3.5.18

quando l'ideologia rovina tutto Il “caso Magni”: da Valibona alla maglia rosa La “scelta sbagliata” del campione di ciclismo, ripudiato nell'Italia divisa.




da
http://iltirreno.gelocal.it/prato/cronaca/2018/05/01 

Il “caso Magni”: da Valibona alla maglia rosa

La “scelta sbagliata” del campione di ciclismo, ripudiato nell'Italia divisa. Ora il volume di Walter Bernardi fa chiarezza sulla sua figura e sulla battaglia del 1944 tra fascisti e partigiani sui monti intorno a Prato. A 70 anni dalla prima vittoria del ciclista vaianese al Giro












Una celebre immagine, esempio della proverbiale tempra di Magni: nonostante la clavicola fratturata, prosegue la corsa e si regge al manubrio tenendo in bocca un pezzo di gomma


PRATO. Il rosa della maglia di leader del Giro d’Italia, sogno di ogni ciclista, il nero delle camicie dei fascisti, il rosso delle bandiere comuniste e dei fazzoletti dei partigiani. Si potrebbe raccontare anche attraverso i colori la storia di Fiorenzo Magni, il “terzo uomo” degli anni d’oro del ciclismo italiano, l’unico in grado di inserirsi nel dominio dei campionissimi Coppi e Bartali ritagliandosi una sua dimensione di campione, con la vittoria in tre Giri d’Italia e in tre Giri delle Fiandre. Ma il cuore del libro di Walter Bernardi, “Il 'caso’ Fiorenzo Magni: l’uomo e il campione nell’Italia divisa” che uscirà giovedì 3 maggio, non è il ciclismo. La vicenda umana di Magni e anche la sua carriera sportiva ruotano inevitabilmente intorno alla battaglia di Valibona che vide un gruppo di partigiani assediato da un oltre un centinaio di fascisti e carabinieri. Con Magni nelle file dei repubblichini. I “fatti di Valibona” sono uno dei miti della Resistenza pratese. La presenza di Magni “dalla parte sbagliata” non gli è mai stata perdonata, e ne ha deciso l'oblio della sua gente, la rimozione dal pantheon delle glorie “pratesi”.
I “fatti di Valibona”. Il 3 gennaio del 1944 una spedizione fascista raggiunse quella località sperduta sui monti della Calvana per sgominare una brigata partigiana che minacciava i collegamenti tra Prato e Bologna. L'intervento fu pianificato dalla Gnr (la Guardia nazionale della Repubblica di Salò) di Prato e dai carabinieri di Prato e Calenzano, con la partecipazione del battaglione Muti di Firenze, un corpo speciale delle milizie repubblichine. Alla fine oltre 120 tra camicie nere e carabinieri si avviarono verso Valibona, poche case in cui risiedevano tre famiglie, valico che metteva in comunicazione la Valbisenzio con la Valmarina. Lì, si sapeva, si era stabilita la brigata guidata da Lanciotto Ballerini, un giovane capo partigiano di Campi vicino alle posizioni di Giustizia a Libertà. In quella brigata di 19 persone si erano ritrovati elementi di diversa provenienza. C'erano perfino due russi, un inglese e due jugoslavi. Quando alle prime luci dell'alba i fascisti arrivarono a Valibona trovarono i partigiani chiusi in un fienile e intorno a quell'edificio si scatenò il fuoco. Fu una battaglia vera e propria, si sparò dalle 6 alle 10 del mattino e alla fine i partigiani asserragliati nel fienile dovettero arrendersi. Il bilancio fu di sei fascisti e tre partigiani uccisi, tra questi ultimi anche Lanciotto Ballerini e il russo Vladimir. A quelli fatti prigionieri non furono risparmiate sevizie e violenze.


                        Il    fienile di Valibona dove trovavano i partigiani assediati dai fascisti


Il processo. Finita la guerra, il processo si celebrò a Firenze nel 1948 in Corte d'assise d'appello. Alla sbarra i fascisti che avevano partecipato alla spedizione. Nel corso degli anni la presenza di Magni, allora 24enne, alla battaglia fu a lungo controversa e neppure il processo sciolse tutti i dubbi. Bernardi attinge per la prima volta anche agli atti del processo di Valibona ritrovati nell'archivio di Stato di Perugia da John Foot, storico inglese che ha dedicato i suoi studi all'Italia e allo sport (calcio e ciclismo) e che firma anche la prefazione al libro. Tra gli imputati c’era anche Magni, mentre sfilavano i testimoni, in un’aula che ribolliva di passione. Vengono chiamati a testimoniare anche altri ciclisti tra cui Bartali e il montemurlese Bini che non si presenteranno
Si presenta invece Alfredo Martini, futuro ct della nazionale, ciclista promettente e comunista, che difende Magni. Al processo si intrecciano le testimonianze di chi dice di averlo visto a Valibona, di chi l'ha sentito dileggiare i morti, fino a chi lo accusa niente meno di essere stato proprio lui a uccidere Lanciotto. E quelle di chi invece racconta di una sua partecipazione tiepida al fascismo, delle buone azioni a favore di antifascisti vaianesi e di un prigioniero inglese nascosto in una fattoria della zona. E insomma, c'era o no Magni quella mattina a Valibona? Si sa che i fascisti di Vaiano avevano voluto che una loro rappresentanza fosse nel contingente. Ragioni di prestigio, la Vaiano fascista doveva appuntarsi quella “medaglia” al petto. E alla fine sarà lo stesso Magni a risolvere il mistero. In un'intervista poco prima di morire, ammise di essere stato a Valibona, ma di non aver sparato un colpo. E forse è la versione più vicina al vero.

