1.1.22

Caffè, il più clamoroso equivoco gastronomico d'Italia ?


premetto   che  a  causa  di problemi   d'ipertensione   e   gastro intestinali   posso bevo caffe  d'orzo ( o quando non lo trovo decaffeinato  )  o  d'estate  nelle feste   fregandomene caffe  normale  o   creme  caffè  o  caffè  shakerato  e quindi  non  sono  un  grande   consumatore  o lavoro nel settore   . Ma  da quello che    vedo  e  dai rapporti  con  amici \ che barman  ... ehm...  baristi  o proprietari di bar un  fondo  di verità nell'articolo che  propongo  c'è .

da   repubblica  del 26\7\2021

L'Italia, l'Italia tutta intera, ha un grandissimo problema irrisolto col caffè. Ma come nei più classici psicodrammi, non se ne rende conto e non lo ammetterà mai a se stessa. Non ancora, per lo meno.





L'Italia, l'Italia tutta intera, ha un grandissimo problema irrisolto col caffè. Ma come nei più classici psicodrammi, non se ne rende conto e non lo ammetterà mai a se stessa. Non ancora, per lo meno.



DAVVERO IL CAFFÉ ITALIANO E’ IL MIGLIORE DEL MONDO? (NO!)


Una comunicazione errata e in cattiva fede, una retorica superficiale, elementi di goffo sciovinismo, forme passivo-aggressive di machismo ci hanno convinti di consumare il miglior caffè del mondo. Da Napoli a Trieste siamo persuasi che il nostro espresso sia buono, fatto come si deve, ortodosso. Mentre quello di tutti gli altri paesi che ci circondano, dalla Francia alla Germania passando dal Regno Unito è una brodaglia imbevibile. Da prendere in giro stile tifo calcistico.Non siamo nazionalisti in nulla, sconosciamo le vere peculiarità, unicità, storia, eccellenze del nostro paese ma su determinate merceologie alimentari (pizza, pasta asciutta e appunto il povero caffè) diventiamo alfieri della purezza della nazione. E manco a dire che la buttiamo sulla cultura considerato che al caffè (e ai caffè, intesi come locali) il mondo intellettuale italiano deve moltissimo. Macché: in Italia siamo proprio convinti che la tazzina di caffè nostrana sia davvero il meglio quanto a sapore e profumo. Peccato che per i motivi che andremo a sviscerare, beviamo tra i caffè più mediocri d’occidente.

Vera la prima parte ed parte la seconda ma ciò dipende da




come dice quest articolo del https://www.corriere.it/

IL SEGRETO DELLA TOSTATURA ITALIANA

Che sia filtrato, preparato con la moka, con la caffettiera napoletana, o il classico espresso del bar, il caffè è diventato uno dei simboli del made in Italy e, senza timore di smentita, uno dei piaceri preferiti dagli italiani, sempre alla ricerca del caffè perfetto. Tanto che i palati più esigenti hanno colto l’importanza di tornare a consumare anche in casa il caffè in grani che, se macinato al momento della preparazione, sprigiona tutto il suo aroma e i suoi benefici, salvaguardando in pieno il complesso organolettico di ogni chicco. Ma prima di tutto, va ricordato che dietro il segreto dell’intenso profumo e del gusto vellutato del caffè italiano c’è la sapienza dei nostri torrefattori, che rappresentano l’eccellenza artigiana nella lavorazione del caffè. Al metodo di tostatura italiana, cosiddetta “intensa”,


Però giustamente     sempre   secondo   repubblica   
L'Italia, l'Italia tutta intera, ha un grandissimo problema irrisolto col caffè. Ma come nei più classici psicodrammi, non se ne rende conto e non lo ammetterà mai a se stessa. Non ancora, per lo meno.



DAVVERO IL CAFFÉ ITALIANO E’ IL MIGLIORE DEL MONDO? (NO!)


