Lo so che è un post non mio ma tale fatto , nonostante sia appassionato di storia , a me ignoto , mi ha molto scioccato , soprattutto da sardo perchè non credevo che anche in italia fossero successe cose simili . Ringrazio vivamente il nostro compagno di strada copperhead
da wikipedia : << [...] Nel 1911 erano presenti nel comune cinquecento dei circa mille emigranti sardi arrivati per lavorare al V lotto della Direttissima Roma-Napoli. Nel contesto nazionale erano già presenti elementi di razzismo contro i sardi, chiamati sardegnoli, che non scomparvero fino alle imprese della Brigata Sassari nella Prima guerra mondiale Gli emigranti ricevevano un salario inferiore rispetto agli altri lavoratori, ma si rifiutarono di pagare ogni tangente alla camorra, allora infiltratasi nell'appalto, e per tutelarsi cercarono di costituire una lega di autodifesa operaria. Il 12 e 13 luglio, a seguito di futili pretesti, avvengono due imboscate a cui partecipano gli stessi notabili del paese, nell'indifferenza delle forze dell'ordine. Si contarono, non senza difficoltà e intralci, 8 vittime e 60 feriti, tutti sardi, mentre dalla Corte d'Assise di Napoli trentatré imputati furono assolti dai giurati popolari e nove condannati in contumacia, a trenta anni di carcere. Fonti locali parlano di una ribellione contro i sardi da parte della popolazione "stanca di sopportare violazioni e prepotenze [...] soprusi d’ogni genere" di come "i sardi si trovavano nella condizione psicologica dei conquistatori [...] in questo centro-sud da poco conquistato dal loro Re" e "gli itrani non trovarono alcuna difesa nello Stato Sabaudo mentre ai sardi fu accordata una sorta di tacito salvacondotto tanto da portare all'esasperazione la società itrana non nuova ad atti di resistenza violenta." .>>
da copperhead
Itri, comune del Lazio meridionale oggi in provincia di Latina ma nella prima decade del secolo scorso collocato in quella di Caserta, fu teatro nel luglio 1911 di un controverso episodio di cronaca nera che ancora oggi è coperto da una cortina di riserbo che sa tanto di rimozione: la “Caccia ai Sardignoli”.
I fatti
Per la realizzazione del quinto tronco della tratta Roma-Napoli, le Regie Ferrovie e le aziende che avevano in appalto i lavori di costruzione della strada ferrata scelsero di avvalersi di circa un migliaio di operai fatti affluire in blocco dalla Sardegna.
Le ragioni di questo reclutamento di massa, apparentemente illogico in un momento storico in cui la forza lavoro a buon mercato non difettava nell’Italia Centro-Meridionale interessata da imponenti flussi migratori in uscita, stavano in un cinico calcolo.
I lavoratori sardi, poveri in canna, analfabeti e sostanzialmente estranei per ragioni storiche, culturali e linguistiche rispetto al resto della popolazione italiana, costituivano una manodopera tutto sommato facile da controllare perché priva di appoggi materiali e morali sul territorio; una manovalanza cui imporre i lavori più duri a un salario inferiore a quello - già misero - di altri operai e condizioni di vita che oggi considereremmo subumane.
Nell’estate del 1911, circa la metà di questi lavoratori sardi si trovava a spaccare e scalpellare pietre nei pressi di Itri, sistemata alla meglio in baracche, tuguri e altri ricoveri di fortuna.
La comunità di Itri guardava con diffidenza e irritazione quest’invasione imposta dall’alto, preoccupata dalla pressione esercitata da quella massa di forestieri male in arnese, chiusi in un loro mondo incomprensibile e alieno, abbruttiti dalla fatica e potenzialmente incontrollabili fuori dal cantiere.
Dagli archivi, infatti, sono emerse le proteste e le richieste di provvedimenti urgenti d’ordine pubblico inoltrate per via gerarchica dai maggiorenti itriani, ovviamente rimaste lettera morta.
A soffiare sul fuoco dell’intolleranza provvidero elementi della malavita collegati o direttamente affiliati alla Camorra, interessati a lucrare il pizzo anche sui magri salari dei lavoratori e indispettiti dal comportamento dei sardi, che avevano reagito alla tentata estorsione organizzando un abbozzo di lega di autodifesa operaia.
Il 12 e 13 luglio 1911, prendendo a pretesto alcuni episodi di frizione tra sardi e residenti, si scatenò nel cuore di Itri la “caccia al sardignolo” cui presero parte attiva anche i notabili locali.
In totale si contarono 8 morti e 60 feriti, tutti sardi.
Vincitori e vinti
Dagli atti del processo che si svolse prima a Cassino e successivamente presso la Corte d’Assise di Napoli, emerge una linea difensiva che invoca come attenuante la ribellione popolare giustificata da presunte violazioni e prepotenze d’ogni sorta patite dai pacifici e laboriosi itriani, colpevolmente lasciati in balia di sardi dipinti come una masnada in preda al delirio dei conquistadores.
