19.12.24

Paradosso della tolleranza: il caso Tony Effe e la libertà di espressione le reazioni mediatiche dei colleghi

Rileggendo   l'articolo della lucarelli  sul  FQ  del    18\12\2024   da me  citato nel post precedente  per  chi  non avesse  voglia  di andare    a  rileggerselo o    di andare  a cercarselo  ecco  che lo  trova  sotto al  centro .
 Mi accorgo    che   C’è una cosa che proprio non riesco a togliermi dalla mente in queste ore.
Quando, a febbraio, Ghali e Dargen D’Amico erano stati pubblicamente liquidati, sbeffeggiati, persino “smentiti” pubblicamente da un terrificante comunicato stile Minculpop fatto leggere in diretta a Mara Venier su Telemeloni, non ricordo la fila di artisti pronti ad alzarsi in piedi per difendere due colleghi a cui era stato, di fatto, negato il diritto di esprimere un proprio punto di vista sul Servizio Pubblico



Forse parlare di genocidio o raccontare i veri numeri sui migranti non sono argomenti abbastanza comodi per prendere una posizione. 
Forse semplicemente non si sta difendendo la libertà di un “artista” di cantare canzoni di una violenza sessista ignobile da una (inesistente) censura, ma interessi di altra natura.
Ognuno ha il diritto di fare le battaglie che vuole, vere   o  false  , piccole  o  grandoi  ,  ma mi sarebbe piaciuto vedere un centesimo di quello spirito battagliero per Ghali e Dargen, per cause degne di questo nome.
IL   fatto  come giustamente fa  notare  nella  discussione    su  tale argomenti     da      cui    ho preso la  foto     e  parte  dello  scritto    sulla   bacheca  doi Lorenzo  tosa 

Solleva una riflessione importante sul modo in cui la libertà di espressione viene difesa (o meno) in contesti diversi, e su quali battaglie attirano solidarietà collettiva e quali no.
Bisogna ribadire che la coerenza è fondamentale quando si parla di diritti, libertà e giustizia. Se difendiamo la libertà di un artista o di un individuo in un caso, dobbiamo essere altrettanto pronti a farlo quando si tratta di temi più scomodi o di persone meno popolari. Il silenzio selettivo, soprattutto nel mondo dello spettacolo e della cultura, rischia di trasformarsi in complicità con un sistema che limita il dissenso e premia chi si allinea.
La questione di Ghali e Dargen D’Amico è emblematica: due artisti che hanno sollevato temi cruciali, come il genocidio o i numeri sui migranti, sono stati liquidati in modo autoritario senza che ci fosse una mobilitazione significativa in loro difesa. Questo dimostra quanto sia facile ignorare battaglie che non offrono un ritorno immediato in termini di visibilità o consenso.
La libertà di espressione non può essere una causa “a intermittenza”. Difenderla significa farlo sempre, anche quando richiede coraggio o va controcorrente. È giusto chiedersi: dove sono gli artisti, gli intellettuali e il pubblico quando si tratta di sostenere cause realmente significative?
cosi    pur e l'interessante  discussione    che  n'è  nata  

Soumaila Diawara peraltro anche il paragone tra i due casi mi sembra assurdo. Difendere la libertà di espressione non significa accettare testi violenti e sessisti. Non si tratta di censura in questo caso ma di una scelta giusta: non dare spazio e risonanza a canzoni intrise di violenza e sessismo con soldi pubblici.

Fabio Marino
Trent’anni fa si facevano gli stessi identici discorsi per Doom e GTA, due dei videogiochi più venduti della storia. Nello stesso periodo, comitati e associazioni di tutto il mondo si scagliavano contro Eminem, Snoop Dogg e altri rapper per i contenuti violenti e misogini dei testi delle loro canzoni. A distanza di trent’anni, chi ha giocato a GTA non è diventato un serial killer, Eminem e Snoop hanno fatturato miliardi e continuano a cantare quelle che vogliono, e la gente continua a indignarsi parlando di “decoro”.
Il messaggio che ne  scaturisce   solleva un tema cruciale: il ruolo della cultura e dell’arte nella diffusione di valori, soprattutto tra i giovani. È innegabile che testi come     testi riportati   dall'articolo  della  famosa  blogger   (  vedi   inizio post   )   trasmettano un’immagine distorta e dannosa dei rapporti interpersonali, in particolare per quanto riguarda la violenza contro le donne.
La musica, come ogni forma d’arte, ha un enorme potere di influenzare comportamenti e mentalità. Quando un artista sceglie di esprimersi con parole che normalizzano o addirittura glorificano la violenza, contribuisce a perpetuare una cultura tossica. Questo è particolarmente pericoloso quando si tratta di personaggi pubblici con una grande visibilità, soprattutto in contesti istituzionali o popolari come il Capodanno di Roma o il Festival di Sanremo, dove il pubblico comprende anche giovani e giovanissimi.
Sostenere che tali contenuti non debbano trovare spazio in eventi pubblici non significa censurare l’arte, ma promuovere una responsabilità sociale. Gli artisti e gli organizzatori di eventi hanno il dovere di riflettere sull’impatto delle loro scelte, soprattutto in un momento storico in cui la lotta contro la violenza di genere richiede un impegno collettivo e deciso.
È importante continuare a sensibilizzare su questi temi, chiedendo che vengano promossi esempi positivi e che si dia voce a messaggi che incoraggino il rispetto, l’uguaglianza e la dignità di ogni persona 

Ecco  quindi che    i media  stanno facendo passare sto Tony Effe come un paladino di non si sa bene cosa! Gli stessi artisti ( e artiste  🙄😥😢) che alzano la voce sui diritti delle donne...  si schierano     a suo  favore  -A me sembra come   ho  detto nel  post  precedente   una    "  censura   "  \  veto      ridicolo  cioè  l' ennesima buffonata all' italiana dove l'errore più grande lo ha commesso il comune di Roma a chiamare sto tizio perché #portaggente
Infatti secondo

 Tony Effe non parteciperà al concerto di Capodanno a Roma. E la ragione è semplicissima: perché il sindaco di Roma Gualtieri ha deciso di non volerlo su un palco promosso, organizzato e patrocinato dal Comune di Roma.
Il motivo? Perché i testi sessisti, misogini, oltreché artisticamente discutibili (per usare un eufemismo) non sono stati considerati all’altezza di un palco e di una manifestazione all’insegna dei diritti e del rispetto delle donne.
Punto, fine.
Tony Effe può piacere o meno, ma qui la censura non c’entra letteralmente NULLA. Come non c’entrava quando Povia è stato escluso da un’altra amministrazione o come quando una libraia decide di non vendere il libro di Giorgia Meloni.
Tony Effe viene ascoltato ogni mese da 4 milioni e mezzo di persone, arriva ogni giorno al doppio e al triplo in radio, su Youtube, partecipa a Sanremo (che a sua volta ha tutto il diritto di non invitarlo), è libero di fare concerti ovunque in Italia senza alcun controllo in qualunque locale o spazio privato o pubblico in cui qualcuno lo voglia invitare.
Il Capodanno a Roma non è tra quelli. Capita, succede.
Com’è successo ad altri centinaia di cantanti o gruppi molto più interessanti, capaci e dai testi molto meno tossici di Tony Effe senza che nessuno abbia alzato un sopracciglio, perché privi di amicizie, protezioni, agente o casa discografica giusta.
Se il governo italiano ritira dal mercato tutti i dischi di Tony Effe, quella è censura.
Se lo Stato impedisce a qualunque emittente radiofonica nazionale di trasmettere le canzoni di Tony Effe, quella è censura.
Se il sindaco di Roma proibisce a qualunque locale, spazio o associazione sul suolo metropolitano di far suonare Tony Effe, quella è censura.
Se il Comune di Roma decide di non invitare (o ritirare l’invito) a Tony Effe al proprio concerto di Capodanno, quella non è censura.
Si chiama libera scelta.
La censura è una cosa serissima, oltreché gravissima.
Solo che qui, semplicemente, non c’entra nulla.