Una comunicazione errata e in cattiva fede, una retorica superficiale, elementi di goffo sciovinismo, forme passivo-aggressive di machismo ci hanno convinti di consumare il miglior caffè del mondo. Da Napoli a Trieste siamo persuasi che il nostro espresso sia buono, fatto come si deve, ortodosso. Mentre quello di tutti gli altri paesi che ci circondano, dalla Francia alla Germania passando dal Regno Unito è una brodaglia imbevibile. Da prendere in giro stile tifo calcistico. Non siamo nazionalisti in nulla, sconosciamo le vere peculiarità, unicità, storia, eccellenze del nostro paese ma su determinate merceologie alimentari (pizza, pasta asciutta e appunto il povero caffè) diventiamo alfieri della purezza della nazione. E manco a dire che la buttiamo sulla cultura considerato che al caffè (e ai caffè, intesi come locali) il mondo intellettuale italiano deve moltissimo. Macché: in Italia siamo proprio convinti che la tazzina di caffè nostrana sia davvero il meglio quanto a sapore e profumo. Peccato che per i motivi che andremo a sviscerare, beviamo tra i caffè più mediocri d’occidente.
Questo malinteso ha spiegazioni culturali, sociali e antropologiche nelle quali non entreremo, ci limiteremo a spiegare però che gli elementi per giustificare questo senso di superiorità semplicemente non esistono. Anzi, proprio a cagione di questa spocchia in Italia si beve attualmente il peggior caffè del mondo. Il motivo è che questo atteggiamento dei consumatori (orgoglioso ma al contempo impreparato, ignorante, miope) viene volentieri cavalcato dalla filiera per massimizzare i margini di guadagno a detrimento della qualità. Consumatori che comprano prodotti scadenti e sono pure contenti, nessuna industria chiederebbe di meglio…





TUTTE I FALSI MITI SUL CAFFÉ

Il caffè, insomma, è il più grande equivoco, il più clamoroso malinteso gastronomico italiano. Siamo avvinghiati alle nostre certezze, ma la verità è l'esatto opposto. E continuiamo a scambiare i difetti del prodotto per pregi. Qualche esempio? Con automatismo quotidiano zuccheriamo il caffè pensando la cosa sia normale, ma una bevanda che per essere bevibile ha bisogno di edulcoranti è una bevanda che ha dei problemi e che ci crea dei problemi costringendoci ad assimilare etti di dannoso saccarosio ogni mese. Siamo convinti che il colore del chicco di caffè sia nero, come quello che vediamo nelle campane trasparenti al bar, mentre la tostatura ottimale è marroncino tenue: è nero perché abbrustolendolo si eliminano tutti i difetti (e i pregi) appiattendo il sapore a quel caratteristico aroma di carbone. Tostando il caffè in quel modo i torrefattori sono così nelle condizioni di comprare partite di prodotto scadente, fallato, acerbo. Spuntando prezzi bassissimi e massimizzando i margini. Siamo convinti che il caffè debba costare 0,80 centesimi, al massimo un euro. Se il prezzo sale gridiamo al furto e cambiamo bar. Non ci rendiamo conto che ogni caffè sottoprezzo (sotto i 2 euro è sempre sottoprezzo, non a caso in tutto il resto del mondo il corrispettivo quello è) genera sfruttamento, lavoro nero, sofferenza in tutta la filiera, dalla piantagione fino al bar. Al nostro bancone di fiducia una tazzina può venire via a pochi centesimi solo se dietro c'è un barista sottopagato, mai formato, assunto al nero, sfruttato. E così consideriamo inaccettabile spendere il giusto per un caffè, ma poi giriamo l’angolo e andiamo a manifestare a favore della sostenibilità e dei diritti...





