17.2.17

Hakuna Matata, la risposta al fenomeno di Bello Figo Guethy Sini, 26enne congolese, meccanico di bici in stazione e voce della band: «Pago l’affitto e non sono un ladro»

 a  chi  mi  aveva  chiesto di  più     sulla  voce   degli  la voce degli Hakuna Matata  di cui  ho postato ieri  un intervista sempre  sula gazzetta  di reggio    ecco  qui in questo articolo di Evaristo Sparvieri  su    http://gazzettadireggio.gelocal.it/reggio/cronaca/2017/02/16/ preso  tramite la  pagina  facebook  gelocalcronacaitaliana 




REGGIO EMILIA. «Aggiusto le bici a Reggio Emilia, vicino alla stazione. Non sono un ladro». Firmato: Guethy Sini, 26enne di origine congolese, meccanico di biciclette in piazzale Marconi e voce del gruppo multietnico Hakuna Matata, risposta reggiana al rap tagliente e provocatorio del parmigiano Bello Figo.

Hakuna Matata, il video girato sul lungo CrostoloUna canzone dedicata alla nonna scomparsa. E' il primo singolo degli Hakuna Matata, la band multietnica in cui suona Guethy Sini, meccanico di biciclette in stazione, la risposta reggiana al rap di Bello Figo
C’è chi canta “Non pago affitto” e chi “Non sono un ladro”. È quest’ultimo infatti il messaggio contenuto in “Ascoltami”, una delle otto canzoni che la band reggiana sta mettendo a punto in vista dell’uscita del album di debutto, dopo aver suonato per anni in giro per l’Emilia e l’Italia.Per il primo singolo – intitolato “Ageoda” e dedicato all’80 enne nonna scomparsa – è stato già girato un videoclip sul lungo Crostolo. E presto sarà girato un video anche per “Ascoltami”: una canzone che racconta un episodio di discriminazione che lo stesso Sini ha vissuto in prima persona, quando salendo su un autobus ha notato una donna che, impaurita, ha cercato di mettere al riparo la sua borsetta.
«Non sono un ladro – canta quindi la voce degli Hakuna Matata, espressione swahili che può essere tradotta con “non ci sono problemi” – Io aggiusto le bici a Reggio Emilia, vicino alla stazione». E poi: «Chiedi a Ciro, chiedi a Diego, chiedi a Aldo. Loro lo sanno: non sono un ladro».Toni reggae, afro e soul, con testi completamente opposti all’ironia irriverente che ha reso celebre Bello Figo, giovane rapper di origine ghanese residente a Parma spesso finito nell’occhio del ciclone per le minacce ricevute in occasione dei suoi concerti. E che, con il suo “Non pago affitto”, è diventato una star del web, ottenendo milioni di visualizzazioni su Youtube.

"Ascoltami, aggiusto le bici e non sono un ladro", la risposta reggiana a Bello Figo"Aggiusto le bici in stazione a Reggio Emilia, vicino alla stazione". Così canta Guethy Siti, 26enne congolese e voce degli Hakuna Matata, band multietnica che sta realizzando il suo primo album.

«Per me Bello Figo è andato un po’ troppo oltre – racconta Sini, arrivato in Italia circa dieci anni fa dal Congo per ricongiungersi con il padre, pastore protestante della Chiesa Evangelica – girando per strada mi capita molto spesso che la gente mi chieda se io paghi o meno l’affitto. La mia risposta? Certo che lo pago. Io aggiusto le bici vicino alla stazione. Quelle parole secondo me sono una presa in giro perché sembra che tutti gli africani venuti in Italia non paghino l’affitto. Non è questa la realtà. Volevo lanciare un messaggio: c’è chi lavora davvero e suda, come me».Per Sini, la musica è innanzitutto uno strumento di integrazione. Oltre ad essere anche un modo per restare in contatto con le sonorità della sua terra di origine: «Bello Figo non aiuta noi stranieri – aggiunge Sini – Noi dobbiamo cercare di integrarci totalmente. Da parte mia, gli darei un consiglio: lascia stare questi temi, dai coraggio alle persone, alle nostra gente, ai nostri compaesani».Un’integrazione che il giovane Guethy porta avanti giorno dopo giorno anche attraverso il suo lavoro di meccanico di biciclette nel punto gestito dalla coop Camelot in piazzale Marconi, a due passi dalla stazione, uno dei luoghi più caldi della città. «Attraverso le mie canzoni posso lanciare messaggi alla mia gente e ad altre persone che vengono qui, lavorano e sudano come me. Non so se riuscirei ad abbandonare il mestiere di riparatore di bici. Aggiustare le bici per me è una gioia. Mi fa sentire bene. Ormai anche le bici fanno parte di me».


16.2.17

la musica non è solo san remo .essere umano di valentina rubini e la risposta degli Hakuna Matata a Bello Figo

incuriosito da  questo articolo e  da questo video



Si intitola Essere Umano ed è la canzone rap di Valentina Rubini dedicata a tutti gli animali maltrattati e torturati dall’uomo e in particolare al cane Angelo che fu seviziato e ucciso da quattro ragazzi lo scorso giugno a Sangineto in provincia di CosenzaLa canzone è nata per ricordare Angelo e tutti gli animali che come lui sono vittime della violenza delluomo e ha avuto molto successo – spiega Alessandro Mosso, presidente dell’associazione Animalisti Onlus che ha finanziato la produzione del video – Così abbiamo deciso con Valentina di fare altri due video i cui proventi andranno a sostegno dei nostri progetti per i cani randagi.

