1.3.14

Il grande cuore del ragazzo senegalese, ambulante in spiaggia e studente all’Ipia Dopo l’alluvione ha aiutato nella casa allagata l’amico, tecnico nella stessa scuola

Il grande cuore del ragazzo senegalese, ambulante in spiaggia e studente all’Ipia
Dopo l’alluvione ha aiutato nella casa allagata l’amico, tecnico nella stessa scuola 
Mansour e Luciano felici:
abbiamo sconfitto il fango
la nuova sardegna  cronaca  Olbia- Gallura  del 1\3\2014  

di Dario Budroni 
OLBIA Nato e cresciuto a Thies, Senegal, Mansour ha scelto l’Italia con il sogno di costruire una vita tutta sua. «A dir la verità, la mia famiglia non sta male. Però ho voluto lasciare il mio paese per scoprire nuovi orizzonti – continua il ragazzo -. Io amo Olbia, qui la gente mi vuole bene, così ho deciso di frequentare una scuola professionale. Adesso sono in terza, in classe con dei ragazzi più piccoli, ma non è un problema. Non vedo l’ora di diplomarmi. Poi spero di trovare un bel lavoro qui a Olbia. Questa è una città aperta e solidale che non meritava l’alluvione. Così come non la meritava Luciano. Per questo ho voluto dare una mano a chi mi ha accolto a braccia aperte». Si guardano in faccia e sorridono, poi si scambiano 




una pacca sulla spalla, come per smorzare una commozione che riaffiora ogni mattina, quando si incrociano nei corridoi della scuola. Il segreto di questo legame lo rivela direttamente il più grande dei due, Luciano Atzeni, 60 anni, assistente tecnico del laboratorio di informatica dell’istituto professionale Ipia. «Il fango ha consolidato la nostra amicizia» confessa con tono gentile. Accanto a lui, con un sorriso che conferma tutto, c’è Mansour Gadiaga, 28 anni, senegalese, studente di mattina e venditore ambulante di pomeriggio, d’estate vera star tra ombrelloni e asciugamani al sole: «Luciano è un mio carissimo amico, quella mattina non potevo non aiutarlo». E subito il nastro dei ricordi si riavvolge fino al 19 novembre, il giorno dopo l’alluvione, a poche ore da una tragedia che ha capovolto la normalità. Un dramma che continua a raccontare storie di esistenze distrutte, ma anche di solidarietà, eroi quotidiani e vera integrazione, come in questo caso. «Avevo letto che una delle zone più colpite era proprio quella di via Emilia, dove c’è la mia scuola – racconta Mansour, che frequenta il corso manutenzione e assistenza tecnica dell’Ipia, istituto guidato dal preside Gianluca Corda -. Quindi mi sono fiondato lì, pronto a dare una mano. Ma prima sono passato in via Baratta, una strada vicinissima, dove abitava Luciano. Era il finimondo. Casa sua era ricoperta dal fango e i mobili rovesciati per terra. Un disastro». E impotente davanti all’apocalisse c’era quindi il signor Luciano. «Io sono di Iglesias e vivo a Olbia da 5 anni. E sono da solo. Ma per fortuna è arrivato Mansour. Lui è stato il primo ad aiutarmi – racconta Luciano Atzeni -. Senza pensarci due volte si è tolto alcuni vestiti ed è entrato in mezzo al fango, aiutandomi per tutta la giornata a liberare la casa. È stato un gesto bellissimo che non dimenticherò mai. Quel giorno, a casa mia, praticamente abbiamo lavorato solo io e lui». Un’esperienza che ha rafforzato un’amicizia sincera, capace di andare oltre l’età e la provenienza. Mansour Gadiaga e Luciano Atzeni si sono infatti conosciuti qualche anno fa al professionale Ipia, con il secondo che, a tempo perso, dava ripetizioni di matematica al primo. Un legame forte, favorito anche dalla simpatia e dal carattere espansivo di Mansour. A Olbia da soli 4 anni, il ragazzo senegalese è conosciutissimo in città. D’estate, per vivere e pagarsi gli studi, lavora come ambulante nelle spiagge dagli olbiesi, da Pittulongu a Cala Banana, tanto da diventare presto un piccolo simbolo dell’estate. Una squadra di calcio, per esempio, in occasione di un torneo nella spiaggia di Bados, ha addirittura scelto il suo nome come sponsor ufficiale da stampare sulla maglia. «Hanno voluto pubblicizzare la mia attività di ambulante», racconta col sorriso Mansour, che come immagine del suo profilo Facebook ha una foto con il rapper Salmo. Un idolo dei ragazzi olbiesi. Un altro amico in città. 

anche clienti delle prostitute hanno un etica . Imperia, ragazzine si prostituiscono Un cliente le denuncia alla polizia

sto coprendo le talee di Helichrysum più  precisamente  di

                           Helycrisum italicum


Famiglia: Asteraceae o Compositae.
Nome scientifico: Helichrysum italicum.
Etimologia: Helychrysum, dal greco “helios”= sole e “Chrysos”= oro, per il colore dei fiori.
Nome sardo: Erba de Santa Maria – Allu’ e fogu – Frore de Santu Juanne – Bruschiadinu- Abruschiadinu- Uscradinu- Uscradina.
Habitat: L’Elicriso è originario dell’area del Mediterraneo ed è una delle piante più caratteristiche della Sardegna. Esso è presente, in modo particolare nei terreni calcarei mesozoici dell’area centro- orientale dell’isola e, comunque, ben esposti al sole. E’ possibile trovarla in altitudini dai 500 ai 1400 m. Richiede una buon’esposizione al sole.
Descrizione: L’ Elicriso è una pianta molto aromatica ha la forma di un cespuglio molto ramificato, alto circa 40 centimetro; 15– 30 capolini riuniti in corimbo hanno un involucro di brattee al cui interno si trovano dei fiori giallo-dorati. I fusti sono legnosi, contorti con rami arcuati ascendenti. Ha foglie lineari- filiformi, le inferiori lunghe meno di 3-4 cm e largo cm 0,10, fortemente revolute con la pagina superiore tomentosa.
Parti utilizzate: Gambi, foglie e fiori.
Periodo di fioritura: Maggio - Settembre in base all’altitudine.
ProprietàLe proprietà dell’elicriso sono antinfiammatorie generali, cutanei, connettivali;anticoagulanti, antiflebitiche, antiematoma, analgesiche, antiatritiche, ipocolesterolizzanti, espettorante, anticatarrale, cicatrizzante, antipsoriassiche , antiallergiche (anche in uso veterinario), antibatteriche e stimolanti pancheatriche.
L’uso nei secoli: i sardi apprezzano molto questa specie il cui profumo ricorda il tipico pastore sardo per quell’aroma che portava a casa appena rientrato dalla campagna. L’asprezza e la dolcezza dell’ambiente naturale della Sardegna esprimono il carattere orgoglioso del suo popolo. L’Elicriso è una pianta aurea come, secondo una legenda, i capelli di quella ninfa che, innamorata di un Dio e non corrisposta, fu trasformata in elicriso prima di morire d’amore. Tra le credenze popolari relative ai poteri di questa pianta officinale, non poteva mancare la qualità di portafortuna, cita un detto: “Di fortuna resti intriso, chi si adorna di elicriso”. Essendo una specie particolarmente aromatica, fino al secolo scorso,in Sardenga si preparavano fasci essiccati di elicriso ai quali si dava  fuoco, per poi essere strofinati sull’epidermide del maiale ucciso, ai fini di  eliminare le setole e di dare un aroma intenso alla carne. Un altro utilizzo tradizionale fu quello di poggiare sopra il formaggio, mazzi di elicriso, per proteggerlo dalle mosche. Infine, quando ancora non esistevano farmaci per liberare e disinfettare le vie respiratorie, in Sardegna si praticava “ S’affumentu”, tradizionale metodo che alleviava il mal di testa e preveniva le infezioni bronchiali.

