22.6.19

è ancora possibile fermare l'odio e gli odiatori ? se si seguono tal esempi si .Gino Pasqualotto, storico campione dell’Hockey Club Bolzano e della nazionale azzurra di hockey su ghiaccio. ed altre storie



In un clima   d'odio    come quello Italiano e  d'analfabetismo funzionale  in cui questa  frase 


Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri.                                                                                                                                             Antonio  Gramsci  (  1891-1937 )
 è sempre   più   veritiera  ed    a passo con i tempi   soprattutto  dove   un ulteriore  caccia  alle  streghe   andata  in crescendo  dopo  l'11  settembre  2001    fatti   come questi   ,  ormai sempre   più radi ,  testimoniano di  come   che  ancora  ci sono   degli esempi     \  punti di riferimento  a  cui  aggrapparsi  e prende  spunto   in tale  lotta   contro l'odio   .  
Rispondendo    alla domanda     che  mi  sono posto  nel  titolo  dico che  : si può e si deve . Infatti oltre alla toccante storia ( a cui rimando il miei due post precedenti I II ) di Maria Grazia Carta mamma di Davide Marasco investito ed ucciso da un Albanese ubriaco e che fermamente s'è opposta e s'oppone ad ogni strumentalizzazione ed uso politico \ ideologico da parte di CasaPound ed affini della sua vicenda ci sono delle storie sia in ambito sportivo che in ambito culturale che qui mi accingono a riportare e commentare . 
La prima è quella di Gino Pasqualotto, storico campione dell’Hockey Club Bolzano e della nazionale azzurra di hockey su ghiaccio. 
Apro la solita rassegna stampa dei miei aggregatori di notizie per smartphone e leggo


E’ morto all’età di 63 anni, dopo lunga malattia, Gino Pasqualotto, storico campione dell’Hockey Club Bolzano e della nazionale azzurra di hockey su ghiaccio. In carriera il bolzanino ha vinto dieci scudetti e una Alpenliga. Poche settimane fa, durante una toccante cerimonia in sua presenza, nel Palaonda di Bolzano era stato dedicato un posso fisso alla sua maglia con i mitico numero «33». Grande la commozione dei tifosi sui social media.

Infatti per  curiosità  ,  consulto   il motore  di  twitter  , dove  i numerosi  post     di commozione     confermano     questo  breve e sintetico    post  . Cerco qualcos'altro   visto   che    si parla  di lui     come  uno di quelli   che   oltre  a lottare  contro  un male incurabile    ha  lottato con la sua attività sportiva  contro    l'odio ,   la  violenza  etnica   , nazionalistica  ,  e politica    dal  1945\6\ -1990   fra  tedeschi ed  italiani     fatta    di bombe  e di sangue  in Alto Adige  . Ecco   un articolo di repubblica  d'ieri   21 Giugno 2019



Il campione Gino che cancellò l'odio giocando a hockey

Bolzano in lutto per Pasqualotto: il tifo per lui unì italiani e tedeschi negli anni del terrorismo