Infatti  cercandola  in rete oltre  a questa  striminzita  biografia



Valentina Rubini (28 anni, Tortona ), rapper, autrice, attrice e attivista per i diritti animali nasce a Piazza Brembana (BG) , studia e si laurea a Milano presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore e si forma come attrice nella stessa città. Nel 2012 pubblica il libro "Ad occhi socchiusi" in cui si racconta attraverso la metafora della città in cui vive, sogna e sopravvive. 
Dal 2015 si ritira in una piccola città di provincia, dove viene a contatto con qualcosa che le cambia la vita: la lotta per i diritti animali. Amante da sempre dei fratelli non umani, Valentina inizia un percorso di consapevolezza profondo, diventa vegana e attivista. Unisce l'amore per le creature di questo pianeta al suo talento e porta avanti un progetto di musica e parole che spesso toccano temi importanti per la sensibilizzazione della massa.


Infatti in  questo suo  scritto   dove   scrive


Valentina Rubini
 Vorremmo che questa piccola iniziativa, attraverso un mezzo leggero come la musica, possa dare ancora più voce a coloro che stanno chiedendo una legge che punisca severamente i crimini e i maltrattamenti contro gli animali come Angelo, il randagio divenuto simbolo di questa lotta.
Dedico questo pezzo a tutti quelli che si fanno un culo così tutti i giorni per rendere giustizia alla vita, animale umana o non umana che sia. Siamo in un momento delicato di passaggio e seminare i frutti di un mondo un pochino migliore di questo, oggi, non è facile. Non importa se non vedremo i frutti della nostra lotta, qualcuno li vedrà. E a differenza di quello che si pensa, non si tratta più di essere animalisti, vegani, attivisti o non esserlo. Si tratta di scegliere di cambiare radicalmente rotta, "sacrificando" un pezzo del nostro orticello per difendere il lato più debole, siano animali, bambini, donne, ultimi degli ultimi. Si tratta di fare qualcosa di totalmente gratuito per chi non può ringraziarti, di cambiare prospettiva e passare da una visione antropocentrica (che ci ha distrutti) a una eCocentrica (che può salvarci). Voglio dedicare questa canzone a tutti gli attivisti che hanno le pezze al culo ma sono sempre lì per una causa più forte di loro.. questa è una canzonetta, voi siete il futuro. Ciao.
  


mi fanno credere che la sua scelta vegana sia coerente e non modaiola

La  seconda  è questa



L'elzeviro del filosofo impertinente /2

Il 17 febbraio del 1600 moriva assassinato il filosofo Giordano Bruno.
Bruno, giovane intellettuale meridionale, ebbe il coraggio di affermare la dignità del proprio pensiero fino alla fine dei suoi giorni. Il suo intelletto non era asservito ad alcuna logica di potere, ma solamente ispirato da un principio di Verità insito nella natura delle cose del mondo. Giordano Bruno non cedette all’offerta di aver salva la vita in cambio dell’abiura, bensì andò incontro alla propria morte che avvenne a Roma in Campo de' fiori su ordine del Sant’Uffizio. In questa piazza venne allestito un rogo dove fu bruciato vivo il filosofo 'eretico'. A Bruno fu messa una maschera per non permettergli di parlare durante il martirio. La sua agonia fu atroce perché il suo corpo fu dilaniato dalle fiamme, e le sue grida non poterono uscire perché aveva 'la lingua in giova', una sorta di museruola che impediva alla sua bocca 'blasfema' di emettere suono. Non possiamo certamente dimenticare che nel 1923 papa Pio XI proclamò santo e dottore della chiesa il cardinale Bellarmino. Roberto Bellarmino è lo stesso individuo che si adoperò in favore della condanna a morte del pensatore di Nola. Come premio per aver "con la sua spada sottomesso gli spiriti superbi" fu innalzato alla gloria degli altari! Dunque dopo il danno, la beffa!
Giulio Giorello, filosofo contemporaneo, chiede a Papa Francesco di attuare un ripensamento critico proprio sulla figura di Bruno. Ben prima di lui anche il compianto cardinale Carlo Maria Martini chiedeva a Giovanni Paolo II di incamminarsi verso: «uno di quei ripensamenti critici che la Chiesa intende fare per la fine di questo millennio». Era il 1988 e nulla in tal senso avvenne. Si riabilitò Galileo Galilei ma non Bruno. Ovviamente questo ripensamento non deve suonare come perdono perché Bruno, in verità, non ha nulla da farsi perdonare, se mai il contrario. Pertanto mi associo al desiderio di Giorello, ma credo che qualsiasi atto ufficiale della Chiesa contemporanea non potrà mai chiudere un capitolo storico così tanto orrendo e disgustoso del cattolicesimo romano.

