Non sempre quando scegliere ( fra il concerto di Sorso, per paolo fresu 50 anni del 26 c.m paolo fresu e Uri caine e la pizzata fra amici , per la privacy niente foto ) ti pagano come dovrebbero , ma è un effetto collaterale della vita . Uno dei tanti mulini a vento , che non possiamo cambiare che dobbiamo accettare evitandoci di tormentarci con rimpianti e rimorsi inutili del tipo : << ahi s avessi scelto di'andar a qul concerto e rinunciare alla pizzata , ecc
Ripesando alla bellissima storia ,,erano anni che non ne leggevo di cosi intense , nella testa del killer di Dylan Dog n° 298 , non posso fare a meno di elucubrare su quanto ho letto sula pagina della cultura ( pag 160 ) del televideo rai
Senza padre, senza maestri, senza miti
I riferimenti che non funzionano più
di Rita Piccolini
Le notizie sono due: una buona e l’altra cattiva, entrambe le apprendiamo dallo studio del Censis presentato a Roma: “I miti che non funzionano più”, che ha concluso il ciclo di incontri realizzati nell’ambito dell’iniziativa:”Un mese di Sociale”.
Le notizie sono due: una buona e l’altra cattiva, entrambe le apprendiamo dallo studio del Censis presentato a Roma: “I miti che non funzionano più”, che ha concluso il ciclo di incontri realizzati nell’ambito dell’iniziativa:”Un mese di Sociale”.
Cominciamo da quella cattiva: l’analisi di Francesco Maietta, responsabile del settore Politiche sociali del Censis è precisa, puntuale, non lascia spazio a facili ottimismi. “L’eccesso di individualismo e di libertà di essere se stessi ad ogni costo ha infranto le figure simbolo dell’autorità: il padre, l’insegnante, il sacerdote”. Contemporaneamente, e questo può sembrare paradossale, anche i miti trainanti del soggettivismo che hanno portato all’archiviazione delle figure simbolo dell’autorità, riescono sempre meno a mobilitare gli italiani, e così cala la spinta acquisitiva attraverso i consumi, il fare impresa individuale, la fiducia in un benessere sempre crescente. E’ per questo che è diffusa la convinzione che i nostri figli non godranno del nostro stesso benessere economico. Il 34% degli italiani pensa che le prossime generazioni siano destinate ad avere uno status socio-economico peggiore del proprio, e ben il 67,5 % ritiene che in futuro l’Italia sarà meno benestante nel complesso.
Percepiamo in declino le dinamiche sociali che hanno ininterrottamente migliorato le nostre condizioni di vita, almeno finora, e questo non solo per la grave crisi che attanaglia la nostra economia almeno dal 2008, quando è esplosa negli Stati Uniti la bolla dei mutui “sub prime”, dilagando inesorabilmente in tutto il mondo, ma anche perché la cavalcata consumistica che ha prodotto il boom economico dagli anni Sessanta, protraendolo almeno nei trenta anni successivi, negli anni 2000 si è affievolita. Nel 2010 le famiglie italiane hanno avuto consumi ridotti in termini reali di 1.602 euro rispetto al 2007, come se le famiglie fossero rimaste senza consumare per circa 20 giorni ogni anno. E’ calata poi l’attrazione del “mai sotto padrone”. Tra il 2004 e il 2007 in numero di imprenditori è passato dal 400 mila a 260 mila, con una riduzione del 36%. Il numero di lavoratori autonomi con meno di 35 anni è diminuito negli stessi anni di almeno 500 mila unità.
A questa situazione economica non certo incoraggiante fanno da corona i sintomi di una minore coesione sociale rappresentata dalla crisi delle figure di riferimento. Il padre non rappresenta più le regole e il senso del limite all’interno delle famiglie e nel rapporto con i figli, e questo per più del 39% degli italiani, fino a toccare quota 45% tra i laureati, gli anziani e i residenti nelle grandi città. In compenso è più presente nella vita con i figli, non tanto per il coinvolgimento nei lavori familiari ( in media di due ore e 23 minuti al giorno per gli uomini che vivono con donne che lavorano) ma in termini di cura dei bambini. I giovani padri dedicano ai figli almeno un’ora e 24 minuti al giorno, rispetto ai 15 minuti appena dedicati ai figli dal 42% dei padri di venti anni fa. Questo tempo è riservato soprattutto al gioco. E’ bello questo dato, è importante, ma il padre “ludico” può incarnare i “no” che aiutano a crescere?