Ps
a me non piace Toni F   cosi come   il nuovo  rap    o  la  trap     ma   quello che  mi chiedo   prima lo invitano e poi gli impediscono di partecipare ? Non conoscevano i suoi testi? oppure   si  sono     accorti   della  figura  di   💩    che  avrebbero  fatto   se  avesse tenuto  il concerto   con quei  testi  ?  oppure  hanno ceduto per  opportunità politiche   alle  pressioni delle  associazioni  delle donne ?   e  con questo è tutto   , chiudo qui  tale  vicenda  gli è stato dato    fin  troppo  spazio 




18.12.24

siamo già al 18 dicembre è ....

 


Diario di Bordo anno II speciale natale .Compiti a casa durante le vacanze di Natale, la pedagogista federica ciccanti : "Prima cosa staccarsi dallo smartphone" ., La storia di Filippo e Filiberto, salvi grazie al latte donato dalle altre donne. La mamma: «Ora aiuto i neonati prematuri e i loro genitori» ., MUSICA DANNATA PETIZIONE E CENSURA “ la scelta ridicola di censurare Tony Effe al concertone di capodanno a Roma



Prima cosa staccarsi dallo smartphone"
Federica Ciccanti, pedagogista e mediatrice familiare, propone alcuni consigli preziosi ai genitori su come utilizzare al meglio il tempo delle vacanze di Natale con i propri figli,

abbinando studio e nuove esperienze fuori dalla scuola. Inoltre la stessa Ffederica ciccanti  ederica ha scritto sul suo blog questo post




Ah, Natale! Tempo di regali, cene con i parenti, film sdolcinati e melensi ... e compiti. 😫 Già, perché anche se l'atmosfera è magica e la voglia di festeggiare è alle stelle, l'ombra dei compiti delle vacanze incombe minacciosa come la renna Rudolph con il suo naso rosso. Ma tranquilli, aspiranti Grinch, non è ancora il momento di rubare il Natale! 🎄 Con un pizzico di organizzazione e qualche astuta strategia, anche i compiti più noiosi possono trasformarsi in un'occasione per ripassare, approfondire e (udite udite!) addirittura divertirsi.

I compiti: croce e delizia dello studente in vacanza

Diciamocelo, i compiti delle vacanze hanno i loro pro e i loro contro. Da un lato, ci aiutano a mantenere la mente allenata, a non dimenticare tutto quello che abbiamo imparato durante il quadrimestre e a farci trovare pronti per il rientro a scuola. Possono essere anche un'opportunità per approfondire quegli argomenti che ci hanno particolarmente appassionato o per sperimentare nuovi metodi di studio, magari più creativi e divertenti del solito.

Ma c'è anche l'altra faccia della medaglia. I compiti possono sembrare un macigno che ci schiaccia, un obbligo ingombrante che ci ruba tempo prezioso da dedicare al divertimento, agli amici, alle serie TV (e sì, lo sappiamo che state già programmando una maratona di Stranger Things!). E poi, tra smartphone che squillano, chat che esplodono e inviti a uscire, le distrazioni sono sempre in agguato.

Come non farsi travolgere dal caos (e dai compiti)

Per evitare di trascorrere l'ultima settimana di vacanza barricati in camera con libri e quaderni, ecco qualche consiglio per gestire al meglio i compiti natalizi:Pianificate il tempo: non improvvisate! Prendete carta e penna (o il vostro bullet journal preferito) e organizzate le giornate, dividendo il tempo tra studio, relax e attività con gli amici. Ricordatevi di inserire anche qualche "slot" per gli imprevisti (un invito dell'ultimo minuto, una nevicata improvvisa...).
Create un ambiente di studio a prova di bomba: scegliete un luogo tranquillo, ordinato e ben illuminato, dove possiate concentrarvi senza distrazioni. E bando allo smartphone! Mettetelo in modalità aereo o, meglio ancora, lasciatelo in un'altra stanza.
Non puntate alla luna: siate realistici! Non pretendete di finire tutti i compiti in un giorno. Dividete il lavoro in piccole parti, fissatevi obiettivi raggiungibili e premiatevi per ogni traguardo conquistato (una fetta di pandoro, un episodio della vostra serie preferita...).
Studious con fantasia: non limitatevi a leggere e riassumere. Sperimentate diversi metodi di studio: create mappe concettuali, schemi, flashcard... Rendete l'apprendimento più interattivo e stimolante.
Fate squadra con i compagni: organizzare sessioni di studio di gruppo può essere un'ottima idea per confrontarvi, aiutarvi a vicenda e mantenere alta la motivazione. E poi, diciamocelo, studiare insieme è molto più divertente!
Ricaricate le batterie: il riposo è fondamentale per la concentrazione. Fate delle pause regolari, sgranchitevi le gambe, ascoltate la vostra musica preferita, dedicatevi a qualcosa che vi piace.

Il metodo di studio: un superpotere per la mente

Imparare a studiare in modo organizzato e coerente con il funzionamento del nostro cervello è un po' come scoprire di avere un superpotere. Non si tratta solo di memorizzare nozioni a pappagallo, ma di capire veramente quello che studiamo, di collegare le informazioni, di creare mappe mentali e di sviluppare un pensiero critico. Un buon metodo di studio ci aiuta a gestire il tempo, a migliorare la concentrazione, a memorizzare con più facilità e, soprattutto, a rendere lo studio un'attività meno noiosa e più gratificante.

Come tenere a bada le distrazioni (e non finire nel lato oscuro della Forza)

Smartphone, social media, videogiochi... sono come il lato oscuro della Forza, pronti a sedurci con le loro promesse di facile divertimento. Ma non temete, giovani padawan! Ecco alcune tecniche Jedi per resistere alle tentazioni:Disattivate le notifiche: trasformate il vostro smartphone in un semplice telefono (ricordate i vecchi tempi?) o utilizzate app che bloccano le notifiche durante lo studio.
Fissate dei limiti di tempo: concedetevi un tempo limitato per navigare sui social o per giocare ai videogiochi, e poi... tornate sui libri!
Scoprite il piacere del "mondo reale": leggete un buon libro, fate una passeggiata al parco, incontrate gli amici di persona (sì, esiste ancora la vita al di fuori di Instagram!).

I compiti delle vacanze non sono una punizione, ma un'opportunità per crescere, per imparare a gestire il tempo e per diventare più responsabili. Non fatevi spaventare, affrontateli con coraggio e determinazione, e vedrete che anche questo Natale sarà... un successo! Buone feste e buon studio!

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«Quando i tuoi figli nascono a metà gravidanza e pesano meno di un chilogrammo, non puoi fare altro che piangere tutte le tue lacrime che hai. Non sai se avranno un futuro, tantomeno riesci a immaginare la qualità della vita che avranno, nel caso in cui riescano a sopravvivere. Poi, però, sai qual è la cosa giusta
da fare, anzi, l’unica possibile: respirare e andare avanti. Perché i tuoi piccoli sono lì, nonostante tutti quei tubi che li alimentano e li aiutano a crescere. Possono farcela. Giocarsela. Proprio com’è successo ai miei due eroi, Filippo e Filiberto, che oggi sono forti e vivaci anche grazie al latte materno che io all’inizio non ho potuto dargli ma che altre madri generose hanno donato loro, attraverso la banca del latte. Come ho fatto io in seguito. Perché nessuno si salva da solo».
La signora Paola Giannatempo ha messo al mondo i suoi bambini alla ventiseiesima settimana di gravidanza. Un parto gemellare pericolosamente anticipato, a causa di un’infezione materna che ha indotto il parto anzitempo. «La notte in cui sono arrivata all’ospedale sant’Anna di Torino e i medici mi hanno detto che avrei dovuto entrare in sala immediatamente, ero certa che nessuno dei miei figli sarebbe sopravvissuto e non volevo chiedere aiuto a nessuno, né chiamare amici o parenti – ricorda la donna -. Mio marito era all’estero per lavoro, e non volevo allarmarlo prima del tempo». E invece, il destino – e soprattutto la scienza – hanno voluto diversamente. E oggi Paola, volontaria dell’associazione neonatale «piccoli passi», dedica parte del suo tempo anche per sostenere altri genitori che, come lei, vivono l’esperienza di un parto prematuro.
«Quando ripenso a quel periodo della mia vita, non posso fare a meno di ricordare l’enorme sensazione di impotenza vissuta nei primi mesi di vita di Filippo e Filiberto – prosegue la madre – e il senso di colpa profondo che mi ha attanagliata a lungo e, per quanto del tutto irrazionale, in quel momento inalienabile». La signora sapeva benissimo già allora quanto la nascita anticipata dei bambini non fosse stata causata da suoi comportamenti incauti, ma questo, almeno in quel periodo, non bastava a farla sentire meglio.
«Filippo allora pesava 930 grammi e Filiberto 800 – conclude – erano così piccoli, così indifesi avvolti da quei cavi giganti, che mi sentivo sopraffatta». Ecco perché la signora non ha più smesso di fare volontariato. «I miei ragazzi oggi stanno bene, hanno dieci anni e sono vispi e monelli come tutti i ragazzini a quell’età – conclude Paola -. Io però non dimentico la solidarietà che ho ricevuto in quei mesi, e cerco di restituire ogni giorno tutto il bene ricevuto. E agli altri genitori dico: fate come me, siateci anche per le madri e padri in difficoltà. E mamme: donate il latte».