I fascicoli del processo di Valibona trovati nell'Archivio di Stato di Peruigia

 Alla fine Magni sarà assolto per insufficienza di prove per quanto riguarda Valibona e condannato per “collaborazionismo”, condanna annullata però dall'amnistia firmata da Togliatti. Così Magni esce formalmente “pulito” e può tornare al ciclismo. Sta per partire il Giro d'Italia. Ma gli animi degli italiani sono troppo esacerbati, troppe ferite sono ancora aperte e nemmeno lo sport dimentica. Magni vince a sorpresa quel contestato Giro battendo il favorito Coppi, idolo delle folle. Quando arriva a Milano in maglia rosa il giro d'onore in pista si trasforma in un giro del disonore, i tifosi lo insultano e lanciano ortaggi. Gli contestano alcune scorrettezze in gara nella tappa decisiva e poi non si tollera che un “fascista” trionfi al Giro.Fascista per convenienza. Bernardi dedica molta attenzione al contesto locale in cui maturano le scelte del ciclista vaianese. Magni nasce in una famiglia tutt'altro che fascista. Il padre è socialista, gran parte dei suoi parenti sono di sinistra. Emerge così a poco a poco la figura di un ventenne tutto preso dalla sua passione per il ciclismo e che, alla morte del padre, per opportunismo e per convenienza più che per adesione ideale, accoglie la protezione dei ras fascisti della zona, i Bardazzi, famiglia di imprenditori tessili, Bardazzi imprenditori, che gli danno un lavoro e gli forniscono i mezzi e per continuare a correre.L’altra vita a Monza. Ai primi di giugno del 1944, mentre Roma viene liberata e si avvia la resa dei conti tra fascisti e partigiani, Magni fugge a Monza e lì attende la fine della guerra per tornare alle corse. Per lui si apre un’altra storia. Il Cnl dell'Alta Italia testimonierà e metterà per scritto che Magni svolse attività a favore della Resistenza. Da allora diventerà “un pratese di Monza”, resterà a vivere lì fino alla sua morte nel 2012.




Un'altra immagine di Fiorenzo Magni in gara

copertina dellibro in questione 

Il telegramma del sindaco. A testimoniare il clima di quegli anni, Bernardi racconta la storia del secondo sindaco di Prato del dopoguerra, Alfredo Menichetti, imprenditore tessile e comunista. La vittoria di Magni al Giro avrà effetti anche su di lui. Diventato sindaco quasi per caso, quando il Pci si trova a sostituire il sindaco del Cnl Dino Saccenti, eletto in Parlamento, Menichetti verrà sempre visto dai compagni con un po' di sospetto per la sua anomalia, lui un industriale. In tanti lo attendono al varco e aspettano una sua scivolata. E quando il sindaco invierà a Magni un telegramma di felicitazioni per la sua vittoria al Giro, 
la vittoria di un pratese che inorgoglisce la città, il partito gli si rivolta contro: è inaccettabile che un sindaco comunista faccia i complimenti a un fascista, per quanto campione nello sport allora più popolare. Le polemiche e gli attacchi personali porteranno alle dimissioni di Menichetti e alla sua emarginazione dalla vita politica cittadina. Tra i sindaci successivi solo Lohengrin Landini accoglierà l'ex campione in Comune. Poi solo silenzio e imbarazzo. Il Comune di Vaiano gli negherà perfino l'intitolazione di un tratto di pista ciclabile.
ante voci e tante storie. Ma nel libro di Bernardi non ci sono solo le vicende di Magni e di Valibona. A partire dalla figura del ciclista si dipana un vero e proprio affresco di quegli anni in Italia, a Prato e nella Valbisenzio, con tante voci e storie che si intrecciano e restituiscono la vita di quei giorni. Come i racconti delle donne di Vaiano e della Briglia, di Giovanna “la sovietica”, di Luana che, bambina, non capiva le persecuzioni alle sue amiche ebree, o come la storia d'amore tra James Cameron, soldato scozzese, e la figlia del mezzadro che l'ospitava a Montemurlo. E poi le storie dei tanti ciclisti toscani, in quell'Italia che usciva dalla dittatura e dalla guerra, nella quale il ciclismo, lo sport più popolare e trascinante, riproduceva tutte le passioni (e le tensioni) ideali e ideologiche


come suggerisce lo storico Walter Bernardi ( foto al lato ) bisogna gudicarlo senza preconcetti e pregiudizi ,ma soprattutot senza Damnatio memoriae . infatti 

da http://iltirreno.gelocal.it/prato/cronaca/2018/05/01/



PRATO. «Lo so che mi accuseranno di voler riabilitare Magni. Ma io non intendo né assolverlo, né condannarlo. Si tratta solo di spiegare i fatti e le ragioni delle scelte di un uomo. Mi piacerebbe che i lettori si formassero un'idea sulla base dei documenti e del racconto dei fatti e ognuno giudicasse poi senza preconcetti»


 Walter Bernardi è un docente di filosofia e storico della scienza, ma il ciclismo è la sua grande passione.La storia di Magni e l'intreccio con le vicende della guerra e del dopoguerra nel Pratese lo hanno appassionato a tal punto da passare sei anni a spulciare archivi e giornali e a intervistare i testimoni ancora in vita di quei fatti. «Non ha più senso oggi dividersi per raccontare ai nuovi cittadini pratesi la guerra civile di ieri - spiega - Le scelte sbagliate restano sbagliate, è indubbio che chi scelse libertà, giustizia e uguaglianza fece la scelta giusta. Ma mantenendo fermi i principi e i valori, si possono perdonare gli errori»E’ il paradosso della figura di Fiorenzo Magni: a Prato è il diavolo, a Monza è un eroe. «Un po’ colpa anche sua - ammette Bernardi - per aver voluto escludere un pezzo della sua vita e ricominciare altrove daccapo. Eppure l’adesione al fascismo di Magni risulta piuttosto tiepida, frutto più delle convenienze di un ventenne che voleva soprattutto correre in bicicletta. Niente a che vedere con l'estremismo di un Ardengo Soffici (cui pure sono state intitolate strade) o con le responsabilità di uno come Giorgio Albertazzi». Bernardi ammette di essere stato catturato dalla vicenda della battaglia di Valibona. Sarà quella il tema del suo prossimo libro.

2.5.18

non sono giornalista e mai lo sarò ma un uomo liberò

non sapevo che provare a raccontare o riportare storie ai margini dei media nazionali 
come quelle di cui parla  questa  canzone  