Altri paradossi? Siamo convinti che il caffè faccia male. Ma il caffè è un semplice frutto tropicale, come può “far male”? La caffeina agisce sul sistema nervoso, è vero, ma il tenore di caffeina è alto se il caffè proviene da una filiera agricola non idonea. La caffeina è una reazione dell’alberello del caffè contro parassiti e altre anomalie. Se dunque il caffè viene piantato e allevato in condizioni ottimali di caffeina ne produce una quantità normale. Sulla caffeina poi i luoghi comuni si sprecano, come quello che vuole il caffè ristretto più ‘forte’ di uno lungo: ma la caffeina è solubile nell’acqua, quindi un caffè filtro ha più caffeina di un espresso che ha a sua volta più caffeina di un ristretto. Insomma, un grovighlio di false credenze, supersatizioni e malintesi che si ripetono ogni giorno per milioni di volte e impediscono a questa merceologia di evolvere come meriterebbe.





E poi c’è il gusto. In Italia abbiamo la certezza che la tazzina di caffè abbia quel sapore lì. Proprio quello lì: di carbone. Non è così: il sapore del caffè è altra cosa. Alle volte si avvicina ad una densa spremuta di frutti rossi, a volte al sentore pungente degli agrumi, talvolta addirittura ai profumi fermentati del vino o certe tipologie intense di the. Quella bevanda che abbiamo banalizzato e trasformato in una sorta di medicina da trangugiare velocemente in piedi, non è più caffè: è una estrazione di chicchi bruciati, carbonizzati da un trattamento dozzinale. Ovvio che poi “il caffè fa male”…



COME FAR USCIRE IL CAFFÉ DALLA BANALIZZAZIONE?

Ovviamente non tutte le tazzine sono così. Ci sono dei bar che cercano di lavorare con un pizzico di attenzione in più, ci sono tostatori più attenti che selezionano la materia prima, ci sono perfino grandi torrefazioni industriali che hanno annusato l’aria e stanno debuttando nell’universo del caffè sostenibile e di ricerca. La prima resistenza viene però dalla clientela che negli anni (il rito del caffè espresso al bar è relativamente recente) si è assuefatta. Tuttavia altre merceologie ci raccontano che atteggiamenti conservatori in ambiti che sembravano immutabili possono modificarsi rapidamente. E’ avvenuto col vino a partire dagli anni Ottanta, poi con la birra e il boom delle artigianali, infine col pane da un lustro a questa parte. Anche l’olio ci sta provando così come l'aceto. E pensate alla pizza: fino a vent’anni fa una pizza era una pizza, ora sappiamo vita morte e miracoli del lievito e ogni dettaglio sul mugnaio che si è occupato della farina… Tutti prodotti che erano banalizzati all’inverosimile e che sono in via di rinascita all’insegna di una nuova consapevolezza e attenzione da parte di chi produce, compra, consuma. Il caffè riuscirà a prendere lo stesso sentiero? Riuscirà a conquistare la dignità che oggi non ha nei consumi domestici e in quelli fuori casa? Per provare a rispondere alla domanda abbiamo coinvolto alcuni tra i più importanti esperti del settore in Italia: torrefattori, baristi, formatori, imprenditori, cuochi. Fanno parte a vario titolo di quella che nel mondo è chiamata la "Terza Ondata" del caffè, il movimento quasi ventennale che punta a togliere questo alimento dal cono di banalità in cui è precipitato. Sono gli alfieri dello “specialty coffee”, un modo completamente diverso di vedere il caffè e l’universo che gli gira attorno. A Loro abbiamo chiesto un parere sulle responsabilità di questa situazione e idee su come si possa uscirne.