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concludo questo n del diario di bordo con la richiesta ( leggi censura ) ridicola di non fare cantare al concertone per capodanno di Roma Tonny Effe


Chi mi segue qui sul blog o sui social sa già cosa ne penso del nuovo rap  e della trap e dei cattivi maestri vedere quel che è successo che nei giorni scorsi la storica arena del Forum di Assago ha registrato il sold-out per il concerto di Baby Gang, al secolo Zaccaria Mouhib, nato a Lecco da genitori marocchini. E non è tanto questo a sorprendere ma il fatto che Mouhib, per chi è uscito dalla fase adolescenziale, non è noto per essere un rapper di indiscusso talento ma per i suoi trascorsi con la legge. In carcere è stato "folgorato" sulla via del rap, oggi è uno dei più ricchi della scena e proprio nel concerto di Milano ha proposto un ingresso sul palco con tanto di Duomo di Milano avvolto dalle fiamme. Un'immagine evocativa non troppo distante da quella (reale) del Duomo di Notre-Dame, appena riaperto dopo il disastro del 2019. Ma non per questo mi sognerei ma di censurarlo e vietarlo . Come è sucesso ad un altro rapper , più precisamente Tony Effe, pseudonimo di Nicolò Rapisarda . Tony Effe è stato escluso dal Concerto di Capodanno al Circo Massimo. La decisione nasce dalle proteste di associazioni come Differenza Donna e di parte della politica locale
Tony Effe doveva essere uno dei protagonisti del Concerto di Capodanno al Circo Massimo ma il Campidoglio gli ha chiesto "di fare un passo indietro" e di rinunciare ad esibirsi in quanto l'evento in programma a Roma per il 31 dicembre "non deve essere un'occasione divisiva per la città".Il passo indietro da parte dell'amministrazione di Roma nasce dalle proteste di parte della politica e di alcune associazioni a partire da Differenza Donna, impegnata nella lotta alla violenza di genere e nella difesa dei diritti al femminile. Ora

leggo sul il Fq del 17\12\2024 che








il dissenso    si  può  esprimere  anche  senza  censura (  almeno  che  non siano dei crimini  ) e senza  impedire  a gli altri  d'espimersi  . La  famosa  Blogger  ha  ragione allora      dovremo censurare   una  grandissima percentuale      della musica  italiana  ma  non solo

17.12.24

L'intelligenza artificiale le impone il velo nel fumetto. La studentessa tunisina non ci sta



sempre pensato che l'intelligenza artificiale non fosse realmente intelligente 😁😥 . Infatti è successo che  a 

Rahma è una studentessa tunisina di 15 anni. L’intelligenza artificiale non ha dubbi: indossa il velo, non potrebbe essere altrimenti. Ma la realtà è ben diversa: la giovane non ha alcuna intenzione di vestire l’hijab. Ma per l’AI si tratta di un’ipotesi sconosciuta. Non è una storia da film, ma quanto accaduto all’istituto comprensivo Cosimo De Giorgi di Lizzanello e Merine, Lecce, nell’ambito del progetto “Gente in cammino” inserito nel Festival internazionale della Public History. La sua classe ha realizzato un fumetto su storie di migrazione e inclusione con l’ausilio dell’intelligenza artificiale, ma si è posto fin
da subito il problema del velo.“Perché sul fumetto vengo rappresentata con il velo? Qui non ce l’ho e non lo voglio. Voglio essere raffigurata senza, voglio che si vedano i miei lunghi capelli ricci” la reazione della giovanissima studentessa, riportata dal Corriere. Rahma ha rifiutato quella immagine lontana dalla sua realtà è stata la reazione incredula della ragazzina davanti alle insegnanti, rifiutando quell'immagine che non corrispondeva alla sua realtà.Da quando è arrivata in Italia, Rahma non ha mai più vestito l'hijab. Ma nonostante ciò l’intelligenza artificiale, con parecchio pregiudizio, le ha imposto automaticamente il velo. “Ogni volta che i bambini chiedevano all’AI di raffigurare Rahma, veniva sempre rappresentata con il velo. Per toglierlo, abbiamo dovuto ingannare l’intelligenza artificiale, dicendo che si trattava di una figura maschile. E così il velo è sparito, riuscendo a superare gli stereotipi che l’uomo le ha trasmesso” ha spiegato la docente Carmen Mazzeo . L’unico modo per superare l’ostacolo è stato dare fattezze maschili al personaggio di Rahma. Ma quanto accaduto con l’AI ha fornito uno spunto per approfondire l’influenza della tecnologia anche per quanto concerne gli stereotipi. La dirigente Maria Assunta Corsini ha evidenziato: “In questo progetto l’elemento di novità interessante valorizzato da tutti è stato l'uso dell'intelligenza artificiale, una delle tante emergenze del momento, che è stata utilizzata a scuola in maniera costruttiva, riuscendo a far percepire ai ragazzi come strumenti come l'AI, se non utilizzati correttamente, possano avere effetti devastanti”.

16.12.24

Il prof della Sapienza laureato con gli esami di un omonimo perde il ricorso contro l’ateneo: confermate le sanzioni disciplinari.,



Nuova batosta per Sergio Barile, il professore di Economia dell’Università La Sapienza di Roma sospeso dall’ateneo per aver ottenuto una laurea in Fisica sfruttando un caso di omonimia con un altro studente. La vicenda si trascina da anni tra sedi giudiziarie, aule accademiche e scrivanie amministrative, e culmina ora con una decisione del Tar del Lazio, che ha respinto il ricorso del docente contro le sanzioni disciplinari imposte dall’università. La vicenda è iniziata anni fa. Nel 2018 Barile viene contattato dagli uffici della Sapienza e informato che, secondo i loro registri, gli mancherebbe solo la tesi per conseguire la laurea in Fisica, titolo per cui avrebbe iniziato a studiare nel lontano anno accademico 2003-2004. In quella stessa annata, però, il professore non aveva dato nemmeno un esame. Di fatto, quella carriera accademica apparteneva a un suo omonimo, nato incredibilmente lo stesso giorno, e che era stato attivo negli studi fino a superare tutti gli esami, salvo la tesi.
La sovrapposizione dei due nomi
La confusione, farà poi sapere l’università, era stata causata da un errore informatico: durante la migrazione di dati dal vecchio sistema «Enidata» al nuovo «Infostud», le carriere accademiche dei due Sergio Barile si erano sovrapposte. Una coincidenza straordinaria, certo, ma anche un’occasione che, secondo le indagini, il professore avrebbe sfruttato senza farsi troppe domande. Nel 2019, infatti, Barile risponde al sollecito dell’università per sanare la situazione economica: paga le tasse arretrate per oltre 7mila euro e presenta domanda per discutere la tesi. In breve, completa il percorso e si laurea in fisica. Solo che, come scoperto successivamente, non aveva sostenuto alcun esame negli anni precedenti.  
La scoperta della funzionaria della Sapienza