 fosse essere giornalista cosa che non lo sono e non voglio essere

Vivo nei panni di un alieno

Altro e Altrove”, è una raccolta di saggi che trattano vari argomenti, spesso legati tra loro. L’autore filosofo, pittore, critico letterario e musicale, Cristian A. Porcino Ferrara, è un paladino dei diritti umani e civili e non ha alcun problema a comunicarlo liberamente anche in questo scritto. Voglio ricordare che il suo libro del 2016 “Canzoni contro l’omofobia e la violenza sulle donne”, ha ricevuto l’apprezzamento del Presidente della Repubblica e il plauso della senatrice Monica Cirinnà. Anche in questa opera c’è un costante richiamo alla lotta contro l’omofobia e a diverse altre tematiche che vanno, per citarne qualcuna, dagli scandali in Vaticano ai diritti gay, dalla sessualità repressa dei supereroi alle serie tv, ai social network e al loro uso spropositato e illecito, dalla morte di Lady Diana a quella del cantante George Michael e molte altre…
L’autore dimostra di conoscere diversi testi sia religiosi che politici, ma anche filosofici e musicali e riesce a rispondere e controbattere esprimendo la sua ferrea opinione, facendo valere le sue idee che, comunque, ritiene giuste per sé. Pur non condividendo alcuni principi politici e religiosi di Porcino, l’ho sempre ammirato per la sua voglia e la sua costanza nel documentarsi per poi mettere nero su bianco, motivando ogni parola, ogni pensiero, ogni passo. Potrebbe sembrare pungente, ma non lo è: dice ciò che pensa giusto o sbagliato che possa apparire al lettore. Non vuole ergersi a professore e inculcare il suo pensiero ma, avendo lui stesso sete di conoscenza, vuole palesarlo affinché resti in qualche modo scolpito nella mente di chi lo legge o lo ascolta. La “conoscenza”, infatti, diventa la parola che più incontriamo in questo testo: l’autore invita a aprirsi alla conoscenza, a essere curiosi, a vivere di empatia e conoscenza insieme e abbraccia il pensiero del filosofo Jiddu Krishnamurti il quale asserisce che “la più alta forma di intelligenza umana è la capacità di osservare senza giudicare”. Immagina che gli altri lo vedano come un alieno e lui stesso si sente un po’ di un altro pianeta, appunto un “altro e altrove che non si accontenta di ciò che vede perché nulla soddisfa la sua innata curiosità”.

Viviana Cosentino

Il libro è in vendita su Amazon al seguente link: https://www.amazon.it/Altro-altrove-Cristian-Porcino-Ferrara/dp/0244660042/ref=sr_1_2?s=books&ie=UTF8&qid=1525243004&sr=1-2&keywords=altro+e+altrove

1.5.18

la storia di giuseppe renna che da 20 anni vive in strada

  canzone suggerita


Da vent’anni vive senza un tetto, il quartiere Guizza si mobilita
Giuseppe Renna ha 57 anni, negli anni '70 era un militante di Autonomia Operaia


GUIZZA. Quando hanno visto quell’uomo solo, educato e dignitoso, ma visibilmente trasandato, seduto per giorni su una panchina della Guizza, hanno risposto all’appello del cuore. La famiglia Amistà, Massimo, Giusy e i loro sei figli, si sono avvicinati e gli hanno chiesto, semplicemente se avesse bisogno di aiuto. Beppe, questo il nome dell’uomo, ha domandato garbatamente una bottiglia di acqua naturale, loro gli hanno dato anche un piatto di pasta, pane e formaggio. 
Piano piano Beppe si è aperto, svelando che all’anagrafe è Giuseppe Renna, 57 anni, nato a Caldaro sulla strada del vino (in Trentino) e vissuto a Busa di Vigonza. Da 20 anni in strada. Per scelta. È stato un militante di estrema sinistra durante i turbolenti anni Settanta, era vicino ad Autonomia operaia, ha visto nascere il Pedro e poi scindersi in due dando vita al Gramigna. «Vivo così perché voglio vivere così», spiega Beppe, «sono stato sposato e dopo 7 anni mi sono separato, senza figli e senza legami d’affetto davvero importanti. Ho due amici, questi sì, importanti. Vivo da venti anni in strada e so barcamenarmi: so difendermi anche se non ho mai avuto problemi e mi faccio gli affari miei». Beppe è perfettamente lucido. Sa che vivere per la strada è una scelta radicale ed estrema ma è la sua.
Cammina con uno zainetto rosso che custodisce «tutta la mia casa», possiede un telefono, ma guai a chiedergli il numero: «è un affare troppo personale». Né accetta numeri di altri, per quanti buoni propositi abbiano. Eppure su quella panchina del viale che collega via Brofferio a via Guasti, dove c’è un gran bel via vai, si apre fino a raccontare un po’ del sé più celato: «non sono mai stato un ragazzo casa e chiesa», ricorda, «sia chiaro, non ho mai avuto rogne con la giustizia, ma ho vissuto con intensità e convinzione gli anni Settanta». Sorride, dietro la barba incolta e brizzolata: «Era il 1974, Giorgio Almirante era venuto a parlare qui, a Padova (è il 20 giugno, appena tre giorni prima, il 17, in via Zabarella erano stati freddati brutalmente Girallucci e Mazzola, proprio nella sede cittadina del Movimento sociale), io avevo 14 anni e lanciai il mio primo sasso: il comizio era in piazza delle Erbe e io fui istruito a lanciare il mio primo sasso contro il palco. Naturalmente nemmeno si avvicinò al leader politico, ma il messaggio era chiaro: quell’uomo, in città, non doveva parlare. Ero un simpatizzante anarchico». Perché non chiedere aiuto ai Servizi sociali? «Adesso come adesso non me ne frega niente. Voglio vivere così. Sono stato per anni al Torresino, poi mi hanno messo alla porta perché ho un reddito e dunque non potevo rimanere. Faccio volantinaggio e guadagno circa 500 euro al mese». 

30.4.18

Un'opera d'arte esclusiva, eppure proprietà di tanti. 25 mila persone si tassano e comprano un opera di picasso per esporla al pubblico

 Una  storia  davvero sngolare  quella  che state per  leggere .  Un gruppo di persone  , 25  mila per  l'essattezza , si  autotassa   ed    compra un moschettiere  di  Pablo Picasso ( 1881-1973 )
Picasso e Jacqueline


Un Picasso per 25mila proprietari:
 in mostra il Moschettiere, lo hanno comprato in rete





Un Picasso per 25mila proprietari: in mostra il Moschettiere, lo hanno comprato in rete
Il Moschettiere in mostra al Mamco di Ginevra (afp)

Svizzera. A dicembre azienda di commercio online mette in vendita opera del genio andaluso, del valore di 2 milioni di franchi (1,67 milioni), in 40mila quote da 50 franchi. In 3 giorni il tutto esaurito. Da allora, gli "azionisti" decidono cosa fare dell'opera: prima tappa, un museo ginevrino





Un'opera d'arte esclusiva, eppure proprietà di tanti. In Svizzera, nel Museo d'Arte Moderna e Contemporanea di Ginevra, è esposto da oggi un busto dipinto dal genio di Malaga, che ha una peculiarità rara, se non unica: appartiene a 25mila persone, che per la prima volta, dopo averlo acquistato, lo hanno lasciato ammirare dal pubblico.

