Poiché viene detto da più parti che L’antisemitismo non è sparito. Se non facciamo i conti col passato, l’Europa rischia grosso e che c'è molta ignoranza come testimonia questo articolo
Dai Savi di Sion al piano Kalergi, le bufale razziste e antisemite che viaggiano online
Il tweet antisemita di Elio Lannutti, senatore dei Cinque stelle, ha scomodato uno dei grandi classici della propaganda di settore: il protocollo dei Savi di Sion, un falso prodotto in Russia nel 1903 e rimasto in auge da allora sotto forma di teoria cospirazionista sulle «trame ebraiche» per il controllo della finanza. Lannutti ha cercato di tamponare l’accaduto, sostenendo di non essere antisemita (o meglio, di non aver «mai affermato di essere antisemita»).Ma la sua gaffe, sempre che si possa definire così, attinge allo stesso repertorio di bufale a sfondo antiebraico e razzista che spopola su social, talk show e media tradizionali, inclusa un’abbondante produzione di libri acquistabili anche online su piattaforme come Amazon. Le tesi più diffuse spaziano da un complotto «immigrazionista» per sostituire la popolazione europea all’ossessione per George Soros, il finanziere di origini ungheresi accusato di orchestrare i flussi migratori per aumentare i propri profitti (anche se non si spiega come). Il nesso in comune è sempre l’effetto finale, quello di alimentare tensioni verso un gruppo «nemico» che varia a seconda dei casi.
Il protocollo dei Savi di Sion
Il protocollo dei Savi di Sion, citato esplicitamente da Lannutti, è uno dei falsi che ha goduto (e gode) di maggior popolarità nel complottismo antisemita. Si tratta di un documento comparso per la prima volta nel 1903 su Znamya, un giornale di San Pietroburgo, forse a opera della polizia segreta zarista Ochrana. Il testo è suddiviso in 24 capitoli e riporterebbe i contenuti di un incontro, ovviamente a porte chiuse, fra i vertici di un’organizzazione ebraica decisa a imporre una «teocrazia giudaica» attraverso il controllo di finanza, politica e informazione. Nel documento si parla ad esempio di manovrare per intero banche e giornali, scalando dall’interno le istituzioni con l’equivalente di una lobby ebraica.
Già negli anni ’2o del secolo scorso, alcune inchieste giornalistiche rivelarono che i contenuti erano apocrifi e scopiazzati da una pubblicazione satirica in lingua francese, risalente al 1864 e incentrata su un fantasioso dialogo post mortem fra Montesquieu e Machiavelli. Ma lo smascheramento non ha intaccato la potenza di fuoco del volume. Il testo venne diffuso da esuli anti-bolscevichi dopo la rivoluzione del 1917, riscontrando una certa popolarità in Europa e Stati Uniti. Fra i responsabili della sua diffusione risultano anche personalità come l’industriale Henry Ford (i Protocolli vennero ripresi dal suo quotidiano Dearborn Independent: Ford si sarebbe scusato poi dell’errore) , oltre a tutti i regimi autoritari venati da antisemitismo. In primis il nazismo, che ne fece uno fra - tanti - testi di indottrinamento per giustificare l’urgenza della soluzione finale. Secondo quanto riporta lo United States Holocaust Memorial Museum, il museo dell’olocausto degli Stati Uniti, nella Germania hitleriana il testo venne ristampato in almeno 23 edizioni e compare fra le pagine del Mein Kampf.