Avvertenze: Da evitare l’uso dell’olio in stato di gravidanza, a soggetti epilettici, o in casi di pressione alta. Non frizionatelo, né massaggiatelo direttamente sulle vene varicose.


quando su una pagina dell'unione sarda di qualche tempo fa  ho letto questa news 


                                                             Una prostituta



Sulla scia delle baby prostitute dei Parioli, un nuovo caso a Imperia.

Un nuovo caso di baby prostitute, dopo quello ai Parioli romani, è stato denunciato a Ventimiglia. Tre studentesse di 14 e 15 anni fornivano prestazioni sessuali per avere disponibilità economiche e comprare oggetti di lusso. Un trentenne, che aveva ottenuto un incontro con una di loro conosciuta attraverso un annuncio su un sito internet, ha rifiutato il rapporto ed è andato direttamente alla polizia.
Le adolescenti, tutte di buona famiglia, per ogni rapporto - che avveniva in auto o nei piazzali o in zone isolate dell'entroterra - si facevano pagare 30 o 50 euro, a seconda della prestazione: i loro clienti avevano spesso la loro età, in molti casi, però, erano più grandi. L'"attività" era iniziata un mese fa e i genitori, secondo quanto emerso, erano all'oscuro di tutto. Gli indagati al momento sarebbero 5: avevano avuto incontri sessuali con le minori.



ladymafia colpisce ancora


Anche stavolta  il mio non giudicare  aprioristicamente  preso alla lettera e  la mia testardaggine  di  voler    recensire \  dare  un giudizio  solo  dopo aver letto  o  visto la  cosa in  questione , ho  comprato ,  contraddicendomi  con quanto  dicevo  precedentemente  , il primo numero  del  nuovo fumetto  noir  Lady Mafia  .
 Ciò  che mi  ha  portato a tale  decisione sono oltre al battage mediatico  \  pubblicitario  :  1)  la risposta  censoria  che  avviene   come    dice  Perruggini Antonio , mi pare  sulla pagina fb  del fumetto   (  vedere  per  l'url   il link  precedente  )  : << Quando un racconto di mafia non rispecchia le ideologie di chi su di essa ha costruito insperate fortune, per lo più politiche, allora diventa un "pericolo". Invece di tentare orribili censure, si progonga di eliminare dal mercato tutte le opere che hanno infangato persone poi rivelatesi innocenti. E' la calunnia che va censurata non la libera iniziativa di questi ragazzi. L'antimafia è una cosa seria, non uno spot utile alle carriere.  >>., 2)   certe  critiche   ed  osservazioni gratuite  fatte senza  aver  letto  il fumetto  e  certe  senza  neppure  aver  visto : 1 il  trailer  ., 2 )  i disegni contenuti  nel video ufficiale  dei  Nahima - La Mia Identità (Official) 



o  sentito   gli autori
  .




mia  scansione  con l'app  cam scanner  del   primo numero  
Ora   cari utenti non so quali fumetti siete abituati a leggere ma a me  non è proprio piaciuto  granché  , forse  perchè sono abituato   al noir  e  ai  film e  fiction sulla mafia   ed  i polizieschi  .  
Artisticamente è disegnato male non me ne voglia l'autore, ma ho visto auto produzioni decisamente più belle e meritevoli della "distribuzione nazionale" di LM.
I testi sono lenti, noiosi e  lunghi alcune volte insomma "non si fa leggere" volentieri  a chi preferisce   i testi  da  ritmo  veloce . Ottima  l'idea  di parlare  di tematiche scomode  ( violenza  sulle donne , omofobia , ecc  )  ma   secondo me   andava fatto  all'interno della storia   e  non a parte .
La tematica della "vendetta fai da te" senza  un travaglio interiore  o delusione delle  istituzioni  o quanto meno  di  chi lotta   quotidianamente  dal basso   per la legalità   non riesco  spiegarmela   (la mafia le uccide la madre e lei si fa giustizia da sola...bel messaggio! ) . E  mi   che  prima  di passare  a lla  cultrura  non  violenta  e  lasciarmi alle spalle  la mia precedente    ne  ho fatto di vendette e  di repicche per  i torti   ( veri o presunti  )   subiti  . Quindi  adesso  ho , ancor  di più di quanto dicevo  nel post  precedente  ( vedi url  sopra )   tutti gli elementi  per   dire   che   ladymafia  è un noir mediocre e  che eviterò di  buttare   €  comprando  gli altri   , anche se  devo dire  che  il finale  è invitante  ed  intrigante   .  Concludo   con   questi due articoli   che  confermano quianto diocevo  nel mio  post  precedente   su lady mafia  e  che   spero mettano a tacere  chi mi dice  che  la prima gallina  che  ha  fatto  l'uovo  tu  dai retta il primo  da  http://www.giovannifracasso.it/  
[....]
quando un organismo come l’antimafia tira in ballo certi valori e concetti…il passo può essere veramente breve.
Loro sono “il bene” no?
E se il bene dice che fai male…beh…qualcuno potrebbe attivarsi. Ma poi, guardatevi attorno: che censura pensate di esercitare sul web Ogni tentativo è morto in partenza. Io spero, ovviamente, che la questione si risolva senza problemi, che nessuno dia seguito a queste “denunce”… E che si sia trattata solo di una bella pubblicità per una serie italiana, di quelle che fanno bene alle vendite degli editori locali. Ma se così non fosse, e le cose si mettessero male, invito Pietro Favorito a pensare ad una vendita tramite Amazon o altri canali esteri alternativi, che delle baggianate italiane se ne fregano. E mettere in promozione su Facebook una qualche offerta a tutti gli amanti del fumetto. E nel caso più estremo a mettere a disposizione da un qualche sito estero (da una fanzine francese, per esempio) i file .cbr almeno del primo numero.
Porta all’estero la vendita e lascia questi poveracci nel loro brodo primordiale.
Prima che scatti il sequestro di tutti gli albi…
Affinché, appunto, l’azione della censura si trasformi in un surplus di pubblicità e permetta a lui di trarre qualche vantaggio da questa squallida vicenda italica.
Anche perché le recensioni della critica più o meno specializzata, lo hanno in questi giorni portato come buon esempio di fumetto noir italiano, nessuno dei critici si è lamenta per l’eccessiva violenza o per la violenza gratuita (diciamocelo: in una puntata media di The Walking Dead ce n’è molta di più, fisica, psicologia e comportamentale).
qui  l'articolo  completo   il secondo  dal  blog  (  vedere  sopra  l'url   dell'articolo )  dal blog  di roberto recchioni  http://prontoallaresa.blogspot.it

[... ] 
- La questione del ritiro dalle edicole. Proprio come per Mater Morbi, appena un fumetto tocca un argomento sensibile, in Italia si alza qualche trombone a criticarlo e, nei casi più estremi, a chiederne il ritiro.Questo ci dice una cosa importante: che gran parte dei nostri fumetti sono ignorati perché non toccano mai argomenti sensibili. Sono, in sostanza, culturalmente innocui e quindi trascurabili.E mi sa che questa non è una cosa tanto positiva, no?Il secondo aspetto che mi fa piuttosto ridere (per modo di dire) è che se un fumetto piace ai lettori e agli addetti ai lavori, se -in sostanza - è approvato dalla comunità fumettistica, allora quando qualcuno cerca di censurarlo in qualche maniera, c'è una reazione forte e indignata.Se, invece, il fumetto è schifato da suddetta comunità, allora se ne può chiedere il ritiro senza che nessuno dica nulla. Anzi, capita pure che ci sia qualche applauso.Dal mio punto di vista, la censura fa schifo sia nei confronti dei fumetti belli, sia nei confronti dei fumetti brutti e le polemiche sorte intorno a Lady Mafia sono una roba da condannare senza appello a prescindere.
da wikipedia
e  per  finire  sempre  a  supporto  della  mia posizione   quest'articolo  di  http://www.statoquotidiano.it/  Ma soprattutto  correggendo un mio errore  , da  una lettura    delle recensioni  in rete  e    discussione    con amici appassionati e    fumettisti  , lì'aver paragonato come  hanno fatto  certi  quotidiani e  siti    (  quando in realtà hanno  in comune solo   il ruolo di anti eroe  ) Diabolik in gonnella . Al massimo  se  vogliamo fare   di qui maggiori dettagli  )  e non si lascerebbe comandare da gente così meschina e vigliacca,mentre Veronica (pur con la sola intenzione di vendicarsi almeno  cosi   me  parso  leggendo il fumetto  ) è al servizio del boss Frank Calabrese ., inoltre lui usa congegni più sofisticati ed efficaci ed ha una mentalità che gli impone di non far soffrire persone innocenti quando vuole raggiungere i suoi scopi ( e questo ricordando che Veronica ha ucciso un pentito di fronte a suo FIGLIO,cosa che Diabolik non farebbe mai);ancora, sono due personalità comletamente diverse ed inamalgamabili.A tutt'oggi sono portato a pensare che chi abbia fatto alla signorina De donato il "complimento" sopra citato si sia completamente scordato di EVA KANT, che di sicuro è molto più assimilabile al compagno di quanto non lo sia Veronica.Ultima (ma non per importanza) differenza è l'ambientazione:mentre DIABOLIK ED EVA agiscono città fittizie Veronica viene sballottolata per tutta la puglia,che invece è reale. 
paragoni  \ confronti  può  essere   descritta  come  un  nuova  lady oscar .Infatti  , lo ricordo  anche dallle letture  fatte   , è  risaputo che Diabolik odia la malavita pur  avendoci un fortissimo  legame  (   come dimostrano le sue origini  