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L'iniziativa è un'originalissima forma di crowdfunding ideata da QoQa, un sito di vendita in rete nato nel Paese di Guglielmo Tell e di Roger Federer nel 2005. Un portale che propone, attraverso meccanismi di promozione poco convenzionali, vendite di ogni genere, dal set di valigie agli utensili per il fai da te domestico, sino al viaggio esotico a prezzo superscontato. Una (ormai ex) startup che si è fatta strada all'insegna del motto "Non importa cosa facciamo, ma lo facciamo per te".
Insomma, non una casa d'arte o una casa d'aste, ma un'impresa che - come ha ammesso il suo stesso fondatore e amministratore delegato, il 37enne Pascal Meyer, all'agenzia France Presse - ha usato l'iniziativa, per "creare "buzz" (rumore, ronzio n. d. r.)", attorno a se stessa, ma anche "per democratizzare un mondo, come quello dell'arte, normalmente chiuso su se stesso e oscuro".
L'iniziativa. A dicembre, QoQa ha messo in vendita, sul suo portale, il Busto del moschettiere (58 x 25 cm); che Picasso dipinse nel 1968. L'opera, il cui prezzo d'acquisto era fissato a 2 milioni di franchi svizzeri (circa 1,67 milioni di euro) veniva proposta in 40mila quote da 50 franchi (41,15 euro) l'uno. In tre giorni, i lotti erano andati esauriti, letteralmente presi d'assalto 25 mila persone, da quel momento felici comproprietarie della tela firmata da uno dei più grandi geni della storia dell'arte.
Un Picasso per 25mila proprietari: in mostra il Moschettiere, lo hanno comprato in rete
Uno dei proprietari accede alla sala dove è ospitato il Moschettiere con la sua card

QoQa, come racconta Meyer, si è avvalsa di grandi specialisti "per certificare l'autenticità dell'opera"; allo stesso tempo, ha aggiunto il businessman senza precisare la cifra esatta sborsata, "s'è assicurata di pagarla il prezzo giusto". Emblematica, spiega Meyer, la scelta del soggetto, il moschettiere, all'insegna del motto "Uno per tutti, tutti per uno", emblema non certo celato dell'iniziativa      Insieme, infatti, i proprietari hanno deciso e decideranno che cosa fare della tela. In linea con la filosofia del progetto, quella dell'arte da mostrare a tutti, il quadro ha cominciato dalla madrepatria quella che si prospetta come una tournée mondiale attraverso musei e - chissà - grandi spazi pubblici come l'atrio di un palazzo comunale o una stazione ferroviaria. Il museo ginevrino la ospiterà infatti fino a ottobre, poi saranno gli stessi internauti associati a votare le destinazioni future.
Lodirettore del Mamco, il museo ginevrino che in questi giorni ospita il Moschettiere,  non ha esitato a dichiararsi sedotto dall'iniziativa sicuramente con pochi precedenti. "Per noi Internet è una forma per arrivare al grande pubblico - ha detto Lionel Bovier, la cui istituzione è abituata a relazionarsi alle élite degli appassionati d'arte, e che ora è pronto ad accogliere i 25mila comproprietari, ognuno dei quali, strisciando l'apposita carta numerata che attesta la proprietà in un apposito tornello, avrà garantito l'accesso alla struttura. "Spero sinceramente che vengano tutti".La competenza in materia di tecnologia digitale di QoQa è al servizio dell'iniziativa per offrire il meglio in materia di scansioni 3D e realtà virtuale. Tra l'altro, si potrà letteralmente passeggiare attraverso l'opera. Dal canto suo, il Museo di Arte Moderna e Contemporanea ha previsto un'ampia scelta di incontri, attività e conferenze su Picasso."Quando abbiamo prospettato l'idea - conclude Meyer -, ci è stato detto 'è impossibile'. Quando poi si è fatto il nome di Picasso, ci è stato ribadito che era 'due volte impossibile". Da lì, spiega il manager lo stimolo, il gusto per una sfida, quello di "rendere un po' più popolare un universo che sembrava inaccessibile per le persone comuni".qoqa


Un  opera  d'arte    che   non sarà appeso al muro nei loro salotti, ma lo possiedono comunque: 25.000 persone si sono unite per acquistare un dipinto di Picasso, che è stato esposto a Ginevra.  I visitatori del sito d’affari svizzero Qoqa --  secondo questo articolo  di   https://expoitalyart.it --- di solito finiscono per comprare un nuovo trapano, una valigia o un viaggio economico a Marrakesh.

  dallla stessa  fonte  

Ma lo scorso dicembre, il sito web che è stato creato nel 2005 con il motto: “Facciamo qualsiasi cosa, ma è tutto per te”, ha proposto un dipinto nientemeno che della superstar dell’arte Pablo Picasso.Il dipinto del 1968 intitolato “Buste de mousquetaire” (Musketeer Bust) è stato offerto a un prezzo d’occasione di due milioni di franchi svizzeri ($ 2,0 milioni, 1,7 milioni di euro) nel giro di tre giorni, 25.000 persone hanno acquistato 40.000 azioni, al prezzo di 50 franchi svizzeri ciascuna, per diventare orgogliosi proprietari dell’opera d’arte.L’obiettivo principale di Qoqa con la vendita di un’opera dell’artista più famoso del XX secolo era ovviamente “diventare virale” e convincere la gente a parlare del sito web, il capo dell’azienda e fondatore Pascal Meyer ha anche detto che non solo per pubblicità ma anche per rendere più democratica l’arte che solitamente è chiusa in se stessa e a disposizione di pochi ultraricchi.Quando abbiamo lanciato questa idea, la gente ci ha detto di dimenticarlo, che era semplicemente impossibile“, ha detto Meyer. E poi, quando abbiamo iniziato a parlare di Picasso, la gente diceva che era doppiamente impossibile “, quindi la sfida è stata irresistibile”.Abbiamo detto: facciamolo, proviamo … a democratizzare quest’area, che sembra così inaccessibile alle persone normali“.L’azienda ha riunito un team di specialisti per certificare l’autenticità del dipinto, ma anche per garantire che il prezzo fosse equo.Meyer ha rifiutato di divulgare quanto Qoqa ha pagato per il dipinto di 58 x 28,5 centimetri, che ritrae un uomo con barba e baffi a punta e un colletto di pizzo. Ha detto solo che l’azienda l’ha comprata da un venditore europeo che non desidera essere identificato   [ per  ovvi motivi   aggiunta mia  ] Nello spirito del “moschettiere” del dipinto, i proprietari hanno sostanzialmente fatto voto di “tutto per uno, uno per tutti” sarà infatti in base alle decisioni del pool di proprietari che si deciderà su dove andrà in mostra l’opera. Il museo d’arte moderna di Ginevra MAMCO è stato il primo a ricevere questo onore. Speriamo di attirare la più grande folla possibile da questo gruppo di 25.000 persone“, ha detto, aggiungendo che la maggior parte degli acquirenti proveniva dalla parte francofona della Svizzera. A ciascun proprietario è stata consegnata la propria tessera, recante i numeri individuali e una foto del dipinto, permettendo loro di venire ad ammirarlo a volontà, gratuitamente.Bovier ha detto di aver attinto al know-how tecnologico di Qoqa per mostrare il dipinto in modo originale, utilizzando tra l’altro una webcam e una piattaforma interattiva, “PiQasso”, che sarà disponibile attraverso il sito Qoqa. È stata anche realizzata una scansione 3D del pezzo, consentendo ai visitatori di vederla in ogni sua posizione.Ci sono molte piccole cose che renderanno questo un po ‘più sexy e un po’ meno noioso“, ha detto Meyer ridendo.Nel frattempo, il museo offrirà una serie di incontri, conferenze e altre attività intorno al dipinto di Picasso.La “Buste de mousquetaire” rimarrà a Ginevra fino a ottobre. Spetterà ai suoi proprietari determinare dove andrà dopo.

