M'impressiona la rassegnazione della madre: chissà in quante altre occasioni ha sperimentato la stessa ignorante cattiveria. Anche se "nell'ultima scena " non mi sembra razzismo ,magari stavano tentando n approccio sbagliato , provando a toccargli i cappelli .I babambiboi avranno preso alla lettera quello che gli avranno detto a casa , sono diversi hanno la testa e i cappelli diversi dai tuoi come un casco di banane o cazzate simili . Infatti i bambini sono l' espressione dei genitori... e Respirano l' aria malsana della famiglia; i bambini saranno cattivi e sono come spugne assorbono tuto non sono naturalmente razzisti consapevoli .
Ora vedendo che il tizio del video sopra riportato non risponde nè su messangere , nè ai commenti su fb che gli chiedono dove si e quando sia avenuto il fatto . Penso che sia una fake news anche se si ha un po o' di fatica a crederlo essendo abituato a lìgiornalismo satirico ( ora quasi scomparso di cuore , il male , frigidaire , la catena di san libero , ecc . Ma poi : 1) vedendo la data 1 aprile ., 2) vedendo il suo profilo facebook mi accorgo che è curatore del sto satirico ( un vero sito satirico che lo specifica in cima permettendo di chiarirre la differenza spesso molto labile fra fakenews \ bufale ed evitare che si diffondo e vengano prese per vere news satiiche ed ironiche ) . Anche se sembra appurato che si tratta di una bufala satirica . essa continiene un fondo di verità sulla situazione in italia .Erano anni che non vedevo pesci d'aprile cosi congeniati ed attualizzanti
Ammesso che sia vero . E'0 una provocazione imoortante che dimostra come in Italia siamo ancora lontani della completa multi etnicità La madre ha avuto quella che un mio utente definisce cosi
Si chiama dignità, cosa che a molti in quel parco manca.
La madre del bambino è stata , lo so che sarà un termine maschilista ed sessista , infatti sono anni che non lo uso più ne come tag nè come termine scritto e parlato,una donna con i "CONTROCOGLIONI"! , ma non trovo altri termni per definire tale donna che ha dato sia ai bambini\e presenti ed in genitori che li guardano da lontano e che non sono intervenuti una lezione di dignità e d'orgoglio proprio .
I bambini non fanno caso al colore della pelle a meno che non abbiano genitori razzisti, ai quali è da attribuire la colpa di tale merda ripresa nel presunto video . Infatti I bambini finché non sviluppano empatia possono anche far del male, ( io ero cosi ) ma, per assurdo, indiscriminatamente. Si accorgono delle differenze se gliele fai notare. E l'empatia non è innata, purtroppo, gli va insegnata ed fatta sviluppare ! Al di là delle predisposizioni naturali Quando un bimbo parla l'adulto ha già parlato! Ecco cosa succede quando ci sono bambini che hanno la sfortuna di crescere in una famiglia di .... o disagiata . Abituati e mal-educati a discriminare e ad odiare il prossimo. Generazioni di bulli del .... crescono! Poi per loro diventa normale odiare e fare del male. Però mi raccomando...poi tutti a pregare e a farsi il segno della croce.
Meno male che ancora qualche anticorpo all'odio c'è cpome sembra di capire leggendo commenti su post del ferrini
Marta della LenaPoveri bimbi! Mi fanno solo pena. Non sanno quanto è fortunato il bimbo ad avere una madre così! Che Bell ' esempio
Gemma GemmitiO forse lo sanno. Dopotutto loro erano a giocare da soli (i genitori li guardavano da lontano) e lui invece era insieme alla sua mamma. Questo ha scatenato in loro gelosia. Mi fanno pena invece i genitori che, se hanno visto la scena e non sono intervenuti, sono davvero delle merde.
Antonello Fiori SolinasÈ possibile che gli unici rimasti a far figli siano quelli meno raccomandabili? Povera Itaglia! 🤢 Annalisa Ilari PsyLa sig.ra fa l'unica cosa ragionevole in quella situazione, ma fa una tenerezza tremenda! Non un adulto che intervenga! Schifosi! I bambini,per quanto piccole merde , anch'io ero cosi fino alliceo , non discriminano almeno che non gli venga insegnato
Corrado LocatiCalci in culo ai genitori.. I bambni sono cattivissimi. Se non li educhi, rimangono così.
Giorgio Iannone Concetto sbagliato. Fossero stati figli nostri non avrebbero mai fatto quello e non è vero che i bimbi sono delle merde, ma semplicemente imitano i genitori. Mio figlio è un teppista (nel senso che è molto vivace), ma non ho mai dovuto riprenderlo su questioni di colore della pelle. Gioca con bambini di tutti i colori e al massimo ho dovuto rispondere a un "perché Xxxxx è nera e io rosa?"