Nel 2021, al momento di ritirare la pergamena di laurea, una funzionaria della Sapienza si accorge però che qualcosa non torna. Il numero di matricola assegnato al professore corrispondeva a un altro studente, mai laureato. Partono le verifiche, e il quadro che emerge è grave: il docente avrebbe approfittato dell’errore informatico per appropriarsi della carriera accademica altrui, pur essendo consapevole di non aver sostenuto nemmeno un esame nel corso di Fisica. L’università denuncia la situazione alla Procura e, una volta concluse le indagini, il docente viene mandato a processo con l’accusa di falso ideologico. Sotto il profilo amministrativo, invece, interviene direttamente l’ateneo che cerca prima un dialogo con il docente: Barile si difende affermando di aver manifestato fin dall’inizio le sue perplessità agli uffici amministrativi, ma l’ateneo non trova riscontri di queste comunicazioni. Anzi. Da qui, l’avvio del procedimento disciplinare dell’università, culminato con una sospensione di sei mesi, la perdita dell’anzianità di servizio e l’interdizione dagli incarichi istituzionali per la stessa durata.
La decisione del Tar del Lazio
Ma Barile non ci sta. Nel tentativo di ribaltare le sanzioni, si rivolge al Tar del Lazio, sostenendo che l’università ha agito fuori dai tempi previsti dalla legge per avviare il procedimento disciplinare e che le sue azioni fossero fraintendibili come errori in buona fede. Ma i giudici amministrativi ora respingono il ricorso rifiutando ogni obiezione del docente: le scadenze non sono state violate e l’ateneo ha agito in maniera congrua, motivata e proporzionata. Secondo il Tar, Barile non poteva non sapere che quella carriera accademica non fosse sua e si è scientemente avvalso di un curriculum altrui. Inoltre, le giustificazioni del professore, come il presunto invio di comunicazioni per segnalare perplessità, non hanno trovato alcun riscontro documentale. Mentre prosegue il caso sotto il profilo penale, affinché si possa fare definitivamente luce su come sia stato possibile che un errore amministrativo di tale portata sia stato utilizzato per ottenere una laurea, il Tar ha confermato le sanzioni disciplinari inflitte dalla rettrice della Sapienza.


fonte   proviene da Open.

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Solo 17 anni fa era un dormitorio. Oggi è fra i siti monumentali più visitati d’Italia. Cosa è successo a Venaria, paesotto alla periferia di Torino? Bisogna tornare alla primavera del 1996 quando Walter Veltroni, alla fine del suo ultimo comizio elettorale in piazza San Carlo a Torino viene avvicinato dal Comitato dei cittadini di Venaria che gli raccontano di una Versailles caduta a pezzi. La visita avviene con una torcia nel cuore della notte: lo scenario è una magnificenza spettrale. A Venaria Reale i Savoia, nella loro riserva di caccia, a partire dal Seicento costruiscono una reggia di 80mila metri quadrati e 60 ettari di giardini. La residenza mozzafiato ha vita travagliata: prima Napoleone la spoglia dei suoi tesori, poi sono gli stessi Savoia, tornati al potere, che la cedono al demanio per farne una caserma. Finisce abbandonata per quasi un secolo, mangiata dai rovi, devastata dai crolli e vandalizzata.
Qualche mese dopo quella visita, Veltroni diventa ministro della Cultura e annuncia il recupero della Reggia. Si lavora in squadra: il governo di centrosinistra ci mette 41,6 milioni (per trovarli, s’inventa il Lotto del mercoledì, dal quale arrivano oltre 30 milioni); la Regione Piemonte, di centrodestra, 11,4 milioni; l’Unione europea 196,7. Parte il più grande e costoso cantiere di restauro di un bene culturale mai fatto prima in Europa. Dura dieci anni e coinvolge 300 ditte, 100 progettisti e 1.800 operatori che riportano a nuovo 100mila metri quadrati di superficie, compresi 9.500 metri di stucchi e mille di affreschi. Il 13 ottobre del 2007 la Reggia di Venaria apre al pubblico.La gestione è affidata al «Consorzio delle residenze reali sabaude», formato da Ministero della Cultura, Regione Piemonte, Comune e due Fondazioni legate a Intesa Sanpaolo, che contribuiscono con 6 milioni di euro l’anno. Oggi la Reggia è conosciuta in tutto il mondo: con quasi mezzo milione di visitatori l’anno (+30% rispetto al 2022) in Piemonte si piazza al secondo posto tra i luoghi più visti, dopo il Museo Egizio. Nel 2023 ha fatturato 16,3 milioni di euro (+5,7% sul 2022), mentre quest’anno toccherà quota 17 milioni. Il modello di gestione si ispira a quello dei castelli della Loira (vedi Dataroom del 3 luglio 2024), che significa offrire arte e cultura per addetti ai lavori, e contemporaneamente visite adatte a tutti, famiglie con bambini comprese. Innanzitutto la Reggia è facile da raggiungere perché collegata anche da treni, bus e piste ciclabili, ed è aperta tutto l’anno con orario continuato. I visitatori sono accolti dalle video-proiezioni di personaggi in abiti d’epoca che li accompagnano da una sala all’altra per mostrare com’era la vita di Corte, ammirare quadri e oggetti appartenuti ai Savoia e le scuderie che ospitano il celebre Bucintoro.
IL palazzo ospita mostre d’arte importanti: da Andy Warhol a Caravaggio, a quella su Tolkien; e si può assistere allo spettacolo dei giochi d’acquaconcerti ed eventi come quello che questa estate ha illuminato i giardini con 5mila candele. La reggia si può affittare per eventi privati, ed è possibile noleggiare biciclette per raggiungere il vicino parco della Mandria. Dotata di caffetteria, gelateria, due ristorantiuno dei quali stellato, e uno shop con centinaia di prodotti. Solo queste attività commerciali garantiscono ricavi per oltre 1,5 milioni di euro l’anno. Nelle scuderie c’è anche una scuola: il Centro per la Conservazione e il Restauro dei Beni Culturali. L’ingresso alla Reggia di Venaria costa 16 euro, ma con 30 euro si acquista il Royal Pass valido 4 giorni: consente di visitare 16 Residenze Reali Sabaude, la Basilica di Superga e uno sconto sul biglietto per il Museo Egizio e quello Nazionale del Cinema. Esattamente come accade nella valle della Loira, i castelli piemontesi fanno «sistema» così che i più famosi - la Reggia, Palazzo Reale e Stupinigi - trainano gli altri. Nominate Patrimonio Unesco, le Residenze Sabaude condividono un sito web in 4 lingue, iniziative di promozione e l’organizzazione di eventi collettivi, come le Camminate Reali. L’obiettivo, spiega il presidente del Consorzio, Michele Briamonte, è quello «di rendere questi beni straordinari attrattivi per il grande pubblico ma senza snaturarli, perché puntare all’auto-sostentamento significa ridurre progressivamente la necessità di contributi pubblici e allo stesso tempo fare da volano all’economia del territorio».Per avere un’idea di come ha trasformato la cittadina di 32 mila abitanti, sede di industrie dismesse, occorre leggere il rapporto del comune di Venaria del 2007: zona operaia con bassa scolarizzazione, «città-dormitorio» per chi lavora a Torino, caratterizzata da «un impoverimento sostanziale del tessuto sociale ed economico». C’è chi aveva soprannominato il centro «piazza Corleone», per via dei mafiosi mandati al confino. Anche il turismo, all’epoca legato al parco della Mandria, è «a frequentazione giornaliera, consuma risorse, lascia cumuli di rifiuti difficili da gestire e non è ben visto dalla popolazione». A 17 anni dall’inaugurazione della Reggia, i dati del comune raccontano un’altra storia: la pedonalizzazione di parte del centro storico ha visto fiorire negozi, boutique e strutture ricettive. Crescono i visitatori da tutto il mondo (+44% di presenze negli ultimi dieci anni). Gli alberghi passati dai 4 del 2007 ai 24 di oggi, e sono stati aperti 61 b&b. I ristoranti da 29 a 51L’Osservatorio turistico del Piemonte ha valutato anche le ricadute sull’intero territorio delle Residenze Reali Sabaude: negli ultimi cinque anni le strutture ricettive sono passate da 2.065 a 6.990 (+238%), con 2,4 milioni di turisti (+11,8) che spendono mediamente a testa fino a 173 euro nelle attività commerciali della zona.Dal punto di vista del tessuto economico e sociale, il reddito medio lordo è passato dai 13.934 euro del 2007 agli attuali 22.409 euro, con un aumento del 60,8%, ben più alto – ad esempio – di quello registrato nella vicina Torino (+49%). Le imprese con oltre 50 dipendenti sono salite da 16 a 26 (in provincia di Torino sono invece calate del 2,3%). Dati che abbassano il tasso di disoccupazione: era dell’8% (più alto della media provinciale, 7,23) e oggi del 7%. Invertita anche la tendenza a una bassa scolarizzazione: i laureati sono passati dal 4% (sotto la media provinciale, che era del 7,82%) all’8%, e i diplomati saliti dal 18 al 43%. Il sindaco Fabio Giulivi non ha dubbi nel mettere in relazione questa crescita con il maxi-investimento fatto sulla Reggia: «Oggi Venaria è più bella, più sicura perché il numero dei reati è sceso, e sicuramente è una città più consapevole del proprio potenziale». Nel 2025 sarà Città europea dello Sport e da qui partirà la Vuelta di Spagna.Questo è quello che accade quando una comunità non si arrende: val la pena ricordare che i tentativi di riportare in vita quell’inestimabile patrimonio da parte di Associazioni e Comitati sono stati ignorati per decenni. E quando finalmente hanno trovato ascolto, l’investimento è stato fatto con un piano coordinato e di lungo periodo. Già a metà del secolo scorso il grande filosofo tedesco Hans Georg Gadamer scriveva: «La cultura è l'unico bene dell'umanità che, diviso fra tutti, anziché diminuire diventa più grande». E’ talmente vero che uno studio di Unioncamere dice: ogni euro investito in attività culturali e creative ne attiva altri 1,8 nell’indotto. Eppure in Italia la spesa pubblica per la cultura ci piazza agli ultimi posti in Europa: impegniamo appena lo 0,3% del Pil; peggio di noi fanno solo Irlanda, Grecia e Cipro (0,2%). Una tendenza in atto da 15 anni, e a partire dal 2025 è previsto un altro taglio di mezzo miliardo