Criap

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15.2.17

Rom: Daniele, sei anni e un futuro scolastico segnato dalla nascita perchè discriminato dalle linee guida del mistero dell'istruzione

ringrazio   Daniela  Tuscano  l'amica  e  utente    del blog  e  dei miei Facebook ( pagina  e  account  ) per  averlo riportato sulla  nostra  pagina  Fb   che (  v'invito a visitare  in quanto contiene   materiale  extra  che raramente  causa  impegni finisce qui  sul blog  e  , se  vi va mettere  mi piace  ) ecco  \  riecco  l'indirizzo  internet  https://www.facebook.com/compagnidistrada/

Premetto  che  non sono  d'accordo su molte  cose   dei rom \  zingari  , tipo  picchiare  i bambini    d se non portano i  soldi o altro a casa  ,  picchiarli    e  bruciarli le mani  per  impietosire la gente  quando  chiedono l'elemosina  ,   mandarli a rubare  ,  ecc . a  come   dimostra  la storia   riporta  sotto  essi   sono la sola comunità in Italia vittima di pratiche istituzionali pensate e realizzate su base etnica e per lo Stato. Infatti  Daniele, ancor prima di essere un bambino che si affaccia alla scuola dell’obbligo, è un rom, incasellato in un paragrafo all'interno di Linee Guida ( verificare  voi stessi  riporto   sotto nel  caso  dovessero rimuoverla , estrapolata  dal sito che ritrovateanche all'interni dell'articolo sotto proposto     http://www.istruzione.it/allegati/2014/ più precisamente  qui  , la pagina     6   dell'allegato ministeriale  del 2014  ) 


Anzi, un mezzo rom. Se 70 anni fa Daniele fosse nato nella Germania nazista, lui, con padre rom e madre non rom, sarebbe stato classificato come ZM+, “sangue zingaro” per metà. Settant’anni che sembrano ieri.

  infatti   ecco a vicenda  raccontata  da 




Presidente Associazione 21 luglio

su ilfattoquotidiano  del \14\2\2017



DIRITTI

Rom: Daniele, sei anni e un futuro scolastico segnato dalla nascita






Daniele è un bambino calabrese di 6 anni. Figlio unico, vive con i genitori in un cadente monolocale di un quartiere periferico. Suo padre porta lo stipendio facendo l’arrotino per le strade del paese. La mamma lavora ad ore con la pulizia delle scale. Entrambi vengono da famiglie povere; entrambi sono semi-analfabeti; entrambi sognano per Daniele un futuro diverso. Ma non sarà per nulla facile.
Quest’anno, quando con tanta emozione hanno accompagnato Daniele al primo incontro con la futura maestra di prima elementare, hanno avuto una brutta sorpresa. «Vostro figlio – ha sentenziato l’insegnante con fare perentorio – è un bambino rom. Pertanto ha una innata resistenza psicologica verso ogni processo di apprendimento standard. Per il bene di Daniele – ha concluso la maestra – sarebbe meglio attivare per lui da subito un processo di apprendimento specifico e personalizzato».

La maestra di Daniele è una giovane insegnante originaria di Lecco. Si è voluta preparare al colloquio perché non aveva mai avuto a che fare con una famiglia rom e la preside le aveva riferito che quella di Daniele, anche se dal cognome italiano e presente nel Meridione da almeno 6 secoli, era una famiglia diversa dalle altre perché il padre del bambino è rom. Prima di incontrare Daniele e i suoi genitori si era quindi andata a spulciare le Linee guida del ministero che, nel capitolo riservato agli “Alunni Stranieri”, tra il paragrafo dedicato agli “Alunni arrivati per adozione internazionale” e quello riguardante gli “Studenti universitari con cittadinanza straniera” ha un paragrafo dal titolo “Alunni rom, sinti e caminanti”. Al suo interno raccomandazioni e suggerimenti per i docenti.
Una parte dei «gruppi di origine nomade» – si legge nel testo ministeriale – «appartiene a famiglie residenti in Italia da molto tempo ed ha cittadinanza italiana, spesso da molte generazioni».
«Ecco Daniele, l’ho trovato!» – avrà pensato la maestra prima di continuare la lettura. «La partecipazione di questi alunni alla vita della scuola non è un fatto scontato – si legge -. Non bisogna però ritenere che ciò derivi esclusivamente da un rifiuto ad integrarsi: accanto a fattori di oggettiva deprivazione socio-economica, vi è infatti una fondamentale resistenza psicologica verso un processo, quello della scolarizzazione, percepito come un’imposizione e una minaccia della propria identità culturale, cui si associano, d’altra parte, consuetudini sociali e linguistiche profondamente diverse dalle nostre. I bambini rom sono abituati ad imparare interagendo direttamente in modo personale e concreto, con i membri della propria comunità, e per questo appaiono poco inclini a prestare attenzione al discorso, anonimo e astratto, rivolto dall’insegnante all’intera classe. Lavorare con alunni rom – raccomanda il Ministero alla maestra di Daniele – richiede molta flessibilità e disponibilità ad impostare percorsi di apprendimento specifici e personalizzati, che tengano conto del retroterra culturale di queste popolazioni».
Le parole del Ministero dell’Istruzione si fondano su una solida base scientifica: i rom sono particolari, diversi dagli altri, soggetti premoderni che si muovono, come zombie, in una società tecnologicamente avanzata. Lo ha sostenuto la presidente onoraria del prestigioso Forum Internazionale ed Europeo di Ricerche sull’Immigrazione Giovanna Zincone quando, da consulente per la coesione sociale del presidente Napolitano, ha scritto sul papà di Daniele e sul suo lavoro: «Quando mi sono occupata di questo tema, mi è parso di cogliere, nella comunità rom, i tratti di una cultura premoderna dolorosamente inserita nella modernità. Premoderni si possono considerare l’uso dello spazio e l’uso del tempo. Il lavoro di arrotino non trova grandi opportunità nelle economie contemporanee».
Quando si generalizza i giudizi pesano come macigni ed il pensiero degli intellettuali, assorbito dalle politiche sociali, rischia di degenerare in prassi razziste. E così Daniele, bambino calabrese di 6 anni, avrà un futuro scolastico segnato dalla nascita.