Quindi cconcludo vera o falsa data o non sarei felice se si trattasse di un “pesce d’Aprile”.
ricollegandomi alle tematiche della prima storia del post precedente Eccovi questa storia
da
Blitz quotidiano 2018-02-02 tramite l'aggregatore newsrepubblic
Il racconto di una ex suora: “In convento la vita era un inferno…”. ROMA – Intervistata da Radio Cusano, Rosa, nome di fantasia, una ex suora, racconta la sua storia:
foto ansa
“Sono cresciuta con i nonni, perché i miei genitori lavoravano in Svizzera. Quando avevo 12 anni mia madre è tornata in Italia e ha deciso di riprendermi con lei. Sono stati sei anni lunghissimi. A 18 anni ho scelto di entrare in convento. Il primo contatto con la religione? Di pomeriggio, negli anni in cui vivevo con mia madre, andavo da una sarta dove ho conosciuto una suora. Avevo circa 13 anni. Questa suora mi faceva il lavaggio del cervello, mi ripeteva in continuazione che sarei dovuta andare in convento, che avrei dovuto conoscerle, perché la vita da suora era molto bella”.Poi, nella vita di Rosa, la svolta: “A 18 anni dopo una violenta litigata con mia madre sono scappata di casa. Mia madre mi maltrattava. La suora, saputo della situazione, mi ha cercato e ha trovato dove ero nascosta. Da lì ha ricominciato a venirmi dietro, a invitarmi a vedere come vivevano le suore, da lì in poi ho iniziato ad andare in convento. I primi mesi andavo solo il fine settimana, poi dopo aver terminato le superiori sono entrata e ho fatto l'anno di discernimento, un percorso in cui si entra nella vita delle suore, si inizia il cammino spirituale e il cammino di vita spirituale con le suore. Le mie amiche mi dicevano di lasciar perdere, nessuno ci credeva, tutti mi dicevano che sarebbe stato un passo sbagliato, ma ormai la suora mi aveva fatto il lavaggio del cervello”.Rosa sulla vita in convento: “La mattina c'è la preghiera collettiva, il pomeriggio la preghiera individuale. Ognuno ha il suo da fare. Passato l'anno di discernimento, io mi sono convinta di avere la vocazione. Col passare degli anni ho iniziato a sentirmi sempre più triste, una tristezza che sentivo dentro, un vuoto che aumentava giorno dopo giorno. Dopo aver preso i voti semplici ho iniziato a manifestare la volontà di tornare sui miei passi, ma in quel momento sono iniziate le pressioni. Ho detto alla mia superiora che forse non avevo la vocazione, che forse sarebbe stato il caso di andarmene. Lei ha proseguito il lavaggio del cervello, mi dicevano che io non vedevo il cammino, che loro erano la mia luce. Sono stata plagiata. La vita in convento per una ragazza tra i 18 e i 20 anni è molto complicata. Con il passare degli anni poi, ha iniziato a pesarmi anche la mancanza di affettività. Omosessualità in convento? Queste cose si nascondono…Io non ho avuto esperienze in questo senso. Avevo tante amiche suore in convento che come me sognavano di andarsene. Nella mia comunità ce ne erano almeno 4, ma alla fine sono stata l'unica ad uscire”.Rosa prosegue nel suo racconto: “Mi hanno mandato in missione in Brasile, gestivo un istituto di 300 bambini. Dopo un anno, però, ho richiesto di nuovo di uscire dalla congregazione. Non ce la facevo più. Io stavo bene nel lavoro, ma non mi ritrovavo più nella vita religiosa. In quel momento ho detto basta, ma per tre anni non mi hanno fatto uscire dal convento. Quando io dicevo che me ne volevo andare, mi rispondevano sempre che dovevo aspettare sei mesi. E' andata avanti per tre anni questa storia. Mi hanno fatto ritornare in Italia e mi hanno fatto iniziare un cammino con uno psicologo, che è durato un altro anno. Mi hanno detto che sarebbe servito a farmi capire che avevo la vocazione. Lo psicologo ha cercato di compiere un'opera di convincimento su di me riguardo alla mia vocazione. Per fortuna non sono riusciti a farmi cambiare idea, nonostante tutte le pressioni. Dopo tre anni sono riuscita a tornare a casa. Sono rimasta in convento sedici anni. La superiora mi ha costretto ad andare a casa col vestito da suora, aveva speranza che tornassi in convento”.Rosa sulla sua nuova vita: “Uscire dal convento è stato un salto nel buio, mi sono ritrovata senza casa, senza lavoro, avevo solo un vestito da suora con me. E' come creare un'altra identità, una nuova vita, da zero. Mi sono ritrovata da sola, dopo sedici anni di convento. Ho reagito, ho cercato un lavoro, per questo ora sono a Roma. Adesso faccio la domestica, Ora quando mi capita di http://www.tag24.it/podcast/storia-di-una-suora-che-ha-cambiato-idea/entrare in chiesa sento il vuoto”.