Fonti locali arrivano a insinuare che la monarchia sabauda, memore della fedeltà dei sudditi isolani al Regno di Sardegna (!!!), avesse graziosamente concesso agli operai sardi in trasferta nel basso Lazio un implicito salvacondotto per razziare impunemente (sic!).
Non c’è dubbio che tali argomentazioni suonino ridicole, contrarie come sono alla logica e alla storia. Non di meno, a distanza di un secolo dai fatti è forse il momento di andare oltre le forzature di parte e i risentimenti incrociati.
Con tutta probabilità, la manodopera sarda fece le spese della partita a scacchi per il controllo del territorio tra il governo centrale, allora retto da Giovanni Giolitti, e i notabili locali; una contesa che nei territori appartenuti ai Borbone si era chiusa solo formalmente al momento dell’annessione forzata.
D’altra parte, il Regno d’Italia si poneva in continuità con il Piemonte sabaudo nella scarsa considerazione per i sudditi sardi, ritenuti con poche eccezioni “imbarazzanti” per diversità di costumi, miseria e arretratezza. Anche allora, i sardi erano preceduti dalla fama di essere lavoratori infaticabili, però anche caratterialmente difficili, ombrosi, inclini alle zuffe e alla violenza, specialmente se in preda ai fumi dell’alcool.
Sebbene sia un paragone antipatico, politicamente scorretto e antistorico, i sardi immigrati in Terra del Lavoro si ritrovarono a fare i conti con condizioni ambientali durissime, ai limiti della sopravvivenza, rese ancora più critiche da un muro di incomunicabilità, pregiudizio e sospetto: una situazione che per molti versi somiglia a quella delle comunità di rumeni o di slavi insediatesi ai margini estremi delle periferie delle nostre metropoli.
Questo background sfavorevole concorse a ingigantire le incomprensioni tra operai sardi e popolazione itriana: due mondi messi a contatto di colpo, senza alcuna mediazione né una giustificazione che non fosse lo sfruttamento rapace della forza lavoro.
La “Caccia ai Sardignoli” fu una mattanza del povero contro il più povero, mentre chi tirava le fila del gioco, come sempre, restava a guardare a debita distanza, pronto a raccogliere i frutti.
APPROFONDIMENTI
i libri :
Itri 1911: il colore del sangue
da wikipedia : << [...] Nel 1911 erano presenti nel comune cinquecento dei circa mille emigranti sardi arrivati per lavorare al V lotto della Direttissima Roma-Napoli. Nel contesto nazionale erano già presenti elementi di razzismo contro i sardi, chiamati sardegnoli, che non scomparvero fino alle imprese della Brigata Sassari nella Prima guerra mondiale Gli emigranti ricevevano un salario inferiore rispetto agli altri lavoratori, ma si rifiutarono di pagare ogni tangente alla camorra, allora infiltratasi nell'appalto, e per tutelarsi cercarono di costituire una lega di autodifesa operaria. Il 12 e 13 luglio, a seguito di futili pretesti, avvengono due imboscate a cui partecipano gli stessi notabili del paese, nell'indifferenza delle forze dell'ordine. Si contarono, non senza difficoltà e intralci, 8 vittime e 60 feriti, tutti sardi, mentre dalla Corte d'Assise di Napoli trentatré imputati furono assolti dai giurati popolari e nove condannati in contumacia, a trenta anni di carcere. Fonti locali parlano di una ribellione contro i sardi da parte della popolazione "stanca di sopportare violazioni e prepotenze [...] soprusi d’ogni genere" di come "i sardi si trovavano nella condizione psicologica dei conquistatori [...] in questo centro-sud da poco conquistato dal loro Re" e "gli itrani non trovarono alcuna difesa nello Stato Sabaudo mentre ai sardi fu accordata una sorta di tacito salvacondotto tanto da portare all'esasperazione la società itrana non nuova ad atti di resistenza violenta." .>>
da copperhead
Itri, comune del Lazio meridionale oggi in provincia di Latina ma nella prima decade del secolo scorso collocato in quella di Caserta, fu teatro nel luglio 1911 di un controverso episodio di cronaca nera che ancora oggi è coperto da una cortina di riserbo che sa tanto di rimozione: la “Caccia ai Sardignoli”.
I fatti
Per la realizzazione del quinto tronco della tratta Roma-Napoli, le Regie Ferrovie e le aziende che avevano in appalto i lavori di costruzione della strada ferrata scelsero di avvalersi di circa un migliaio di operai fatti affluire in blocco dalla Sardegna.