riflessioni post san remo

da   un paio  d'anni non seguivo  san remo    ma    sentendo e leggendo  i vasi   ( alcuni seri  o altri frivoli  )  bla  ... bla    sono andato a riascoltarmi  le  tre  canzoni  vincitrici  





E dico ai mie contatti e agli amici dei miei contatti Non state a rosicare e a polemizzare sempre. Quante volte il podio di Sanremo è stato una vera merda monnezza tanto da non ricordare a differenza a degli altri anni incui ero più giovane 😀🙎😇 nè i nomi nè le musiche ) melodie e testi ) dei vincitori ) ? Quest'anno invece abbiamo avuto tre pezzi buoni: un classico come quello della Mannoia e due contemporanei di livello Come Gabbani ed Ermal Meta, entrambi originali e con qualcosa da dire. È stata una bella edizione e francamente non ci speravo. E mi parte , alcuni cantanti ( Masini , Mannoia , Moro ) Sulla carta i concorrenti non mi ispiravano molto.
posso dire che aggiungo , soprattutto con i testi della seconda e della terza , una risposta alle mie domande \ eluicubrazioni mentali espresse nel post : cosa è la vita.... una bella domanda e simili vedere questo l'url ed eventualmente anche l'archivio del blog ) . E ora andiamo avanti a vivere non solo come monumento per parafrasare una vecchia canzone dei Mau Mau



14.2.17

Roberto Baggio, il campione diverso rimasto tra noi con la sua assenza

N.b
 stavolta   non ho nessuna  colonna sonora o musica  consigliata , se  non questa  che mni ritorna  all'orecchio e  mi evoca   ricordi  d'infanzia



  da proporre in quanto  ci sono già le belle canzoni  di  : Cesare Cremonini ,  Tiziano Ferro , Lucio  Dalla presenti  nel filmato   sotto    riportato


Non è necessario essere  onnipresenti   sui media  o  in rete  ( infatti  la  sua pagina ufficiale su  fb non  viene aggiornata  dal  2  settembre  2014 precisamente  da  questa  foto   riportata sotto ) 

L'immagine può contenere: 5 persone, persone che sorridono, persone in piedi e vestito elegante

   da http://www.repubblica.it/  del   13\2\2017


A 50 anni Roberto Baggio è fuori: dal gioco, dal calcio, da ogni falò delle vanità.
Infatti secondo    Ha smesso da oltre dieci anni di misurare il mondo con le righe del campo. Non rilascia interviste, non parla di calcio, non presenzia. Gli è riuscita la magia di scomparire dal palcoscenico, di evitare l'invenzione della nostalgia, niente più c'era una volta in America. Se n'è andato senza avere conti in sospeso con i ricordi, fedele all'idea che un addio è un pallone che non torna indietro. Via la luce, i crucci, e niente più finte. Eppure è stato il pre-Messi e il pre-Neymar, l'ultimo attaccante italiano Pallone d'oro ('93), e l'anno dopo poteva ripetersi (secondo dopo Stoichkov), l'unico azzurro ad aver segnato in tre mondiali diversi ('90, '94, '98), due figli in coincidenza: Valentina ('90), Mattia ('94), l'ultimo, Leonardo, nato invece nel 2005. Miglior marcatore (9 gol) con Rossi e Vieri. Selezionato in nazionale con cinque squadre diverse: Fiorentina, Juventus, Milan, Bologna e Inter. Convocato da 4 ct: Vicini, Sacchi, Maldini e Zoff. Osteggiato e contestato da molti di più, spesso trattato da zoppo, da numero 10 dimezzato, banale portatore di male.