Il piano Kalergi
Tornato alla ribalta con la crisi migratoria del 2015, il «piano Kalergi» è una ipotesi di complotto che va per la maggiore negli ambienti della destra radicale europea, con ampia visibilità anche nella politica nazionale e nei talk show italiani. In sintesi, si tratta di un progetto di sostituzione etnica per rimpiazzare i cittadini europei, rincalzandoli con la deportazione di masse da altri continenti. L’ispiratore sarebbe stato Richard Nikolaus Eijiro, meglio noto appunto come conte di Coudenhove-Kalergi: un politico austriaco-giapponese, pioniere teorico del paneuropeismo (una corrente di pensiero favorevole all’integrazione europea, poi confluita nei progetti politici comunitari). Davvero il conte di Kalergi pianificava una sorta di «genocidio bianco» a danno dei cittadini europei? Come è prevedibile, no. In una pubblicazione del 1925, «Praktischer idealismus» (Idealismo pratico), Kalergi parla effettivamente di «meticciato» (Rassenmischung), ma in un’ottica ben diversa da quella che gli è stata attribuita decenni dopo. Il meticciato in questione si riferisce all’integrazione fra popoli europei, come argine alle conflittualità che sarebbero esplose di lì a breve nella seconda guerra mondiale. La versione complottista dell’idealismo di Kalergi è successiva e “merito” di Gerd Honsik, un neonazista austriaco morto nel 2018 e noto per le sue pubblicazioni negazioniste. In un libro del 2005, intitolato «Fermiamo il piano Kalergi!», Honsik attribuisce al politico il progetto di un «genocidio per annientare i popoli europei attraverso le migrazioni dall’Africa e dall’Europa».
L’ossessione per George Soros
L’accusa, ormai, è quasi caricaturale: «Sei pagato da Soros». Il finanziare americano di origini ungheresi George Soros, 88 anni, si è trasformato in una sorta di bestia nera per tutte le forze della destra populista internazionale. Soros paga, nell’immaginario collettivo, la concentrazione di elementi indigesti alla retorica dei cosiddetti sovranisti: la commistione con i «signori della finanza» (il suo fondo Soros Fund Management detiene asset per 25 miliardi di dollari circa), le attività di filantropia in chiave liberal e globale (ha donato alla sua Open society foundations 18 miliardi di dollari del suo patrimonio) e, immancabilmente, l’ascendenza ebraica della sua famiglia. Osteggiato in patria da Donald Trump e il suo ex stratega Steve Bannon, Soros è costantemente attaccato da tutti i leader di destra populista europei. Nella sua terra di origine, l’Ungheria, il primo ministro Viktor Orban ha costretto la trasloco la sua università (Central european university, tra l’altro in rotta con tutto il suo indotto all’Austria di Sebastian Kurz). In Italia, il finanziere-filantropo è attaccato (unilateralmente) dal vicepremier Matteo Salvini e altre figure di opposizione, come la deputata post fascista Giorgia Meloni, in genere con l’accusa di «finanziare le Ong» che operano nel Mediterraneo. La tesi è tornata alla ribalta anche in alcuni dibattiti televisivi, rivolgendosi alla Ong tedesca SeaWatch. La portavoce italiana Giorgia Linardi, oltre a far notare che il finanziamento sarebbe del tutto legittimo, ha spiegato che il bilancio delle donazioni è pubblico e registrato ai sensi del diritto tedesco. Nel documento non ci sono tracce di finanziamenti da Soros.
Il canale dei social e l’amplificazione dell’odio
Il materiale propagandistico circola anche nell’editoria tradizionale, attraverso canali che non passano - solo - per circuiti di nicchia. Il Mein Kampf, l’autobiografia politica di Adolf Hitler, si può acquistare tranquillamente via Amazon, con tanto di recensioni libere degli utenti (c’è chi si limita a commentare «bellissimo»). Ma è inevitabile che le fake news si propaghino con più facilità sui social network, amplificatori naturali di tesi «acchiappa clic» sui temi più caldi del dibattito. Gadi Luzzatto Voghera, storico e direttore del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (Cdec), spiega al Sole 24 Ore che i contenuti razzisti o antisemiti nascono sempre da «centri di produzione» ben specifici, dai partiti populisti alle case editrici di destra radicale. Il messaggio viene diffuso online e trova sponde positive (utenti che lo condividono perché concordi) o negative (utenti che lo segnalano perché in disaccordo). «In entrambi i casi, si finsice per diffondere e consolidare comunque il messaggio» sottolinea Luzzatto Voghera. Un’indagine svolta dal Cdec in collaborazione con Ipsos («Stereotipi e pregiudizi degli italiani, dagli immigrati agli ebrei») ha rilevato una quota di antisemiti fra gli intervistati pari all’11% del totale del campione.