Secondo alcuni il il racconto non sarebbe del tutto veritiero. La famiglia dietro a questa storia dov'era?.... Secondo altri il titolo è scorretto, non ha mai detto che in convento ha trovato l'inferno, semplicemente non sentiva più la vocazione ed è uscita. Ma fra i commmenti che mi hanno incuriosito di più c'è quello di
Per abbracciare una vita di privazioni e di limitazioni bisogna avere una fede e un credo che va oltre il comune , il plagio della chiesa parte da quando nasci con il battesimo , pratica barbara che genera un identità nell' individuo ancora prima di poter comprendere di cosa si tratta è una forzatura continua , presto questo scempio terminerà e finalmente dovranno rendersi conto che la ragione è la libertà hanno vinto sulle loro pratiche commerciali , tuttavia la donna in questione avrebbe semplicemente potuto dire NO come farei io se un essere umano vestito a carnevale mi parlasse di vocazione e fede
Infatti non è quello di rispondere alla crisi delle vocazioni questo si chiama plagio e tortuture psicologica verso chi ha un carattere debole . Infatti hanno aottenuto l'effetto contrario : << Ora quando mi capita di entrare in chiesa sento il vuoto >>
Poichè oltre alla canzone a me piace il sud di Rino Gaetano ho riportato direttamente ed indirettamente storie ed articoli di un tempo passato ( cioè prima del boom economico ) che ancora sopravvive e causa crisi sta " ritornando in auge " vengono tacciato d'essere nostalgico.
Ricevo una mail che nell’oggetto dice: “Lettera profondamente banale”. La scrive una giovane donna che quasi si scusa dell’argomento, i problemi sono altri – dice – e nelle nostre conversazioni successive mi spiega di averla scritta di getto, in treno, “uno sfogo dovuto alla frustrazione momentanea”. Sono d’accordo: i problemi sono altri. Ma credo che la scomparsa del silenzio sia all’origine di alcuni deficit di attenzione, e di comprensione della realtà. La scomparsa del silenzio, e del rispetto. Non è così banale, alla fine, questa sua lettera, Gloria."Esasperata, forse sono portata a sovrastimare questo piccolo cambiamento culturale come simbolo di un più grande movimento regressivo. Mi spiego. Ormai in treno si parla tranquillamente: al telefono, coi vicini, addirittura se il nostro amico è seduto davanti a noi ‘basta allungare un po’ il busto, alzare un po’ la voce’. Io viaggio per [ continua qui in questo articolo della de gregorio su repubblica del 31\3\2018
Dopo questa replica veniamo alla storie ed articoli vari d'oggi provenienti dalla mia regione ( la sardegna per chi mi eggesse per la prima volta ) .
da la nuova sardegna del 1\4\2018
Elena, maestra a Tavolara unica nella storia dell’isola
La Ricco arrivò nel 1956: la scuola era una stanza in una casetta sulla spiaggia. «I miei alunni erano i pescatori: io insegnavo a scrivere, loro i segreti del mare» di Alessandro Pirina
OLBIA. Oggi è un’area marina protetta tra le più esclusive del Mediterraneo. Un piccolo regno del cinema che ogni estate vede arrivare il gotha del grande schermo. Una meta obbligata per i vip in vacanza in Costa Smeralda. Nel 1956 Tavolara non era nulla di tutto questo. Era un’isola quasi disabitata, lontanissima dalla vicina costa gallurese, un paradiso inconsapevole in cui la macchina del tempo si era fermata a qualche decennio prima. È in questo piccolo mondo antico che in una piovosa giornata del ’56 si trova catapultata Elena Cassibba, 27 anni. Con lei il marito Roberto Ricco e la figlia Betty, di 7 anni appena. Arrivavano da Roma, lui aveva vinto il concorso per fanalista e lo avevano assegnato proprio al faro di Tavolara. Da allora è passata una vita, ma Elena, oggi 89enne, ricorda come fosse ieri il suo sbarco sull’isola che le cambiò la vita. Fu lì che si sedette per la prima volta dietro una cattedra, insegnando i verbi, la geografia e le tabelline ai pochi abitanti di Tavolara che non erano mai stati in una scuola. E rimanendo di fatto l’unica maestra della storia dell’isola.
Il dopoguerra. «Dopo la guerra ci eravamo stabiliti per un po’ a Roma, mio marito era radiotelegrafista al ministero della Marina – racconta Elena con il suo inconfondibile accento siciliano –. Dovevamo tornare a vivere a Palermo, ma erano anni in cui lavoro non ce n’era. A mio marito fu consigliato di partecipare al concorso per fanalista. Il primo che si faceva, perché fino a quel momento era un mestiere che si tramandava di padre in figlio. A Roberto mancavano 7 anni al pensionamento, lui era un ex prigioniero in Germania, uno dei 120 superstiti dell’affondamento dell’incrociatore Fiume. Gli dissero: “Hai una bambina piccola, fai il concorso e così raggiungi l’età per andare in pensione”. E così fece: andammo alla Spezia per fare il corso e ci dissero che la nostra sede sarebbe stata l’Isola del Giglio. Ma non andò così». Sul foglio consegnato al marito infatti la destinazione era un’altra. «Mio marito venne e mi disse: “ci mandano in un posto che si chiama Olbia e su un’isola chiamata Tavolara”. Io non avevo idea di dove fosse, conoscevo a malapena la Sardegna. Così presi un atlante e iniziai a cercare: trovai Olbia e nient’altro. Fino a quando non vidi una lineetta in mezzo al mare quasi invisibile. Era Tavolara. Fu uno choc, ma eravamo giovani, ci amavamo e siamo partiti».