IL PARERE DI ANDREJ GODINA

Esperto di caffè, autore di numerosi libri, formatore

Uno dei motivi per cui il settore è rimasto indietro è che le torrefazioni ad un certo punto, tra prestiti e comodati d’uso di macchinari, sono diventate delle società finanziarie che guadagnano più dagli interessi che dal prodotto. E dunque il prodotto conta meno: conta solo il margine di guadagno. Il caffè è una pura commodity. Incredibile anche l’omogeneità del prezzo della tazza. Miscele scarse e caffè di buona qualità 100% arabica alla fine costano pressoché la stessa cifra. Sarebbe possibile nel vino avere calici tutti a prezzo omologato indipendentemente dalla provenienza? Il prezzo della tazzina va diffrenziato, questo servirà a comunicare al consumatore che esistono delle articolazioni, che esistono alcuni caffè che sono specialties e altri che non lo sono e costano meno. E infine una nota sui baristi: finché saranno sottopagati e non formati non se ne uscirà. Spesso chiedo al barista la marca di caffè che sta servendo: neppure quella conosce, figuriamoci il resto. Tra l’altro rispetto ad altre filiere, il barista è strategico: nella filiera del vino il sommelier stappa e serve un prodotto preparato da altri, idem con olio, il cioccolato. Nella filiera del caffè l’ultimo protagonista della filiera ha lui il compito di preparare e trasformare. Dunque ha il massimo della responsabilità e il minimo della responsabilizzazione: questo ruolo si deve trasformare radicalmente.



IL PARERE DI DARIO FOCIANI

Barista e torrefattore a Roma con Faro

Non dimentichiamoci che c’è stata una grande disinformazione diffusa. Che ha permesso di fare marginalità di guadagno clamorose alle torrefazioni. E così abbiamo infilato nella testa delle persone il fatto cheil caffè è un prodotto semplice, banale; quindi chi apre una caffetteria di ricerca non riesce a convincere i consumatori che la tazzina non si può pagare un solo euro e il break even diventa un miraggio. Questi prezzi generano sfruttamento. E, attenzione, sfruttamento non soltanto agricolo nei paesi in via di sviluppo: sfruttamento anche di chi sta al bancone. E se per miracolo tutti sono messi in regola, quel bar avrà costi fissi così alti che non potrà andare a ricercare la qualità.
Il caffè sconta un consumo “istantaneo”, che dura pochi secondi, richiederebbe molta attenzione ma gliene viene dedicata pochissima e per un intervallo di tempo minimo. Così come viene dedicata poca attenzione in generale alla colazione. Un pasto bistrattato che assomma mediocrità a mediocrità: riflettiamo sulla qualità media di cornetti e brioche. Non aiuta, infine, la nostra dieta mediterranea che non prevede tanti sapori acidi a differenza del nord Europa e quindi ci fa consideare estranei i profumi dei caffè pià ricercati.
Una proposta? Le associazioni che si dedicano al caffè specialty si occupino un po’ meno di gare e competizioni e un po’ più di formare il consumatore medio!





IL PARERE DI FRANCESCO SANAPO

Barista e torrefattore a Firenze con Ditta Artigianale

Io credo davvero che lo specialty sia il futuro del caffè e dell’industria del caffè. Dietro a questa parola non c’è solo un prodotto di qualità, ma c’è sostenibilità. Lo specialty è l’unico prodotto che può garantire evoluzione ai popoli dei paesi tropicali dove si coltiva caffè. Lo specialty è l’unico comparto dell’industria del caffè che non genera povertà nella filiera. Come si fa a pensare che ogni tazzina che serviamo generi povertà? E poi stare nell’ambito dello specialty permette di riconoscere la vera professionionalità del barista e una nuova rinascita delle caffetterie. Puntare sullo specialty significa ringiovanimento di tutta la filiera anche per quanto riguarda l’ospitalità a 360 gradi. Chi propone specialty ha necessariamente attenzione maniacale in tutto: dalla musica alle luci, dal design al benessere complessivo dell’ospite. Cambia proprio il paradigma di un settore che è abituato a lavorare solo sulla quantità e mai sulla qualità.
Come si fa? Bisogna dar valore alla tazzina e modificare l’attitudine di come si è bevuto in caffè fin’ora ovvero come fosse un farmaco. Comunicando con i consumatori e spiegandogli che bere tazzine di caffè a 1 euro è, semplicemente, uno scandalo.


 e  proprio   mentre  finisco  di  fare il cute  \  paste  (  il classico  copia  ed  incolla  )   parte   conme  se  fosse qualcosa  di prestabilito   dalla  mia play  list    di  Spotify   questa  canzone  

  co  questo è  tutto  al  prossimo post 

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