Da Assunta Legnante a Vincenzo Boni, da Angela Procida a Gianni Sasso, capitano della nazionale di calcio per amputati: sono i portavoce di 2000 atleti disabili e chiedono che non si spenga l'eco delle Paralimpiadi di Tokyo: "Perché qui in gioco c'è la vita"

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Angela Procida 

Sono storie di passione e di coraggio. Storie straordinariamente normali. Perché loro rispondono tutti allo stesso modo, più o meno: "Non chiamateci eroi, semplicemente ci mettiamo gioco, come se i limiti non esistessero". Eppure i limiti ci sono, o meglio: ci sarebbero. Un arto mancante, la sedia a rotelle, la vista che non c'è più, o quasi. Quanto basta per smettere di giocare? Per nulla. Perché l'esercito silenzioso degli atleti paralimpici campani suona la carica per chi vorrebbe desistere, dopo una diagnosi o dopo un incidente. O non vorrebbe neanche iniziare, in caso di una malattia congenita.

 La nazionale di calcio 
E se va spegnendosi l'eco delle ultime Paralimpiadi di Tokyo, dove l'Italia ha conquistato 69 medaglie (secondo risultato di sempre ai Giochi dopo le 80 di Roma 1960), l'obiettivo - oggi più che mai - è continuare a far crescere il movimento.  Dice Rossana Pasquino, classe 1982, beneventana, paraplegica dall'età di 9 anni,schermitrice: "Sappiamo che tanta gente, guardandoci giocare su una carrozzina, superare i limiti, ha pensato: forse è il momento giusto per iniziare, forse è tutto possibile. Ecco, per me Tokyo è stato soprattutto questo: il fascino di un villaggio olimpico condiviso con 4000 atleti, miriadi di diverse disabilità eppure la stessa voglia di esserci, di fare sport, di provare a scalare il nostro personale Everest". Chapeau. Non ha vinto la medaglia, lei, ma ha fatto centro.

Noi, esempio per tanti ragazzi


Vincenzo Boni, napoletano, classe 1988, è invece affetto dalla sindrome di Charcot MarieTooth, una sindrome neurologica ereditaria a carico del sistema nervoso periferico, da quando aveva 6 anni. Ma ha iniziato lo stesso a nuotare.
"Quando ci sono avvenimenti come le Paralimpiadi, diventiamo all'improvviso celebri. La Rai ci ha aiutato, mostrando gratuitamente le nostre gare e noi ci siamo sentiti ciascuno nel suo piccolo icone di resilienza. Ora però bisogna assecondare questa scia. Tanti ragazzini con disabilità si sono detti: 'Chissà, forse allora posso farcela anche io'. Se mi sento un ambasciatore dello sport per disabili? In fondo lo sono, perché giro nelle scuole per testimoniare quanto possa essere importante fare attività sportiva. Ecco, le Paralimpiadi sono state una piccola rivoluzione culturale. Lo sport è soprattutto la chiave per accettare se stessi. E io al nuoto devo tantissimo".
Classe 1978, originaria di Frattamaggiore, Assunta Legnante ha iniziato a lanciare il peso da adolescente. Disegnava il cerchio della pedana con il gesso, in uno spiazzo alle spalle del cimitero comunale: da piccoli, la fantasia è l'alleato migliore per arrivare ovunque. E lei è arrivata per davvero ovunque: campionessa europea indoor del getto del peso a Birmingham 2007, primatista nazionale indoor con la misura di 19,20 m, volte campionessa paralimpica e detentrice del record mondiale di categoria con la misura di 17,32 m.

Assunta Legnante 

Perché la sua vita è fatta di due vite, come quella di tanti atleti paralimpici: colpa di un glaucoma congenito. "Lo avevo sempre gestito con i medicinali - racconta - ma poi dal 2009 i miei occhi hanno iniziato ad abbandonarmi, finché nel 2012 ho perso completamente la vista". Ed è lì, quando tutto si fa buio, che il carattere fa la differenza. "Mi chiamò la Fispes, che ami corteggiava insieme al Comitato Italiano Paralimpico per propormi le Paralimpiadi. Io risposi proprio così: 'Ma siete matti? Come fa un cieco a lanciare un peso?'. Decisi di provare". Il resto è storia recente, in parte recentissima: a Tokyo Assunta Legnante ha vinto la medaglia d'argento.