27.2.14

le delizie del carnevale - le frittelle II

dopo   quelle  " virtuali  "  (  vedere post precedente )  eccovi quelle  fatte dalla mia vecchia da mia madre




le delizie del carnevale

nel  prossimo post   riporterò anche delle mie foto  sule  frittelle  di mia madre per  il  momento prendete  queste


non ricordo la data dell'articolo della  nuova sardegna
LE DELIZIE 
I segreti della nonna per le frittelle  del Carnevale 
di Dario Budroni 
OLBIA Industria di serpentelli dorati. Si comincia con un impasto profumato, si termina con una abbondante nevicata di zucchero. La macchina della frittella accende i motori. E con dinamismo si prepara a contenere l’assalto di un esercito divoratore. «Quante ne prepariamo? Beh, nei giorni clou anche 400 chili» confessa Maria Rossella Cassitta, 33 anni, tutta dolci e fantasia. In ogni forno, in ogni pasticceria: da ora in poi si penserà innanzitutto alla frittella. «Durante il Carnevale è così, spesso
abbiamo file lunghissime da smaltire» continua Maria Rossella, dal 2000 titolare della pasticceria Le Delizie, una delle più rinomate della città. «Prima era di mio zio. Diciamo che sono cresciuta in pasticceria, così ho ereditato anche tutte le ricette di famiglia – racconta davanti al suo bancone carico di dolci -. Per esempio quella della frittella. Io le preparo seguendo la ricetta di mia nonna. Il segreto è comunque usare ingredienti naturali e genuini, la farina che utilizziamo arriva da Tempio». Maria Rossella, con l’aiuto di sua zia Domenica, vera esperta da competizione, comincia a preparare le sue frittelle in piena notte, spesso anche alle 3. Prima prepara l’impasto e poi, con l’immancabile saccapoche, lo si riversa pian piano in grossi padelloni pieni di olio, fino a creare frittelle che spesso superano il metro di lunghezza. «Seguiamo solo la ricetta gallurese, figlia di una lunga tradizione. Cioè farina, acqua, lievito, uova e aromi. E poi a seconda dei gusti anche zucchero o miele – continua Maria Rossella, originaria di Priatu, nella sua pasticceria che si affaccia su via Mameli -. Qui il cliente può acquistare solo la frittella del giorno. Non vendiamo mai quelle del giorno prima. Quelle che avanzano, per esempio, le regalo». Ovviamente la pasticceria Le Delizie prepara le frittelle per tutti quei clienti che, durante la settimana del Carnevale, spuntano con l’acquolina in bocca dietro il bancone di vetro. Ma lavora molto anche con supermercati e feste private. E ovviamente non dimentica la produzione di tanti altri tipi di dolci. Le Delizie è infatti specializzata in dolci sardi, in pasticceria secca o fresca. Realizza anche ottime torte, in collaborazione con Monia Cake Design, piccola impresa che si occupa della decorazione in pasta da zucchero. «Questo è il mio mondo, ho iniziato da piccola a dare una mano ai miei familiari, fino a diventare la titolare all’età di 20 anni. Per me è una grande passione» conclude Maria Rossella Cassitta, prima di tornare al lavoro dietro le sue immense montagne di frittelle.

I termini, i personaggi e gli oggetti per capireil carnevale un universo arcaico ancora vivo Ballos, sonazzos e viseras Tutte le parole di un rito antico e contemporaneo

per  tutti\e queli  che   mi hanno   chiesto leggendo  questi  articoli postati nei  giorni  precedenti 
 ulteriori  news  su  nostri carnevali  trovate  qui sotto , preso dalla nuova  sardegna del  27.2.2014  un mini dizionario  che potrebbe essere il punto di partenza  per  chi vuole  saperne di più insieme a  http://www.leviedellasardegna.eu/il_carnevale_in_sardegna.html



In Sardegna è il tempo delle tradizioni che arrivano da un passato lontano I termini, i personaggi e gli oggetti per capire un universo arcaico ancora vivo  Ballos, sonazzos e viseras Tutte le parole di un rito
antico e contemporaneo