Poi ci sono gli insegnanti. Sempre più delusi, sempre più scoraggiati. Per le precedenti generazioni rappresentavano una sicurezza, anche quando venivano contestati. Spesso si sentiva dire dai più piccoli: “L’ha detto la maestra, l’ha spiegato il professore”. Rappresentavano comunque l’autorità. Ora c’è una profonda insoddisfazione per lo scarso riconoscimento sociale ed economico di questa importante professione. Secondo più dell’82% degli insegnanti non vengono realizzati gli obiettivi della scuola, il primo dei quali consiste nell’educazione ai valori e alle regole della convivenza civile. Gli alunni sono “maestri” nell’arte di arrangiarsi (per il 74% dei docenti), sono connotati da uno scarso senso civico ( per il 69%) e dal pressappochismo (il 68%) Per gli insegnanti neoassunti le principali problematicità della scuola sono relative alla promozione della motivazione allo studio; dal raggiungimento di risultati di apprendimento soddisfacenti; dal mantenimento della disciplina in classe. Senza contare che le famiglie non aiutano. Mai come ora si assiste a casi di genitori che attaccano i professori per un brutto voto dei figli, o perché assegnano i compiti a casa , o addirittura quelli per le vacanze, che ricorrono al Tar per una bocciatura, e mettono in discussione la validità dell’insegnamento del docente minandone l’autorevolezza. E questo capita sempre più spesso. Persino alle elementari. E’ interessante notare invece che nella società giapponese i maestri elementari sono considerati i più importanti e godono di una grande considerazione sociale, perché è nella prima infanzia che si imparano le regole del vivere insieme. Ma da noi sempre più la scuola è percepita come servizio sociale, che garantisca il tempo pieno, altrimenti i genitori come risolvono i problemi delle loro attività? Che forniscano un diploma finale, altrimenti come farà il ragazzo a lavorare?
E i sacerdoti? Non sono messi meglio. La morale è sempre più legata al pragmatismo e sganciata dai precetti della religione. Prevale nella società l’idea di una morale personale, anche tra coloro che si definiscono credenti. Basta soffermarsi sui dati per comprendere il fenomeno: il 78% degli italiani è favorevole all’uso di cellule staminali per fini terapeutici, il 67% alla procreazione assistita, il 53% alla fecondazione eterologa, il 50% alla diagnosi preimpianto, il 59% alla interruzione volontaria di gravidanza, il 53% all’uso della pillola abortiva. Quello che dice in proposito il sacerdote conta poco perché c’è un allontanamento etico complessivo dalla dottrina cattolica. Del resto lo si è visto nelle precedenti relazioni del Censis :il 63% degli italiani si ritiene che si possa essere buoni cattolici anche se non ci si adegua alla morale sessuale della Chiesa.
Analoga crisi si percepisce in ogni forma di leaership, anche nella politica, e con la crisi delle figure di riferimento l’individuo è rimasto solo.
Già Pier Paolo Pasolini aveva percepito la crisi profonda a cui andava incontro la nostra società, a causa dell’imborghesimento come processo socioeconomico centrato sulla corsa ai consumi. Lo scrittore negli anni Settanta parlò di “mutazione antropologica” come conseguenza del miracolo economico e del primo benessere. Cosa sarebbe stato della cultura contadina e dei suoi valori arcaici ma vitali a contatto con la società dei consumi? Quale sarebbe stata la conseguenza dell’onda lunga del soggettivismo su proletari e sotto proletari nelle grandi città? L’omologazione totale e la perdita di valori comuni di riferimento.