29.4.18

Ardeatino, via la festa della mamma e del papà. "Discrimina i gay" In un nido cancellate le due ricorrenze su richiesta di una coppia omosessuale . le .. del politiccamente corretto - buonismo a tutti i costi

le minchiate del politicamente corretto  ( leggi buonismo  )  a tutti i costi . dev'essere qualche , ovviamente senza generalizzare omosessuale che non capisce  un accidenti e  vede  discriminazione  dove  non c'è  oppure non  sa  che esistono    anche  famiglie omosessuali 

da http://roma.repubblica.it/cronaca/2018/04/28/newsArdeatino

 via la festa della mamma e del papà. "Discrimina i gay" In un nido cancellate le due ricorrenze su richiesta di una coppia omosessuale


 di VALENTINA LUPIA







Su richiesta di una coppia omosessuale, un nido della Capitale elimina la festa del Papà e quella della Mamma, in favore di una “della famiglia”, più inclusiva. Scatenando però, a detta dell’associazione Articolo 26, composta da genitori e da educatori, l’ira di tante famiglie secondo cui si tratterebbe di una sorta di discriminazione al contrario. Al centro dei fatti, il nido Chicco di Grano, in via dei Granai di Nerva 16, in zona Roma 70, nell’VIII municipio, a cui l’associazione ha inviato un reclamo. Qui a sostituire la figura del minisindaco c’è il delegato dalla sindaca Virginia Raggi Carlo Cafarotti. Dalla sua direzione socio-educativa e in particolare dalla persona di Alessandro Bellinzoni, sarebbe arrivata la scelta di difendere posizione della scuola, «facendo intendere che le due secolari celebrazioni sono ideologiche e divisive e quindi ormai da cancellare con una più inclusiva festa della Famiglia».
Ma lo stesso Cafarotti, appreso il contenuto della risposta, si è detto titubante delle parole inviate dal
parlamentino. Che forse non sarebbero state dette in questi termini. Secondo l’associazione si tratta «di una risposta grottesca: è divisivo ledere i diritti di tutte le altre famiglie ed è ideologico cancellare queste feste. Anche i due papà sono nati da uomo e donna». Durante le discussioni «erano state proposte delle feste della Mamma e del Papà facoltative, ugualmente contestate dalla coppia omosessuale e poi cancellate».

per aggirare il daspo: affitta una gru e vede la partita., collezionista compra online una cartolina: l'aveva spedita la madre 48 anni prima di ritorno dal viaggio di nozze .,Venticinque anni fa, quando il World Wide Web divenne libero

le storie  d'oggi  sono tratte da repubblica  del  28n e   29   aprile  




Turchia, lo stratagemma del tifoso per aggirare il daspo: affitta una gru e vede la partita . Un'idea tanto geniale quanto bizzarra quella di un tifoso turco del Denizlispor, squadra che milita nella serie B turca. Per aggirare il daspo (il divieto di entrare in uno stadio) di un anno inflitto dalla giustizia sportiva, l'uomo ha affittato una gru per poter vedere comunque la partita contro il Gazientespor e incitare 'da vicino' i propri beniamini. Il supporter ha posizionato il macchinario poco oltre la tribuna e ha così potuto assistere alla vittoria per 5-0 della sua squadra del cuore cantando e festeggiando insieme al pubblico presente sugli spalti





   
Brusasco, collezionista compra online una cartolina: l'aveva spedita la madre 48 anni prima L'uomo racconta: "Ho riconosciuto subito la calligrafia di mia madre, l'aveva inviata di ritorno dal viaggio di nozze"

     di CARLOTTA ROCCI

Giulio Bosso, ha ricevuto una cartolina dal passato firmata da sua madre. Dipendente comunale di Villareggia, 47 anni, Bosso, vive a Brusasco e da qualche hanno ha una passione: colleziona cartoline del suo paese, vecchi scatti che trova nei mercatini e compra on line.

Brusasco, collezionista compra online una cartolina: l'aveva spedita la madre 48 anni prima
La cartolina di Brusasco spedita a Caltanissetta 48 anni fa e ritrovata ora dal figlio del mittente 

Ne ha raccolti più di 100 ma l'ultima cartolina ha lasciato davvero il segno perché, dopo averla comprata on line per pochi euro e averla ricevuta via posta, l'ha voltata e ha scoperto che quella cartolina era stata spedita da sua madre 48 anni fa. "Cordialissimi saluti, Italia e Lanfranco", si legge. "Ho riconosciuto subito la calligrafia di mia madre", racconta Bosso che ha comprato la cartolina da un signore di Palermo.
                                                      il retro della cartolina

La cartolina era indirizzata al Caffè centrale di Caltanissetta e datata 12 giugno 1970. Era stata spedita da Italia Lombardo e Lanfranco Bosso di ritorno dal viaggio di nozze. "I miei genitori si sono sposati il 25 aprile 1970 e sono andati in viaggio di nozze in Sicilia, a Caltanissetta che è la città d'origine di mia mamma", spiega Bosso. Italia è nata in Sicilia ma
è arrivata in Liguria negli anni '50 al seguito del padre che era un agente di polizia penitenziaria. Lanfranco, invece è nato e cresciuto a Brusasco. La coppia è rimasta insieme fino al 1982 quando Lanfranco è morto, "mia mamma, invece, è mancata due anni fa purtroppo - spiega il figlio - per questo è stato ancora più emozionante scoprire come il caso abbia voluto restituirmi questa testimonianza dei miei genitori dopo tanti anni".



