24.9.12

stranezze carcerarie italiane [ «Ho scritto a Boe e il sistema carcerario è andato in tilt» Martha Pulina, da Sassari a Bologna a Edimburgo: laurea a 22 anni con una tesi sull’Asinara e la doppia punizione delle carceri speciali ]


La storia   che  vi riporto  ,  cari amici  vicini e lontani ,  è oltre che  simbolo  delle paure  esagerate   che stanno colpendo   e violando  diritti ,  rendendo  difficile  il  dialogo   con la  scusa  della sicurezza e  con l'esasperazione  del terrorismo in particolare  dopo l'11 settembre  2001  .
Ecco un'assurdità  del sistema   carcerario italiano . Ma  andiamo con ordine  e lasciamo che a parlare siano i fatti  

 dalla nuova sardegna LUNEDÌ, 24 SETTEMBRE 2012 Pagina 13 - Sardegna .

di Chiaramaria Pinna 

«Ho scritto a Boe e il sistema carcerario è andato in tilt» Martha Pulina, da Sassari a Bologna a Edimburgo: laurea a 22 anni con una tesi sull’Asinara e la doppia punizione delle carceri speciali 


SASSARI Una lettera. Sono bastate poche righe per scuotere, in una giornata grigia come solo a Milano sanno essere, il carcere di massima sicurezza di Opera e mettere in allarme l’intero dicastero di Grazia e Giustizia: la madre di una studentessa universitaria di Sassari aveva scritto a Matteo Boe mandando in tilt il sistema penitenziario. « Sono Antonella Cabiddu, ti ricordi di me? Abbiamo frequentato l’Istituto agrario di Nuoro insieme. Ora mia figlia vorrebbe intervistarti perché prepara la tesi di laurea sugli istituti di pena speciali. Le interesserebbe parlare dell’Asinara...». Boe replica «ne 
martha  Pulina 
sarei felice». Un po’ meno lo sono stati i funzionari del Ministero che hanno intercettato la missiva. Così poche ore dopo i carabinieri hanno bussato alla porta del preside della facoltà di Agraria di Sassari, Giuseppe Pulina, per sapere se avesse a che fare con una giovane di nome Martha (nome evocativo  foto  a  destra  ) «perché, sa, si è messa in testa di intervistare i detenuti e che detenuti! Abbiamo intercettato una lettera, indirizzata a Matteo Boe.... e se fosse un messaggio in codice?» Sì, quella Martha è Martha Pulina, 22 anni, timida, riservata, occhi chiari che cambiano colore se il cielo si rannuvola. Voleva conoscere l’esperienza di chi sconta una pena moltiplicata al quadrato: in carcere e per di più in un istituto di massima sicurezza. Una pena nella pena. Matteo Boe le è sembrato il modello perfetto e la coincidenza dell’antica conoscenza con la madre un’occasione irripetibile da non farsi sfuggire. « Studiavo filosofia a Bologna, e durante la lezione una docente citò un episodio accaduto a Trieste: una contestazione organizzata nel ’77 nel manicomio che stava per essere chiuso, i gruppi dell’area dell’Autonomia che cominciarono a gridare “vogliamo Basaglia all’Asinara...” Tutto questo mi ha scosso e incuriosito», spiega Martha. Tanto che l’Asinara è entrata di prepotenza nella sua tesi in Storia contemporanea, relatrice la professoressa Valeria Babini. Titolo: «Il carcere del’Asinara: la doppia punizione». Una doccia corroborante per la commissione sonnacchiosa abituata a sentire discutere di Schopenhauer e Nietzsche. Martha era riuscita a coniugare l’ingombrante passato con le sfide della modernità. 
Basaglia? Chi era costui...? «Non sapevo chi fosse, nemmeno dei manicomi chiusi sapevo nulla, neppure delle carceri speciali. A scuola non si studia quanto è accaduto pochi anni prima anche se ha dato una svolta alla storia e alla nostra vita». 
L’argomento della tesi ha segnato la sua carriera di studente? 
«Solo in parte. Volevo capire qual’è l’impatto psicologico che la detenzione, in un carcere su un isola, ha sui detenuti. L’Asinara è stato l’esempio pragmatico, e l’idea di intervistare Boe mi sembrava ottima dal momento che con Salvatore Duras è stato l’unico a riuscire ad evadere. Ecco, seguendo il concetto del carcere di massima sicurezza, e per giunta su un’isola, è nato il progetto di studiare la sofferenza procurata dal doppio isolamento, il primo provocato dalle mura, il secondo dalla collocazione, lontano dal consorzio umano».
Perché ha scelto l’Università di Bologna? 
«Per scoprirmi, mettermi in gioco lontano dal nido. Scegliere di specializzarmi in Storia della psicologia carceraria è stato un caso. Sono andata via perchè temevo che la provincia prosciugasse l’energia vitale per costruire il futuro, volevo crescere, misurare le forze, l’ intelligenza. Al liceo prendevo anche 4. Sapevo che non era il mio voto ma non mi sentivo motivata. Ho deciso da sola, dopo la maturità, che volevo studiare seriamente, e ho scoperto che è bellissimo, e più conosco e più ho voglia di sapere. Chi studia è più ricco». Il ricordo del liceo «Piatto, ed è coinciso con un momento in cui avevo bisogno di manifestare la rabbia che portavo dentro, un sentimento comune a molti adolescenti che provano d’improvviso i primi dispiaceri, e scoprono la paura. Manifestavo la ribellione così, camuffandomi, vestendo punk. E più la gente si stupiva e più mi piaceva stupire. Sapevo che ero oggetto di sterili chiacchiere...». 
Sassari le stava stretta
«La banalità, la ripetitività, mi toglievano il respiro. Studiavo in biblioteca e le ragazze si alzavano continuamente per uscire a fumare, per andare al bar, parlavano di vestiti e trucco. Non c’era condivisione. Così ho scelto di allontanarmi. L’Alma Mater di Bologna, la più antica delle Università dell’Occidente è stata la meta: studio dalle 8 alle 13, pausa pranzo e ancora studio dalle 15 alle 21. In questa città nessuno fa caso a come vesti, non ti giudicano. Per stare in biblioteca va benissimo una tuta morbida. Anche questa è libertà».
  Riuscire a sottrarsi all’influenza del branco e ai condizionamenti sociali a 17, 18 anni non è facile 
«E invece è andata così. Mi sono laureata che ne avevo 22, ho frequentato un master a Edimburgo per imparare bene l’inglese e proseguire gli studi di specializzazione sostenendo tre esami, latino, storia greca e sociologia che ho superato con il massimo dei voti ottenendo il certificato Ects (l’European credit transfer and accumulation system consente comparazioni internazionali sulla preparazione degli studenti) che mi permetterà l’iscrizione diretta all’Università di Edimburgo. Ho appena finito le vacanza, ma ho lavorato. I genitori mi aiutano pagando l’affitto, per il resto faccio da sola. Ho portato il mio curriculum in giro nei negozi, nei bar e nei ristoranti di Edimburgo, mi ha chiamato un italiano. Prendevo prenotazioni nel suo locale chic e controllavo che il servizio ai tavoli. Con i guadagni mi mantengo e ho fatto due viaggi. Ho lavorato anche durante un soggiorno a Orosei: ho insegnato l’inglese, quanto basta, a chi ha bisogno di poche parole, magari per un approccio in spiaggia. Era un gioco». 
Il prossimo obiettivo qual è?
«Dodici mesi sui libri per dimostrare che sono all’altezza di un dottorato di ricerca in Storia e teoria della psicologia applicata. Dovrò studiare statistica, frequentare gli archivi delle case di cura, un lavoro che fino a questo momento non è stato mai affrontato e il cui risultato anche per questo sarà importante». E’ una sfida «Sì, e non sarà facile, però non mi spaventa perché fa parte del mio percorso e sarà uno stimolo, non un peso». Un ricordo degli anni lontani, ma vicinissimi, da ribelle... punk. «L’ultimo giorno con gli anfibi mi sono detta che stupida..., getto la vita e invece devo andare avanti e non ripiegarmi su me stessa».
  I suoi amici di oggi?
«Quando sono arrivata a Bologna ho legato solo con due persone: una ragazza sarda e un siciliano. Non è facile vivere dove non si hanno radici. Certo, se passassi il tempo al bar stringerei molte conoscenze, ma non quelle che mi interessano. Oggi ho contatti con colleghi di ogni parte del mondo, e questo è bellissimo perché mi fa sentire cittadina ovunque ed è servito per maturare, così come stare lontano da casa e avere un obiettivo mi ha insegnato che per raggiungere una meta bisogna partire dall’ultimo scalino, essersi confrontato anche con la più umile delle realtà» 
Ha paura di scontrarsi con il precariato e la mobilità?Il premier dice che il posto fisso è una noia, il ministro Profumo bolla chi si laurea in ritardo “sfigato”, i fuori corso saranno giustamente tartassati.
«La verità è che sulla mobilità in Italia si specula molto. Qui a Edimburgo non viene vissuta come un problema perché è applicata in maniera corretta e la gente non la vive come un handicap ma come un’occasione vera per cambiare, perché le opportunità ci sono realmente in quanto sono state le istituzioni a crearle». 
Dove vorrebbe lavorare? 
«In Italia. Per ora devo decidere dove terminare gli studi: Scozia o Canada. Devo valutare. Intanto, quando ho tempo per sognare, penso al viaggio in Cina».