Allora la notizia buona dov’ è? In realtà ce la fornisce il professor De Rita, presidente, del Censis, nelle riflessioni finali a conclusione dell’intero ciclo di relazioni. Il nuovo che dovrà sostituire i miti caduti lo vediamo delineato appena all’orizzonte. Una certezza comunque c’è ed è che indietro non si torna. Se il padre gioca, la scuola crolla sotto il peso di troppi problemi, la morale è legata al pragmatismo, non si può pensare di ridare smalto a figure che sono ormai sbiadite agli nostri occhi. La verticalità nel sociale è sconfitta, si va verso l’orizzontalità. “La strada del recupero di autorità, passa attraverso l’orizzontalità e la valorizzazione delle relazioni”. Il padre c’è, gioca, ma fornisce un esempio di valori al figlio senza imporglieli. E’ testimone di se stesso e del proprio ruolo. Così nella scuola, nonostante il quadro deprimente appena dipinto, apprendiamo che per il 90 % degli insegnanti neoassunti in scuole di ogni ordine e grado è gratificante il rapporto personale con i ragazzi. E i sacerdoti? Il loro ruolo sociale è fondamentale, non per le rampogne dal pulpito ( che non esiste neanche più), ma per la loro assistenza ai malati del quartiere o del piccolo centro, per il presidio sociale che rappresentano per la comunità, per l’assistenza ai bisognosi soprattutto nelle grandi città, per il ruolo di coesione nei paesi, per le loro iniziative, dalle infiorate alle processioni.
Le relazioni interpersonali quindi ma in senso orizzontale. Verrebbe da dire: più autorevolezza, meno autorità. Tutto ciò che è verticale viene potato, in questo ci aiutano anche le tecnologie, diffondendo un sapere certo meno approfondito, ma sicuramente più alla portata di tutti. Una società più democratica, ma estremamente fragile e delicata perché mancano i punti di riferimento. Con chi prendersela in caso di crisi profonde? Ma ci sarà una rinascita lenta dei miti al tramonto. Il padre ritorna, in altre forme. L’evoluzione del sistema non si svolge attraverso la riproposizione del verticale, ma dando il tempo necessario all’orizzontale di rafforzarsi. E’ questa la via d’uscita che si può intravedere.
Dall’altra la nostra incompletezza ch non ci permette di vivere soli con noi stessi se non a costo di pagare un prezzo troppo alto ( cfr canzone d’apertura post e ma solitude ( video con testo ) di SERGE REGGIANI in canna in una vecchia musicassetta , regalatami dal prof di francese , delle superiori con le canzoni che ci faceva studiare a lezione
Poi ci sono gli insegnanti. Sempre più delusi, sempre più scoraggiati. Per le precedenti generazioni rappresentavano una sicurezza, anche quando venivano contestati. Spesso si sentiva dire dai più piccoli: “L’ha detto la maestra, l’ha spiegato il professore”. Rappresentavano comunque l’autorità. Ora c’è una profonda insoddisfazione per lo scarso riconoscimento sociale ed economico di questa importante professione. Secondo più dell’82% degli insegnanti non vengono realizzati gli obiettivi della scuola, il primo dei quali consiste nell’educazione ai valori e alle regole della convivenza civile. Gli alunni sono “maestri” nell’arte di arrangiarsi (per il 74% dei docenti), sono connotati da uno scarso senso civico ( per il 69%) e dal pressappochismo (il 68%) Per gli insegnanti neoassunti le principali problematicità della scuola sono relative alla promozione della motivazione allo studio; dal raggiungimento di risultati di apprendimento soddisfacenti; dal mantenimento della disciplina in classe. Senza contare che le famiglie non aiutano. Mai come ora si assiste a casi di genitori che attaccano i professori per un brutto voto dei figli, o perché assegnano i compiti a casa , o addirittura quelli per le vacanze, che ricorrono al Tar per una bocciatura, e mettono in discussione la validità dell’insegnamento del docente minandone l’autorevolezza. E questo capita sempre più spesso. Persino alle elementari. E’ interessante notare invece che nella società giapponese i maestri elementari sono considerati i più importanti e godono di una grande considerazione sociale, perché è nella prima infanzia che si imparano le regole del vivere insieme. Ma da noi sempre più la scuola è percepita come servizio sociale, che garantisca il tempo pieno, altrimenti i genitori come risolvono i problemi delle loro attività? Che forniscano un diploma finale, altrimenti come farà il ragazzo a lavorare?
