non sono il solo ad essere influenzato dal femminismo ci sono anche Padri femministi: storie di uomini che infrangono gli stereotipi

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C’era una volta il papà che guardava la tv mentre la moglie gli serviva la cena. E  quellli  che   sfuggivano a questo   erano pochi  e  rari  . Ma Oggi  sono sempre  più numerosi   quelli  che   giocano  con i figli e li porta a scuola: ma basta questo ad alleviare il peso della gestione famigliare sulle spalle delle madri

Quest'articolo   di repubblica  parla con uomini che stanno rivoluzionando il concetto di paternità


P.s

molti diranno   di voi  : << Ma anche no: io accudisco i miei figli ma non sono neanche minimamente femminista ., Femminista ? No. Un buon padre. Come quello che ho avuto la fortuna di avere io>> ed in effetti hanno ragione . ma l'articolo che trovate sotto , erroneamente così come a volte io equelli che come me non hanno conosciuto , se non in maniera indiretta cioè tramite documentari e racconti dei loro familiari ,il metodo la situazione precedente al cambio dei costumi degli anni 60/70 , consideriamo con il termine femministi quei padri d'uomini che fanno cose che prima era solo tipiche delle donne e della parte femminile della famiglia .

       repubblica  06 OTTOBRE 2021   

                  di Rita   Balestriero 



Dicono, «Vedrai…». «Ti farà impazzire». «La prima volta che uscirà con la minigonna ti sentirai morire». Perché tra gli stereotipi più diffusi sulla paternità c’è quello che essere padre di un maschio sia meglio, più facile. Spesso anche più divertente. L’elenco dei luoghi comuni però è lungo, lunghissimo.
Anche se sì, è vero, i papà di oggi sono molto diversi rispetto a chi li ha cresciuti: aiutano le mogli in casa, portano a scuola i bambini, i dati dicono che giocano più delle madri con i figli e questa sembrerebbe una bella notizia. «E invece no, è un trabocchetto, perché non fa altro che rafforzare l’autorità narcisistica patriarcale degli uomini», spiega senza mezze parole l’americano Jordan Shapiro, docente di filosofia e autore di un libro che a gennaio arriverà anche in Italia: Come essere un papà femminista (Newton Compton). «Una volta c’era il padre a cui la moglie serviva la cena mentre lui guardava il telegiornale, oggi c’è quello che dà una mano quando lei glielo chiede, ma la responsabilità della gestione famigliare resta sempre sulle spalle delle donne, come se la capacità di fare il bucato venisse determinata dagli organi sessuali. E i figli, maschi o femmine che siano, imparano che i padri vengono trattati un po’ come dei fratelli maggiori, più responsabili certo, ma non allo stesso modo delle madri». Ecco perché le famiglie dove le vecchie regole sono state sovvertite possono suscitare diffidenza. «In casa nostra cucino sempre io», racconta lo scrittore Matteo Bussola, che vive in un paesino a due passi da Verona e che ogni domenica conduce la trasmissione Padrieterni su Radio 24. «Mia moglie è sempre considerata un po’ strana, come se avesse un problema. Nel migliore dei casi le dicono che è molto fortunata ad aver trovato me». Che qualcosa stia cambiando però è chiaro. «Cosa significhi essere padre non è un concetto rigido, muta in continuazione a seconda del momento storico, culturale e politico. Ed è chiaro che oggi siamo in una fase di passaggio importante per la paternità», continua Shapiro. Secondo lui, la chiave di questa trasformazione sta in un aggettivo – femminista – che però può suonare divisivo e tendere a creare schieramenti opposti. «Questo non è un libro partigiano, non è anti-mascolinità. Piuttosto spiega come si può reinventare il ruolo dei papà, come si possono combattere stereotipi e pregiudizi ogni giorno, nella vita reale. È un libro di cui molte coppie sentivano il bisogno, perché sono in tanti a sapere quali modelli non vogliono replicare nelle loro famiglie, ma poi la pratica è complicata». E lei come ci è riuscito? «A casa mia teniamo i punti. E lo so che in tanti penseranno che l’amore non è una competizione, ma se nessuno tiene d’occhio la classifica a rimetterci sono sempre le mogli, glielo assicuro».  Essere un padre femminista però, non significa solo dividersi equamente la gestione della casa. «Significa essere consapevole delle dinamiche di genere e impegnarsi