Risultati immagini per gino pasqualotto
da  radionbc.it
Costruire una bomba è questione di chimica, e fisica. Per costruire l’odio ci vuole meno. Bastano le parole. L’odio etnico ne richiede pochissime, lo sappiamo. L’Italia ha conosciuto solo marginalmente il conflitto etnico, in un lembo di terra buffo a partire dal nome: Alto Adige Südtirol. Chi, oggi, conosce l’Alto Adige lo fa perché lo trova un luogo in cui passare le vacanze, farsi un selfie con una mucca o abbuffarsi di strudel, in cui l’odio etnico è roba da nostalgici fuori tempo massimo e libri di storia. La bomba non c’è più. È stata disinnescata con piccoli gesti che quasi mai si sono svolti sotto i riflettori. Tranne in un caso. Quelli del vecchio palazzetto del ghiaccio di via Roma, a Bolzano. Lì, di riflettori ce n’erano parecchi, tutti puntati sulla maglia numero 33, quella di Gino Pasqualotto, l’assassino che aveva un sorriso per tutti e che ha insegnato a un’intera città come si disinnesca la bomba dell’odio. 
Se cadevi, e giocando a hockey è facile farlo, Gino era pronto a rialzarti. Anche (e soprattutto) se gambe all’aria era stato lui a mandartici. Era uno che non le mandava a dire, il capitano. Riconoscibile per due motivi: per i baffoni e perché detestava il gioco sporco. L’hockey è uno sport duro, ma ha delle regole. Se le infrangi non sei un “furbo”, rischi di mandare all’ospedale (o peggio) il tuo avversario. Ma di furbi il mondo è pieno e se qualcuno andava troppo oltre le righe, dagli spalti di via Roma partiva il coro. «Gino! Gino! Punisci l’assassino!» da cui, per contrazione, il soprannome: Gino l’assassino. 
La sua carriera (dieci scudetti, più Mondiali e Olimpiadi) a cavallo fra gli anni Ottanta e primi Novanta si sovrappose al colpo di coda dell’odio etnico che colpiva Bolzano attraverso gli ordigni di Ein Tirol. Per Gino, che aveva esordito in serie A a 16 anni e a 17 aveva vinto il suo primo scudetto, esisteva solo l’hockey, se ne fregava dell’odio: Gino aveva avversari, non nemici. Se cadevi, lui ti alzava. E quando ti prendeva a spallate (a sportellate, come diciamo da queste parti) non chiedeva il certificato di nascita. Gino non lo sapeva, ma a un certo punto, sugli spalti, iniziarono a sentirsi lingue diverse. Tutti volevano vedere Crazy Horse, l’altro suo soprannome, in azione. 
E così, senza che nessuno se ne accorgesse, l’Hockey Club Bolzano divenne la squadra di tutti. La bomba era stata disinnescata da un tizio con i baffoni che, chiusa la carriera sportiva, divenne l’unico ausiliario del traffico al mondo a non aver mai ricevuto un insulto: chi si beccava la contravvenzione la teneva, felice di avere il suo autografo. Pochi mesi fa la sua maglia, la 33, è stata ritirata. Il 20 giugno, a soli 63 anni, anche Crazy Horse se ne è andato. Che poi, a pensarci bene, sembra quasi di sentirlo «Che dici bocia? Guarda che io giocavo a hockey, mica facevo politica». E infatti questo non è un necrologio, è un promemoria. Le parole che servono per costruire l’odio sono così poche da stare tutte in un tweet. Si disinnescano facile. Ce l’ha insegnato Gino l’assassino.




Luca D’Andrea è uno scrittore. Il suo ultimo libro è “Il respiro del sangue” (Einaudi 2019)