Venticinque anni fa, quando il World Wide Web divenne libero
Il 30 aprile del 1993 il Cern rilasciò il codice sorgente della rete inventata da Tim Berners-Lee




con licenza open source. Libero e gratuito. E fu l'inizio della rivoluzione. IL 30 aprile 1993 non fu un giorno qualunque. Anzi. Fu quando il Cern (l'organizzazione europea per la ricerca nucleare, con sede a Ginevra) mise a disposizione del pubblico il World Wide Web, fino a quel momento utilizzato dalla sola comunità scientifica, rinunciando a qualsiasi tipo di diritto sul software scritto qualche anno prima da un suo ricercatore laureatosi in fisica a Oxfortd, il britannico Tim Berners-Lee.(  foto al  lato   )  Fu in quel giorno di 25 anni fa che il Web divenne di fatto libero, perché allora il suo inventore decise di donare agli sviluppatori di tutto il mondo il linguaggio di questo nuovo mondo digitale, il suo codice sorgente.  
La "lampadina". Si era accesa nel 1989 e da allora non si è mai spenta. Così, nel giro di due anni Berners-Lee, assieme al suo collega belga Robert Calliau, fece diventare realtà la sua idea: documenti consultabili in rete con un protocollo specifico e organizzati con dei collegamenti ipertestuali che potessero essere letti e navigati grazie a un browser. L'ipertesto. Da allora lo sviluppo è stato costante e continuo: primi server, prima pagina ipertestuale grazie al linguaggio html, primo browser - Mosaic - inizialmente su piattaforma NeXT e poi anche sugli altri sistemi operativi a partire da Windows e Macintosh grazie all'universià dell'Illinois. Insomma, il computer smetteva di essere soltanto un elaboratore che comunicava con i suoi simili solo con dischetti o con piccole reti fisiche e locali e diventava un terminale intelligente e connesso. Molto ma molto più potente. Ma sarebbe rimasto confinato agli istituti di ricerca e alle università se non si fosse aggiunto un tassello decisivo. Proprio quello arrivato 25 anni fa.
Il software liberato. Per comprendere la portata storica di questo passaggio basta provare a immaginare cosa sarebbe successo se non fosse avvenuto. Ogni compagnia avrebbe sviluppato la sua rete, con le sue specifiche, con i suoi protocolli, con le sue potenzialità e ovviamente anche i suoi limiti. La rete sarebbe stata soprattutto un prodotto prima di essere uno straordinario veicolo di comunicazione, anzi vari prodotti magari ognuno con un suo ipercontrollo a monte. Forse non avremmo mai assistito all'esplosione della "rete delle reti" come la conosciamo adesso: libera e (tranne qualche eccezione) sostanzialmente democratica. Ebbene, questo passaggio avvenne per merito di Berners-Lee che si battè all'interno del Cern affinché il codice sorgente della sua invenzione fosse rilasciato dall'istituzione per la quale lavorava (che ne deteneva i diritti) con licenza open source, e quindi libero e gratuito. Fu questo semplice atto burocatico a dare l'inizio a una delle più affascinanti rivoluzioni dell'era moderna.



eccone  sinteticamente la storia 


Un sistema ipertestuale che collegasse contenuti su scala universale è nei sogni e nei disegni di molti pensatori e scienziati fin dagli anni Quaranta del secolo scorso. Fra i primi a immaginare una ragnatela del genere fu lo statunitense Vennevar Bush 

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 in un suo articolo del 1945 per l’Atlantic Monthly significativamente battezzato ''As We May Think''. Poi Nel 1980 l’informatico londinese Tim Berners-Lee
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 laureatosi in Fisica ad Oxford quattro anni prima e in forze al Cern di Ginevra in quegli anni come consulente, mette in piedi un database e un software per la gestione delle informazioni. Prima che internet arrivi in Italia, già si apre tramite Enquire la strada verso un suo uso più semplice ed efficace.Rientrato al Cern nel 1984, cinque anni dopo Berners-Lee

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 propone in un documento (battezzato Information Management: a Proposal) il progetto del World Wide Web, un ''sistema d’informazione universalmente collegato'' che cavalcasse le ben note potenzialità di internet a una più efficace organizzazione del contenuti.
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Già dal 1980 Berners-Lee aveva lavorato al protocollo che sarebbe stato alla base del Www, noto come Http, HyperText Transfer Protocol. La sua prima versione disponibile fu partorita però solo nel 1991.Stesso discorso per l'Html, il linguaggio sviluppato in quel decennio in parallelo al protocollo che lo avrebbe ospitato e traghettato, arricchitosi poi con gli anni – fin dal 1995 – e diversificatosi, oltre che entrato in competizione e superato sotto certi punti di vista da una quantità di altri linguaggi.
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Il 6 agosto 1991 Tim Berners-Lee pubblica il primo sito internet, ancora oggi disponibile alla Url originaria. A proposito, in quegli anni aveva lavorato anche ad altri concetti base come appunto la Uniform Resource Locator e a versioni pionieristiche di browser ed editor per il nuovo ambiente.

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Pochi giorni dopo quel sito “esce” dal Cern di Ginevra. O meglio, l’accesso a quelle pagine viene consentito anche a utenze esterne al centro di ricerca. Per molti è l’autentica data di nascita del Www.
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Il 30 aprile dell’anno seguente il Cern rinuncia a ogni royalties sul Www e sui codici in cui è realizzato, rendendolo per sempre disponibile a tutti e gratuitamente. Ponendo così le basi per l’esplosione dei servizi nati a pochi mesi di distanza.
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I primi browser, le porte d’accesso e di consultazione dell’enorme ipertesto mondiale che andava componendosi, nascono poco dopo o a cavallo di quegli anni, fra 1992 e 1995: Line Modern, Viola WWW, Mosaic, Netscape e Internet Explorer.


ed il resto è storie a recente che conosciamo tutti sia le vecchie generazioni ( quelle pre internet ,i miei genitori sia  quelle  ch  come me     in cui internet  muoveva i primi passi  )     sia  le  nuove  ed  nuovissime    generazioni   (  quelle  nate   dagli anni  90 \2000   e  dopo ) 

26.4.18

E' stato testimone della strage di Nassiriya: segnato dall'orrore, ora denuncia: "Lo Stato mi ha abbandonato" Udine: a 15 anni dall’attentato, l’appuntato scelto Luigi Coltraro (ora riformato) continua la battaglia per ottenere i benefici

  Sulla storia  che leggwerewte  nelle  righe successive  ho  avuto  uno scontro    su un forum 

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Io 
Era un volontario. Non può piangere dopo.Allora tutti possono, in qualsiasi lavoro, avanzare le Sua richieste e altre ancora.
Ha voluto la bicicletta e adesso .........