L’arrivo. Sul traghetto che da Civitavecchia portò la famiglia Ricco in Sardegna Elena incontrò una donna di Olbia. «Quando le dissi che ci avevano assegnato a Tavolara sgranò gli occhi: “ma è disabitata, domani mattina le faccio vedere l’isola”. Così alle 6 andai sul ponte e vidi per la prima volta quella montagna in mezzo al mare. E subito mi accorsi che non c’erano case». Una prima impressione che trovò conferma quando sotto la pioggia marito, moglie e bambina arrivarono sull’isola, accompagnati da Chinelli, il vecchio fanalista. «C’era solo la nostra casa, più il villaggio di pescatori dall’altra parte dell’isola. Fu un impatto devastante, in particolare per me, perché mio marito era stato prigioniero in Germania ed era più abituato alle avversità». Dal caos di Roma Elena si trovò catapultata in mezzo al nulla di Tavolara, che ai tempi contava poche decine di abitanti. Tutti pescatori che mai avevano frequentato una scuola. Elena invece aveva un diploma magistrale. Fece la domanda per fare delle supplenze. E nel frattempo il sindaco di Olbia, Alessandro Nanni, ottenne l’ok del provveditore per avviare una scuola proprio a Tavolara. Inevitabile che l’incarico andasse a lei, prima e unica maestra sull’isola. «Mi misero a disposizione una stanzetta in una casa sulla spiaggia abitata da due ex pastori. Trovai dei banchi, evidentemente in precedenza c’era stata una scuola. Mio marito aveva portato per me e mia figlia una poltrona letto, che la notte aprivo e la mattina richiudevo per poter fare lezione. Avevo 16 alunni, tutti analfabeti o semi. Molti erano padri di famiglia, miei coetanei e non avendo mai insegnato avevo timore mi prendessero in giro. Invece, tra noi si creò un rapporto fraterno: io insegnavo tutte le materie e loro mi raccontavano le loro avventure in mare. Devo essere sincera, se sono riuscita a superare la solitudine di quegli anni, è grazie a quei miei alunni speciali. Sono loro che mi hanno salvato».
L’isolamento. Vivere a Tavolara non sarebbe facile oggi, figurarsi sessant’anni fa. Ai tempi l’isola contava poche decine di abitanti. Fino a qualche tempo prima c’erano una drogheria e una tabaccheria, ma all’arrivo della famiglia Ricco le due attività non erano più operative. «Una volta al mese andavamo a Olbia per fare rifornimento: farina, zucchero, olio. Avevamo fatto amicizia con i pescatori di Golfo Aranci e ci scambiavamo aiuto reciproco. Una volta ci siamo imbattuti in una sciroccata e abbiamo perso tutto il carico. Per 3 o 4 giorni siamo stati ospitati dal fanalista dell’Isola Bocca perché era impossibile raggiungere Tavolara. Un’altra volta invece per il brutto tempo era saltato il turno di rifornimento. Non avevamo più nulla, e non c’era alcun modo per arrivare a Olbia. Mio marito aveva chiamato il comandante alla Maddalena: “siamo da 8 giorni senza viveri, cosa posso dare da mangiare alla bambina? O ci mandate una nave o interrompo il servizio”. Alla fine ci mandarono la nave con i viveri, ma la nostra storia uscì sulla Nuova Sardegna. “Isolati per incuria”, era il titolo dell’articolo, a cui seguì una interrogazione parlamentare. La vicenda finì con una lettera di richiamo per mio marito».
La solitudine.
A quei tempi a Tavolara non c’era grande movimento. Ogni giornata era uguale alle altre. «Solo la domenica d’estate era un po’ diversa – racconta Elena –. Arrivavano i turisti, allora tutti olbiesi, e per noi in qualche modo era una festa. Il resto della settimana non c’era nulla. Io ero abituata a Roma, alle passeggiate, ai negozi. Il sabato mi preparavo e andavo in via del Corso. A Tavolara ovviamente non lo potevo fare, ma io indossavo ugualmente il vestito elegante, mi mettevo gli orecchini pendenti e mi truccavo. Poi andavo sugli scogli per scrutare l’orizzonte e cercavo Olbia. Ovviamente non vedevo nulla, ma dentro di me pensavo: “laggiù c’è movimento, c’è festa, c’è vita”». Elena Ricco rimase a Tavolara fino al 1958, il marito invece resterà qualche anno in più, giusto il tempo per raggiungere l’età della pensione. Quella destinazione sconosciuta ha influenzato per sempre le loro vite: dalla Sardegna, infatti, non sono più andati via. Lui ha lavorato come ristoratore, lei invece ha continuato a fare la maestra. Per qualche anno a Olbia, e poi nella borgata di Murta Maria. Di fronte a Tavolara, anche se lei non è mai più tornata sull’isola. «Da allora non ci ho più messo piede. Quegli anni sono stati durissimi, ma io dico sempre che la nostra fortuna si chiama Tavolara, perché tutto è iniziato lì. Se non ci fosse stata Tavolara mai avremmo avuto la possibilità di affermarci né io nella scuola né mio marito nella ristorazione».