Ora  molti , non sardi  in particolare  , si chiederanno chi era Matteo Boe . Ecco  qui  sempre  dalla Nuova  Sardegna  del  24  \9\2012    sunto  su  di Lui  ma  per chi volesse approfondire  qui trova ulteriori news compresa la morte della figlia

                                                L’isola bunker da cui scappò la primula rossa



Matteo Boe
Arrestato e condannato a 16 anni per il sequestro di Sara Niccoli, Boe riuscì insieme al complice Salvatore Duras, a fuggire dal super carcere il primo settembre 1986 su un gommone, con l’aiuto della sua compagna. Per questa evasione si vide infliggere altri 4 anni.Nel 1988 fu coinvolto nel sequestro dell'imprenditore romano Giulio De Angelis, rapito in Costa Smeralda il 12 giugno e liberato dopo il pagamento di 3 miliardi di lire come riscatto.Da latitante viene indicato come uno degli artefici del sequestro del piccolo Farouk Kassam al quale
come a De Angelis, fu inflitta anche l’amputazione dell’orecchio. Il 13 ottobre 1993 lo arresta la polizia francese a Porto Vecchio in Corsica, dove è in vacanza assieme alla compagna Laura Manfredi e ai due figli Luisa e Andrea. Trasferito in carcere a Marsiglia, sotto accusa per possesso d'armi e dichiarazione di false generalità, sarà formalmente indicato dalla magistratura italiana come uno dei mandanti e degli esecutori del sequestro Kassam, motivo per il quale viene formulata la richiesta di estradizione. Nel 1995 viene estradato per il processo relativo al sequestro del bambino: è stato condannato nel 1996 a venti anni

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