ATTITIDU A Bosa il Carnevale mantiene la caratteristica del festeggiamento spontaneo e improvvisato. Il martedì grasso è dedicato alla sfilata i cui personaggi principali sono Gioldzi e le maschere di “s'attittidu” (lamento funebre). Le Attittadoras, piangono la morte di Gioldzi facendo riecheggiare i loro esagerati lamenti. Gioldzi è raffigurato da un bambolotto, spesso smembrato, portato in braccio o su una carriola. Le Attittadoras chiedono al pubblico “unu tikkirigheddu de latte” (un goccio di latte) per il neonato Gioldzi, abbandonato dalla madre distratta dalla festa. La richiesta di latte (che poi in pratica si trasforma in richiesta di vino o Malvasia di Bosa), permette di allacciare rapporti metaforici giocati a livello di allusioni-sessuali. Al tramonto del sole si assiste ad un cambio di scena: le maschere delle Attittadoras scompaiono per lasciare il posto alle maschere in bianco ovvero le anime del Carnevale che sta finendo. BUNDU Su Bundu è la maschera protagonista del carnevale di Orani. Su Bundu indossa abiti da contadino; la maschera è in sughero tinto di rosso con lunghe corna, un grosso naso e baffi. Durante il rituale, Sos Bundos mimano il rito della semina, impugnando su trivuthu, un forcone di legno, accompagnandosi da grida cupe. Un essere metà uomo e metà bue che, con i suoi spaventosi muggiti, emula i suoni del vento. Ancora oggi, in molti paesi, in giornate particolarmente ventose si usa dire “parete chi vi suni sos bundos”, ossia “pare che fuori ci siano i demoni” accostando il personaggio bundu proprio al demonio. COMPONIDORI Su Componidori è il protagonista assoluto della Sartiglia. La sfida equestre prevede una prova di estrema abilità compiuta appunto da un uomo a cavallo, Su Componidori, e da altri cavalieri che devono tentare di infilzare con lo stocco una stella di metallo posta, tramite una fune, lungo il percorso. La parola Sartiglia si suppone derivi dal castigliano sortija, ossia anello, corsa all'anello; questo appassionante gioco pare sia arrivato da noi a partire dal 1100 proprio. La Sartiglia è organizzata da due Gremi: quello dei contadini, posto sotto la tutela di san Giovanni Battista e quello dei falegnami, protetto da san Giuseppe. Le due corporazioni organizzano rispettivamente i tornei la domenica e il martedì. DIONISO Era uno dei più inquietanti dei dell'Olimpo greco, signore dell'irrazionalità e dell'ebbrezza. Era un dio molto chiassoso che veniva chiamato anche Bacco, che in greco significa “clamore”, da cui deriva la parola italiana baccano. Legato alla linfa vitale che scorre nei vegetali, linfa che si ritrae durante i mesi invernali e che poi torna a scorrere vivida in quelli estivi, ed infatti gli erano cari tutti quei frutti ricchi di succo dolce, come l'uva, il melograno o il fico. Una divinità che rappresenta in particolare lo stato di natura dell'uomo, la sua parte primordiale, che resta presente anche nell'uomo più civilizzato. Non pochi vedono nel Carnevale Sardo una rappresentazione delle feste dionisie, che nell'antica Grecia venivano celebrate tra febbraio e marzo, periodo che segnava il passaggio tra inverno e primavera. La morte del dio, nelle sue rappresentazioni di toro, cervo e cinghiale, viene pianta amaramente da queste maschere tetre, luttuose. Ma la rinascita è immediata ed il riferimento è sin troppo chiaro al ciclo delle stagioni. Ancora oggi le maschere sarde replicano i loro riti per un dio chiamato Maimone, di cui si ricordano ancora le invocazioni per la richiesta della pioggia. Un dio del quale si rappresentava la passione che aveva subito, attraverso la sofferenza che si infliggeva a una vittima umana che solo all'ultimo momento, prima di essere gettata sul rogo, veniva sostituita da un fantoccio, spesso chiamato Zorzi (il fecondatore). ERITHAIOS Nel Carnevale di Orotelli, insieme ai Thurpos, è presente anche la figura de S'Erithaju (parola che deriva da eritu, cioè riccio) che per alcuni studiosi potrebbe essere riconducibile ad antichi rituali di iniziazione sessuale. S'Erithaju porta sul viso una benda di tela rossa e un saio bianco, sotto il quale si cela una collana di cuoio, cui sono applicati tappi di sughero ricoperti di pelli di riccio con aculei. Durante il rito si avvicinano alle donne presenti e, abbracciandole le pungono con gli aculei simboleggiando così la metafora della penetrazione e fecondazione connessa con i rituali di propiziazione di una futura annata agraria. I Thurpos invece, hanno il viso nero, dipinto con il sughero bruciato, su zizziveddu o tintieddhu; con questo gesto perdono la propria identità umana e, attraverso la simbiosi uomo-animale, si trasformano in buoi aggiogati che mimano le varie fasi del lavoro contadino. FILONZANA Nel carnevale di Ottana, insieme ai Boes e Merdules, sfila la maschera de sa Filonzana (la filatrice). La sua è una figura tanto ambigua quanto affascinante, è un uomo vestito da donna vecchia che, gobba e con andatura distorta, si infila tra il pubblico e il corteo delle maschere. La maschera de sa filonzana deriva dalle tre parche greche o moire romane, che secondo la mitologia erano delle divinità simboleggianti il destino degli uomini e inesorabili filatrici della vita di tutti gli esseri umani. Sa Filonzana infatti, durante il rituale va in giro con fuso e conocchia e, con delle forbici da tosare appese al collo, minaccia il pubblico di recidere il filo in caso in cui non le venga offerto da bere. Gli altri protagonisti del carnevale ottanese sono i Merdules e i Boes che in un cerimoniale cruento e affascinante ripropongono scene della vita del mondo contadino: Sos Merdùles, ossia gli uomini, i contadini, vestiti con mastruche (pelli bianche o nere), il viso coperto da maschere lignee e antropomorfe, dai tratti spesso deformati, procedono lentamente, ricurvi su stessi e con delle redini (socas), guidano e tengono a bada Sos Boes; il loro significato è reso più evidente, oltre che dalla pantomima, anche dall'etimologia della parola Mèrdule che, con molta probabilità, deriva dal termine ottanese “mere de ule”, letteralmente padrone del bue. Sos Boes indossano pelli di pecora bianche, abito in velluto, e portano in spalla una cintola, generalmente di cuoio, da dove pende un pesante grappolo di campanacci. Il viso dei Boes è coperto anch'esso da “sas caratzas” (maschere) con sembianze zoomorfe, con corna più o meno lunghe che donano maestosità all'intera figura. GAVOI Il carnevale di Gavoi conserva l'ancestrale valore apotropaico e rigenerativo determinato dal suono, che vuole risvegliare la natura dal letargo invernale, allontanare gli influssi negativi e propiziare l'abbondanza della comunità. L'evento di questa giornata è “sa sortilla 'e tumbarinos”, il raduno di centinaia di tamburi suonati da donne, uomini e bambini che sfilano per le vie del paese indossando l'abito di velluto maschile dei pastori, le scarpe chiamate “sos cosinzos” e “sos cambales” o l'abito femminile delle vedove con il viso rigorosamente dipinto di nero. Anche nel caso del vestito vale l'inversione dei ruoli. I tamburi realizzati con pelli di pecora o capra su una struttura di legno, rappresentano gli strumenti principali della festa insieme a “su pipiolu”, il flauto di canna, “su triangulu”, il triangolo di ferro battuto, “su tumborro”, uno strumento realizzato da una vescica di animale essiccata e rigonfiata come cassa di risonanza che viene fatta vibrare da una corda come se fosse un violino. CARRASECARE Con il termine Carrasecare (o Harrasehare) si vuole indicare il Carnevale sardo, un carnevale tragico, lontano dall'allegoria e dai termini burleschi dei carnevali di Viareggio o di Venezia. Il termine Harrasehare, infatti, parrebbe derivare dal sardo harre 'e sehare, vale a dire carne umana fatta a pezzi, fatta a brandelli, proprio come era stato sbranato Dioniso dai Titani; attraverso questa interpretazione si voleva ricordare la presenza in questi riti di vittime sacrificali, residui di antichi riti pagani propiziatori di morte e rinascita. INTINTOS A Ovodda non esiste una vera e propria maschera tipica, ma si assiste al mascheramento in massa di tutti gli abitanti del paese, che dipingendosi il viso di nero con la fuliggine si trasformano in uomini Intintos. A differenza degli altri paesi sardi, in cui il carnevale termina il martedì grasso, a Ovodda si conclude il giorno successivo, ovvero "su merhulis 'è lessia", il Mercoledi delle ceneri, data che coincide co il primo giorno di Quaresima. Questo fa del Carnevale di Ovodda una festa trasgressiva visto che per la chiesa, il mercoledì delle ceneri è il giorno dedicato al digiuno e alla penitenza, esattamente l'opposto del carnevale. Il culmine della festa si raggiunge quando la ribellione sfocia nel processo e nell'eliminazione, con il rogo, di Don Conte, la sua morte viene vista come una liberazione dal malocchio lasciando una rinascita della terra e del bestiame, e auspica inoltre prosperità e gioia per i giorni restanti! nLULA Le maschere più importanti del carnevale di Lula sono tre: Su Battileddu,( la figura principale), sas Gattias (le vedove) e sos Battileddos issocadores. La denominazione Battileddu deriva dalla parola sarda battile, una sorta di tappetto usato come sotto-sella per gli asini e i cavalli; in seguito però il suo significato si riferisce ad un oggetto di scarso valore o, se riferito a persona, allude al suo essere trascurato e sporco. Su Battileddu ha il viso sporco di sangue e annerito dalla fuliggine e il corpo ricoperto di pelli di pecora e montone. cadores fanno da contorno al rituale. Intorno a lui si muovono altre maschere dal volto nero che lo aggrediscono fino ad ucciderlo. Su Battileddu viene quindi fatto sfilare su un carro, ma alla fine risorgerà, caratteristica che dimostrerebbe come anche la maschera di Lula, come la maggior parte delle maschere sarde, tragga origine dai riti Dionisiaci. MAMUTHONES E ISSOHADORES I misteriosi protagonisti del Carnevale di Mamoiada, Mamuthones e Issohadores, sono arrivati a noi come arcani testimoni di una millenaria tradizione orale. I Mamuthones, maschere nere e tragiche dall'espressione sofferente e affaticata, avanzano in gruppo di dodici con salti cadenzati che provocano il suono assordante dei campanacci, elemento propiziatorio ed apotropaico. Si muovono in maniera composta e solenne, osservando un assoluto silenzio e rappresentano l'immagine dell'oscurità, della natura morente nei suoi molteplici aspetti di uomo, donna, animale. Gli Issohadores, chiari e leggiadri nei loro costumi colorati, scortano il gruppo dei Mamuthones con un incedere più aggraziato dando il ritmo alla processione delle maschere nere. In mano tengono un laccio di giunco (sa soha), che lanciano con abilità verso le persone per acchiapparle, coinvolgendo in tal modo la comunità nel rito e donandole simbolicamente benessere e fertilità. nOLZAI Il carnevale di Olzai, come quello di Ovodda, ha la particolarità di proseguire fino al mercoledì delle Ceneri e poi fino alla domenica delle pentolacce; le strade del paese vengono animate dalle tre maschere caratteristiche del carnevale olzaese: sos Intintos, sos Murronarzos e sos Maimones. Sos Intintos, vestiti con “zippone e antalera”, hanno i visi imbrattati di nero, sono travestiti da vedove a lutto per la morte del carnevale e sfilano il mercoledì delle ceneri. Sos Murronarzos, indossano abiti d'orbace e campanacci; usano imbrattarsi il viso col sughero bruciato, originariamente lo coprivano con veri musi di maiale o cinghiale, oggi sostituiti da maschere lignee. Sfilano sempre in coppia. Sos Maimones, mezzo uomini e mezzo fantocci dalle fattezze femminili, hanno quattro braccia, quattro gambe e due teste. Sono maschere particolarmente allegre ed esplicite che personificano la fertilità umana. PASSU TORRAU Sino alla prima metà del Novecento, la buona riuscita di una festa dipendeva quasi esclusivamente da come si svolgevano le danze e particolare attenzione si prestava all'aspetto sonoro e coreutico. Sos Ballos, inoltre, rappresentavano anche una delle più importanti occasioni di socializzazione offerte alla comunità, e, in particolare, erano occasione per uomini e donne di poter stare a stretto contatto e comunicare le proprie simpatie amorose. Tra gli strumenti musicali nel cui repertorio vi sono molte musiche da ballo si possono menzionare “is launeddas, sas benas, su pipiolu, sa trunfa, s'affuente, su tumbarinu, su triangulu, sa chitarra”, “su sonette a bucca” (l'armonica a bocca), “su sonette” (l'organetto diatonico), “su sonu” (la fisarmonica). Lo studioso Giovanni Lilliu vedeva nel ballo «una vera orgia mimico-musicale propiziatrice d'amore», abbastanza vicina ad una danza rituale magico-erotico-sessuale. Per altri studiosi il ballo sardo è di origine greca. Il ballo più diffuso nell'isola è su ballu tundu (il ballo tondo) o duru-duru, imperniato su un cerchio che si ricompone più volte dopo ogni variazione coreografica. Da molte parti si balla su passu torràu (il passo che ritorna), detto anche ballu sèriu (ballo serio), una danza imponente, caratterizzata da un passo che si ripete e si conclude con una genuflessione. In tutta l'isola a seconda delle zone, degli strumenti che li accompagnano e dalle coreografie i balli e le danze tradizionali assumono nomi e connotazioni differenti. TEMPIO Il Carnevale di Tempiopausania  ha subito nel corso degli anni diverse trasformazioni, fino a diventare uno spettacolo folkloristico con una sfilata di carri allegorici che inscenano per le strade della cittadina una pantomima satirica con risvolti anche politici, diventando una sorta di Viareggio in miniatura. Il carnevale nella Gallura in generale, ha origine antica. ma risalire al principio non è facile perché molte tradizioni sono completamente scomparse. Le sfilate dei carri allegorici sono iniziate nel 1956, mentre prima vi era semplicemente un'esibizione di costumi composti da stracci e vestiti vecchi con particolari acconciature, all'insegna dell'improvvisazione e della spontaneità. VÍSERA ( O BÍSERA) È la maschera utilizzata nel carnevale, sono presenti diverse tipologie di vìseras, con varianti relative al materiale (legno, sughero, ceramica), alla tipologia (antropomorfe o zoomorfe) e al significato. Comune a innumerevoli popolazioni era l'utilizzo di tale simbolo sin dall'età arcaica, raramente sostituito, ma spesso affiancato da pitture corporali e tatuaggi. La maschera si configura come un'efficace mezzo di comunicazione tra gli uomini e le divinità, un tramite che consente di proiettarsi all'interno di un mondo “altro”, divino, rituale, mistico. Colui che indossa la maschera perde la propria identità per assumere quella dall'oggetto rituale rappresentata. In linea molto generale, la maschera è strumento con cui ingraziarsi la volontà dei numi agricoli e pastorali, utilizzandola a beneficio della comunità. La maschera, spesso, è associata al culto degli antenati ed il soggetto umano o animale è il più diffuso.


