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1.3.15

La rabbia dei medici: “Fine vita, subito la legge lo Stato ci lascia soli”



Con questo questo dibattito nato su www.repubblica.it che trovate sotto intendo continuare il discorso intrapesnso anche se in maniera indiretta nei giorni precedenti ( qui su queste pagine  ) sulll'eutanasia \ dolce morte




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L’Ordine e le associazioni in campo dopo l’intervista a Repubblica sull’“eutanasia silenziosa” al Careggi. “Servono regole nuove”27 febbraio 2015



FIRENZE . Un dibattito mai sopito, che si riaccende con forza dopo l'intervista di Repubblica al caposala dell'ospedale fiorentino di Careggi: "Io, infermiere, vi racconto l'eutanasia silenziosa nei nostri ospedali". Nella testimonianza di Michele, i 30-40 casi l'anno in cui "un accordo di buon senso" tra medici e familiari dei malati terminali porta i primi a staccare la spina. Una scelta che li colloca un passo fuori la legge.
Per questo, oggi, i medici tornano a chiedere una legge che li tuteli. Non lo fanno tutti nello stesso modo. Anzi, il fronte è piuttosto sfaccettato. Il presidente della federazione nazionale degli Ordini, Amedeo Bianco, parla per esempio della necessità di una "cornice legislativa leggera che riguardi l'interpretazione delle scelte dei pazienti". Una norma, insomma, che guidi i professionisti verso quanto aveva disposto il paziente prima di non essere più in grado di esprimere la propria volontà. "Si parla anche di un "diritto mite" dice Bianco. "Il problema del fine vita è intimo, personale. Riguarda l'équipe medica-infermieristica e i familiari dei pazienti. La deontologia professionale, e la stessa esperienza, dicono che è consentito non proseguire i trattamenti da cui non ci si aspetta un ragionevole ritorno in termini di vita".
Molto più battagliero Mario Riccio dell'associazione Coscioni, il medico rianimatore che seguì Piergiorgio Welby. "La legge sul testamento ci vuole, il paziente deve dire cosa vuole e cosa non vuole gli venga fatto, indicare un decisore sostitutivo. Questo metterebbe i parenti e i medici al riparo da guai con la giustizia. E non è vero che tutti coloro ai quali si interrompono le cure sono destinati a morire in pochi giorni. Nei corridoi degli ospedali prendiamo in tre-quattro giorni decisioni che per Englaro hanno richiesto anni".
Su un fronte molto distante Massimo Antonelli, ordinario e primario al Gemelli di Roma e presidente della Società scientifica degli anestesisti. "Quanto raccontato dal caposala fiorenti no - spiega - non è eutanasia. Quest'ultima è l'azione del medico che uccide intenzionalmente una persona somministrando farmaci e assecondando le richieste del paziente: un procedimento attivo. Altra cosa è la desistenza terapeutica. Bisogna avere la capacità di comprendere quando le cure offerte al malato sono straordinarie o sproporzionate. Proseguendole si rischia l'accanimento terapeutico ". Il professore è membro del Cortile dei Gentili, un organismo della Chiesa aperto ai laici in cui si discute anche di temi bioetici. Il presidente è Giuliano Amato. "Lo dice anche il catechismo della Chiesa cattolica" aggiunge Antonelli: "In certi casi "non si vuole procurare la morte, si accetta di non impedirla". Visto questo e visto cosa dice il codice deontologico dei medici si può affermare che la legge sul testamento biologico potrebbe aiutare, ma non sarebbe fondamentale ".
Secondo Enrico Rossi, governatore della Toscana, la regione del Careggi, non c'è bisogno di alcuna legge sul fine vita. "Non contribuirebbe a migliorare la situazione. Tutto in queste vicende rinvia alla professionalità e all'eticità dei medici. Sono loro che nelle singole situazioni sanno capire quando scatta il mero accanimento terapeutico".




Per  evitare  cio io propongo  che  coloro desiderano  moriree  con dignita   e senza  accanimento terapeutico   possano fare o il  testamento  biologico o una (  anche se   penso meglio  nessuna legge  che  una legge pasticciata    se  nel caso    ci si dovesse arrivare    visti i  veti e pressioni  codelle autorità   ecclesiastiche  e    dei loro servi   falsi credenti per   di  più  )  buona legge     . Esso  può essere  o scritto   di proprio pugno o  con atto notarile  , video registrato  . Ma dev'essere   modificsato  \ revisionato più volte  , perchè magari una persona  può  specie se  giovane  cambiare  idea  , seguita  da  uno  psicologo \  psichiatra    che  ne accerti  se la pesona  che decie  d'intrapendere tale strada  è  lucido \a .  Solo   sugli adolescenti   non concordo  , salvo che   non siano  malati di   qualcosa  d'incurabile  . 