Un diverso, un atipico, uno col codino, poco macho, e per di più buddista. Un coniglio bagnato, per l'avvocato Agnelli. Un nove e mezzo per Platini. Un asso rococò che mette il dribbling anche nel caffellatte, per Gianni Brera. Un involontario agitatore sociale, sempre per l'avvocato Agnelli. "Una volta scendevano in piazza per protestare contro la Fiat, oggi perché Baggio non vada alla Juve. Direi che il paese è migliorato". Questo prima che Baggio si rifiutasse in maglia bianconera di battere un calcio di rigore contro la Fiorentina, ma soprattutto contro la sua ex città Firenze, che per tenerlo era scesa in piazza, come una madre che non si lascia strappare il figlio, scontrandosi con la polizia, con le vecchiette che dalle terrazze di piazza d'Azeglio gettavano i loro vasi di gerani e di limoni contro gli agenti. Baggio per la città era un bene culturale, un quadro degli Uffizi, un Michelangelo moderno, fa niente se nato in Veneto, era comunque un fratello rinascimentale, pure la sua ricerca del tiro a giro sul secondo palo. Tanto che il questore definì la rivolta "una psicosi di folla", senza capire che il calcio nelle sue geometrie distribuisce sentimenti e che il cuore non sempre può essere dribblato.

Baggio è uscito dal campo il 16 maggio 2004, dopo sedici anni di sorrisi, ma anche di dolori e di ginocchia sfasciate, con una sola frase: "Ho dato tutto". E non è più rientrato se non un tentativo federale di farlo presidente del settore tecnico, incarico di facciata lasciato dopo tre anni. L'uomo sbagliato al posto sbagliato. Baggio non ha mai preteso, né comandato, né commentato. Soprattutto dopo la sua conversione buddista: "Tutto arriva dentro di me a mia insaputa". È rimasto un figlio della società contadina, un principino della zolla, uno che amava giocare a calcio, non parlarne, tutto quello che rotola attorno al pallone non gli interessa. Tv, conferenze, visibilità: no grazie. E nemmeno fare l'ambasciatore tra i fili d'erba. Non ha più rimesso gli scarpini. Non guarda più le partite, fa eccezione solo per la squadra argentina del Boca Juniors. Non ha mai voluto costruire un impero, gli bastava essere il cavaliere della passione, il Crociato del divertimento. Si è sottratto da quel "da quando Baggio non gioca più non è più domenica", come canta Cesare Cremonini. Però il calcio italiano anche a Sanremo è ancora quel suo rigore calciato alle stelle nello stadio di Pasadena nel '94, a undici metri dalla felicità, anche se non è detto che l'Italia senza quello sbaglio avrebbe

vinto il mondiale (prima di lui avevano fallito Massaro e Baresi). Come se quella grande illusione contasse ancora di più della grande impresa del 2006.


Nel 2010 a Hiroshima, votato dai premi Nobel, ha avuto il World Peace Award, primo caso di un calciatore che vince il titolo di Uomo di Pace per i suoi assist alla difesa dei diritti umani. A 50 anni la vita è fatta di altre partite. E si può segnare in altri modi. Conigli bagnati si asciugano e corrono felici.


Infatti   egli è un calciatore (o vip se preferite  )  modesto  , anche  troppo ,  riservato .   che ha  dato  tutto (  vedere  scheda  al lato presa dalla sua voce  di   https://it.wikipedia.org/ 
Una  vita   da  mediano (  per  parafrasare  l'omonima  canzone )  insomma 
Roberto Baggio - Italia '90.jpg
Roberto Baggio in maglia azzurra nel 1990
NazionalitàItalia Italia
Altezza174[1] cm
Peso72[1] kg
Calcio Football pictogram.svg
RuoloAttaccantecentrocampista
Ritirato1º luglio 2004
Carriera
Giovanili
1974-1980600px Rosso e Granata.png Caldogno
1980-1982L.R. Vicenza
Squadre di club1
1982-1985L.R. Vicenza36 (13)
1985-1990Fiorentina94 (39)[2]
1990-1995Juventus141 (78)
1995-1997Milan51 (12)
1997-1998Bologna30 (22)
1998-2000Inter41 (9)[3]
2000-2004Brescia95 (45)
Nazionale
1984Italia Italia U-164 (3)[4]
1988-2004Italia Italia56 (27)
Palmarès
Coppa mondiale.svg Mondiali di calcio
BronzoItalia 1990
ArgentoStati Uniti 1994
1 I due numeri indicano le presenze e le reti segnate, per le sole partite di campionato.Il simbolo → indica un trasferimento in prestito.
Concordo con questo articolo  del sito   http://www.ilbianconero.com riportato  sotto e   da  cui ho  estrapolato i pezzi più significativi  