 le  altre  due   simili 







da   repubblica 


L'incoraggiamento è arrivato dai nipotini. "Capita la sera che leggiamo insieme delle storie - il sorriso di Domenico è intimidito dall'intervista inaspettata - E mi piace l'idea che ora siano orgogliosi di me e dei miei miglioramenti". L'ultima volta di Domenico Di Bartolomeo tra i banchi risale a quasi ottant'anni fa. "All'epoca si stava in quattro in un banco e si usava il calamaio al posto delle penne", ricorda il pensionato di Corato, che ha affrontato gli orali insieme ai suoi compagni di classe.
Licenza media a 83 anni per nonno Domenico: "Peccato non poter fare concorsi"
Obiettivo: conquistare a 83 anni la licenza media. "In una scuola, come la nostra, davvero speciale, che accoglie tutti", è la soddisfazione di Maria Pansini, docente di lettere di Domenico e dei suoi compagni di classe del Cpia 1 di Corato. In effetti il colpo d'occhio della foto di fine anno riscalda il cuore e riaccende le speranze. Nella scuola statale che garantisce a cittadini italiani e stranieri servizi e attività per l'educazione in età adulta, Domenico ha studiato italiano, matematica, scienze, francese e tecnologia, tutti i pomeriggi per un anno, dal lunedì al venerdì.
Il motto del Cpia 1 di Bari e delle sue sedi distaccate di Corato, Terlizzi, Bitonto e Molfetta, è infatti non solo alfabetizzare studenti adulti, ma promuovere la loro crescita personale, culturale, sociale e (perché no) anche economica, attraverso corsi di intregrazione linguistica e sociale e percorsi finalizzati all'acquisizione della licenza media. Per Domenico la licenza media è un traguardo e una nuova partenza. "Sto già affrontando qualche acciacco per l'età - ammette - non voglio che ceda anche il cervello, voglio tenerlo in funzione e sempre in allenamento". Quando ha bussato alle porte della scuola, Domenico aveva in tasca la licenza elementare e un passato da autista e da manovale, con una parentesi di vita in Germania.
"Non mi andava di passare tutte le sere a giocare a carte con gli amici - ricorda - ecco perché ho cominciato a studiare, quasi come un capriccio. Poi mi sono affezionato alla classe e alle insegnanti, che si sono dimostrate davvero comprensive". Un nonno, d'altronde, deve mettersi al passo coi tempi per stare dietro ai quattro nipotini, nativi digitali. "I bimbi di oggi sono tutti peperini - rilancia Domenico - e io non voglio essere da meno. Sono orgoglioso di sentirmi dire che sto migliorando nella pronuncia e coi verbi: non sarò diventato un professionista, ma almeno ora mi difendo".
Domenico è circondato dai colori di tutto il mondo. "Il primo della classe è Pepejean, uno studente universitario scappato dalla Costa d'Avorio - racconta la prof Maria Pansini - C'è una signora che è tornata a Corato dal Venezuela dopo i recenti disordini. E ancora, c'è Eduard che sa scrivere con ironia, c'è Aldo che ha 17 anni e ha scritto un tema simpatico descrivendo sua madre e Arcangela che ha scritto una toccante lettera a suo nonno che non c'è più. Ci sono Anna, Mario, Savino, Maria e Filippo che da genitori si sono messi in gioco ad una età non semplice per tornare tra i banchi di scuola. Donason e Abdul se la sono cavata con un italiano ancora incerto ma con l'impegno di chi vuole migliorare, Vincenzo è venuto a scuola con le mani screpolate dal duro lavoro in campagna, Tommaso arrivava dopo il turno in fabbrica, Giuseppe e Raffaele ora sperano in un lavoro migliore, più stabile. La sola nota stonata è stata non poter ammettere agli esami Yaya, purtroppo aveva il permesso di soggiorno scaduto".



da  https://www.coratolive.it/news/ giovedì 20 giugno 2019 di La Redazione
Prende la licenza media a 83 anni. Nonno Domenico: «L'ho fatto per i miei nipoti»
La storia - che arriva dalla sede distaccata del Cpia1, a Corato - ha fatto il giro del web






                              Nonno Domenico al centro della sua classe © n.c.


Una storia che scalda il cuore e che, in poche ore, è stata ripresa da diverse testate nazionali. L'ha raccontata Silvia Dipinto de La Repubblica, e riguarda il coratino Domenico Di Bartolomeo.
Nonno Domenico ha affrontato gli orali dell'esame di terza media alla veneranda età di 83 anni. Il motivo? Leggere le storie ai nipoti, ma non solo. «Non mi andava di passare tutte le sere a giocare a carte con gli amici - ha raccontato alla giornalista - ecco perché ho cominciato a studiare, quasi come un capriccio. Poi mi sono affezionato alla classe e alle insegnanti, che si sono dimostrate davvero comprensive».
A scuola c'era stato «quando si stava in quattro in un banco e quando al posto delle penne usavamo il calamaio». Dopo la licenza elementare ha cominciato a lavorare come manovale e come autista, passando parte della propria vita anche in Germania. Dopo la pensione è arrivata la voglia di migliorarsi. Ha studiato italiano, matematica, scienze, francese e tecnologia per un anno, fino agli esami.
Domenico sta conseguendo la licenza media a Corato, in una delle diverse sedi distaccate del Cpia 1 (Centro Provinciale per l'Istruzione degli Adulti) Bari, scuola statale. Un luogo dove si recupera il contatto con le lettere, le scienze e le arti e dove è possibile portare a termine il proprio percorso di studi. Il Cpia è anche uno scrigno pieno di storie da raccontare, come quella di Domenico.
Maria Pansini, terlizzese e insegnante di lettere, ha spiegato: «Siamo una scuola davvero speciale, che accoglie tutti». Nella classe con il signor Di Bartolomeo ci sono ragazzi che scappano da fame e persecuzioni, adolescenti, genitori che tornano a scuola per dare qualcosa in più ai loro figli, lavoratori che si mettono a studiare dopo aver passato un'intera giornata in fabbrica o in campagna o chi, dopo una vita di sacrifici, ha deciso di continuare ad arricchirsi. Come Nonno Domenico.