Il sentimento si presenta con più frequenza in uomini con scarsa istruzione, collocati politicamente a destra e diffidenti verso gli immigrati. «E va pure bene rispetto al tasso di astio verso la popolazione Rom, che raggiungono picchi di quasi la metà del totale» spiega Luzzatto Voghera. Le statistiche, come sempre, rivelano solo la superficie del fenomeno. Per una percentuale che oscilla intorno all’equivalente di un caso su dieci, poco per gridare all’allarme, ci sono tensioni ed episodi alimentati da quello stesso flusso di informazioni bombardate quotidianamente dietro lo schermo di uno smartphone, magari per aumentare gli introiti pubblicitari online o guadagnare qualche comparsata televisiva. «La percentuale è sempre quella, ma poi succede che qualcuno si senta giustificato ad uccidere qualcuno i una sinagoga o per strada - dice Luzzatto Voghera - C’è gente che muore per questo. O gente che è già morta». Elio Lannutti siede fra gli scranni del Senato. Nella stessa aula di Palazzo Madama c’è Liliana Segre, superstite dell’Olocausto.
e quind una lezione tipo de L'onda (Die Welle)
è un film del 2008 diretto da Dennis Gansel, tratto dall'omonimo romanzo di Todd Strasser, a sua volta basato sull'esperimento sociale denominato La Terza Onda (The Third Wave), avvenuto nel 1967 in California. Sulla base di questo esperimento, Todd Strasser (usando lo pseudonimo Morton Rhue) scrisse il romanzo Die Welle (L'onda), che in Germania è diventato un classico della lettura scolastica.
La lezione del prof sulla shoah: "Chi non è di Ravenna non verrà più a scuola" e gli altri tacciono
Un docente di Lettere simula la deportazione coi suoi studenti: "Partendo da una emozione hanno capito e così abbiamo cominciato la settimana della Memoria"
Shoah
Il prof entra in aula: "Chi non è di Ravenna si metta da questa parte". Gli studenti lo guardano con sospetto, chi non è nato nella città romagnola, e sono poco meno della metà, si sposta ciondolando, senza capire le motivazioni. Lo racconta su Bologna.Repubblica Ilaria Venturi: "Bene volevo dirvi che da ora in poi non potrete più fare lezione in questa classe, non potrete più venire a scuola". Facce allibite, "prof, ma è serio?", "dai, è uno scherzo". Per la Giornata della memoria Diego Baroncini, insegnante di Lettere, laureato in Filologia classica e in Scienze filosofiche, è salito in cattedra così, l'altro giorno, nella sua classe di seconda media all'istituto paritario San Vincenzo de' Paoli di Ravenna.
Una lezione particolare che ha portato i ragazzi a vivere "ciò che è stato". Il docente li ha incalzati: "Sono serissimo, ora toglietevi orologi, braccialetti, collanine e appoggiateli su quel banco. Voi che avete gli occhiali, via anche quelli". "Ma non ci vediamo!". "È così. Le cinture anche, ragazzi. E le scarpe, non vi servono più. Ragazze, tiratevi indietro i capelli, legateli, nascondeteli come se non li aveste più".
Una ragazza tornando verso il gruppo dei "non nati a Ravenna" senza scarpe dice: "Non mi sento più io". Chi ammette di essere in imbarazzo, chi sogghigna. Poi cala il silenzio. Gli studenti ravennati, a bassa voce, uno con l'altro commentano: "Ma dai, ma perché?". Quelli che non sono nati a Ravenna vengono spostati verso le finestre, fa freddo dagli spifferi, gli altri possono stare al caldo accanto ai termosifoni. Il professore si ferma: "Chi di voi ha capito?". Tutti hanno capito: "Ci ha fatto vivere cosa hanno provato gli ebrei quando sono stati separati dai loro compagni, quando poi sono stati deportati". E voi come vi siete sentiti? "A disagio, gli altri mi vedevano come io non voglio essere vista, senza occhiali non vedevo nulla". Tutti concordano: non è giusto, ovvio.