Roberto Baggio, sulla soglia dei suoi primi cinquant’anni, è buddista. Il secondo dei principi fondamentali dettati dal Buddha sostiene che il ciclo vitale di ciascun individuo e di ogni elemento terreno si risolve nei passaggi  obbligati del nascere, crescere, decadere e scomparire. Roberto Baggio è scomparso. Non lui come individuo, naturalmente, ma la sua immagine di cartapesta che i Mangiafuoco del mondo del pallone gli avevano costruito addosso immaginando che, così facendo, avrebbero dato vita ad un bellissimo e affascinante “mostro” usabile e sfruttabile ogni oltre ogni legittimo confine temporale. Il mito. La leggenda. Il pifferaio magico. Illusi che avevano capito niente.
Roberto Baggio, volutamente e coscientemente, dopo essere nato e cresciuto eppoi aver consumato nel dolore fisico e morale la propria decadenza alla fine è scomparso esattamente come impone la regola cardine della sua religione che è anche filosofia oltreché legge immutabile dell’universo. (...) Con felicità e con serenità. Nessuna intervista. Nessuna comparsata televisiva. Nessuna interferenza a commento di un mondo professionale che pure gli appartenne per competenza e per qualità. Nessuna notizia da “vendere” alle copertine del suo presente, di quello di sua moglie e dei suoi figli. Nessuna attenzione alle cronache di quello che per lui è stato e sempre sarà soltanto un gioco. Una piccola e brevissima illusione, soltanto. Quando viene chiamato in Federazione per, dicono, ricoprire un ruolo importantissimo e utile all’educazione sportiva dei bambini. Una balla spaziale. Se ne accorge nel giro di tre mesi. Se ne va. Anzi, forse lì non c’era mai stato.(....)Lui che si guarda bene dal prendere incarichi ufficiali da “ambasciatore” il cui compito sarebbe quello di produrre denaro vendendo la sua immagine di icona del pallone. Poi in Argentina dove va a caccia senza uccidere e dove soddisfa le ultime voglie di calcio andando a vedere qualche partita del Boca che è la sua squadra del cuore. Neppure nel paese di Caldogno lo vedono più di tanto. Vive nella sua “facenda” veneta la sua nuova età del contadino a tempo pieno nel nome e nel rispetto dei suoi antenati che lavoravano la terra. Non è più il simbolo del rigore sbagliato a Pasadina e neppure di quello non calciato a Firenze. Non è più il “Nove e mezzo” di Platini o il “Coniglio bagnato” dell’Avvocato. Erano stereotipi, quelli. Sovrastrutture create da altri per lui il quale di tutta quella baraonda intorno non aveva mai provato il bisogno. Un prato, un pallone e una porta dove metterlo dentro. Anche soltanto due sacchi a fare da pali e la luna a illuminare l’erba. Questo e basta ha sempre voluto. Il resto gli è stato dato perché lui lo ha meritato. Non richiesto. Resterà nelle canzoni di Cremonini e di Ferro. Nelle fotografie degli archivi di tutto il mondo. Negli articoli scritti per narrare le sue avventure. Resterà il mito. Non Roberto Baggio che, scegliendo di non esserci più, ha dato l’esempio più clamorosamente bello e pulito a quella parte di mondo che pur di esserci ad ogni costo venderebbe l’anima al diavolo


 mi piace concludere  questo articolo con una frase   dello stesso baggio  , lui  che  ha  sbagliato   il rigore decisivo  (  secondo  alcuni )  di Italia-Brasile  finale  mondiali   1994 « I rigori li sbagliano soltanto quelli che hanno il coraggio di tirarli. » Roberto Baggio










13.2.17

l pianista sfida il robot a suon di Mozart e Chopin



almeno fin ora , in un futuro chissà , un robot musicale ( potrà anche vincere ) non può sostituire in campo artistico un umano Infatti lo si è visto nella "Sfida alla tastiera" tenuta al Teatro Bibiena fra TeoTronico pianista robot dotato di 53 dita ed in grado di riprodurre fedelmente qualsiasi file midi su un normale pianoforte acustico e Roberto Prosseda, pianista… umano. 



Tenzone avvenuta A colpi di Mozart, Chopin ed altri grandi compositori classici e romantici, i due hanno dato vita a un pacifico duello, innescando una dialettica avvincente tra lettura asettica e letterale proposta dal robot e interpretazione affidata qui a una pianista sopraffino come Roberto Prosseda.


L’incredibile parabola di Luca Mechini: padre esponente del Pci, madre intellettuale nel 1989 la famiglia inizia un declino che le fa perdere tutto. Ma non la dignità





L’incredibile parabola di  Luca Mechini: padre esponente del Pci, madre intellettuale nel 1989 la famiglia inizia un declino che le fa perdere tutto. Ma non la dignità

 di Francesca Ferri






Luca Mechini, 58 anni

GROSSETO. Budapest, 4 novembre 1966. Una Peugeot sfreccia per le strade. Sul sedile posteriore un bambino italiano di 8 anni sta andando alla scuola francese accompagnato dal suo autista. «Luca, ci sono brutte notizie dalla tua Firenze. C’è stata un’alluvione», gli dice l’uomo.
Grosseto, 4 novembre 2016. Su una panchina del binario 1 della stazione un uomo cerca di prendere sonno, la schiena trafitta dalla seduta di metallo, la testa appoggiata a un fagotto con le sue cose. I treni gli passano accanto e si allontanano, e così i passeggeri, giornale sotto il braccio che titola: «Alluvione, il giorno del ricordo».
I ricordi, per Luca Mechini, 58 anni, hanno un prima e un dopo, segnato più o meno alla metà di questo cinquantennio: 9 novembre 1989. La sua storia è un groviglio con la Storia e con l’evento che ne ha cambiato le sorti nel secondo Novecento: la caduta del muro di Berlino. Per Luca ogni martellata, ogni pezzo di cemento frantumato è un pezzo che cade della sua agiata quotidianità fatta di relazioni internazionali, incontri con capi di Stato e artisti, viaggi in mezzo mondo, una mezza dozzina di lingue parlate, musica rock. Dietro la curva a gomito della Storia lo aspetta un’altra vita, fatta di ristrettezze economiche, notti in strada, dormitori per senzatetto. Ma accanto a sé, inseparabili amiche, la dignità e una cultura che inaspettata in quello che, incrociato alla stazione, chiameresti «barbone». Perché in fondo Luca un barbone non lo è.
Gli anni ’60 a Budapest. Luca è originario di una famiglia fiorentina benestante, conosciuta e apprezzata. Il padre, Rodolfo Mechini, dopo una rapida carriera in via delle Botteghe Oscure, nel 1964 diventa presidente della Federazione mondiale della Gioventù democratica, considerata l’erede della Gioventù Comunista Internazionale.