per non riprodurre stereotipi sessisti e misogini. Mi affascina l’idea di affrontare la genitorialità come una forma di attivismo, anche se questo implica porsi tante domande, sbagliare, accorgersene e cercare di migliorare». Un esempio comune di errore? «Intervistando molti giovani padri per questo libro mi sono sentito ripetere spesso che avrebbero picchiato il primo ragazzo che avrebbe chiesto di uscire alla loro bambina. Dietro questa battuta si nasconde l’idea che la figlia, se lasciata sola, non sia in grado di farsi valere e che il suo corpo sia di proprietà del padre. Ecco, questo è un esempio perfetto di un padre non femminista». Altra questione spinosa, poi, è il superamento del mito del breadwinner, cioè il fatto che sia l’uomo a portare il pane a casa. «In tanti faticano ancora ad accettare la possibilità che la loro compagna guadagni di più», spiega Roberta Cavaglià, 24enne cofondatrice del profilo Instagram femminista @le_flair_. «Oppure non sarebbero mai disposti a chiedere un part time per occuparsi dei bambini. Chi lo dice che tocca sempre alle madri fare un passo indietro?». Un concetto, questo, che Shapiro sintetizza così: «L’uomo non deve più essere il centro attorno al quale ruotano le decisioni famigliari». Che sia faticoso lo sa bene anche Bussola che di bambine ne ha tre e, dopo aver raccontato l’esperienza di essere padre in "Notti in bianco, baci a colazione" (Einaudi), si è spesso sentito dare spesso del mammo. «È una parola che nasconde un pregiudizio pericoloso perché svela che noi attribuiamo certi atteggiamenti di cura e dolcezza solo alle madri. Che poi è come dire che una donna “ha le palle” per sottolineare il suo coraggio». La soluzione per cambiare? «Ammettere che tutti noi conteniamo maschile e femminile in misura variabile». E questo, nella pratica, significa non vergognarsi se tuo figlio al parco gioca con le bambole a fare il papà, oppure non dirgli che è una “femminuccia” se piange dopo essere caduto, o rimproverare tua figlia definendola “maschiaccio” perché arrampicandosi si è sporcata tutta». Dal desiderio di trasmettere questo messaggio è nato un romanzo, "Viola e il blu" (Salani), un dialogo semplice ma potente tra un padre e una bambina molto curiosa. La forza del libro, uscito a marzo e rimasto nella classifica ragazzi per 10 settimane, sta nell’esempio che offre il protagonista adulto: un papà capace di porsi in ascolto della figlia, di dedicarle tempo, di mettersi in discussione, di appoggiare e sostenere la moglie che torna tardi dall’ufficio. Bussola, però, ammette che prima di diventare padre non avrebbe mai potuto scriverlo e che avere due figlie femmine è stato un privilegio che gli ha permesso «di guardare il mondo da un altro punto di vista». E in effetti sono in tanti a pensarla come lui, merito del first daughter effect, espressione coniata dagli esperti per spiegare la tendenza (dimostrata da studi scientifici) dei padri con primogenita femmina a essere più propensi a idee e politiche femministe. «Ma anche questo è un trabocchetto», avverte Shapiro. «Il mondo è pieno di papà che rispettano le figlie e che credono che siano molto più in gamba di tanti uomini, ma questo non significa affatto che lo pensino di tutte le donne in generale.
Alla fine è questa la domanda che bisogna porsi per capire se si è (o si vuole diventare) un padre femminista: credi nella parità di genere?». E poi c’è chi, come lo psicologo Marco Sacchelli, non si è trovato a fare i conti con il suo maschilismo latente diventando padre, ma incontrando una compagna che non aveva alcuna intenzione di lasciarsi schiacciare da questi ruoli. «Lei mi ha aiutato a vedere nuovi aspetti dell’essere donna che prima, essendo solo figlio, non avevo capito». Con la nascita della figlia Asia (3 anni) poi, ha capito che il suo obiettivo sarebbe stato quello di offrirle un modello maschile sano, «cioè non maschilista, ma aperto ed emotivo», come racconta anche nel suo libro in uscita a fine mese, "Educare con leggerezza" (Red). Si riconosce nell’aggettivo femminista? «Preferisco parlare di educazione alla libertà che, certo, si basa sulla lotta agli stereotipi. Ma questo non significa che io vieterò a mia figlia di vestirsi da principessa se vorrà farlo, né che giudicherò maschilista un bambino che dovesse dirle “non gioco con te perché sei una femmina”. Sono convinto che bisogna lasciare i bambini liberi di attraversare alcune fasi, altrimenti si moralizza l’educazione. L’obiettivo non deve essere crescere dei figli femministi, ma autonomi e indipendenti, in modo che trovino il loro posto all’interno della società e che non prendano una strada solo perché gliela indicano altri». Tutti, comunque, concordano sul fatto che è l’esempio in famiglia a fare la differenza. «Tendiamo a replicare i modelli che abbiamo avuto», continua Shapiro. «Ecco perché sono convinto che il femminismo debba essere una pratica quotidiana: se i padri di oggi riescono a cambiare, per i loro figli sarà la normalità. Insomma, sono ottimista, anche se va considerato quante generazioni hanno cresciuto i bambini con un approccio patriarcale, per rendersi conto che è difficile sovvertire questo pensiero».Un ultimo consiglio per i papà? «Non abbiate paura di parlare di nulla con le vostre figlie, neppure delle mestruazioni», suggerisce Giorgia Vezzoli, scrittrice che al tema ha appena dedicato il romanzo "Period Girl" (Settenove). «È la storia di una ragazza che scopre di avere super poteri legati al ciclo, una trama avvincente che sta piacendo anche ai maschi. Ecco perché penso che se fosse un papà a leggerlo ai figli, il messaggio diventerebbe ancora più forte. Sembra assurdo, ma i pregiudizi sulle mestruazioni continuano a creare discriminazioni, pensiamo per esempio all’idea che le donne in quei giorni abbiano meno capacità di giudizio. Ma se un padre riesce a liberarsi anche da questa gabbia, gli verrà senz’altro più facile crescere figli liberi» .

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