Il movimento in Campania: un esercito di 2000 atleti


In Campania esistono circa 220 società iscritte al registro paralimpico, che abbracciano naturalmente diverse discipline, per un totale di circa 2000 atleti disabili praticanti. Per molte associazioni, la sopravvivenza è spesso appesa a un filo. Lo scorso agosto il Comitato italiano paralimpico (Cip) ha stanziato 5 milioni di euro per le società sportive paralimpiche. L'obiettivo? Sostenere la ripresa delle attività dopo la pandemia. La Campania si è vista assegnare, quali contributi a fondo perduto, la somma di circa 170 mila euro già ripartita ed erogata a 92 società sportive, in misura proporzionata all'attività e ai risultati raggiunti. "Soldi utilissimi, una boccata d'ossigeno - l'unica pubblica - per non morire", spiega Carmine Mellone, presidente del Cip Campania.
"I riflettori si spegneranno dopo le Paralimpiadi? Inevitabile. - prosegue - Mi rammarica che l'attenzione mediatica, di cui siamo grati alla stampa e alle televisioni, non si traduca in un'attenzione concreta nella politica regionale. Il presidente De Luca non ha ancora assegnato la delega allo Sport, né è stato costituito il comitato tecnico sportivo con undici rappresentanti, previsto già dieci anni fa dalla legge regionale sullo sport. Lo sport è una Cenerentola, quello per disabili ancor di più. In Puglia, per dire, sono stati destinati all'attività paralimpica 500 mila euro in tre anni per le scuole. Da noi, zero. Con queste premesse, aver portato otto atleti paralimpici campani alle Paralimpiadi è stato un piccolo miracolo per il quale ringraziamo i tanti, atleti e tecnici in primis, che hanno fatto tanti sacrifici, in particolare durante il lockdown. Questo è un movimento che, per ora, si regge sull'appassionato impegno delle singole società, cuore pulsante di un movimento che noi abbiamo il privilegio di coordinare".

"Se puoi sognarlo puoi farlo"


Qui De Coubertin impera. Perché c'è competizione e agonismo (sono, del resto, il "sale" dello sport), ma tornare da Tokyo senza una medaglia al collo non è stato, per nessuno, fonte di amarezza. C'è chi ci riproverà a Parigi nel 2024, c'è chi è contento così e basta. "Sono andato in Giappone con la voglia di divertirmi, di mettermi alle spalle la pandemia e di gareggiare in un impianto stupendo. - dice Alessio Boni - Certo, mi sarebbe piaciuto vincere una medaglia, ma ho stretto volentieri una mano a chi è stato più bravo di me e, senza retorica, sono tornato a Napoli arricchito dall'esperienza e confortato dalla percezione che il movimento paralimpico natatorio, in particolare quello italiano, sia in grande crescita. Lo attestano, del resto, i tanti ragazzini che si avvicinano allo sport e le strutture che si affiliano alle federazioni paralimpiche".

Angela Procida 

Quinta, nella finale dei 50 dorso S2, è invece arrivata Angela Procida, appena 21 anni, volto genuino e sorridente di Castellammare di Stabia. Il suo motto è semplice: "Se puoi sognarlo, puoi farlo". Lei ha iniziato a sognarlo dopo la tragedia. Accade sempre così, in queste storie spesso tremende e senza sconti. Aveva 5 anni quando in un incidente stradale persero la vita il padre e la sorellina di sei anni. "Io subii un danno permanente alle gambe, che mi ha costretto sulla sedia a rotelle. L'incidente ha cambiato la mia vita. In peggio? No, in alcune cose in meglio". Dice proprio così, Angela. E aggiunge: "Bisogna guardare il lato positivo di ogni cosa. Oggi, a 21 anni, sento di essere in grado di affrontare qualsiasi ostacolo. Ognuno di noi può contribuire a modificare i destini del mondo". E sullo Sport, quello con la 's' maiuscola: "Aiuta a riabilitarsi, in tutti i sensi. Nel senso fisico e meccanico, naturalmente, ma anche e soprattutto in senso psicologico. Ti aiuta a superare i limiti, ti dà tranquillità".