Le ragioni di questo reclutamento di massa, apparentemente illogico in un momento storico in cui la forza lavoro a buon mercato non difettava nell’Italia Centro-Meridionale interessata da imponenti flussi migratori in uscita, stavano in un cinico calcolo.
I lavoratori sardi, poveri in canna, analfabeti e sostanzialmente estranei per ragioni storiche, culturali e linguistiche rispetto al resto della popolazione italiana, costituivano una manodopera tutto sommato facile da controllare perché priva di appoggi materiali e morali sul territorio; una manovalanza cui imporre i lavori più duri a un salario inferiore a quello - già misero - di altri operai e condizioni di vita che oggi considereremmo subumane.
Nell’estate del 1911, circa la metà di questi lavoratori sardi si trovava a spaccare e scalpellare pietre nei pressi di Itri, sistemata alla meglio in baracche, tuguri e altri ricoveri di fortuna.
La comunità di Itri guardava con diffidenza e irritazione quest’invasione imposta dall’alto, preoccupata dalla pressione esercitata da quella massa di forestieri male in arnese, chiusi in un loro mondo incomprensibile e alieno, abbruttiti dalla fatica e potenzialmente incontrollabili fuori dal cantiere.
Dagli archivi, infatti, sono emerse le proteste e le richieste di provvedimenti urgenti d’ordine pubblico inoltrate per via gerarchica dai maggiorenti itriani, ovviamente rimaste lettera morta.
A soffiare sul fuoco dell’intolleranza provvidero elementi della malavita collegati o direttamente affiliati alla Camorra, interessati a lucrare il pizzo anche sui magri salari dei lavoratori e indispettiti dal comportamento dei sardi, che avevano reagito alla tentata estorsione organizzando un abbozzo di lega di autodifesa operaia.
Il 12 e 13 luglio 1911, prendendo a pretesto alcuni episodi di frizione tra sardi e residenti, si scatenò nel cuore di Itri la “caccia al sardignolo” cui presero parte attiva anche i notabili locali.
In totale si contarono 8 morti e 60 feriti, tutti sardi.
Vincitori e vinti
Dagli atti del processo che si svolse prima a Cassino e successivamente presso la Corte d’Assise di Napoli, emerge una linea difensiva che invoca come attenuante la ribellione popolare giustificata da presunte violazioni e prepotenze d’ogni sorta patite dai pacifici e laboriosi itriani, colpevolmente lasciati in balia di sardi dipinti come una masnada in preda al delirio dei conquistadores.
Fonti locali arrivano a insinuare che la monarchia sabauda, memore della fedeltà dei sudditi isolani al Regno di Sardegna (!!!), avesse graziosamente concesso agli operai sardi in trasferta nel basso Lazio un implicito salvacondotto per razziare impunemente (sic!).
Non c’è dubbio che tali argomentazioni suonino ridicole, contrarie come sono alla logica e alla storia. Non di meno, a distanza di un secolo dai fatti è forse il momento di andare oltre le forzature di parte e i risentimenti incrociati.
Con tutta probabilità, la manodopera sarda fece le spese della partita a scacchi per il controllo del territorio tra il governo centrale, allora retto da Giovanni Giolitti, e i notabili locali; una contesa che nei territori appartenuti ai Borbone si era chiusa solo formalmente al momento dell’annessione forzata.
D’altra parte, il Regno d’Italia si poneva in continuità con il Piemonte sabaudo nella scarsa considerazione per i sudditi sardi, ritenuti con poche eccezioni “imbarazzanti” per diversità di costumi, miseria e arretratezza. Anche allora, i sardi erano preceduti dalla fama di essere lavoratori infaticabili, però anche caratterialmente difficili, ombrosi, inclini alle zuffe e alla violenza, specialmente se in preda ai fumi dell’alcool.
Sebbene sia un paragone antipatico, politicamente scorretto e antistorico, i sardi immigrati in Terra del Lavoro si ritrovarono a fare i conti con condizioni ambientali durissime, ai limiti della sopravvivenza, rese ancora più critiche da un muro di incomunicabilità, pregiudizio e sospetto: una situazione che per molti versi somiglia a quella delle comunità di rumeni o di slavi insediatesi ai margini estremi delle periferie delle nostre metropoli.
Questo background sfavorevole concorse a ingigantire le incomprensioni tra operai sardi e popolazione itriana: due mondi messi a contatto di colpo, senza alcuna mediazione né una giustificazione che non fosse lo sfruttamento rapace della forza lavoro.
La “Caccia ai Sardignoli” fu una mattanza del povero contro il più povero, mentre chi tirava le fila del gioco, come sempre, restava a guardare a debita distanza, pronto a raccogliere i frutti.