stessa fonte e estessa data
I bonsai diventano bonsardi: souvenir speciali dall’isola
L’idea di un florovivaista: essenze mediterranee proposte in versione mini: Da Santa Maria La Palma i vasetti spediti con istruzioni, assistenza su WhatsApp di Antonello Palmas
ALGHERO. L’idea gli è venuta soltanto osservando la natura della Sardegna. Per Maurizio Puma, florovivaista siciliano trapiantato a Vigevano, è stata come un’illuminazione: quelle piante sono ideali per creare dei bonsai, come già sanno diversi appassionati e hobbisti. Ma può divenire anche un business. Nascono così i “Bonsardi”, che
mi ha fatto riscoprire il significato della pasqua . E mi fa concordare con quanto dice l'amico cristian porcino in merito ala pasqua nel suo librto
interessante e controcorrente o in direnzione ostinata e contraria libro Altro e altrove di cui trovate sopra la copertinma e un intervista nell'archivio del blog
BIBBONA. Gli ha fatto la prima carezza con la mano sinistra, così da sentire il calore della pelle a contatto con la sua. Era il 1991 e i due se ne stavano nascosti all’ombra del vecchio centralino del centro protesi di Budrio, in Puglia. Cinzia D’Amicis aveva appena 22 anni; Raffaele Indresano, invece, ne aveva già 33.
A farli conoscere sono state le loro sfortune, sebbene poi il gioco assurdo della vita le abbia trasformate nelle loro fortune: entrambi disabili, privi ciascuno di un arto, hanno incrociato il loro sguardo proprio nel centro Inail pugliese. «È stato un colpo di fulmine», dice lei. Si sono baciati per la prima volta lì, all’ombra del centralino, per poi sposarsi il 27 marzo di venticinque anni fa. Per festeggiare queste nozze d’argento ci sono anche i loro due figli, voluti fortemente e infine adottati tra Europa e Africa. In quel lontano 1993 infatti le rivincite sul destino erano appena iniziate. Non mancano le sfaccettature per raccontare la famiglia Indresano. Una sono le loro origini, visto che i quattro componenti provengono da altrettanti Paesi: Raffaele è nato a Livorno, Cinzia in Australia benché già da piccola si sia trasferita in Puglia, il figlio maggiore Cristian è nato in Bulgaria e quelli minore Andrea in Etiopia. Oggi vivono tutti a La California e guardandosi indietro Cinzia non può fare altro che sorridere. «Io e mio marito siamo stati pionieri della disabilità di coppia – dice – A casa nostra puoi trovare carrozzine, protesi di gambe e braccia, ma per noi e per i ragazzi è tutto normale: è più facile vivere senza un arto che senza amore». Normale, concetto che è cambiato radicalmente nel corso degli ultimi decenni. Raffaele e Cinzia hanno toccato personalmente questa trasformazione. «Venti anni non si parlava adeguatamente di invalidità – racconta la donna – Le persone erano a disagio e venivi trattato diversamente, seppur con buone intenzioni. Oggi invece la disabilità è all’ordine del giorno». Nel mezzo però è passato un quarto di secolo di ostacoli e rivincite. «L’importante è non disperare», dicono. Raffaele e Cinzia tengono a riportare la loro testimonianza così da dare una speranza a chi si trova oggi di fronte a quegli stessi ostacoli. Lui ha perso una gamba sul lavoro, quando un macchinario agricolo gliel’ha portata via; lei è nata priva dell’avambraccio sinistro a causa di una dispersione di materiale radioattivo. Nel ‘91 erano a Budrio per fare nuove protesi e due anni dopo si sono sposati. Poco tempo dopo è nata in loro la voglia di avere dei figli. «La voglia di lasciare qualcosa al domani», per dirla come Cinzia. Ma né la natura né la fecondazione assistita sono riuscite a far loro questo dono. Allora è nata l’idea dell’adozione e con essa nuovi ostacoli. «Ero convinta che proprio a causa della nostra disabilità non ce li avrebbero mai concessi, mentre mio marito era sicuro che ce l’avremmo fatta». E aveva ragione lui. Con la stessa tenacia hanno affrontato i mostri della burocrazia e ore di sedute psicologiche, ma alla fine è arrivato il via libera. Nel ‘97 la coppia è volata a Sofia per Cristian, tre anni dopo è arrivato Andrea da Addis Abeda: il primo ha 22 anni e segue il corso d’infermieristica, il secondo ha 17 anni ed è iscritto a ragioneria. Entrambi sono volontari della Pubblica Assistenza
di Bibbona. «Sono la nostra forza», dice la madre, preparandosi a festeggiare le nozze d’argento. Un evento che merita i migliori auguri, ma Raffaele e Cinzia sanno affrontare il destino anche senza. Noi però glieli facciamo lo stesso.
