è stato portato avanti, con cautela, da alcuni partiti di sinistra, mentre alcuni partiti di destra caldeggiavano l’estensione dell’obbligo.
Si tratta di una questione di principio, che mette in pratica una necessità egualitaria sottolineata a livello costituzionale, che però nella pratica si scontra con l’identità religiosa della maggior parte degli italiani, compresi molti tra coloro che si sono sempre ritenuti di sinistra. L’argomentazione legale si confonde con la consuetudine (non spiegandosi per molti la necessità di un cambiamento) e la fede personale, rischiando di trasformarsi in un boomerang politico. Ricordiamo che in democrazia vince chi ha più voti e non chi ha ragione, sebbene in molti non siano d’accordo, come René Guénon che dichiarò: “Il parere della maggioranza non può essere che l’ espressione dell’incompetenza”, oppure Henrik Johan Ibsen che affermò: “La maggioranza non ha mai ragione”.
L’Italia per motivi storici ha visto da sempre la convivenza a stretto contatto tra potere dello Stato e potere della Chiesa, per la presenza del Vaticano all’interno dei propri confini, sia prima che dopo i Patti Lateranensi del 1929. È stata inoltre enormemente condizionata dall’impostazione del più rilevante partito del dopoguerra, la Democrazia Cristiana, il cui simbolo era rappresentato da uno scudo crociato e il cui nome ribadiva con estrema chiarezza l’appartenenza alla religione cristiana. In nessuno stato al mondo è presente una tale intreccio socio-economico, oltre che religioso, come in Italia tra Stato e Vaticano. Sembra che il Vaticano sia lo stato più ricco del mondo e che in Italia il 20% del patrimonio immobiliare sia in mano alla Chiesa. Da noi sono funzionanti oltre 25 mila parrocchie e una rete capillare di scuole parificate: la religione è parte del tessuto sociale italiano. Non è a caso che in molti film e telefilm italiani la presenza di preti e suore sia sempre stata folta, da Don Camillo e Peppone di Guareschi in poi.
Togliere i crocifissi non sarebbe, però, un’abiura delle nostre tradizioni o della nostra fede, ma un ristabilire i giusti confini del diritto, affidando i simboli religiosi e la preghiera ai rispettivi luoghi di culto. Non con un intento punitivo, ma perché siano valorizzati e apprezzati da chi li cerca consapevolmente.
La società muta nel tempo la propria visione etica, morale, etc., esprimendo i cambiamenti attraverso l’emanazione di nuove leggi. Il rispetto della legge deve essere considerato imprescindibile in una società evoluta. Se sono serviti millenni per raggiungere una comunanza di regole per la civile convivenza, da settant’anni confluite nella Carta Costituzionale, non possono essere le intemperanze di pochi a vanificare tali regole.
L’Enciclopedia Treccani specifica, alla voce Pluralismo: “Dottrina che riconosce la legittimità giuridica e politica nello Stato a una pluralità di gruppi sociali e ne sollecita la partecipazione alla vita pubblica.” […] “Si contrappone sia allo statalismo, sia all’individualismo, che considera due facce della stessa medaglia.” Dunque si ribadisce che solo anteponendo il bene comune (di tutti), all’individualismo, metteremo in pratica i dettami democratici. Quando a una comunità ben definita (politica, religiosa, etnica, etc.), ristretta o meno, si conferiscono dei privilegi la libertà di tutti viene indebolita. Il passo verso la soppressione dei diritti delle minoranze è spesso breve, la storia lo insegna in ogni pagina. Non abbiamo bisogno di regimi autoritari né tantomeno teocratici, per averli già visti in azione.
All’indomani delle ultime elezioni politiche italiane, il 26 marzo 2018, è stata depositata una proposta di legge per “disciplinare l’esposizione del crocifisso in tutti gli uffici della pubblica amministrazione e nelle aule delle scuole di ogni ordine e grado e delle università e accademie del sistema pubblico integrato d’istruzione”. Sono contemplate sanzioni per chi lo rimuova dalla sua postazione, che dovrà essere elevata e ben visibile. La richiesta si richiama a un pronunciamento del Consiglio di Stato del 1988 secondo cui “il crocifisso è simbolo della civiltà e della cultura cristiana, nella sua radice storica, come valore universale, indipendentemente da una specifica confessione religiosa”.
Lo scontro è aperto e appare come il frutto di una provocazione politica che rimarchi i confini a livello etnico-religioso tra italiani e immigrati, cercando la divisione e non l’integrazione. Nel giro di pochi mesi il sistema di accoglienza dei migranti e dei profughi è stato sabotato, mettendo sotto accusa le ONG che salvavano naufraghi nel Mediterraneo, di occuparsene per motivi affaristico-economici poco chiari e di essere in combutta con gli scafisti. Salvare vite è diventato vietato e i migranti ora vengono chiamati clandestini. Nell’evoluzione tragica di una decadenza di portata epocale dell’Occidente europeo, travolto da una stagnazione economica e dai rigurgiti di nuovi sovranismi, nazionalismi ed egoismi, si alzano nuovi muri e divisioni. Un bel passo avanti nella soluzione dei problemi sembra essere, per il nuovo governo 5Stelle-Lega, depennare il costo per l’immigrazione dal conto Profitti e Perdite di Bilancio.
Così sembra che uno dei simboli più diffusi nel mondo sia svuotato proprio in Italia da coloro che si sono auto-accreditati come i più accesi fautori. Perché paradossalmente tale segno di riconoscimento si è spogliato, scollato, distanziato, come in una decontaminazione dal rischio mortale, non solo dai valori cristiani ma dai valori umani (altruismo, solidarietà, tolleranza, empatia, etc.) che lo avevano prodotto.
Recentemente, a