Angela Procida  

Alessandra, Emanuele e Matilde: storie straordinarie


Alle Paralimpiadi di Tokyo la Campania ha calato anche altri assi: Alessandra Vitale, capitana della Nazionale italiana di "sitting volley" e giocatrice della società Nola Città dei Gigli, è ambasciatrice del Comitato Italiano Paralimpico. "Quando parlo della mia esperienza - dice -  voglio far capire che tutto si può superare, che è necessario riuscire a vedere lo stesso problema da un altro punto di vista o, per dirla in altro modo, cercare più punti di vista a un problema". E dopo il Giappone (dove la Nazionale italiana di sitting volley è finita sesta), la "mission" di Alessandra non si ferma: "Continueremo a essere presenti nelle scuole e nei centri di riabilitazione, dove porterò la mia esperienza e cercherò di far capire come lo sport possa essere in questi casi un'ancora di salvezza fondamentale. Io non sono nata con la mia disabilità: non avevo assolutamente idea di quello che poteva significare. Lo sport per me è stato un appiglio importante: voglio trasmettere questo messaggio a tutte le persone che incontro".

Alessandra Vitale 

E ancora: napoletano doc è Emmanuele Marigliano, classe 1995, già oro ai campionati europei di nuoto di Madeira, in Portogallo: il ragazzo di Barra, periferia est di Napoli, ha scelto il nuoto per scopi terapeutici, a causa di una disabilità causata da un'asfissia neonatale. Ha subito, nel corso della sua vita, 14 interventi chirurgici. "In Giappone non è arrivata la medaglia, ma esserci è stato già un grande risultato. Ringraziamo i tanti che ci hanno seguito, i media che hanno fatto da cassa da risonanza. Partecipare a un evento del genere, per me che sono partito da zero, è motivo d'orgoglio: spero che in tanti, con storie simili alla mia, possano arrivare a tagliare un traguardo del genere".

Alessandro Brancato, canottiere del Reale Yacht Club Canottieri Savoia, è arrivato invece quinto ai Giochi Paralimpici di Tokyo a bordo del "quattro con PR3Mix". A Parigi 2024 l'obiettivo sarà il podio.


Altro sport, altra storia. Neanche a dirlo, eccezionale. Matilde Lauria è una judoka sordocieca: ipovedente all'età di tre anni a causa di una miopia maligna che, negli anni, è peggiorata. Dopo la vista ha iniziato a perdere anche l'udito.
Vive a Montesanto, tesserata con l'associazione polisportiva Partenope, è iscritta alla Fispic (Federazione Italiana Sport Paralimpici per Ipovedenti e Ciechi) frequenta la Lega del Filo d'oro. A 54 anni ha coronato il sogno di una Paralimpiade. "Ho gareggiato per tanti ragazzi e ragazze ciechi, sordi o con altre disabilità, a cui nessuno ha mai detto che possono essere bravi in uno sport", dice. Touché.