Metto in vendita a malincuore il mio secondo sax tenore per incassare qualche soldo in vista della spesa per la conclusione del mio primo disco a mio nome.
Come alcuni sanno, sono un appassionato dei vecchi Grassi, da alcuni anni suono esclusivamente questi vecchi esemplari. In questo caso, parliamo di un Tenore Grassi Wonderful del 1977, completamente slaccato in tutto il corpo escluso il chiver che è stato lasciato intatto.
Il sax si presenta in condizioni ottime e solo la mia fissazione con l'altro vecchio ammaccato senza nome mi ha portato a tenere questo solamente di scorta. Ma si sa che i rapporti con gli strumenti sono davvero particolari e individuali e, nel mio caso, non tengono minimamente conto del fattore del valore di mercato o della bellezza estetica.
E' un sax dal suono pieno e scuro, meccanica di concezione semimoderna, io l'alzerei un pò per le mie abitudini ma molti la preferiscono così. Per il resto, i tamponi sono in gran parte nuovi, solo due o tre, nella parte bassa, pur essendo ancora del tutto funzionanti, nel prossimo futuro saranno da sostituire.
Il sax vi arriverebbe con la sua custodia originale (quella a rettangolo, non quella della foto), rigida e voluminosa.
Lo metto in vendita a 1000 euri tondi compresa eventuale spedizione, chi viene a prenderselo in gallura (io abito a Luras ma va bene anche nei dintorni) avrà uno sconto di 50 euro.
Contattatemi per ogni domanda al riguardo anche qui su facebook.
Tutti i brani meritano un ascolto ripetuto e attento, e allora ci si rende conto che è difficile dire, non solo, quale sia il più bello ma addirittura quale sia il preferito, perché tutti hanno hanno una forte individualità e storia alle spalle, formata dalle suggestioni e esperienze che li hanno ispirati
Ad un primo ascolto le tracce che più mi hanno colpito sono state: 2 inizio del viaggio dopo " introduzione " della 1 interiore dalla crisi , la 5, perché si sente come un ricordo doloroso ed intimo genera bellezza tanto più bella in quanto struggente ricco di nostalgia e di rimpianti che creano la morte o malattia di una persona cara ,la 8 è riuscito a mettere in musica questo epitaffio di Bob Dylan tratto dal suo 11 Outlined Epitaphs (Undici epitaffi abbozzati) è il titolo di un poema scritto nei primi anni sessanta
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Sì, sono un ladro di pensieri ma non un ladro d'anime, prego ho costruito e ricostruito su ciò che è in attesa perché la sabbia sulle spiagge scolpisce molti castelli su quel che è stato aperto prima della mia epoca una parola, un motivetto, una storia, un verso chiavi al vento per aprirmi la mente |e per garantire alle mie idee da armadio un'aria da cortile.
Però, poi, ai successivi ascolti, i conti si pareggiano, tutti i brani salgono al livello dei preferiti al primo ascolto.
Lo so che questa auto recensione dell'autore ha già detto tutto La Musica mi ripara E' uscito nel marzo 2018 il mio primo lavoro discografico da leader, con la dicitura Danyart, (nomignolo che ho assunto diversi anni fa in via informale quasi per gioco e che oggi mi rende riconoscibile), dal titolo evocativo “La Musica mi ripara”, disco che contiene nove brani tutti di mia composizione, e tredici illustrazioni, da me eseguite con le tecniche matita e penna bic, di commento ai brani, dalla copertina, al booklet di 8 facciate, al retrocopertina con l’ autoritratto. In generale, per ogni brano si può consultare l’immagine e le impressioni corrispondenti, che possono indicare una vaga direzione sulle motivazioni che mi hanno spinto a scrivere i brani del disco. I titoli evocano atmosfere derivate dagli interessi storico, scientifico, sociologici che porto avanti da sempre assorbendo tutto ciò che osservo succedere intorno a me e nel mondo intero, per poi isolarmi e “ripararmi” nella musica che, nell’immaginario e nell’utopia dell’autore (me stesso), possa riuscire a trasformare in bellezza la tragedia di un mondo imperfetto e spesso violento. Il disco potrebbe essere definito di tipo “vinilico” per la particolare disposizione, in due facciate virtuali, dei brani, dal momento che le prime 5 tracce evocano atmosfere introspettive, sonorità e melodie derivate soprattutto dai miei interessi extramusicali e da situazioni umane personali e mondiali, composizioni che si allontanano leggermente dal jazz più tradizionale e canonico, mentre le tracce successive si rifanno maggiormente alla tradizione e all’improvvisazione su progressioni armoniche, modali e “free”.