Una veduta di Budapest



La Federazione ha sede a Budapest ed è qui che nel 1964 la famiglia Mechini, Rodolfo, la moglie Fiorenza Orlandini, e il piccolo Luca, si trasferisce. La famiglia vive nell’agiatezza e in una rete di relazioni sociali di altissimo livello. «Non era una questione di soldi ma avevamo tutto, tutto ci era fornito dai governi», racconta in un italiano che durante l’intervista si rivelerà di una rara ricchezza lessicale, maglione chiaro, una rivista d’arte fra le mani, un borsone di vestiti appoggiato dietro. «Perché nell’armadietto del dormitorio tengo i libri», dice. Poi torna subito a 53 anni fa.
A tu per tu con la Storia. «Mio padre – racconta – era una figura di primo piano perché la Federazione era un’organizzazione molto importante all’epoca. Nella sua vita ha visitato 104 Paesi, ha incontrato personaggi come Ho Chi Minh in Vietnam. Era vicino ad Ahmed Ben Bella ad Algeri, dove siamo stati un anno fino al colpo di Stato che lo depose. Ovunque era ricevuto con tutti gli onori».
La carriera nel Pci. Finita l’esperienza ungherese, negli anni Settanta i Mechini sono a Roma. Rodolfo è collaboratore di Enrico Berlinguer e lavora gomito a gomito con Giorgio Napolitano. La madre edita “Ungheria oggi” del centro culturale Italia-Ungheria, associazione foraggiata dal Partito comunista, e organizza conferenze con studiosi di primissimo piano. Luca frequenta il liceo Chateaubriand «insieme ai figli di tanti attori, da Elsa Martinelli a Audrey Hepburn», dice.


Enrico Berlinguer



La Dolce vita a Punta Ala. Le vacanze i Mechini le passano a Punta Ala. La villa, costruita negli anni Settanta, era frequentata da amici: architetti, politici, artisti. Sono estati trascorse in barca, anni spensierati che proseguono per quasi tutto il decennio successivo. Rodolfo, lasciata la politica, diventa consulente per le grandi aziende che guardano a est. Luca si laurea in Storia contemporanea alla Sapienza e dal 1988 si occupa di rock alternativo e scrive per “L’osservatore di Arezzo”. Finché la Storia non ci mette lo zampino.
Il crollo del Muro di Berlino. La cesura ha una data precisa: 9 novembre 1989. «Una volta crollato il Muro di Berlino – ricorda Luca – furono interrotte le fonti di finanziamento dall’Ungheria. Il tesoriere del Pci, Marcello Stefanini, annunciò che tutti i centri culturali avrebbero dovuto chiudere». Intanto il padre di Luca vede scemare il lavoro. «Tutti i quadri del partito in Ungheria si erano riciclati in imprenditori – racconta Luca – e quindi le aziende si rivolgevano direttamente a loro. È stata questa la dinamica che ha portato alla fase calante».


I berlinesi sul Muro nell'inverno del 1989 (archivio Ansa)



I prestiti dalle banche. La famiglia cerca di andare avanti e resiste per cinque anni. «All’inizio il problema finanziario non lo si percepiva – spiega Luca – perché mio padre era ricorso massicciamente alle banche». I debiti, però, vanno ripianati. E a metà anni Novanta la situazione si fa drammatica. «Nel 1994 eravamo esposti per una cifra considerevole», dice Mechini. Decine e decine di migliaia di euro.
Una via d’uscita nell’arte. I Mechini stringono i denti e cercano di ripartire. Grazie alla conoscenza a Follonica del critico d’arte Maurizio Vanni, Luca apre una galleria d’arte a Roma e si mantiene con le mostre con l’aiuto della madre e dei suoi rapporti con politici e artisti di tutta Europa. È il 1995. Due anni dopo la casa di Firenze viene venduta per ripianare parte dei debiti con le banche. Ma non basta.