*****
Mi auguro solo che chi ha commentato con: "era un volontario...ha voluto la bicicletta....finito i soldi e piangono...o peggio elemosinare soldi", nonché minchiate simili, non abbiano figli, genitori o parenti che fanno il LAVORO che ha fatto Luigi finché lo "statucolo tagliano" non ha deciso di metterlo in disparte in quanto si è messo a combattere per cercar di far valere I SUOI DIRITTI per aver fatto il SUO DOVERE!! Vorrei inoltre vedere se al posto di Luigi, semplice Appuntato Semplice, fosse successo a un pluri-stellato generale se lo "statucolo" avrebbe agito in modo simile.

IO
"Vittime del dovere" e partecipazione volontaria ad una missione sono concetti in forte antitesi tra di loro.  Inoltre  un militare può sia chiedere, di partecipare, oppure venire comandato, assegnato, alle operazioni fuori area. e si può anche rifiutare di partire ,  senza  che  io sappia ,  conseguenza penali   e  legali  .

Nessuna  riposta     evidentemente   non sa  consa replicarmi 


E' stato testimone della strage di Nassiriya: segnato dall'orrore, ora denuncia: "Lo Stato mi ha abbandonato"
Udine: a 15 anni dall’attentato, l’appuntato scelto Luigi Coltraro (ora riformato) continua la battaglia per ottenere i benefici
                    di Luana de Francisco

UDINE.
A lungo, nelle sue interminabili giornate scandite da attacchi di panico e insonnia, aveva pensato di farcela. «Prima o poi passerà», si diceva, soffocando il turbamento e tentando di restituire una patina di normalità alla propria vita, in casa e al lavoro.
Il rimbombo dei cannoni e l’odore dei corpi dei commilitoni straziati dall’esplosivo assassino, alla base militare “Maestrale” di Nassiriya, invece, non lo hanno mai abbandonato.



E allora, nel momento in cui l’appuntato scelto dell’Arma dei carabinieri Luigi Coltraro, classe 1971, residente con la famiglia a Udine, ha deciso di squadernare il passato e di pretendere a propria volta i benefici previsti dalla legge sulle “Vittime del dovere”, invece di trovare la pace cercata, ha imboccato una via crucis che ha finito non soltanto per negargli qualsiasi indennizzo, ma anche per riformarlo dal servizio.
Collocato a riposo, per quello stesso «disturbo post traumatico da stress cronico» diagnosticatogli al rientro dalla missione “Antica Babilonia”, ma giudicato dal Comando slegato dall’esperienza irachena.
«Ricordo ancora i servizi giornalistici in cui si dava risalto alla solidarietà dei vertici dello Stato e dell’Arma dei carabinieri ai loro eroi. Ora che i riflettori si sono spenti, cosa siamo diventati?»
Nel flusso inarrestabile di parole di Coltraro, la rabbia si mescola all’amarezza. La tragica mattina del 12 novembre 2003 - data scolpita nelle pagine più buie della storia d’Italia, insieme ai nomi dei 19 connazionali morti nell’attentato -, lui si trovava davanti alla porta dell’edificio degli alloggi, pronto a dare il cambio della guardia nella postazione che gli era stata assegnata.
«L’onda d’urto mi investì in pieno – racconta – proiettandomi all’indietro per alcuni metri. La violenza fu tale, che i prefabbricati si sollevarono dai plinti, spostandosi». La scena che gli si parò davanti agli occhi dopo l’esplosione dell’autocisterna kamikaze fu agghiacciante. Eppure, per lui e gli altri sopravvissuti lo stato di allerta sarebbe continuato.
«Il nostro rientro fu ritardato – continua –, perchè non si trovavano sostituti». E fu proprio in quella coda di missione che il carabiniere friulano si infortunò: una lussazione a una spalla conseguente alla caduta da un blindato durante un controllo notturno.
Poi, finalmente, il rientro in Italia, al 13° Reggimento di Gorizia, ma anche l’inizio di una profonda sofferenza psicologica.
«Mi sognavo chiuso in una bara – ricorda – e per proteggermi dagli incubi, forse inconsapevolmente, evitavo di dormire. Chiesi di essere assegnato al Nucleo radiomobile di Udine, pensando che l’adrenalina del pronto intervento potesse compensare gli scompensi. Nell’agosto del 2013, tuttavia, arrivò il crollo: difficoltà a respirare, claustrofobia e agorafobia, sudorazione».
In una parola, attacchi di panico. Una malattia che, seppure affrontata con la dovuta terapia, finì per mettere un punto alla carriera professionale di Coltraro. Ma senza, di contro, riconoscergli alcuna forma di ristoro economico.
«Al disagio interiore, a quel punto, si sono aggiunti i ritardi e le assurdità della burocrazia – afferma –. Compresa quella di chiedermi di dimostrare la mia reale presenza sul luogo dell’attentato. E gli infruttuosi rimpalli da una commissione medica all’altra, da Padova a Roma. Lecito, allora, sospettare che stessero perdendo, o magari prendendo tempo».
A scendere in campo, per assisterlo in chiave legale, allora, sono stati gli avvocati Lorenzo Reyes e Camilla Beltramini.
«Vergognoso»: questo l’aggettivo adoperato nella memoria difensiva presentata alla Prefettura di Udine, nel febbraio 2017, per qualificare il parere negativo espresso dal “Comitato di verifica per le cause di servizio” all’istanza di accesso ai benefici per le lesioni conseguenti all’infortunio (la caduta dal blindato).
Non meno «incomprensibile», a parere del dottor Luca Brambullo, consulente psicologico della XIII legione carabinieri Fvg, il rigetto dell’ulteriore domanda presentata in relazione al «disturbo postraumatico da stress cronico» che lui stesso aveva “certificato” come «chiaramente riconducibile ai drammatici fatti bellici» in Iraq.
Alla fine, a vincere la battaglia amministrativa (o almeno, i suoi primi round) sono stati loro, lo Stato e l’Arma da cui ora Coltraro si sente irrimediabilmente abbandonato.
«Hanno riaperto ferite che credevo chiuse – conclude, deluso oltre ogni limite –. E dopo due anni senza stipendio, avendo rifiutato la riforma nella speranza di essere rimesso in servizio, ho accettato la quiescenza. L’ho fatto per amore per la mia famiglia, per evitare loro ulteriori disagi e sofferenza».