Zidicosu, Zorzi, Gioldzi e Radjolu, chi è il capro espiatorio che verrà sacrificato 
Il re fantoccio morirà sul rogo
MAMOIADA La maggior parte dei Carnevali sardi è riconducibile ad arcaici rituali propiziatori; quasi tutti sono caratterizzati dal sacrificio di una vittima che a seconda del paese assume nomi diversi: il nome più comune per identificare il re del Carnevale è Zorzi. Ma sono tante le varianti con le quali viene
una mia   foto   carnevale  2012 del nostro  Re Giorgio e Ghjòlglju 
chiamato il Dio del Carnevale: Isili lo chiama S'urdi de s'antecoru, a Desulo è detto Zidicosu, a Dorgali Radjolu, a Tempio Re Giorgio e Ghjòlglju, Gioldzi a Bosa, Juvanne Martis sero a Mamoiada, Olzai, Ollolai, Narcisu o ce homo, è il pupazzo tipico del carnevale fonnese. Don Conte a Ovodda, Cancioffàli di Cagliari, Zizzaròne a Gavoi, Zorzi conchi-tortu a Silanus. Si tratta di una maschera-pupazzo, simbolo del dio o del capro espiatorio, che in tutti i carnevali scompare di morte violenta: viene impiccato, bruciato o gettato in un fosso, affinché le sue ceneri fecondino la terra. I fantocci per lo più finiscono al rogo, ma non mancano i casi di annegamento, defenestrazione, decapitazione, impiccagione ed altre morti ingloriose. Il reato del quale viene ritenuto colpevole è quello di essere causa delle pene che l'umanità sopporta durante l'anno. In passato, il sacrificio si concludeva con delle vere e proprie orge, durante le quali gli uomini in età virile gridavano e cantavano versi scurrili al grido di “Andira, andira, andirò”, forse variazione di Andrìa (appellativo di Dioniso e del membro virile). Ancora oggi in molti paesi il fantoccio viene accompagnato da uomini mascherati da prefiche e da canti dal linguaggio scurrile. A Bolotana il fantoccio è seguito dal coro «Zorzi lassa su piachere-ca torra sa pacha Santa, lassa su piantu chi torra Sabadu Santu…», a Norbello cantano «Zorzi non ti c'andes- aspetta ca ti frio duos oos», a Mamoiada le prefiche lo piangono cosi: «Juvanne meu, prenu 'e pazza, mesu meazza, meazza 'e mesu, torrami sa vresa chi m hii c'has pihau, Juvanne». Nella Roma antica il dio dei saturnali veniva personificato da un uomo che veniva sacrificato per il bene della collettività; poi venne sostituito con un fantoccio di paglia. La sera del martedì grasso veniva bruciato come vittima designata che, morendo purificava gli uomini e la comunità, e attraverso l'esorcismo della sua morte diveniva simbolo di rinnovamento della fecondità.