Una foto dei primi anni Settanta che ritrae la madre di Luca Mechini, Fiorenza (seconda da sinistra), con Giorgio De Chirico (terzo da destra), l'ambasciatore romeno e il padre di Luca, Rodolfo (primo da destra)



Verso il baratro. Mechini, che già dagli anni Ottanta prendeva piccoli prestiti da privati, comincia a chiedere cifre sempre più importanti che fatica a restituire per i tassi applicati. Quando nel 2007 il padre muore e la galleria viene chiusa, il fondo del baratro è lì, a un palmo di mano. Via via se ne vanno la casa di Firenze, venduta all’asta, poi lo stipendio, pignorato, poi arriva il pignoramento della villa di Punta Ala. È il 2009. Restituire i soldi presi in prestito diventa un’impresa impossibile. «La persona a cui mi ero rivolto ci telefonava in continuazione, veniva sotto casa. Fummo costretti a lasciare Roma e a trasferirci a Punta Ala», racconta.
L’accordo e la speranza infranta. Ma in qualche modo bisogna tenere duro. Luca stringe i denti e accetta di firmare una sorta di accordo con chi gli aveva prestato i soldi. La scorsa primavera le cose sembrano sistemarsi, ma è solo la quiete prima della tempesta. «Vendemmo la villa e dovevamo uscire di casa il 23 marzo 2016. Ma un paio di giorni prima mi fu detto che c’erano altre spese da pagare. A quel punto mi sono sentito male».
«Le hanno tolto la casa». Mentre la madre, 83 anni, non potendo stare da sola viene trasferita nella casa di riposo Ferrucci di Grosseto, Mechini viene ricoverato all’ospedale di Castel del Piano. Ed è qui che scopre di non avere più un tetto sulla testa: «Me lo disse una dottoressa. Mi disse che mi avevano tolto la casa», dice.
Prima notte al dormitorio. Viene dimesso il 31 marzo; nel referto c’è scritto che la sera si sarebbe dovuto presentare volontariamente al dormitorio di Grosseto. Prende un autobus, arriva in città, va subito a trovare la madre. Poi incontra gli operatori del Coeso che lo accompagnano al dormitorio. Spera nell’aiuto promesso da un pellegrino della Francigena ma questi sparisce. Si corica tra sconosciuti. Il suo mondo è definitivamente crollato.
«Una pensioncina». «Non volevo rimanere al dormitorio – dice –. Con gli ultimi soldi mi sono pagato qualche notte in albergo. Poi qualche soldo me lo hanno donato delle persone che conoscevo di Punta Ala. Ho trovato una pensioncina. Ma i soldi mi servivano anche per la benzina».
La prima notte in auto. Il 3 aprile Luca va al bancomat a ritirare contanti, ma la scheda gli viene risucchiata. «Non avevo più soldi per l’albergo – dice – . Finii a dormire in macchina, una Fiat Stilo, a Punta Ala davanti a un bar che conoscevo». Un periodo Mechini lo trascorre anche alla casa di riposo Ferrucci con la madre, ma a inizio luglio deve andarsene. E finisce di nuovo a dormire in auto. Intanto i servizi sociali si attivano per trovargli una casa in emergenza abitativa a Buriano «ma aveva dei problemi» dice Mechini. Che si ritrova di nuovo in auto. Questa è la sua “casa” per tutto il settembre 2016. «Stavo un po’ parcheggiato al Parco Giotto – racconta – e un po’ dietro al Ferrucci, così ero vicino a mia madre che andavo a trovare ogni giorno. Fino al 10 ottobre».
Dall’auto alla panchina. Quel giorno Luca vede arrivare due vigili urbani. «Evidentemente qualcuno li aveva chiamati. Avevo l’assicurazione scaduta e mi sequestrarono la macchina», dice. Un pausa. «A quel punto la vita si è rivelata molto difficile». Luca finisce in strada. Il ragazzino che andava a scuola con l’autista, che amava la musica, l’arte, che parlava francese, ungherese, arabo e una manciata di altre lingue, si ritrova sulla panchina del binario 1 della stazione di Grosseto. «Chiesi alla polizia se potevo stare lì. Mi dissero: “Nessun problema, non c’è bisogno di prenotare”», sorride. Una sera la panchina della stazione, una sera quella della fermata dell’autobus «svegliandomi alle 4 di notte congelato dal freddo». Un paio di notti nella sala d’attesa del pronto soccorso «ma poi mi fecero allontanare». È di nuovo fuori. Il giorno dalla madre, la notte nel gelo dell’inverno. «Paura? No, non c’è tempo – dice con una calma inaspettata –. Dovevo pensare a coricarmi, a stare tranquillo, a sperare che il freddo non avesse la meglio. È un disagio apicale, che non auguro al peggior nemico».
La carità degli sconosciuti. Luca però riceve anche la carità di tanti sconosciuti. «Un signore al parco Giotto mi ha dato 10 euro, una signora al pronto soccorso 10, un operatore sanitario 13, l’assistente sociale 50 più 50 più 10 più 3 euro», ricorda con una memoria impressionante. Che effetto gli fa ricevere l’elemosina? «Mia madre a Roma si fermava sempre a Fontana di Trevi a parlare con una barbona e una volta mi disse: falle il gesto di baciarle la mano», sorride tranquillo.
«Una mano ai rifugiati». Negli ultimi giorni Luca è tornato al dormitorio, dove oltre alla Caritas e al Coeso, ha conosciuto gli operatori della Ronda della carità e solidarietà di Grosseto. Forse c’è ancora la possibilità di entrare in un appartamento messo a disposizione da Comune e Coeso. E forse c’è la possibilità di dare qualcosa. «Ho chiesto di poter assistere i rifugiati francofoni africani – butta lì alla fine dell’intervista –. È per un interesse mio verso la situazione geopolitica dell’Africa. Sembrava cosa fatta ma aspetto ancora una risposta».