per gentile concesssione dell'autore dell'intervista che trovate qui di Antonio Masoni di Gallura news
Per concludere, l’ultima traccia, dal titolo “Frammenti di cuore” è un brano dal gusto dolce/amaro, nel quale lascio l’esecuzione e l’interpretazione al mio collega pianista Simone Sassu, mettendomi da parte e riflettendo su pensieri, paure, insoddisfazioni, incertezze, fragilità, domande in cerca di risposte forse introvabili, che lasciano anche l’ascoltatore in una situazione di stallo, tra la quiete dell’atmosfera del brano e il subbuglio e il caos della mente. Hanno partecipato alla riuscita dell’album i fantastici musicisti: Fabrizio Fogagnolo (contrabbasso) Simone Sassu e Matteo Cara (pianoforte) Antonio Argiolas e Paoletto Sechi (batteria) Il disco è stato interamente autoprodotto da me, a partire dalle nove composizioni, alla registrazione dei brani, mixaggi, mastering e illustrazioni varie. Il Cd fisico è ancora acquistabile per 10 euro più eventuale spedizione direttamente da me con:
oltre all'intervista che troverete sotto possio solo aggiungere e consigliare vivamente di ascoltare il disco senza preconcetti, perchè sia nel suo caso che in tantissimi altri (non è certo l'unico che per varie motivazioni ha deciso di autoprodursi...), perché solo con un atteggiamento libero da ogni preconcetto ( il jazz fa .è come una scoreggia piace a chi lofa , ecc ) si può apprezzare pienamente un progetto artistico e la musica
Ok questo tuo ultimo cd, anche se in collaborazione con ottimi musicisti, è tuo . Ma a quando un cd in cui suoni tu da solo ?
Mi è capitato di suonare in solo abbastanza spesso, anche se per brevi apparizioni, collegate a serate o eventi come presentazioni di libri, narrazioni, esposizioni poetiche, performance di artisti, pre-serate o preconcerti di amici o colleghi. L’idea di un disco in solo sicuramente mi affascina molto e credo sia un obbiettivo, un sogno, che prima o poi cercherò di realizzare, ma forse ancora è troppo presto per avere un’idea del quando e del come potrò riuscire a confezionare un prodotto così complesso e delicato, in sostanza aspetto che il tempo giusto, la mia maturità come solista e artista, arrivi da sola, mettendoci da parte mia tanto impegno ma senza forzare i tempi.
Jazz freddo o jazz caldo, oppure visto il tuo carattere ribelle ed autodidatta semplicemente Jazz?
Non ho mai badato troppo alle definizioni, tanto meno alla differenziazione, alquanto vaga e ambigua, tra Jazz Freddo (Cool) e Jazz Caldo (hot), che trovo perlomeno superata da decenni. Nel mio caso, nel caso del mio disco “La Musica mi ripara”, si possono individuare diverse atmosfere, tutte estremamente profonde e significative, con richiami da generi anche esterni o periferici al jazz (sperimentale, ambient, fusion), a sonorità, armonie e ritmiche più propriamente vicine al jazz americano, al periodo bebop, modale e free. Ma quando scrivo un brano, questo arriva da ragionamenti e sensazioni che hanno a che fare più con la psicologia, filosofia, sociologia, storia, scienza, che con la teoria e la tecnica musicale. Ecco perché spesso i miei brani possono differire molto l’uno dall’altro se li si cerca di inglobare in un genere specifico.
Blues o Jazz Cuore o mente ? quando suoni usi di più il cuore o la mente? oppure come credo, ascoltando i tuoi lavori, entrambi ?
Come dici tu, indubbiamente la mia musica e il mio approccio musicale contengono entrambe le direzioni, quelle dell’anima più viscerale (cuore e anima) e quella della razionalità o progettualità (mente).Si può credo affermare con buona approssimazione che quando suono dal vivo prevale ampiamente la parte più irrazionale (cuore e anima), in un misto di dolcezza e aggressività che mi caratterizzano, mentre nella composizione e registrazione in studio, le due direzioni mediamente si equivalgono, con a volte la prevalenza di una parte o dell’altra, in un misto e oscillazione dei due pesi. In generale, comuqnue, sono un musicista dall’animo e approccio viscerale, più che organizzativo e razionale
Concordi con questa definizione : << Il jazz è uno di quei generi di cui ti innamori subito, a prescindere. Cominci ad amare quella canzone perché c'è qualcosa nel ritmo che parla di te, che racconta di te, che muove e smuove delle tue sensazioni, i tuoi ricordi, una manciata di pensieri, e nella gran parte dei casi non ha nemmeno bisogno di un accompagnamento vocale. È l'esempio di come la musica vada oltre, oltre ogni cosa. Di come la musica si faccia capire benissimo pur essendo solo aria e nell'aria. S'innalza con grinta ed arriva dritto verso la parte più intima di noi stessi, più propensa e vicina all'emozione riprodotta da quel ritmo.>> Presa da questo interessante articolo del https://www.huffingtonpost.it/
In generale mi piace questa definizione, che però estenderei non soltanto al jazz ma a tutta la buona musica fatta con intenzione positiva, artistica, comunicativa, in sostanza con interesse non solo economico o di raggiungimento della notorietà oppure ancora,non soltanto per rassicurare l’utente. A queste buone intenzioni, ovviamente, bisogna coaudiuvare la necessaria e indispensabile qualità.