25.2.14

viaggio nel tempo attraverso la soffitta

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 le  foto  sono  di https://www.facebook.com/andrea.deiana


P.s  se non riuscite  a leggere il commento sotto  rieccovelo


Per un vero fotografo una storia non è un indirizzo a cui recarsi con delle macchine sofisticate e filtri giusti.
Una storia vuol dire leggere, studiare, prepararsi. Fotografare vuol dire cercare nelle cose quel che uno ha capito con la testa. La grande foto è l’immagine di un’ idea.
Tiziano Terzani

concludo    con in sottofondo  La  grande famiglia  -  Modena city Ramblers 

La fattoria diventa scuola di vita e legalità giustizia minorile Il sistema educativo è fondamentale e questo forse è migliore dei quello delle comunità

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http://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2014/02/intervista-carmelo-musumeci.html
http://www.istentales.com/  e  le   loro pagine su  fb  1 2 )

 da la nuova sardegna  del 23\2\2014

La fattoria diventa scuola di vita e legalità
giustizia minorile
Il sistema educativo è fondamentale e questo forse è migliore dei quello delle comunità
di Luciano Piras
NUORO La sveglia suona puntuale ogni mattina alle 6 e 30. «E poi cosa fanno? Totu, totu su chi b’est de fachere fachen... ». Nessuno sconto per i ragazzi appena condannati. «Mungono le pecore, fanno il formaggio, sa sartitza, sichin su fruteto, cullin s’ulìa, tagliano la legna, pesan i muretti a secco... totu, fanno
tutto quello che c’è da fare in campagna, senza orari come nella vita reale dei pastori». Gigi Sanna parla all’ombra di una quercia secolare, in un costone di Badde Manna, nei tancati poco fuori Mughina, a due passi dalla strada provinciale che porta a Orgosolo. «Qui i ragazzi imparano a lavorare, a essere orgogliosi del proprio lavoro» racconta il pastore-cantante degli Istentales. Una band popagropastorale, certo, ma anche cooperativa sociale che a Badde Manna ha il suo paradiso terrestre protetto dall’imponenza del vicino Monte Ortobene. È in questo ovile-fattoria di Nuoro che la giustizia minorile ha trovato la nuova via della redenzione. Nel giro di quattro anni, sono già quindici i ragazzi passati all’aria aperta dopo l’esperienza in un istituto penale come quello di Quartucciu ( foto sotto al centro  ) 


o per scelta diretta. Una realtà unica in Sardegna, una rarità in tutta Italia. «È una opportunità che diamo ai nostri ragazzi» dice Isabella Mastropasqua, dirigente del Centro giustizia minorile per la Sardegna. «La Giustizia minorile – spiega – si deve espandere e deve coinvolgere quanti più enti, istituzioni e soggetti possibili». Come dire: le responsabilità dei minorenni che hanno sbagliato sono di tutti e tutti dobbiamo risponderne. «A Nuoro – va avanti Mastropasqua – trovano l’accoglienza propria di una famiglia che apre loro le porte e gli dà il benvenuto». «Benvenuto, sei dei nostri» è la formula adottata alla reception da Maria Paola Masala, la compagna di Gigi Sanna che cura e segue passo passo il progetto. «E ora rimboccati le maniche, si comincia a lavorare» la frase successiva. E se è vero che il lavoro nobilita l’uomo, altrettanto vero è che Badde Manna regala dignità ai ragazzi smarriti. Giovani e giovanissimi che arrivano da tutte le parti dell’isola, dal Capo di Sotto o dal Capo di Sopra. Due sono anche stati assunti con contratto a tempo indeterminato. Minorenni finiti in carcere per furto, rapina o spaccio di droga e che all’orizzonte vedono ben poche stelle luccicare. «Poi invece finisce che da qui non vorrebbero più andar via anche se hanno finito di scontare la loro pena» sottolinea con orgoglio Gigi Sanna. «Il sistema educativo è fondamentale e questo, forse, è migliore di quello delle comunità, che restano un sistema protetto mentre qui l’inserimento lavorativo è diretto, reale» sottoscrive Battista Cualbu, presidente della Coldiretti Sardegna che da subito ha sposato il progetto “Insieme nella fattoria”, finanziato dalla Fondazione Banco di Sardegna, dal Centro giustizia minorile, dalla Regione e dai Comuni di appartenenza dei singoli ragazzi ospiti della coop Istentales, oltre che dalla stessa federazione regionale dei coltivatori diretti. «È una opportunità reale di riscatto» insiste Cualbu. Un percorso riabilitativo che dura sei mesi, i ragazzi prendono una borsa-lavoro, hanno vitto e alloggio assicurati a Badde Manna, «imparana unu travallu» e due giorni la settimana fanno volontariato a Nuoro città «con i disabili o con gli anziani, a seconda dei casi e del momento» spiega ancora il leader barbudo degli Istentales. Azienda sociale e multifunzionale, ma anche agriturismo e fattoria didattica che fa dei minorenni condannati maestri di vita. Spesso, infatti, sono proprio loro a indossare i panni degli insegnanti così da far lezione ad altri giovani e giovanissimi e scolaresche che a Badde Manna vogliono sapere come si fa il formaggio o come si preparano salsicce e prosciutti. «È così che si dà un’altra possibilità a chi ha sbagliato, e magari ha sbagliato a causa di noi adulti» chiude Sanna.

Il leader della band: «Sarebbe bello inserire nelle aziende anche gli adulti che lasciano il carcere»
Galeotto fu un concerto a Su Pezzu Mannu

NUORO «Sì, certo, il decreto svuota-carceri... l’esperienza di Badde Manna si potrebbe estendere anche agli adulti, perché no?, sarebbe bello avere la possibilità di inserire nelle aziende agricole della Sardegna ragazzi e adulti che quando escono dal carcere non sanno neppure dove andare». A lanciare l’idea è Gigi Sanna, leader degli Istentales, che da quattro anni a questa parte ospita i ragazzi di Quartucciu nella sua coop sociale di Badde Manna. «Per loro sarebbe un’occasione di lavoro e al contempo le campagne avrebbero un ricambio generazionale assicurato. Se poi venisse creato un marchio doc, una rete commerciale di prodotti “galeotti”... beh, sarebbe il massimo» aggiunge. Un sogno cominciato già sette anni fa, quando la band nuorese mise piede per la prima volta nell’Istituto penale minorile di Quartucciu. Era il 6 giugno 2007. Per gli Istentales era la sesta tappa di un intenso tour nelle carceri. Concerto a Su Pezzu Mannu, dunque, a 13 chilometri dal capoluogo isolano, vicino ai comuni di Settimo San Pietro e Selargius.Naturalmente, a firmare il beneplacito ci pensarono i funzionari del Dipartimento per la giustizia minorile del Ministero della Giustizia. «La nostra è voglia di libertà e vogliamo darla a chi non ce l’ha» aveva esordito il pastore-cantante davanti a un pubblico davvero speciale: dieci ragazzi, quasi tutti extracomunitari, molti ex clandestini, adolescenti che attraversavano la fase forse più critica della loro crescita. Quasi tutti avevano già avuto esperienze traumatiche con l’alcool e la droga. Loro che per un’ora e passa ascoltavano la musica dei quattro baronetti di Badde Manna: Gigi Sanna, Tattino, Luca Floris e Daniele Barbato. Indelebile il ricordo lasciato da Abdulah, un marocchino che diede il via alle danze, benché la limba e il ballo sardo fossero per lui segni di un’identità straniera. Il messaggio delle canzoni di Quartucciu fu uno soltanto: «Per chi ha sbagliato e ora sta dentro, c’è un mondo che aspetta e sta oltre le sbarre». Così alla fine, gli Istentales salutarono con una promessa: «Torneremo. Ma sia chiaro: non per vedere le stesse facce». E gli Istentales sono tornati aprendo le porte dell’ovile di Badde Manna, per una nuova possibilità, una nuova occasione di vita e di rinascita dalla terra. (l.p.)

aiuto fra poveri un mendicante aiuta il suo compagno di sventura a curarsi dal tumore ed ad ottenere la residenza

 una storia   ne avevo già parlato    qui  sul blog   che  finisce bene
  da la  nuova sardegna cronaca di Sassari  del 23\2\2014



Una bellissima storia, a cavallo dei primi anni ’60. Tra fiaba d’amore e vita reale di una Sardegna dimenticata.