APPROFONDIMENTI
i libri :
- Sardi a Itri – I tragici avvenimenti del 12 e 13 luglio del 1911. (La ricostruzione dello scontro, con morti e feriti, avvenuto a Itri tra sardi e itrani, che interessò stampa e Parlamento nazionale e le aule giudiziarie della Corte d’Assise di Napoli). DI Pino (Giuseppe) Pecchia QUI news sull'autore
- A. De Stefano, La rivolta d’Itri, legittima difesa di una folla, Milano, Vallardi, 1914 Angelo De Stefano
3 commenti:
[Continua da sopra...]
autorità locali aprivano il fuoco promettendo immunità ai compaesani,
non di meno fecero i carabinieri, i quali spararono sui sardi in fuga.
Quel giorno, il selciato italico s'impregnò del primo sangue dei martiri trucidati barbaramente.
Gli operai scampati alla persecuzione
xenofoba si rifugiarono intanto nelle campagne circostanti. L'indomani, i lavoratori rientrarono nel paese per raccogliere i loro fratelli caduti come soldati in guerra, ma la , , si evidenziarono utopiche mete.
Entrarono nell'abitato e nuovamente divampò la triste sinfonia di morte col
grido di battaglia: . Gli itrani convergendo in massa, passarono prima in una bottega, nella quale si distribuivano armi per l'occasione. Qui si avvertiva: .
La seconda giornata di caccia all' era aperta!
Gli itrani, ancora accecati dall'odio razzista e non contenti del sangue già versato, si scagliarono nuovamente contro i lavoratori sardi inermi e, con più raziocinio criminale del giorno prima, ancora
ammazzarono. In queste due giornate furono massacrate una decina di
persone, tutte sarde. Il numero esatto delle vittime non si venne mai
a sapere, poiché gli itrani trafugarono numerosi cadaveri e feriti moribondi per nascondere il numero esatto delle vittime. Alcuni operai sequestrati subirono la tortura e una sessantina furono i feriti, di
cui, diversi, molto gravi, perirono in seguito. Molti sardi scampati
alla strage furono arrestati con la falsa accusa di essere rissosi.
Mentre, altri, per la stessa accusa, furono espulsi da quella e rispediti in Sardegna. Pagarono caro il prezzo della loro provenienza e cultura, ma la camorra, da quei fieri sardi, non vide neppure un soldo.
Per questi fatti non un itriano fu punito. E il
grave avvenimento fu subito occultato. L'avocato Guido Aroca scrisse:
. Dopo quei giorni dolorosi, i sardi, per il tornaconto bellico italiano del '15 '18, diventeranno la che salvò le sorti dell'Italia. Divulgare oggi questa storia, è, innanzitutto, un dovere
verso quei martiri antesignani della lotta sindacale, ma, altresì insegna a riconoscere e denunciare forme attuali di razzismo mascherate con il belletto, le quali si configurano nella moderna
forma di colonizzazione politica e culturale.
Il sacrificio dei nostri antenati non ha avuto giustizia e in continente si sostiene ancora che . A distanza di anni da quei fatti, la forma mentis ferocemente antisarda è stata dichiarata lucidamente dallo stesso italiano, nel momento in cui, con tracotanza, istituzionalizzò il proprio pregiudizio e razzismo contro
i sardi (e solo contro i sardi) emigrati in s'Italia, con una schedatura poliziesca di uomini, donne, vecchi e bambini.
La registrazione ebbe inizio nel 1984, all'insaputa degli stessi sardi,
con la regione Lazio per poi essere estesa ad altre regioni fino ad una data incerta degli anni '90. Frantz Fanon aveva pienamente ragione: . I sardi, per un complesso di colpa indotto da anni di colonizzazione culturale,
accettarono passivamente di essere considerati, nel loro insieme e
capillarmente, potenziali criminali.
I nomi conosciuti delle vittime assassinate:
Antonio Baranca di Ottana
Antonio Contu di Ierzu
Antonio Arras di ?
Efisio Pizzus di ?
Giovanni Mura di Bidonì
Giovanni Marras di ?
Giuseppe Mocci di Villamassargia
Salvatore Cuccuru di ?
Sisinni o Pischedda di Marrubbiu
Baldasarre Campus di ?
[operaio] Deligios di Ghilarza
Grazie delle precisazione, perché è giusto che vengano dette, ripassate, studiate e ridette.
la gente non capisce, e a volte non vuole capirlo.
comunque posso chiederti dove trovare fonti e link accessibili a tutti?
grazie
@giacomo porcu fra i tanti documenti hi trovato questo dove l'archivio di stato di latina ha pubblicato , credo anche con documenti d'archivio
http://www.archiviodistatolatina.beniculturali.it/index.php?it/162/ricerca-avanzata/10406/sezze-nel-processo-risorgimentale-giuseppina-di-trapano-cristina-rossetti-maria-rosaria-vitiello .lasciami latua emailmagari se trovo altro te lo mando li . ciao giuseppe
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