15.12.24

scelte difficili per un emotivo ed impulsivo\istintivo

 Come  suggerisce  Tacitus   nell'odierna     rubrica  caffè scorretto    per  l'unione  sarda


La sera del 14 luglio 1789, giorno storico della Rivoluzione Francese, sul suo diario giornaliero Luigi XVI annota: «Oggi niente di nuovo». Mai una sensazione fu più sbagliata. Primo gennaio 1900: il direttore dell’Ufficio brevetti di New York scrive: «Quest’ufficio rischia di diventare inutile. È stato inventato tutto. Non c’è altro da inventare». Mai una previsione fu più errata. Questi due aneddoti, che come tutti gli aneddoti hanno all’origine qualcosa di vero, ci sono venuti a mente analizzando ciò che sta accadendo nel mondo e le possibili ripercussioni sul nostro futuro di europei. Anche noi, come il re francese, non percepiamo fino in fondo la pericolosità delle situazioni da noi stessi create; anche noi, come l’alto funzionario americano, facciamo previsioni insensate. Convinti che essendo noi i buoni e gli altri i cattivi, per potenza divina loro soccomberanno. Non sappiamo, per esempio, se credere alle minacce di Putin. Che possiede: il più grande arsenale nucleare, uno scarso senso dell’umorismo, un elevato grado di follia. La sua Russia è una falsa democrazia, ma con vero consenso di popolo. L’Europa, invece, non è un popolo ma una popolazione: per nulla coesa e sempre più infiacchita da ideologie strampalate. È arrivato il momento delle scelte difficili. Sarebbe catastrofico farci condizionare da sensazioni e previsioni sbagliate.

Debbo abbandondare  ma  per  il momento  non  ce la  faccio  , mia  evasione   (  principalmente  ) la lettura  dei fumetti in particolare         quelli disney  .   come  suggerisce  l'editoriale  di topolino n 3603 





Invece   sugli altri  miei probelmi    ci   sto  lavorando  e  credo che dovrei  iniziare  a fare    Let bee ( cit musicale )   e fare  come    sta  facendo   






Rosy Giglio determinata.
19 h ·



Non vale la pena trascorrere il tempo discutendo su ogni cosa. Sto imparando a non reagire a tutto ciò che mi viene riferito. Sto imparando che non ho bisogno di ferire chi mi fa del male. A volte il massimo segno di maturità è allontanarsi. Sto imparando che l’energia che spendo per ribattere e discutere mi impedisce di concentrare le energie su cose utili per me. Sto imparando che non posso piacere a tutti, e va bene così. Sto imparando che di tanto in tanto, non dire nulla, dice tutto. Sto imparando che rispondere alle provocazioni, dà potere a un’altra persona sulle mie emozioni. Non posso controllare ciò che dicono gli altri, ma posso decidere come reagire.

Luigi Mocci, il centenario che disse no al posto fisso: "Mai pentito, meglio il lavoro nei campi"

   unione  sarda




L’8 dicembre ha soffiato su una torta con cento candeline nella sua casa di via Orsini, a Sanluri, al fianco dell’inseparabile moglie Rosina Muntoni che di anni ne ha 98 e con la quale il 31 dicembre festeggerà 71 anni di matrimonio, traguardo che consegnerà loro il record di coppia più longeva della città. «Ci saremmo sposati anche prima, ma era morta mia madre e bisognava rispettare il lutto», spiega lei assisa sulla poltroncina dalla quale non perde mai di vista quell’ex ragazzo che dal fronte della seconda guerra mondiale le spedì un mucchio di lettere che lei conserva ancora. «Avevo chiesto il permesso a suo padre di poterle scrivere e lui mi disse “Va bene, purché non siano troppe”. Ma io appena potevo le mandavo lettere d’amore molto lunghe. Lei no, era più corta, poche righe e basta».Dunque, tornando alla carriera. «I miei genitori avrebbero voluto che lavorassi in ufficio, per questo dopo la scuola dell’avviamento iniziai all’ufficio catastale del Comune. Dovevo sistemare le carte anche dei paesi del circondario, eravamo in sette. Ma non ero felice e ogni giorno guardavo questo mio collega: aveva avuto un figlio ogni anno, il più grande ne aveva 15, ma non stava mai in famiglia e lo stipendio non bastava per mantenerla. Mi sono detto: chi me lo fa fare? E poi volevo aiutare mio padre che soffriva di asma e faceva fatica a lavorare nei terreni e badare agli animali». Da qui la decisione di mollare tutto. «Il mio capoufficio era molto credente, ogni domenica andava in chiesa per la prima messa. Allora un bel giorno l’ho aspettato fuori e gli ho detto “Da domani non vengo più”. Non ci credeva ma avevo ragione io, lì dentro non mi hanno più visto». La vita però aveva in serbo ancora molte sorprese per Luigi Mocci e il lavoro nei campi ha dovuto aspettare. Prima venne il militare. «Il primo anno l’ho fatto nel nord Sardegna. Una notte eravamo accampati a Serra Secca, a Sassari, ci svegliarono al suono di tromba e il generale annunciò “Oggi nasce la nuova Brigata Sassari”. Dovevamo tenerci pronti per partire». E così fu. Presto arrivarono la traversata da Cagliari a Napoli, il viaggio in treno per Brindisi e poi il fronte tra Bologna e Rimini e la battaglia di Monte Cassino. «Nacque il Corpo di Liberazione e noi eravamo con gli Alleati, facevamo saltare i ponti o i binari dove sarebbero passati i fascisti e i tedeschi».
L’incarico
Il rischio di finire dietro una scrivania era ancora in agguato. «Il sergente maggiore affidò a ognuno di noi un compito. Io rimasi per ultimo e alla fine mi disse “Tu stai nell’ufficio del generale”. Io gli risposi che non sapevo parlare l’americano, sapevo dire solo “okay”. Eppure ci capimmo».
A casa
Tornato a Sanluri iniziarono i preparativi per il matrimonio. «Ho trasportato ogni pietra che è stata usata per costruire questa casa. Il 31 dicembre del 1953 vennero celebrate le nozze e dall’amore tra Luigi e Rosina nacquero Brunella, Raffaele, Maria Pina e Annalisa. «In campagna ho faticato parecchio, ma sono sempre stato felice».