6.5.13

Eutanasia e la libertà di scelta [ ma perchè ... elucubro e mi faccio le domande quando ho già la risposta ? ]

Musica  di sottofondo  




  come da  titolo   ho un bruto vizio   quello delle  seghe  mentali  elucubrazioni  . Infatti  non   cerco sempre  conferma  \  facendomi  domande  quando  ho  già  le  risposte  .
In questo  caso la risposta  al  dubbio   che ho  sul'eutanasia  (  vedere  post precedente  )  già presente in me   nel mio bagaglio di viaggio è in questo articolo  di 

  tratto  da  La Repubblica 5 maggio 2013  e preso  dal  suo  sito  ufficiale  www.vitomancuso.it 

Fine vita, perché dico sì alla libertà di scegliere

Alleviare la sofferenza sempre, in ogni caso laddove sia possibile. Rispettare la libera autodeterminazione della coscienza sempre, con senso di solidarietà e di vicinanza umana. È questo il duplice punto di vista a partire dal quale a mio avviso occorre disporre la mente di fronte al grave e urgente problema dell’eutanasia o suicidio assistito. Alleviare la sofferenza è la forma più misericordiosa di rispetto per la vita. Io non ho dubbi (e penso che in nessuna persona responsabile ve ne siano) sul fatto che la vita vada rispettata sempre e che la vita sia qualcosa di sacro. È la stessa conoscenza scientifica ad attestarci mediante i suoi dati che la vita è un fenomeno stupefacente, emerso lungo i miliardi di anni percorsi da questo Universo a partire dai gas primordiali scaturiti dalla Grande Esplosione iniziale, e tutto ciò non può non generare in chi ne prende coscienza un sentimento di sacralità…. Basta applicare la mente al lunghissimo viaggio della vita apparsa sul nostro pianeta per sentire che ogni forma di vita merita di essere considerata sacra, anche la vita delle piante e degli animali, anche la vita dei mari e delle montagne, tutto ciò che vive è sacro e va trattato con rispetto dal concepimento fino alla fine. La vita umana non fa eccezione: anch’essa è sacra e va trattata con rispetto dal concepimento fino alla fine. Ancora più stupefacente però è il fatto che il fenomeno vita emerso dalla materia (se per caso o per spinta intrinseca della materia nessuno lo sa, anche gli scienziati si dividono al riguardo) si evolva secondo diverse forme vitali, già individuate dal pensiero filosofico greco mediante i seguenti termini: vita-bios, cioè vita biologica; vita-zoé, cioè vita zoologica o animale; vita-psyché, cioè vita psichica; vita-logos, cioè logica, calcolo, ragione; vita-nous, cioè vita spirituale o della libertà. Quando diciamo “vita” esprimiamo con una parola sola tutto questo complesso processo evolutivo, filogenetico e ontogenetico al contempo, in cui ciascuno di noi consiste. E quando diciamo “rispetto per la vita” dobbiamo estendere tale rispetto in modo da abbracciare tutte le forme vitali, dalla vita biologica alla vita della mente. Normalmente si dà armonia tra le diverse forme vitali. Normalmente rispettare la vita di un essere umano significa rispettarne la vita biologica che si esprime nel corpo e rispettarne la vita spirituale che si esprime nella libertà. Si danno però situazioni nelle quali l’armonia tra le diverse forme vitali viene interrotta e il processo virtuoso in cui fino a poco prima consisteva la vita si trasforma in un lacerante conflitto, fisico, psichico e spirituale. Sto parlando ovviamente della malattia e della disarmonia che essa introduce tra le varie fasi del processo vitale, tra la vita fisica (bios + zoé), la vita psichica (psyché) e la vita spirituale (logos + nous). La malattia cronica e inguaribile segna il conflitto irreversibile tra le diverse forme vitali nel cui intreccio ciascuno di noi consiste: a partire da essa la vita fisica, la vita psichica e la vita spirituale non sono più in armonia. Che cosa significa in questo caso rispettare la vita? Io penso che il rispetto della vita di un essere umano debba consistere alla fine nel rispetto della sua vita spirituale, della sua coscienza o libertà. Di fronte ai casi estremi di malattia, quando la disarmonia tra le forme vitali diviene lacerante, vi sono esseri umani che intendono mantenere l’armonia tra corpo, psiche e spirito e quindi scelgono di piegare la psiche e lo spirito alle condizioni del corpo, accettandone la sofferenza. Per loro, tale sofferenza è una forma di partecipazione responsabile alle sofferenze del mondo e di tutto ciò che vive, emblematicamente compendiato per i cristiani nella passione di Cristo. Questi esseri umani intendono mantenere fino in fondo l’armonia tra corpo, psiche e spirito, sentono di avere le risorse interiori per farlo, e io ritengo che vadano rispettati nel loro prezioso proposito. Personalmente mi piacerebbe, quando toccherà a me, esserne parte, anche se non so se ne avrò la forza e il coraggio, penso che molto dipenderà dalla malattia con la quale avrò a che fare. Ci sono però altri esseri umani che non riescono, o non vogliono, mantenere l’armonia tra la loro vita biologica, la loro vita psichica e la loro vita spirituale. Per loro la vita-bios diviene un tale carico di ansia, paure e sofferenze da risultare devastante per la salute psichica e spirituale. Che cosa significa in questo caso rispettare la loro vita? In che senso qui si deve applicare l’etica del rispetto della sacralità della vita? E che cosa è più sacro: la vita biologica oppure la vita spirituale? A mio avviso rispettare la vita di un essere umano significa in ultima analisi rispettare la sua libera coscienza che si esprime nella libera autodeterminazione. E se un essere umano ha liberamente scelto di mettere fine alla sua vita-bios perché per lui o per lei l’esistenza è diventata una prigione e una tortura, chi veramente vuole il “suo” bene, chi veramente si dispone con vicinanza solidale alla sua situazione, lo deve rispettare. Questo sentimento di rispetto, se è veramente tale, deve tradursi in concreta azione politica, nell'impegno a far sì che lo Stato dia a ciascuno la possibilità di “vivere” la propria morte nel modo più conforme a come ha vissuto la propria vita, in modo tale che si possa scrivere l’ultima pagina del libro della propria vita con responsabilità e dignità. Il diritto alla vita è inalienabile, ma non si può tramutare in un dovere. Nessun essere umano può essere costretto a continuare a vivere. Un’ultima parola a livello teologico. Ha dichiarato Jorge Mario Bergoglio dialogando con il rabbino di Buenos Aires: “Occorre assicurare la qualità della vita”. Io penso che non vi sia al riguardo assicurazione migliore della consapevolezza che le nostre volontà siano rispettate da tutti, Stato e Chiesa compresi.