23.4.18

ma perchè i salvinisti devono struimentalizzare tragedie come quella di Sana Cheema Una ragazza di 25 anni di origini pakistane,

brava  rosa  cosi  si repolica  a  questi fettenti   e putribondi figuri

i veri malati sono gli ignoranti non i malati mentali

e  sempre  l'ignoranza  fa  paura  ed il  silenzio  è uguale a morte 

lo so  che   sono  ormai storie  all'ordine del  giorno  ma  chi  se  ne  frega  .  Fin quando  continueranno   io  continuerò a raccontarle  .  In quanto  ,   nella prima storia   riportata    tramite  l'amica  facebookina   Rosa Di Carlo


Fabio Nacchio Nastri
21 h 
«Eravamo a tavola con mia madre e i miei fratelli. Ho semplicemente detto “Mamma, papà, vi devo dire una cosa: sono gay”. Mia madre è rimasta in silenzio, come i miei fratelli, mio padre, invece, si è alzato di scatto facendo cadere il piatto. Poi ha iniziato ad urlare “Fuori da casa mia”, “Quelli come te non li voglio”. Io ho reagito, dicendo che era la mia vita e che non facevo male a nessuno. E lui prima mi ha scagliato addosso una sedia e poi ha iniziato a prendermi a schiaffi e pugni fino a quando non sono caduto a terra. Era fuori di sé, ha continuato a colpirmi fino a farmi sanguinare. Poi mi ha detto di prendere le mie cose ed andarmene, che per lui ero morto, di non provare a tornare».
Stefano, 20 anni.
Torrazza Piemonte (Torino) Italia, 2018.


I lividi delle botte lasciano lividi, ma poi guariscono. I lividi del disprezzo di chi ha messo al mondo, però, restano. E fanno più male. Che orrore...
  
  dallo stresso account   di Fabiuo trrovo  quest altro fatto   

A Santa Croce sull'Arno, nel pisano, una donna - pare una ex insegnante - ha fotografato e poi diffuso sui social la foto di un ragazzo immigrato che, secondo lei, indossava una maglietta inneggiante all'Isis, scatenando allarme e panico (ingiustificati).Maglietta che poi si è scoperta essere quella di un gruppo metal americano.Voi siete pericolosi e malati, cazzo.






22.4.18

Wabi Sabi, quando la bellezza dell'imperfezione conquista l'arredo La concezione estetica che viene dall'Oriente applicata all'interior design: qualità artigianale, materiali naturali, imperfetti e asimmetrici



uno  dei tantoi articoli pubblicitatri presi dalla rete  


Nell'estetica giapponese tradizionale Wabi-sabi   è una visione del mondo incentrata sull'accettazione della transitorietà e dell'imperfezione, in cui la bellezza è appunto "imperfetta, impermanente e incompleta".


Wabi Sabi, quando la bellezza dell'imperfezione conquista l'arredo



 La traduzione dei due termini è complessa e nel corso dei secoli hanno cambiato significato persino nella lingua d'origine. Wabi si riferisce all'eleganza discreta, non ostentata e semplice.  Sabi rimanda alla bellezza che solo il passare del tempo può donare.
 


Ora l’estetica giapponese chiamata wabi-sabi si traduce nel campo dell’interior e nel décor in pochi pezzi ma di qualità artigianale, in materiali naturali le cui  “imperfezioni divengono elementi narrativi, che raccontano il vissuto specifico dell'artefatto, le sue peculiarità e l'uso che ne è stato fatto” spiega il libro Il valore dell'imperfezione. L'approccio wabi sabi al design "Attribuire valore all'imperfezione significa progettare prodotti capaci di invecchiare, di modificarsi, di essere riparati; significa stimolare il legame emotivo tra utente e prodotto, allungarne il ciclo di vita e, soprattutto, accettare la presenza di una variabile non controllabile che spesso "cambia il finale del racconto".
Wabi Sabi, quando la bellezza dell'imperfezione conquista l'arredo
Ma qual è nell'arredo questa 'variabile' incontrollabile? Prima di tutto la materia da cui viene ricavato il mobile - i 'difetti' naturali del legno diventano pregi – e poi la lavorazione artigianale che fa si che non esistano prodotti replicabili perfettamente, ogni pezzo è unico e irripetibile.Forme irregolari, eleganza, imperfezioni naturali, oggetti originali con una storia, sono dunque queste le parole d’ordine del wabi sabi associato alla decorazione di interni che si caratterizza anche per i materiali organici usati come il cotone, il legno, la carta o la pietra, forme semplici e colori tenui, spesso neutri.
Wabi Sabi, quando la bellezza dell'imperfezione conquista l'arredo
Wabi Sabi, quando la bellezza dell'imperfezione conquista l'arredo
Artigianale, unico, naturale, autentico, asimmetrico, materico sono queste le caratteristiche degli arredi Devina Nais, atelier di mobili di design per la zona giorno e notte, dove ogni pezzo viene prodotto, confezionato e rifinito in forma artigianale. Le materie prime vengono selezionate per la loro unicità, dove il “difetto” non viene considerato tale ma parte integrante dell'effetto finale che vuole ottenere. 


La lavorazione, che ricorda le tecniche e la meticolosità dei falegnami di un tempo, riesce a regalare ai modelli proposti un sapore dimenticato, che evoca piccole e grandi gioie da condividere. La nuova collezione ,che sarà presentata al Salone del mobile di Milano dal 17 al 22 aprile, è stata concepita con l'intento di creare uno stile unico per arredare tutta la casa con prodotti contraddistinti da giochi materici, grafismi e asimmetrie in cui domina il legno massello.
 

Decostruire la mascolinità non significa demolire l’uomo. È reinventarlo, liberarlo dalle catene degli stereotipi affinché possa essere se stesso,

Ultimo  post  per  questa  settimana   sulla violenza  di genere o  femminicido    La nostra  mascolinità, spesso definita da stereotipi cul...