L'Italia dealfabetizzata: la complessità si disperde nella semplificazione mediatica e se accorgono adesso mentere prima deridevano come cassandre o complottisti i come Giulietto chiesa o Tullio de Maiuro lanciava l'allarme

leggi  prima   
premetto che non sono antropologo o specializzato quelle che un tempo si chiamavano scienze umane , ma ma certi media e sociologi si svegliano adesso ? sono quasi 20 anni che si sapeva e già si parlava di questo pericolo e che prima o poi si sarebbe arrivati a tale situazione . Riprendendo quanto ho già detto in precedenza  (  vedere  gli  url  inizio  post  )  
 mi chiedo ma un minimo di prevedibilità no ?. Se invece di giudicare complottisti , cassadre e deridere , chi come Giulietto Chiesa ed altri lo ipotizavano ed lanciavano l'allarme si fosse intervenuto prima . Non staremo a piangerci addosso e in questa sitiuazione Infatti solo ora ci s'accorge , come fa notare : « L'Italia dealfabetizzata: la complessità si disperde nella semplificazione mediatica » di HuffPost Italia del 14\12\2024 che è Diventato di fondamentale importanza ripensare in termini etici il sistema e ridare senso e valore all’educazione come principale strumento per favorire il cambiamento e promuovere l’emancipazione . Stiamo assistendo a una pericolosa dealfabetizzazione degli adulti, quella che già alcuni decenni fa denunciava con preoccupazione il linguista Tullio De Mauro, uno di
quelli che venivano cosierati gufi e cassandre . Ora dagli ultimi dati Ocse emerge un quadro dell'Italia , a dir poco allarmante , ma in realtà niente di nuovo che nel nostro Paese un terzo degli adulti risulta analfabeta funzionale.Questo significa, molto semplicemente, che il 33% degli italiani non è in grado di comprendere un testo più lungo di qualche riga, non sa valutare, usare e farsi coinvolgere dalle riflessioni profonde e dalle problematiche che richiedono tempo di studio e riflessioni prospettiche. Questo accade in ogni versante e rappresenta un grande problema che apre interrogativi inquietanti in un'epoca in cui la maggior parte delle informazioni vengono veicolate sui social senza controlli sulla qualità e sull’attendibilità di ciò che viene diffuso. E il  covid l'ha  dimostrato  ampiamente  .  
Oggi, infatti, la comunicazione di massa, senza adeguate mediazioni e  senza   un  aproccio  critico  , spinge i cittadini a seguire anche dei ciarlatani e i loro messaggi semplificati e disintermediati.
 Ma rappresenta anche un problema di produttività e innovazione: nel nostro Paese cresce il tasso di occupazione ma non assistiamo a un eguale processo di sviluppo. E questo richiede risposte a molti interrogativi. Perché occupazione senza sviluppo? Forse mancano le competenze necessarie? Come si insegna a scuola? Cosa  fanno  oltre  chge   contributi  a  pioggia    ed  mancanza  di politiche   salvo uso elettorale  e propagandistico )  giovanili    post     scuola dell'obbligo  o post  se    va bene   post  diploma  ?  Come si sviluppano le competenze professionali? Questo deficit di alfabetizzazioni impedisce di crescere, economicamente e culturalmente, induce a cercare nelle soluzioni più semplici e veloci il rimedio ad ogni problema. Siamo di fronte ad una ignoranza della complessità che riduce qualsiasi spazio di evoluzione socio-culturale ma anche economica e per molti aspetti si traduce anche in un indebolimento della conoscenza dei propri diritti di cittadini e di lavoratori. Si  tratta  secondo  gli  scaricabarile  e  di un problema che nasce evidentemente dalla scuola, un sistema che non sembra essere più in grado di generare e diffondere competenze e valori con le famiglie che sono quasi rassegnate di fronte alla perdita di ruolo nell'educazione a favore di una sempre più diffusa "conoscenza" che si diffonde distorta sui social media, spesso un ricettacolo di informazioni superficiali e, talvolta, errate. Ma se le scelte delle persone nascono da informazioni scorrette e illusorie, basate su pregiudizi e slogan, la stessa dimensione di sviluppo perde la sua forza e si trasforma in un sistema inefficace. Se l’educazione smarrisce il suo valore come strumento di rinascita culturale, etica, civile, esistenziale dell’umanesimo sociale, lasciando aperta la via del pensiero unico \  all'omologazione   condizionato da una comunicazione distorta.ed  alla repressione    del dissenso   critico    che   ancora  c'è anche se  sempre più ridotto  ad  un lumicino .  Ecco quind  che  diventa  sempre  più   di fondamentale importanza ripensare   anche    se  in ritardo  in termini etici il sistema e ridare senso e valore all’educazione come principale strumento per favorire il cambiamento e promuovere l’emancipazione. Altrimenti siamo destinati a una deriva  ancra  peggiore     di quella  che  stiamo attraversando   in cui la mancanza di coscienza critica aumenterà in un Paese che non saprà cogliere le sfide della modernità im un mondo del lavoro che sta profondamente cambiando i suoi connotati. Un Paese inchiodato e senza prospettive preda di pericolosi algoritmi gestiti dalle prospettive di un crescente potere dell’intelligenza artificiale. Uno scenario inquietante per il futuro a cui non possiamo e  non dobbiamo   rassegnarci.

14.12.24

il caso della saga ( romanzi e serie tv ) L'amica geniale un finale aperto ed enigmatico proficuo e bello .

 IL 9  dicembre   è finita   dopo  4  stagioni   l'Amica  Geniale . La serie, che ha saputo raccontare con maestria le vicende di Lila e Lenù, due amiche cresciute in un rione di Napoli, ha ottenuto un successo straordinario, con oltre 6,2 milioni di visualizzazioni su RaiPlay e più di 3 milioni di telespettatori, raggiungendo il 18,2% di share. La sua capacità di toccare le corde emotive del pubblico, grazie a una narrazione intensa e coinvolgente, ha trasformato L'amica geniale in un fenomeno culturale di portata internazionale.


 La serie italo-statunitense tratta dalla tetralogia di Elena Ferrante ha iniziato il suo cammino nel 2018 e, dopo sei anni, si è congedata dai suoi spettatori con i due episodi finali che scrivono la parola fine ad un racconto che ha attraversato sessant'anni di storia d'Italia e, soprattutto, dei personaggi nati dalla penna della scrittrice senza volto. Su tutti Lila e Lunù, le due amiche del rione Luttazzi che si sono amate, odiate, allontanate e riavvicinate senza smettere mai di pensare l'una all'altra.adesso che è finita la  saga   de l'amica  geniale  posso "recensire " ed esprimete un goudizio completo  Anche se a mio avviso l'autrice della saga e poi gli autori della fiction /serie tv avrebbbero dovuto intitolarle amiche geniali in quanto sono state geniali entrambe ciascuna   delle  due  protagonista   a modo suo suo chi precocemente ( Lila  \ Raffaella Cerullo) chi tardivamente ( Lenù \ Elena Greco  )   . Infatti  La storia di Lila e Lenù, che si snoda attraverso decenni di cambiamenti sociali e personali, ha saputo affrontare temi universali come l'amicizia, l'amore, la lotta per l'emancipazione e il confronto con le proprie radici. La complessità dei personaggi e la profondità delle loro relazioni hanno reso L'amica geniale un'opera unica nel suo genere capace di lasciare , almeno  per   ora  cioè  fino ad altra fiction notevole e migliore d'essa  , un'impronta indelebile nella memoria collettiva.