L'ischitano Gianni Sasso con la maglia della nazionale di calcio per amputati 

Tutti insieme, senza differenze


Uscita agli ottavi di finale e ai quarti, anche Pasquino sfoglia con piacere l'album dei ricordi. "Tokyo resta un'esperienza indimenticabile, fino a tre anni fa non immaginavo di potermi giocare le mie chance in una Paralimpiade. - dice - Certo, l'appetito vien mangiando e una volta in Giappone confesso che avrei voluto toccare con mano qualcosa che non c'è stato. E soprattutto nella sciabola contavo di conquistare una medaglia. Ma va bene così. E poi la vera conquista, anche grazie al numero significativo di medaglie complessive, è aver fatto rumore, tutti insieme". Rumore, già.
Come quello che fa chi partecipa a "Più Scherma meno schermi", il progetto di integrazione e inclusione realizzato spontaneamente in una palestra di Napoli, complice l'impegno di Sandro Cuomo, ct della Nazionale italiana di Spada. L'obiettivo è far allenare e combattere insieme - per la prima volta - soggetti con diverse disabilità unitamente ai normodotati, mettendoli ad armi pari in pedana. Perché l'ultima sfida è proprio questo: abbattere anche le differenze. Accade per esempio nel "baskin", la nuova attività sportiva che si ispira al basket e che in Campania sta trovando terreno fertile: è stato pensato per permettere a giovani normodotati e giovani disabili di giocare nella stessa squadra (composta sia da ragazzi che da ragazze, altro dettaglio di non poco conto). In campo scendono dunque giocatori con qualsiasi tipo di disabilità (fisica e/o mentale) che consenta il tiro in un canestro. "Si mette così in discussione la rigida struttura degli sport ufficiali e questa proposta, effettuata nella scuola, diventa un laboratorio di società", spiegano gli ideatori della disciplina.


Un calcio alle barriere


Lo Sport con la 'S' maiuscola, dunque. Dove il risultato finale non è assillo, assolutamente. Non è arrivata sul podio, ai recentissimi Europei in Polonia, la Nazionale italiana di calcio per amputati: è finita sesta sulle quattordici partecipanti, staccando comunque il pass per i Mondiali, in programma nel 2022 in Turchia. Tra i veterani, uno straordinario ultracinquantenne di IschiaGianni Sasso. Aveva 16 anni quando fu travolto da un'auto - lui era in vespa - su una strada della sua isola. Sognava di diventare Maradona, non si è dato per vinto. "Vidi la mia gamba staccarsi e rotolare via, sembrava la fine di tutto. E invece non mi sono mai fermato - racconta oggi a Repubblica - e con il triathlon sono arrivato alle Paralimpiadi a Rio de Janeiro. Ma il mio grande amore resta il calcio, senza dubbio. Bomber del Vicenza e colonna della nazionale, oggi racconta: "Il movimento calcistico italiano sta facendo grandi passi in avanti, ma ci sono paesi come la Turchia, che ha appena vinto gli Europei, dove la popolarità della nazionale di calcio per amputati è quasi vicina a quella dei cosiddetti normodotati. Al ritorno in patria, Instabul ha celebrato la sua nazionale campione d'Europa. A Cracovia, in ventimila hanno seguito la partita inaugurale del torneo. Noi stiamo crescendo, qualche anno fa sembrava inimmaginabile anche solo un campionato per squadre nazionale: quest'anno avremo anche la Coppa Italia. E credo in generale - continua Sasso, che ha anche un passato da podista (con record del mondo annesso) - che l'attenzione per gli sport paralimpici non scemerà: abbiamo finalmente raggiunto una popolarità e una simpatia nel grande pubblico tali da garantirci una certa continuità nel tempo".Il dubbio, semmai, è nella vita quotidiana, dove - nei meandri di città piene di insidie, Napoli in primis - gli ostacoli - che siano pregiudizi o marciapiedi insormontabili - continuano a sopravvivere. "C'è ancora tanto da fare. - spiega Sasso - E lo dico dopo aver toccato con mano realtà come l'Australia e gli Stati Uniti, dove anche chi vive in carrozzella riesce autonomamente a fare la spesa o andare al museo. Ma sono ottimista: la sensibilità di chi amministra sta crescendo e aiuterà a risolvere difficoltà anche strutturali. Penso ai nostri edifici, alle barriere architettoniche, ai centri storici. Io faccio attività di coaching e parlo nelle scuole. Con i bambini, è bellissimo. Loro non hanno filtri: ti chiedono che fine abbia fatto l'altra gamba, vogliono palleggiare con te. Stabiliscono una forte empatia e comprendono il valore della diversità. Quel che dico a tutti è che non importa arrivare alle Olimpiadi, o alle Paralimpiadi: l'importante è misurarsi con sé stessi, e lo sport può essere decisivo". E queste storie lo dimostrano.

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