5.5.13

vivere o morire ? etaunasia legale o no ? il caso di piera franchini di 76 anni

io non saprei  cosa  scegliere   .  da  credente   che vede nella vita  un dono  mi chiedo  la  stessa   cosa    del  video  testamento Il video è stato curato da Giacomo Aldosson e Ruben Angiolosson e prodotto da Giulia Bruzzone con Studio12 e la regia di Anton Lucarelli e Federico Ventura) di   Piera Franchini,e dell'articolo   di   repubblica  3\5\2013
nel quale racconta la sua decisione di porre fine alla malattia scegliendo l’eutanasia, è molto toccante. Non c’è recitazione. Soltanto lei e la sua testimonianza, razionale eppure emozionante. Le parole trasmettono un desiderio intenso di vivere consapevolmente e coraggiosamente le ore che le restano. Chi dice che non c’è coraggio nel suicidio, prima dovrebbe avere la forza di confrontarsi con il racconto di Piera.
Soprattutto quando parla di «sofferenza fine a se stessa, che non giova a nessuno. A chi giova la sofferenza mia e di tanti altri? A che serve? Per quale motivo io devo soffrire fino a morire? Perché si soffre fino a che si muore! Chi può arrogarsi il diritto di dire e di fare questo? Se non io, io, io…».La domanda più intensa, forte, di Piera è «a chi giova la sofferenza?». Con questa dovremmo misurarci, per poter poi ragionare su accanimento terapeutico, testamento biologico, eutanasia legale…Una domanda che in teoria coinvolge ogni anno decine e decine di migliaia di persone, tutte quelle colpite da tumore senza speranza, senza possibilità di guarigione, eppure condannate a patire perché la legge, quando viene applicata, ti dà soltanto cure palliative, antidolorifici. E poi, quanto devono soffrire i parenti, gli amici della persona malata? E’ egoismo scegliere consapevolmente di porre fine alla malattia, oppure inchiodare i familiari ad un percorso di dolore estremo, profondo, psicologicamente distruttivo?Se ci fosse davvero il libero arbitrio, dovremmo essere messi tutti nella possibilità di scegliere come vivere. E come morire.