Ora premetto   che non ho letto I romanzi da cui è tratta e  ho  visto con  scietticismo poi  venuto meno man  mano  che  procedevo    con la  visione  delle   prime  due  \ tre   puntate  di quella   che  è  stata  la  I stagione, perché aprioristicamente ed erroneamente  gli ho classificati come romanzi d'appendice\ meglio noti come feuilletton  o  romanzi rosa . Ma poi incuriosito dalle chiacchere  e  studi  \ indagini  sterili  sui  media   e non   sul sapere  chi  ci sia  dietro  lo pseudonimo  dell'autrice   su  chi   si  cela   dietro lo pseudonimo dell'autrice / autore o  se é realmente  lei  tanto  da  farmi  condividere   la  battuta    : <<   Non mi  pare   cosi  grave  Anch'io  non  conosco chi ha  costruito   casa mia mia  ..... ma  non me  la  prendo  >>  (   cit  disneyana  più precisamente   topolino e la  leggenda del panettone   n° 1620  ) ,  dal  successo   dopo  i  romanzi   della  trasposizione  tv  . Ma  soprattutto   dalle recensioni bellissime non ufficiali  \  ortosse  dei romanzi   :   familiari  (  mia  madre )  e   amici  in  particolare    di una mia amica che dopo aver letto il primo  volume   della    saga  da me regalatogli si è  comprati gli altri   ho  deciso   di    vincere /mettere  da parte lo scetticismo  e    di vendere la  serie  tv . Infatti Inizialmente avevo un po' di diffidenza  e scetticismo convinto di trovvarmi  con un polpettone e qualcosa du mediocre / dozzinale ,  ma poi mi e piaciuto ed appassionato tanto che appena ho tempo vadobin biblioteca à prendere in prestito i libri per    farmi  un  ulteriore  idea   dei misteri  lasciati in sospeso   dal  film  e  anche dal  ciclo dei  romanzi . Una  saga bella    ed  avvincente  ,  profonda  con  un  ottimo   cast    d'esordienti  compresi .  Come al  solito il pubblico sottoscritto compreso   dopo la fine naturale    ha  chiesto  un altra stagione  per  risolvere  gli engmi    finali  .  Ma  poi  leggendo    questa intervista     al regista    rilasciata  a : https://www.fanpage.it/spettacolo/interviste

[..] L’idea di Un’amica geniale 5 ha mai sfiorato l’intera squadra di lavoro, Ferrante inclusa?
Non credo sia contemplabile, proprio perché il romanzo rimane romanzo. Non c'è motivo di scrivere una quinta stagione, ha funzionato di suo in questo modo. La coerenza potrebbe perdersi e diventeremmo solo dei mercanti con una fastidiosa tendenza a mercificare il prodotto. La storia è completa e conclusa, va bene così.
Ho cambiato idea .
Infatti   Costanzo  ha    ragione    sarebbe    tradire  l'opera  stessa   dell'autrice (   o  dell'autore   secondo me   che  usa  uno  pseudonimo  femminile  perchè  in italia   è ancora  tabù    e si considera poco dignitoso  che   un uomo    scriva   tematiche       femminili )   e  poi    sfatiamo i miti   e  gli stereotipi   che   un  opera  letteraria ( comprendendo   con il  termine  letteratura    anche il  cinema  e  la  tv  )  debba  per   forza  finire    risolvendo  tutto  senza  lasciare  al lettore  \  spettatore    cioè  al  suo  fruitore  la  possibilità  fi  fantasticare  \ farsi in un  idea  proria sulla storia . E'    vero che  dare un significato al finale ad opete complesse e particolare come  L’Amica Geniale è complicatissimo. Quattro stagioni e altrettanti libri (da cui la serie è tratta) ci hanno insegnato che Elena Ferrante ha fatto qualcosa di più che raccontare una semplice storia che attraversa le vite delle due protagoniste.
 L’Amica Geniale è  secondo me  ,  una  delle narrazioni maggiormente stratificate che la letteratura italiana prima e la tv poi hanno proposto, offrendo visioni e significati che, quasi come in una maratona, si sono passati il testimone fino alla conclusione. 
Comunque   per    coloro  che per   pigrizia  mentale (  ma anche   scarso addestramento ed allenamento  a pensare   fuori dagli schemi  ed  andare  oltre  la  pappa  pronta   ) , purtroppo   sempre  meno 😥😢 , non vogliono fare questo processo ecco qui e qui il finale spiegato .per   me  L’Amica Geniale è un caso in cui un’amicizia sopravvive alla vita. infatti 



“Ho riconosciuto subito le nostre bambole che erano state gettate in uno scantinato del Rione. Forse quelle due bambole, che avevano attraversato oltre mezzo secolo ed erano venute fino a Torino, significavano solo che lei stava bene. E mi voleva bene. Che aveva rotto gli argini e che finalmente voleva girare il mondo, vivendo in vecchiaia secondo una nuova verità: la vita che in gioventù le avevano vietato e si era vietata. Ora che Lila si è fatta vedere così nitidamente devo rassegnarmi a non vederla mai più”.
Le ultime parole di Lenu dedicate a Lila

Una cosa è certa: L’Amica Geniale  ha regalato due ritratti femminili di assoluto valore e significato. Dai traguardi raggiunti alle sfide intraprese fino agli errori commessi, Elena e Lila sono portavoce di un femminismo sano in un mondo patriarcale che neanche finge di voler dare valore alle donne.Infatti  Le bambole sono il fulcro di tutta la storia, da dove nasce l'amicizia, le paure, le angosce e i desideri che condividono sin da bambine nel caos del rione. Non a caso Lila chiamerà la figlia Tina come la bambola di Lenù: Lila sembra non ricordarsi di quel nome, è una coincidenza o un terribile caso. La bambola verrà ritrovata ma Lila deciderà di scomparire per sempre, la smarginatura ha fatto il suo effetto, Lila si è perduta così come la figlia, si è perduta per sempre ma lo ha fatto consapevolmente, ha fatto quello che avrebbe voluto in giovinezza.
Ma ciò che rimarrà per sempre sarà quell'amicizia che ha caratterizzato le loro vite per decenni. Rimarranno i ricordi incastonati tra le vie del rione, rimarrà quella passeggiata verso il mare mai completata, rimarranno le violenze fisiche e i primi baci. Rimarranno queste due ragazze, figlie di una Napoli povera ma autentica che cercano di emergere e affermarsi nel loro modo. Rimarranno quelle due bambole, Lila e Lenù.
Inoltre  L’omicidio del fratelli Solara potrebbe anche essere inteso metaforicamente parlando come la fine dell’imposizione patriarcale senza se e senza ma nella società. Ora che Elena e Lila non devono più guardarsi le spalle da chi ha sempre cercato di ricordare loro che posto avrebbero dovuto avere, possono dirsi veramente libere. E, con loro, ci si augura che tutte le telespettatrici che vivono situazioni opprimenti possano avere la stessa occasione (meno tragica, ovviamente) di alzare la testa contro chi le vorrebbe silenti e invisibili.L’Amica Geniale resterà un capolavoro irripetibile  ?  Capolavoro osannato dalla critica e dal pubblico (le prime due stagioni su Raiuno superarono in alcuni episodi i 7 milioni di telespettatori e il 30% di share, mentre su RaiPlay la serie è tra le più notevoli degli ultmi anni concludendosi, si consegna definitivamente alla storia della televisione italiana.


Sia per l’incredibile sforzo produttivo che c’è stato dietro ogni stagione, sia per l’inedita alleanza Rai Fiction-Hbo che ha permesso di vedere un prodotto in lingua italiana e sottotitolato in inglese in prima serata sul canale via cavo statunitense per eccellenza, ma anche per l’anticonformismo di cui fin dalla prima stagione questa serie è stata intrisa.
Dalla regia fortemente autoriale di Saverio Costanzo prima e poi di Daniele Luchetti, Alice Rohrwacher e Laura Bispuri alla sceneggiatura che non lascia scampo a chi è abituato a serie tv con episodi autoconclusivi, L’Amica Geniale ha fatto qualcosa di irripetibile.
Portando in scena una storia che dura una vita intera e che permette di osservare un’Italia in evoluzione, il capolavoro di Elena Ferrante (ricordiamo che il primo volume della tetralogia è stato definito   forse  in mainera  esagerata  dal The New York Times “libro del secolo”) ha il merito di aver svegliato dal torpore una serialità italiana abituata troppo spesso a vivere di rendita, ricordando a tutto il settore audiovisivo che l’ambizione non deve essere una vergogna. E regalando al pubblico una storia a cui ciascuno saprà dare ,  se     vuole farlo   \  afrontarlo ,  un proprio significato.Ecco  quindi  che  la conclusione della serie rappresenta non solo la fine di una saga, ma anche un momento di riflessione su ciò che L'amica geniale ha significato per il pubblico e per la cultura italiana. La trasposizione televisiva dei romanzi di Ferrante ha saputo mantenere intatta la forza narrativa e l'intensità emotiva delle opere originali, offrendo al contempo una nuova dimensione visiva che ha arricchito ulteriormente l'esperienza dei lettori e degli spettatori. In un'epoca in cui le serie televisive spesso,si limitano a intrattenere senza lasciare tracce durature, L'amica geniale è g fra quelle che si distinguono per la sua capacità di suscitare riflessioni profonde e di stimolare un dialogo interiore.