Visto    che l'unione  sarda non permette  ( prima era  free   dopo  le  19  anche se    senza  immagini  )   di leggere  online   l'edizione quotidiana  ,   ripiego  :1)  sulla nuova sardegna   fin quando  i miei amici   decideranno se  continuare  a  fare  e a  dividere   l'abbonamento   ., 2)   sul le  news  online  dell'unione  .,  ma  soprattutto  in siti  come questo http://galluranews.altervista.org/  da  cui  è tratta  la storia  che  oggi  vado a  raccontare  

da  gallura  news  del 25.2.2014  


Girovagando in rete, a volte capita di leggere storie molto interessanti, quasi al limite della credibilità, che testimoniano di una Sardegna del boom economico ma anche dell’attuale degrado che sposa in pieno il momento di estrema difficoltà in cui tutti ci troviamo. Ho chiesto il permesso ad un amico (Marco Pola) di poter pubblicare questa storia, fantastica per i personaggi che l’hanno vissuta e per il ricordo, che in un figlio non muore mai, di un padre antesignano di un’architettura straordinariamente innovativa e del tutto integrata nell’ambiente selvaggio ormai  quasi del tutto  scomparso sotto i colpi del attorno  e delle speculazioni    (  corsivo mio    )  della nostra terra.




La storia è stata raccontata da un giornalista tedesco che intervistò Sebastiano Pola, il costruttore di una cupola a Costa Paradiso e che ora sta andando in totale rovina rappresentando oramai uno dei tanti patrimoni scordati, di una Sardegna abbandonata  (http://www.sardegnaabbandonata.it/). Ecco la storia riportata dal giornalista e scrittore tedesco Niklas Maak sul quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung il 26 Giugno 2012. 

La Cupola: Amore nel cemento della Costa Paradiso (25.06.2012)

.La relazione tra l ́attrice Monica Vitti ed il regista Michelangelo Antonioni è considerata una delle grandi storie d ́amore del 20° secolo. In Sardegna costruirono una casa spettacolare, che è un dovere salvare. Pola si ricorda come scesero per la strada costiera, in una piccola Fiat o un Alfa, forse una macchina a noleggio, sicuramente non una delle macchine sportive con cui giravano per Roma. Ci sono alcune foto di questo viaggio che sembrano delle foto del radar. L uomo al volante ha un aspetto pensieroso ma fiducioso, quasi non riuscisse a credere alla propria fortuna, lei ha lo sguardo rivolto lontano, ed i suoi capelli , di un biondo lucente, turbinosamente scompigliati sono più di un acconciatura: sembrano una dedica dovuta alle bizze del vento di viaggio.
Quando Monica Vitti e Michelangelo Antonioni arrivarono, attraverso le strade tortuose della macchia , alla costa nordovest della Sardegna, avevano già girato assieme quattro film: “L’Avventura“ , „La Notte“, „L’Eclisse“ e “Deserto Rosso“. La loro relazione, che durava da diversi anni , stupì prima alcuni iniziati (conniventi) di Cinecittà, e poi tutta la cronaca rosa di Roma.
Una casa, come non si era mai vista. Meno conosciuto è il fatto, che all ́inizio degli anni settanta la coppia si fece costruire una casa particolare. Incaricarono i costruttori Giovanni e Sebastiano Pola di costruire, in questa costa rocciosa, un immobile di nuova concezione: una Binishell, il cui nome deriva dall’architetto Dante Bini, non una casa con un tetto,ma piuttosto un guscio di cemento,che assomigliava ad un misto fra un cenotafio rivoluzionario-,in stile Boullée, sommerso ed un laboratorio per esperimenti, con una gas raro, complesso che rischia una rapida fuga o per forze magnetiche particolari. In un certo senso la costruzione rappresentava proprio questo. Quando la Vitti ed Antonioni si conobbero, lui era a metà dei quaranta,regista di mediocre successo. Aveva studiato cinetecnica al Centro Sperimentale di Cinematografia e conosciuto Roberto Rossellini. Durante la guerra fu assistente di Marcel Carné ed aveva redatto alcuni apprezzamenti obbrobriosi su film di propaganda fascista per la rivista “Cinema” del figlio di Mussolini, Vittorio. Aveva girato “cronaca di un amore”, il film, che lo ha reso famoso, e il “Il Grido”,che si rivelò un disastro economico. Impiegò poi tre anni per mettere insieme i soldi per girare “L ́Avventura” ed altri film, che lo renderanno famoso come cronista di una società che non prova più sentimenti. Monica Vitti, il cui nome di nascita era Maria Luisa Ceciarelli ed era nata a Roma nel 1931, aveva 29 anni quando diventò famosa, dopo aver girato “L ́Avventura”. Aveva già lavorato come attrice nel gruppo teatrale di Sergio Tofano, recitando Shakespeare e sembra che proprio Antonioni ne scoprì il talento,facendola recitare in un pezzo teatrale messo in scena da lui.

Le Riprese: una catastrofe

Se si vede “L ́Avventura” e si è a conoscenza della relazione amorosa tra la Vitti ed Antonioni, si nota come vita e finzione qui si sovrappongano in modo particolare: Monica Vitti recita Claudia, amica di Anna, che, con il fidanzato Sandro, un architetto attempato, fa una gita all ́isola eolica Lisca Bianca. La coppia litiga, Anna sparisce, arriva un temporale, i gitanti cercano riparo in una capanna e mentre cercano Anna, si avvicinano la bellezza fantastica dallo sguardo ammaliante- penetrante di Claudia e Sandro. Le riprese, secondo il racconto di alcuni storici del cinema, furono un disastro: mentre giravano a Lisca Bianca, la società di produzione fallì. Lea Massari,che interpretava Anna, si ammalò e lo yacht a motore, su cui dovevano essere effettuate le riprese,non arrivò mai. Poi a novembre,a causa del mare mosso, la barca dei rifornimenti non riuscì ad attraccare sull’isola e così il team cinematografico dovette razionare il cibo e pernottare sull’isola in capanne abbandonate, così come,nel film, Claudia e Sandro. Nella vita reale è però Antonioni a ricoprire il ruolo di Sandro. nel 1960, al pubblico della prima “L ́Avventura”non piace; ma Vitti viene proclamata stella. Rappresentava un nuovo tipo di donna, autonoma e sicura di sè: non l’ochetta smorfiosa che vuole essere scoperta, come Sophia Loren ne “La fortuna di essere donna” e neanche come la Lea Massari de “L ́Avventura”,bellezza sofferente passiva che desidera solo essere sposata.

Le porte verso il passato

La Vitti girò con Antonioni quattro film in quattro anni e si buttò in una lunga relazione, la cui turbolenza si nota già negli spazi che le fanno da teatro: a Roma, così scrive la biografa Charlotte Chandler, vivevano in due appartamenti sovrapposti, “che erano collegati da una botola con scala a chiocciola, cosicché potessero incontrarsi senza essere visti.
Alla fine della loro relazione fecero murare la botola nel pavimento. Enrica, la seconda donna di Antonioni, che lui sposò alla fine della relazione con la Vitti , alzando il tappeto mi fece vedere quella botola.” Ma si trattava già, come nei tardi film simbolistici di Antonioni, di una porta verso il passato, che non si aprirà mai più. Nei rari documenti esistenti in relazione alla costruzione della “Cupola”fra gli scogli di Costa Paradiso?, si racconta sempre che nei primi anni sessanta Michelangelo Antonioni costruì la casa per far colpo su Monica Vitti, che,così come si era rifiutata di andare a vivere con lui, si rifiutò anche di andarlo a trovare nella“Cupola”– e lui, da vero cavaliere, le fece costruire la stessa casa in copia ridotta su uno scoglio vicino, che doveva esprimere ́estensione della sua,nonché l’espressione fisica della sua relazione con una donna,che aveva posto come premessa di ogni forma di relazione intima, l ́autonomia,data anche dalla distanza fisica. Effettivamente a meno di cento metri dalla “Grande Cupola” c’è un’identica “Piccola Cupola”. Le due costruzioni sono simbolo della nostalgia e della tensione nel rapporto fra questi due spiriti autonomi – questa però non è l’unica rappresentazione della realtà. Che verità nascondono allora le due cupole al mare ?