E i sacerdoti? Non sono messi meglio. La morale è sempre più legata al pragmatismo e sganciata dai precetti della religione. Prevale nella società l’idea di una morale personale, anche tra coloro che si definiscono credenti. Basta soffermarsi sui dati per comprendere il fenomeno: il 78% degli italiani è favorevole all’uso di cellule staminali per fini terapeutici, il 67% alla procreazione assistita, il 53% alla fecondazione eterologa, il 50% alla diagnosi preimpianto, il 59% alla interruzione volontaria di gravidanza, il 53% all’uso della pillola abortiva. Quello che dice in proposito il sacerdote conta poco perché c’è un allontanamento etico complessivo dalla dottrina cattolica. Del resto lo si è visto nelle precedenti relazioni del Censis :il 63% degli italiani si ritiene che si possa essere buoni cattolici anche se non ci si adegua alla morale sessuale della Chiesa.
Analoga crisi si percepisce in ogni forma di leaership, anche nella politica, e con la crisi delle figure di riferimento l’individuo è rimasto solo.
Già Pier Paolo Pasolini aveva percepito la crisi profonda a cui andava incontro la nostra società, a causa dell’imborghesimento come processo socioeconomico centrato sulla corsa ai consumi. Lo scrittore negli anni Settanta parlò di “mutazione antropologica” come conseguenza del miracolo economico e del primo benessere. Cosa sarebbe stato della cultura contadina e dei suoi valori arcaici ma vitali a contatto con la società dei consumi? Quale sarebbe stata la conseguenza dell’onda lunga del soggettivismo su proletari e sotto proletari nelle grandi città? L’omologazione totale e la perdita di valori comuni di riferimento.
Allora la notizia buona dov’ è? In realtà ce la fornisce il professor De Rita, presidente, del Censis, nelle riflessioni finali a conclusione dell’intero ciclo di relazioni. Il nuovo che dovrà sostituire i miti caduti lo vediamo delineato appena all’orizzonte. Una certezza comunque c’è ed è che indietro non si torna. Se il padre gioca, la scuola crolla sotto il peso di troppi problemi, la morale è legata al pragmatismo, non si può pensare di ridare smalto a figure che sono ormai sbiadite agli nostri occhi. La verticalità nel sociale è sconfitta, si va verso l’orizzontalità. “La strada del recupero di autorità, passa attraverso l’orizzontalità e la valorizzazione delle relazioni”. Il padre c’è, gioca, ma fornisce un esempio di valori al figlio senza imporglieli. E’ testimone di se stesso e del proprio ruolo. Così nella scuola, nonostante il quadro deprimente appena dipinto, apprendiamo che per il 90 % degli insegnanti neoassunti in scuole di ogni ordine e grado è gratificante il rapporto personale con i ragazzi. E i sacerdoti? Il loro ruolo sociale è fondamentale, non per le rampogne dal pulpito ( che non esiste neanche più), ma per la loro assistenza ai malati del quartiere o del piccolo centro, per il presidio sociale che rappresentano per la comunità, per l’assistenza ai bisognosi soprattutto nelle grandi città, per il ruolo di coesione nei paesi, per le loro iniziative, dalle infiorate alle processioni.
Le relazioni interpersonali quindi ma in senso orizzontale. Verrebbe da dire: più autorevolezza, meno autorità. Tutto ciò che è verticale viene potato, in questo ci aiutano anche le tecnologie, diffondendo un sapere certo meno approfondito, ma sicuramente più alla portata di tutti. Una società più democratica, ma estremamente fragile e delicata perché mancano i punti di riferimento. Con chi prendersela in caso di crisi profonde? Ma ci sarà una rinascita lenta dei miti al tramonto. Il padre ritorna, in altre forme. L’evoluzione del sistema non si svolge attraverso la riproposizione del verticale, ma dando il tempo necessario all’orizzontale di rafforzarsi. E’ questa la via d’uscita che si può intravedere.