Quando la scuola non si fa carico dei problemi e non educa in profondità . Oramai è più comodo vietare che risolvere i problemi.il caso del liceo di torino dove «Resta a mangiare in classe dalle 14 alle 14,30 nonostante il divieto»: sul registro la nota a due liceali




la responsabilità se escono e succede qualcosa deve essere della scuola, l'orario non è spezzabile se entrano alle 8,30 e escono alle 16 anche se c'è pausa per il pranzo la responsabilità ricade all'istituto, aspetto il momento che uno studente si faccia male (anche se spero non accada mai) come farà la scuola a giustificarsi . come    ho  già  detto non  titolo   Non solo la scuola, ma tutte le istituzioni. Avete comunque mai visto un cartello con su scritto "è permesso fare..." oltre  a  quelli   vietato  ..... ?.  Infatti a  Torino  

Resta in classe dalle 14 alle 14,30 nonostante il divieto». Questo è il testo della nota sul registro presa dai liceali che si sono fermati a mangiare a scuola. Segno dei tempi. Una volta veniva sanzionato chi era trovato fuori a bighellonare, oggi chi vorrebbe stare dentro, al sicuro. È successo giovedì al liceo Regina Margherita di Torino, linguistico, scienze umane ed economico sociale, dove è obbligatorio uscire nella pausa pranzo anche nei giorni in cui l’orario arriva a otto ore. Non c’è nessuno che possa sorvegliare. Per protesta alcuni ragazzi della classe 3AS, liceo economico sociale Cambridge, hanno deciso di restare, evitando di mangiare il panino fuori come fatto finora. Seduti sulle panchine o cercando ripari di fortuna in caso di pioggia. Persino in una lavanderia a gettone. I genitori avevano già scritto il mese scorso al direttore dell’Ufficio scolastico regionale Stefano Suraniti nel tentativo di trovare una soluzione al problema, dopo aver affrontato la questione con la dirigente scolastica Francesca Di Liberti. Non essendo una scuola a tempo pieno, il liceo non dispone di una mensa e non è possibile obbligare i docenti o il personale Ata a fare sorveglianza sui minori durante la pausa. Ma sta di fatto che una volta alla settimana alcune classi hanno il rientro pomeridiano per altre due ore di lezione. In questo caso, due ore di inglese in più. Quindi entrano alle 8 ed escono alle 16,30, con appena mezz’ora di pausa pranzo. Da trascorrere fuori. «La scuola ha allestito dei bellissimi spazi riposo con i fondi del Pnrr, soldi che sono stati investiti per il recupero del benessere dei ragazzi – hanno fatto notare le rappresentanti di classe nella lettera all’Usr –, ma se poi non si possono utilizzare in momenti di reale necessità non ne comprendiamo la spesa». I ragazzi hanno violato la regola che impone loro di uscire da scuola, dove non possono stare se non per le lezioni e ben sorvegliati. Ne potrebbero dedurre che non sia un luogo adeguato dove studiare, incontrarsi, dibattere. Si dirà che a scuola non si può restare fuori orario per una questione di responsabilità nei loro confronti, norme burocratiche varie, contratto collettivo nazionale del lavoro, locali inadeguati. Succede in molte altre scuole superiori, un problema simile si era presentato l’anno scorso al liceo artistico Cottini. I genitori si sono anche offerti di pagare una sorveglianza extra, come alle elementari. Ma davvero i liceali non si possono autogestire per mezz’ora? La questione sarà esaminata lunedì dal Consiglio d’istituto del Regina Margherita, chiamato a decidere per tutte le classi che hanno la pausa di mezz’ora. Ma si teme che qualunque scelta venga adottata debba aspettare il prossimo anno scolastico. Altre norme, altra burocrazia a bloccare le scuole che per altro cercano disperatamente di cambiare. Alle superiori si moltiplicano gli indirizzi, i programmi, le curvature. Ma l’organizzazione del tempo e degli spazi non si adegua e resta indietro. Sarà per il prossimo anno.Infatti   «Se possiamo insegnare l’inglese ai bambini delle elementari, perché non possiamo fare lo stesso con l’educazione emotiva ed  alla legalità ?». Gabriele Plumari, manager e autore di narrative psicopedagogiche, ha ben chiaro il tipo di approccio che, al giorno d’oggi, sarebbe indispensabile tra giovani e adolescenti. Nei suoi libri, infatti, l’autore affronta i drammi adolescenziali per proporre una rivoluzione educativa e culturale, ma che possa essere alla portata di tutti. «Si tratta di un’educazione non solo della mente, ma soprattutto del cuore» racconta Plumari: i suoi libri, "Paolo e i Quattro Mostri" e "10 – La Perfezione dell’Imperfezione" fanno

immergere i suoi lettori in un mondo vero e diretto, fatto di dolore, di sofferenza, ma anche di rinascita e speranza. Nel primo libro, Paolo cresce in un ambiente crudele, segnato da abusi sessuali, violenza fisica e bullismo. L’unico conforto è il cibo, che diventa il suo “quarto mostro”.Ma  potrebbero essere   anche  le  droghe e  lo  sballo  . Questi mostri, metafora delle sue dipendenze e traumi, lo accompagnano fino all’età adulta, trasformandolo in una persona che perpetua la stessa violenza subita. Ma grazie all’amore e al supporto, “le catene di odio” possono essere spezzate.  E  fenomeni come  violenza  di genere  e   femminicidio   debellare o ridurre  
Nel secondo libro, invece, si parla di Marta, un’adolescente brillante e disciplinata, che insegue la perfezione in ogni aspetto della sua vita: a scuola, nella danza e persino nel controllo del cibo. Cresciuta in una famiglia ossessionata dal successo e dall’apparenza, si trova schiacciata sotto il peso di standard irrealistici. È un viaggio tra pressioni sociali e complessità dell’adolescenza, ma che permette una profonda riflessione sul concetto di felicità. «I miei libri non sono semplici racconti – spiega Plumari – ma degli specchi che riflettono la realtà di oggi. Gli adolescenti devono affrontare sempre più drammi, e spesso si ritrovano ad “affogare” nella loro solitudine. Vorrei davvero che ci fosse un cambiamento, che può avvenire solo attraverso l’impegno di noi adulti». Dietro le sue storie, infatti, c’è un progetto più grande: il sogno di una rivoluzione educativa. Secondo Plumari, infatti, ci sarebbe la necessità di introdurre dei percorsi di educazione sentimentale nelle scuole, supportati dalla presenza di terapeuti che possano fungere da ponte tra insegnanti, genitori e alunni. «La nostra società è sempre più connessa, ma sempre più fragile – sottolinea l’autore – e i nostri ragazzi si ritrovano soli, i genitori e i docenti sono spesso impreparati ad affrontare le nuove sfide emotive. Vorrei un mondo in cui i problemi fossero prevenuti attraverso un cambiamento culturale e scolastico, in cui ogni bambino possa essere accolto e guidato verso una crescita emotiva consapevole». La sua scrittura evidenzia come una maggiore consapevolezza emotiva potrebbe prevenire molti dei drammi che popolano le cronache: suicidi, violenze, isolamento e disturbi psicologici.  

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Per Plumari, la chiave è formare una generazione capace di affrontare le difficoltà con empatia e resilienza, rompendo il ciclo di sofferenza che troppo spesso caratterizza la crescita. L’anima creativa del manager, inoltre, ha uno stile ben preciso, basato sulla semplicità e la chiarezza. «Vorrei raggiungere tutti, anche chi non legge abitualmente. Non mi interessa impressionare con lo stile. Mi interessa che il mio messaggio arrivi forte e chiaro, e che sia capace di sostenere i bambini più vulnerabili, di formare genitori più consapevoli e di aiutare gli insegnanti a gestire la complessità delle nuove generazioni. «Dietro ogni tragedia c’è l’opportunità di riscatto, e dietro ogni difficoltà si nasconde una possibilità di crescita», aggiunge Plumari, convinto che una rivoluzione “gentile” sia indispensabile, ma perfettamente attuabile. «Basta solo volerlo. Lo dobbiamo ai nostri ragazzi». 

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