L'insegnante ha continuato, rivolgendosi al gruppo dei nati a Ravenna: "E voi, perché siete stati zitti?". "Perchè lei è il prof". "Ma se l'autorità commette qualcosa di atroce voi non dovete tacere. Succedeva cosi anche con le leggi razziali: alcuni avevano paura di esporsi pur riconoscendo che non erano giuste, altri avevano un atteggiamento superficiale". Lezione conclusa. "Ho potuto farlo perché c'è un rapporto di fiducia con questi alunni, ho chiesto prima se se la sentivano di affrontare un esperimento. Due studentesse non hanno voluto e hanno solo assistito - spiega Diego Baroncini, 30 anni - Lo scopo era quello di introdurre il Giorno della Memoria, di arrivare a parlare della Shoah. Ma volevo che ci fosse un'emozione da cui partire per far seguire riflessioni profonde, non retoriche. Da questo senso di estraniamento, spogliandosi alcuni di ciò che li fa riconoscere in se stessi e gli altri guardando gli amici privarsi di quanto li rende riconoscibili, abbiamo cominciato il nostro lavoro sulla memoria".
Una lezione particolare che ha portato i ragazzi a vivere "ciò che è stato". Il docente li ha incalzati: "Sono serissimo, ora toglietevi orologi, braccialetti, collanine e appoggiateli su quel banco. Voi che avete gli occhiali, via anche quelli". "Ma non ci vediamo!". "È così. Le cinture anche, ragazzi. E le scarpe, non vi servono più. Ragazze, tiratevi indietro i capelli, legateli, nascondeteli come se non li aveste più".
Una ragazza tornando verso il gruppo dei "non nati a Ravenna" senza scarpe dice: "Non mi sento più io". Chi ammette di essere in imbarazzo, chi sogghigna. Poi cala il silenzio. Gli studenti ravennati, a bassa voce, uno con l'altro commentano: "Ma dai, ma perché?". Quelli che non sono nati a Ravenna vengono spostati verso le finestre, fa freddo dagli spifferi, gli altri possono stare al caldo accanto ai termosifoni. Il professore si ferma: "Chi di voi ha capito?". Tutti hanno capito: "Ci ha fatto vivere cosa hanno provato gli ebrei quando sono stati separati dai loro compagni, quando poi sono stati deportati". E voi come vi siete sentiti? "A disagio, gli altri mi vedevano come io non voglio essere vista, senza occhiali non vedevo nulla". Tutti concordano: non è giusto, ovvio.
L'insegnante ha continuato, rivolgendosi al gruppo dei nati a Ravenna: "E voi, perché siete stati zitti?". "Perchè lei è il prof". "Ma se l'autorità commette qualcosa di atroce voi non dovete tacere. Succedeva cosi anche con le leggi razziali: alcuni avevano paura di esporsi pur riconoscendo che non erano giuste, altri avevano un atteggiamento superficiale". Lezione conclusa. "Ho potuto farlo perché c'è un rapporto di fiducia con questi alunni, ho chiesto prima se se la sentivano di affrontare un esperimento. Due studentesse non hanno voluto e hanno solo assistito - spiega Diego Baroncini, 30 anni - Lo scopo era quello di introdurre il Giorno della Memoria, di arrivare a parlare della Shoah. Ma volevo che ci fosse un'emozione da cui partire per far seguire riflessioni profonde, non retoriche. Da questo senso di estraniamento, spogliandosi alcuni di ciò che li fa riconoscere in se stessi e gli altri guardando gli amici privarsi di quanto li rende riconoscibili, abbiamo cominciato il nostro lavoro sulla memoria".
mi sembra un modo ottimo , se : saputo fare e tenuto sotto controllo , per spiegare in maniera non retorica ed ripetitiva nn solo l'olocausto ma anche i regimi dittatoriali che hanno ed ancora caratterizzano ( vedi il primo ul citato
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