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http://iltirreno.gelocal.it/prato/cronaca/2018/05/01
Il “caso Magni”: da Valibona alla maglia rosa
La “scelta sbagliata” del campione di ciclismo, ripudiato nell'Italia divisa. Ora il volume di Walter Bernardi fa chiarezza sulla sua figura e sulla battaglia del 1944 tra fascisti e partigiani sui monti intorno a Prato. A 70 anni dalla prima vittoria del ciclista vaianese al Girodi Paolo Toccafondi
Una celebre immagine, esempio della proverbiale tempra di Magni: nonostante la clavicola fratturata, prosegue la corsa e si regge al manubrio tenendo in bocca un pezzo di gomma
PRATO. Il rosa della maglia di leader del Giro d’Italia, sogno di ogni ciclista, il nero delle camicie dei fascisti, il rosso delle bandiere comuniste e dei fazzoletti dei partigiani. Si potrebbe raccontare anche attraverso i colori la storia di Fiorenzo Magni, il “terzo uomo” degli anni d’oro del ciclismo italiano, l’unico in grado di inserirsi nel dominio dei campionissimi Coppi e Bartali ritagliandosi una sua dimensione di campione, con la vittoria in tre Giri d’Italia e in tre Giri delle Fiandre. Ma il cuore del libro di Walter Bernardi, “Il 'caso’ Fiorenzo Magni: l’uomo e il campione nell’Italia divisa” che uscirà giovedì 3 maggio, non è il ciclismo. La vicenda umana di Magni e anche la sua carriera sportiva ruotano inevitabilmente intorno alla battaglia di Valibona che vide un gruppo di partigiani assediato da un oltre un centinaio di fascisti e carabinieri. Con Magni nelle file dei repubblichini. I “fatti di Valibona” sono uno dei miti della Resistenza pratese. La presenza di Magni “dalla parte sbagliata” non gli è mai stata perdonata, e ne ha deciso l'oblio della sua gente, la rimozione dal pantheon delle glorie “pratesi”.
I “fatti di Valibona”. Il 3 gennaio del 1944 una spedizione fascista raggiunse quella località sperduta sui monti della Calvana per sgominare una brigata partigiana che minacciava i collegamenti tra Prato e Bologna. L'intervento fu pianificato dalla Gnr (la Guardia nazionale della Repubblica di Salò) di Prato e dai carabinieri di Prato e Calenzano, con la partecipazione del battaglione Muti di Firenze, un corpo speciale delle milizie repubblichine. Alla fine oltre 120 tra camicie nere e carabinieri si avviarono verso Valibona, poche case in cui risiedevano tre famiglie, valico che metteva in comunicazione la Valbisenzio con la Valmarina. Lì, si sapeva, si era stabilita la brigata guidata da Lanciotto Ballerini, un giovane capo partigiano di Campi vicino alle posizioni di Giustizia a Libertà. In quella brigata di 19 persone si erano ritrovati elementi di diversa provenienza. C'erano perfino due russi, un inglese e due jugoslavi. Quando alle prime luci dell'alba i fascisti arrivarono a Valibona trovarono i partigiani chiusi in un fienile e intorno a quell'edificio si scatenò il fuoco. Fu una battaglia vera e propria, si sparò dalle 6 alle 10 del mattino e alla fine i partigiani asserragliati nel fienile dovettero arrendersi. Il bilancio fu di sei fascisti e tre partigiani uccisi, tra questi ultimi anche Lanciotto Ballerini e il russo Vladimir. A quelli fatti prigionieri non furono risparmiate sevizie e violenze.