la seconda sempre dello stesso tenore ma più stupefacente avvenuta nella mia regione



Nonno Felicino diplomato alle scuole medie a 98 anni con 10. "E ora vado in vacanza""Ha il corpo e la mente di un ottantenne", racconta la figlia 


                                           MONIA MELIS






ARBUS. Anche per lui, come per i compagni (più giovani, di 84 anni) sono finalmente iniziate le vacanze. Ieri mattina è uscito dall'esame con il massimo: 10 su 10 e l'agognata licenza media. Oggi, per Salvatore Piredda – 98 anni lo scorso luglio – è un giorno di riposo nella sua Arbus, paese minerario della costa verde, nel sud ovest della Sardegna. È a casa della figlia Sandra, 60 anni, che di mattina presto gli ha letto le cronache locali: pagine e foto che raccontano la sua impresa. Ancora emozionato, risente un po' della tensione delle ultime settimane. Ma è davvero orgoglioso e contento; Felicino, appunto, come è noto a tutti. È questo, infatti, il nomignolo che gli ha affibbiato il padre da bimbo nella loro Pula, trenta chilometri da Cagliari, dove è nato nel 1921.
Niente (o poca scuola) per lui: a 13 anni ha dovuto seguire il fratello più grande nelle miniere di Montevecchio, tra le montagne del Sulcis, a scavar galena per ottenere piombo. Nel sottosuolo il baby minatore ha trascorso poco tempo, subito è passato alle officine meccaniche, sua passione rimasta tale per tutta la vita. A vent'anni, poi, il salto: le trincee della guerra lontano dall'isola dove tornerà - alle sue officine – solo cinque anni dopo. Per il resto una vita tranquilla, con gli ultimi anni da lavoratore trascorsi in una fabbrica tessile dopo la chiusura delle miniere; in mezzo il matrimonio con un'impiegata delle poste di Buggerru, tre figli, tre nipoti e due bisnipoti. Sempre con un cruccio: studiare; e un desiderio: il diploma di licenza media. "È un centenario con un corpo e una mente di un ottantenne – racconta la figlia al telefono del suo ufficio di assicurazioni – fino a qualche mese fa passeggiava per un chilometro circa, da sempre poi legge, si tiene informato, discute di qualsiasi argomento d'attualità anche ora". Niente cellulare per i problemi alla retina, ma segue con attenzione la tv.



                            unione sarda


I suoi testi preferiti negli anni? Quelli scolastici, di matematica e geometria. Poi, lo scorso settembre l'iscrizione, grazie alla disponibilità dell'Istituto comprensivo "Pietro Leo", alla dirigente Maria Antonietta Atzori, ai docenti. Nessun intoppo burocratico per la presenza di Felicino in aula tre volte a settimana, anzi lo stimolo continuo di aver un testimone reale di un'altra epoca. I 18 compagni l'hanno seguito con affetto, incoraggiato e da lui hanno ricevuto consigli e aneddoti preziosi: "Una classe straordinaria, i ragazzi lo abbracciavano e lo chiamavano nonno", racconta la figlia. Anche per lui le tre prove con l'orale di ieri sulla seconda guerra mondiale e il funzionamento di una miniera. Uno sguardo al passato, uno al presente e al futuro prossimo. Passato il caldo Felicino riprenderà a uscire: praticamente assenti ad Arbus i suoi coetanei (solo una donna di 104 anni), ma lui parla con tutti: dagli ottantenni in giù. E non mette ostacoli particolari davanti a sè. Nel cassetto c'è pure il sogno del diploma di perito meccanico, ma prima un po' di riposo.



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