Oltre alla banda musicale locale, hai mai avuto altre occasioni di collaborare con tuo fratelloMassimiliano, ottimo trombettista?
Certamente! Abbiamo suonato per anni nella Tinto Brass Marching Band, oltre ad esibirci in formazioni di media grandezza per concerti dedicati alla musica dei Blues Brothers e simili. Massimiliano avrebbe probabilmente potuto fare come me il professionista, ma la vita lo ha portato ad altro,e questo ha permesso a me di dedicarmi completamente alla musica, perchè lui, da subito, ha contribuito al sostentamento della nostra famiglia che aveva un padre non più abile al lavoro ad appena 51anni, e quindi bisognosa di un aiuto. Io, dal mio canto, ho potuto aspettare e godere un po’ di questo piccolo favoritismo per concentrarmi maggiormente nello studio del sax e nell’elaborazione della mia arte, che richiede lunghi tempi, concentrazione e periodi di assoluta dedizione ad essa senza troppe interferenze e preoccupazioni esterne.
Nella vitareale, poi hai riparato quelle cose che sono alla base del cd?
Ti dirò, probabilmente il cd stesso, o meglio l’averlo concluso, mi ha permesso di riparare certi “guasti” nella mia testa, che da troppo tempo stava andando verso una direzione distruttiva, estremamente tormentata, negativa, per la quale ho rischiato grosso. L’ultimo brano del disco, come detto in un’autorecensione “L’ultimatraccia, dal titolo “Frammenti di cuore” è un brano dalgusto dolce/amaro, nel quale lascio l’esecuzione e l’interpretazione al mio collegapianista Simone Sassu, mettendomi da parte e riflettendo su pensieri, paure,insoddisfazioni, incertezze, fragilità, domande in cerca di risposte forse introvabili,che lasciano anche l’ascoltatore in una situazione di stallo, tra la quiete dell’atmosferadel brano e il subbuglio e il caos della mente.” Ecco, una volta concluso questo pezzo, sono obbiettivamente riuscito a rialzarmi, e con estremo vigore ho ritrovato la luce perduta, che mi permette di vivere meglio questa breve vita terrena, pur mantenendo sempre la mia caratteristica personalità sensibile e tendente all’assorbire la negatività e la tragedia per trasformarle in arte e musica che esprimano soprattutto bellezza
Progetti per il futuro?
Nel futuro più immediato c’è la volontà di suonarela musica del disco organizzando concerti sia nei dintorni che oltre l’isola, cosa non facile ma per la quale mi batterò tenacemente. Ho poi già pronto, in pratica, il repertorio del prossimo disco, con annesso titolo e sonorità. Vedrà la luce o il prossimo anno, oppure fra due, dipenderà molto dal fattore economico (produrre un disco comporta spese molto importanti per un musicistaindipendente) e anche dalla risposta che riceverà questo primo lavoro appena uscito.In generale, vorrei che la mia musica venisse ascoltata e suonata ovunque possibile, e che, soprattutto, causi nell’uditore sensazioni profonde, siano esse positive o negative, ma mai neutre, perché considero una reazione indifferente molto più negativa di un sentirmi dire che i miei brani siano brutti o troppo tristi.Altra cosa, per un futuro senza limiti, coltivare altri sognianche esterni alla musica, come quello di vedere la città di New York, patria del jazz del periodo più fecondo, e altri luoghi storici come Giza e le sue incredibili Piramidi, le antiche città sumere e turche, o Machu Picciu in Perù...E poi, la cosa più bella della vita, innamorarmi di nuovo e vivere una grande storia d’amore senza pensare troppo a quanto dovesse durare ma solo viverla pienamente, con serenità, rispetto e bellezza.
concludo con il trailer da 5 minuti del mio disco "La Musica mi ripara", così da assaporare velocemente le atmosfere che potete trovare nell'album. I cui brani sono 9 e tutti accompagnati da illustrazioni eseguite dall'autore che troverete nella copertina e nel booklet del disco fisico. A breve ci sarà l'inserimento del lavoro anche negli store digitali, ma io continuerò a consigliare l'acquisto del disco fisico proprio per l'unicità del tutto.Un disco da ascoltare ma anche da guardare toccare, leggere, come si facevano un tempo.