Il fienile di Valibona dove trovavano i partigiani assediati dai fascisti
Il processo. Finita la guerra, il processo si celebrò a Firenze nel 1948 in Corte d'assise d'appello. Alla sbarra i fascisti che avevano partecipato alla spedizione. Nel corso degli anni la presenza di Magni, allora 24enne, alla battaglia fu a lungo controversa e neppure il processo sciolse tutti i dubbi. Bernardi attinge per la prima volta anche agli atti del processo di Valibona ritrovati nell'archivio di Stato di Perugia da John Foot, storico inglese che ha dedicato i suoi studi all'Italia e allo sport (calcio e ciclismo) e che firma anche la prefazione al libro. Tra gli imputati c’era anche Magni, mentre sfilavano i testimoni, in un’aula che ribolliva di passione. Vengono chiamati a testimoniare anche altri ciclisti tra cui Bartali e il montemurlese Bini che non si presenteranno
Si presenta invece Alfredo Martini, futuro ct della nazionale, ciclista promettente e comunista, che difende Magni. Al processo si intrecciano le testimonianze di chi dice di averlo visto a Valibona, di chi l'ha sentito dileggiare i morti, fino a chi lo accusa niente meno di essere stato proprio lui a uccidere Lanciotto. E quelle di chi invece racconta di una sua partecipazione tiepida al fascismo, delle buone azioni a favore di antifascisti vaianesi e di un prigioniero inglese nascosto in una fattoria della zona. E insomma, c'era o no Magni quella mattina a Valibona? Si sa che i fascisti di Vaiano avevano voluto che una loro rappresentanza fosse nel contingente. Ragioni di prestigio, la Vaiano fascista doveva appuntarsi quella “medaglia” al petto. E alla fine sarà lo stesso Magni a risolvere il mistero. In un'intervista poco prima di morire, ammise di essere stato a Valibona, ma di non aver sparato un colpo. E forse è la versione più vicina al vero.
I fascicoli del processo di Valibona trovati nell'Archivio di Stato di Peruigia
Alla fine Magni sarà assolto per insufficienza di prove per quanto riguarda Valibona e condannato per “collaborazionismo”, condanna annullata però dall'amnistia firmata da Togliatti. Così Magni esce formalmente “pulito” e può tornare al ciclismo. Sta per partire il Giro d'Italia. Ma gli animi degli italiani sono troppo esacerbati, troppe ferite sono ancora aperte e nemmeno lo sport dimentica. Magni vince a sorpresa quel contestato Giro battendo il favorito Coppi, idolo delle folle. Quando arriva a Milano in maglia rosa il giro d'onore in pista si trasforma in un giro del disonore, i tifosi lo insultano e lanciano ortaggi. Gli contestano alcune scorrettezze in gara nella tappa decisiva e poi non si tollera che un “fascista” trionfi al Giro.Fascista per convenienza. Bernardi dedica molta attenzione al contesto locale in cui maturano le scelte del ciclista vaianese. Magni nasce in una famiglia tutt'altro che fascista. Il padre è socialista, gran parte dei suoi parenti sono di sinistra. Emerge così a poco a poco la figura di un ventenne tutto preso dalla sua passione per il ciclismo e che, alla morte del padre, per opportunismo e per convenienza più che per adesione ideale, accoglie la protezione dei ras fascisti della zona, i Bardazzi, famiglia di imprenditori tessili, Bardazzi imprenditori, che gli danno un lavoro e gli forniscono i mezzi e per continuare a correre.L’altra vita a Monza. Ai primi di giugno del 1944, mentre Roma viene liberata e si avvia la resa dei conti tra fascisti e partigiani, Magni fugge a Monza e lì attende la fine della guerra per tornare alle corse. Per lui si apre un’altra storia. Il Cnl dell'Alta Italia testimonierà e metterà per scritto che Magni svolse attività a favore della Resistenza. Da allora diventerà “un pratese di Monza”, resterà a vivere lì fino alla sua morte nel 2012.
Un'altra immagine di Fiorenzo Magni in gara
Un'altra immagine di Fiorenzo Magni in gara
copertina dellibro in questione |
Il telegramma del sindaco. A testimoniare il clima di quegli anni, Bernardi racconta la storia del secondo sindaco di Prato del dopoguerra, Alfredo Menichetti, imprenditore tessile e comunista. La vittoria di Magni al Giro avrà effetti anche su di lui. Diventato sindaco quasi per caso, quando il Pci si trova a sostituire il sindaco del Cnl Dino Saccenti, eletto in Parlamento, Menichetti verrà sempre visto dai compagni con un po' di sospetto per la sua anomalia, lui un industriale. In tanti lo attendono al varco e aspettano una sua scivolata. E quando il sindaco invierà a Magni un telegramma di felicitazioni per la sua vittoria al Giro,
la vittoria di un pratese che inorgoglisce la città, il partito gli si rivolta contro: è inaccettabile che un sindaco comunista faccia i complimenti a un fascista, per quanto campione nello sport allora più popolare. Le polemiche e gli attacchi personali porteranno alle dimissioni di Menichetti e alla sua emarginazione dalla vita politica cittadina. Tra i sindaci successivi solo Lohengrin Landini accoglierà l'ex campione in Comune. Poi solo silenzio e imbarazzo. Il Comune di Vaiano gli negherà perfino l'intitolazione di un tratto di pista ciclabile.