Scogli nel segno del leone

Da Olbia, in quasi un ora, si raggiunge Costa Paradiso. Passando da Santa Teresa di Gallura si viaggia sulla SP90, che si snoda lungo le scogliere tra ginestre, cespugli di cisto, ulivi e pini selvaggiamente piegati dal vento del mare. Non ce quasi traffico qui, in questo periodo del anno, la notte qualche cinghiale affaccendato attraversa la stretta strada che porta a Boncaminu e sparisce nella macchia. In questo ruvido tratto di costa esposto al mare aperto, contrariamente all ́idilliaca Costa Smeralda, allora non c’era molto altro che qualche pista asfaltata di fresco e le capanne della ditta edile di Pola. Sebastiano Pola, nato nel 1928, vive qui ancora oggi ( la morte di Sebastiano Pola risale allo scorso giugno 2013, quindi dopo l’articolo), adesso sono suo figlio e suo nipote a dirigere l’azienda.“All ́epoca, nel 1965”, racconta Pola, “qui non c ́era praticamente niente. Tutto il terreno apparteneva ad un certo signor Tizzoni. Lui voleva costruire un villaggio turistico, un qualcosa di molto grande. Per lui noi abbiamo tracciato le strade, aperto le proprietà e costruito la foresteria, nella quale dormirono anche Antonioni e la Vitti, mentre costruivamo loro la casa.”

Tizzoni portò sulla costa diversi amici romani, fra i quali anche cantanti e attori. Antonioni e la Vitti scoprirono questo posto grazie a lui, racconta Pola. Nel 1972 gli ordinarono una casa secondo un progetto di Dante Bini; la Vitti firmò il contratto. Non si sa esattamente cosa la Vitti ed Antonioni stessero cercando e perché costruirono la loro casa estiva proprio qui. Si sa però , che Antonioni era attratto dallo scrittore Curzio Malaparte, che, verso la fine degli anni trenta, a Capri, si era fatto costruire un altrettanto arcaica quanto moderna casa su di uno scoglio di Punta Masullo, nella quale più tardi Godard con Brigitte Bardot girò “Le Mépris”.

La calura della macchia di sughera

Ci sono scene ne “La Notte” di Antonioni che fanno riferimento alla morte di Malaparte, che a Roma nel 1957 morì di cancro ai polmoni. E se si osserva la bizzarra scala di pietra che si slancia verso il primo piano della cupola, dove si trovava la stanza di Monica Vitti, come se un masso “colpito dalla samba” si fosse attorcigliato in una strana danza, come se un ufo super futurista avesse prelevato un bizzarro campione di roccia. Scendendo attraverso la piatta calura della macchia di sughera, si arriva alla bizzarra scogliera piatta che scende a picco sul mare, sulla quale Monica Vitti si sdraiava durante i giorni estivi dei primi anni settanta. Fermi su questa terrazza, si può solo immaginare cosa successe qui: la casa sembra essere una sfida architettonica a Casa Malaparte, e al film che lì venne girato –ma il “film” che venne vissuto qui, è sicuramente migliore.

l'unione di cibo e musica Note di jazz in salsa sarda Giammy sax alias Gian Marco Caboni da Calasetta a Roma

Gian Marco Caboni, emigrato 46enne, lavora come cameriere e si esibisce con brani jazz in sardo.

Per inseguire il suo sogno, la musica, ha lasciato Calasetta 17 anni fa. Sassofono in mano e Sardegna nel cuore, è stato accolto a Roma da una panchina della stazione Termini, su cui ha dormito per venti giorni. Sono passati tanti anni e Gian Marco Caboni, nome d'arte Giammy sax, classe 1968, ne ha fatta di strada, a colpi di jazz: lavora come cameriere nel ristorante sardo "Isola d'Oro" e, tra un piatto di malloreddus e uno di bottarga, allieta i clienti sulle note dei testi che compone: "Il mio repertorio è ricco di canzoni dedicate alla mia terra come 'Sos zingaros e sos sale' che racconta la mia storia, quella di un emigrato sardo che non dimentica mai il sale del suo mare".



24.2.14

 non è  vero  che noi tempiesi siamo solo  paddosi  e  questa  storia lo dimostra  

  

Bologna: una tempiese e il suo negozio di usato di lusso “Con i miei eventi voglio creare emozioni, arrivare alla pancia. Io così scelgo di parlare attraverso la moda”.


Tempio-Bologna, 24 febbraio 2014
Una tempiese a Bologna, Donatella Dettori, nota come Dodi. Il suo negozio vende gesti impulsivi, regali sbagliati e desideri esauditi e quindi oramai privi di interesse. Qualche metro quadrato in cui si possono fare i conti con la psicologia femminile applicata allo shopping, scorrendo le appenderie ricche di abiti griffati e buttando un occhio tra scarpe e borse che, se fossero in boutique, costerebbero qualche migliaio di euro. Da Dodidi Vintage in via Andrea Costa 121/a però molti sogni a qualche zero di signore e signorine si realizzano con agio, basta andare a curiosare spesso o seguire un blog o sulla pagina FB che Dodi Dettori, la proprietaria di questo spazio, aggiorna periodicamente con i nuovi e preziosi arrivi. Dodidi Vintage non è il solito negozietto di usato cui siamo abituati ma, dice Dodi “un’agenzia di conto vendita per second hand di fascia alta”.

dodidi vintage è un'attività di contovendita di abbigliamento e accessori vintage, usati di prestigio e capi di fattura sartoriale che riproducono modelli vintage. Ci puoi trovare a Bologna in Via Andrea Costa 121/a - tel 0516143118 / cell. 3472535399

L’avventura è partita nel 2010 e all’inizio convivevano le due nature, il vintage e ilseconda mano di lusso poi nel tempo Dodidi si è assestato più sul gusto contemporaneo con pezzi pressoché nuovi pur trattando ancora il vintage sia in negozio sia fornendoarchivi e musei storici come il Mazzuchelli di Brescia. E’ la stessa Dodi che descrive il suo assortimento come una rassegna di sbagli, errori o impulsi di donne che si rendono conto che quel pezzo nell’armadio è di troppo e allora lo portano qui per rivenderlo. Il giorno per le trattative con i fornitori è il lunedì.Dodi conosce la storia di ciò che vende, spesso è andata nelle case a ritirare scarpe, borse e abiti ma mantiene il segreto professionale. Dalle sue grucce e dai suoi scaffali i suoi capi partono per nuove storie dimenticando il passato. “Il mio desiderio è che la cliente esca da qua con la sensazione di aver fatto un grande affare” spiega Dodi “tempo fa avevo dei cappotti di Scervino in cashmere del valore di circa 3mila euro, io li ho venduti a 300″.La clientela che frequenta Dodidi è esperta e si alimenta soprattutto con il passaparola tra amiche che sanno che qua capitano pezzi di Vuitton, Hermes, Celine, Givenchy.Dodi si è specializzata molto sulle borse perché sa che le donne per questi oggetti hanno una particolare debolezza, tanto da aver realizzato un pannello con alcuni tra i suoi arrivi degli ultimi mesi dietro il bancone che, guarda caso, racconta anch’esso una storia, insieme a tutto il resto dell’arredamento.

In piazza Duomo a Firenze la bottega dei colori che resiste al mangificio., Il negozio di vinili che dice no al Black Friday: «Clienti da tutta la Toscana, il nostro segreto è la roba popolare»

 Corriere della Sera In piazza Duomo la bottega dei colori che resiste al mangificio In questi anni hanno visto la città intorno cambiare, ...