ante voci e tante storie. Ma nel libro di Bernardi non ci sono solo le vicende di Magni e di Valibona. A partire dalla figura del ciclista si dipana un vero e proprio affresco di quegli anni in Italia, a Prato e nella Valbisenzio, con tante voci e storie che si intrecciano e restituiscono la vita di quei giorni. Come i racconti delle donne di Vaiano e della Briglia, di Giovanna “la sovietica”, di Luana che, bambina, non capiva le persecuzioni alle sue amiche ebree, o come la storia d'amore tra James Cameron, soldato scozzese, e la figlia del mezzadro che l'ospitava a Montemurlo. E poi le storie dei tanti ciclisti toscani, in quell'Italia che usciva dalla dittatura e dalla guerra, nella quale il ciclismo, lo sport più popolare e trascinante, riproduceva tutte le passioni (e le tensioni) ideali e ideologiche
come suggerisce lo storico Walter Bernardi ( foto al lato ) bisogna gudicarlo senza preconcetti e pregiudizi ,ma soprattutot senza Damnatio memoriae . infatti
come suggerisce lo storico Walter Bernardi ( foto al lato ) bisogna gudicarlo senza preconcetti e pregiudizi ,ma soprattutot senza Damnatio memoriae . infatti
da http://iltirreno.gelocal.it/prato/cronaca/2018/05/01/
PRATO. «Lo so che mi accuseranno di voler riabilitare Magni. Ma io non intendo né assolverlo, né condannarlo. Si tratta solo di spiegare i fatti e le ragioni delle scelte di un uomo. Mi piacerebbe che i lettori si formassero un'idea sulla base dei documenti e del racconto dei fatti e ognuno giudicasse poi senza preconcetti»
PRATO. «Lo so che mi accuseranno di voler riabilitare Magni. Ma io non intendo né assolverlo, né condannarlo. Si tratta solo di spiegare i fatti e le ragioni delle scelte di un uomo. Mi piacerebbe che i lettori si formassero un'idea sulla base dei documenti e del racconto dei fatti e ognuno giudicasse poi senza preconcetti»
Walter Bernardi è un docente di filosofia e storico della scienza, ma il ciclismo è la sua grande passione.La storia di Magni e l'intreccio con le vicende della guerra e del dopoguerra nel Pratese lo hanno appassionato a tal punto da passare sei anni a spulciare archivi e giornali e a intervistare i testimoni ancora in vita di quei fatti. «Non ha più senso oggi dividersi per raccontare ai nuovi cittadini pratesi la guerra civile di ieri - spiega - Le scelte sbagliate restano sbagliate, è indubbio che chi scelse libertà, giustizia e uguaglianza fece la scelta giusta. Ma mantenendo fermi i principi e i valori, si possono perdonare gli errori»E’ il paradosso della figura di Fiorenzo Magni: a Prato è il diavolo, a Monza è un eroe. «Un po’ colpa anche sua - ammette Bernardi - per aver voluto escludere un pezzo della sua vita e ricominciare altrove daccapo. Eppure l’adesione al fascismo di Magni risulta piuttosto tiepida, frutto più delle convenienze di un ventenne che voleva soprattutto correre in bicicletta. Niente a che vedere con l'estremismo di un Ardengo Soffici (cui pure sono state intitolate strade) o con le responsabilità di uno come Giorgio Albertazzi». Bernardi ammette di essere stato catturato dalla vicenda della battaglia di Valibona. Sarà quella il tema del suo prossimo libro.