22.10.10

le donne hanno più dignità di noi ?

Leggendo   queste due storie    che troverete nele righe suiccessive  mi chiedo canticchiando questa canzone autocritica   di Bennato




se le donne  , oltre che in amore  sono più forti di noi uomini e che forse non sarà per  quiesto che i maschi (  ovviamente senza  generalizzare  )  fustranti  ed  incapaci  di reagire al di fuori della tv , almeno per  ora    come  dimostra  il documentario il corpo dellle donne ,  citato  su  queste pagne ( , ora  anche sito internet  ed  un   un libro     ) culturalemente alla perdita  del  loro  dominio  reagiscono  copn violenza   ?
 Adesso le storie .


La prima



Ieri 21\10\2010  Nel bar  ,   quello in cui vado  do solito  è chiuso per ferie  , fra  i giornali  oltre  quelli locali ed il corriere della sera   , c'era il  giornale  (    la velina   del governo ) e da tale  copia   da me acquistata  online   ( a dmostrrazione che  non sono  mentale   chiuso  ,  o comunista  come  mi definiscono   a destra o fascista  a sinistra  ) , perché  spesso capita  che anche  gli organi governativi  ( per  non cadere nel volgare  e  per mantenermi  nel rispetto di voi lettori\lettrici  o utenti  )  ci sia  fra tante veline  deglia rticoli interessanti  . Infatti sfogliandolo ,  passando oltre  gli editoriali e le pagine politiche  interne  , faziose i oltre  ogni normalità fisiologica (  visto che  tutti i giornali   sono di parte  \ faziosi )  fino a  farmi vomitare    arrivo alla pagina  della politica estera   ed  ho trovato anche li  fra faziosità   un articolo interessante   che vado a riportare .
Esso narra  la storia  \ la vicenda    di   una ragazza coraggiosa per  avre 20  annni e con un  forte  valore  della legalità  e  della legge  in un paese  corrotto  con il narcotraffico (  o mafia che dir si voglia  )


LA GUERRA DELLA DROGA IN MESSICO
La studentessa che vuol sconfiggere i narcos
A Guadalupe, una delle città più violente e pericolose del Paese, nessuno voleva il posto di commissario anti-cartelli L’unica a candidarsi è stata Marisol, 20 anni: «Tutti hanno paura, ma qualcuno questo mestiere lo deve pur fare»





AL LAVORO
Marisol Valles nel suo ufficio. La ragazza, 20 anni, studen­tessa di criminologia a Ciudad Juarez, è stata nominata capo della polizia di Guadalupe, diecimila anime per una cittadina ai confini con il Texas, completamente in mano ai narcos. È stata l’unica che ha accettato la sfida, la sua città è al centro di una faida che in una sola settimana, proprio prima della sua nomina, è costata la vita a otto persone
Manila Alfano
A Guadalupe la legge ha la faccia pulita e ingenua di una ragazzina di vent’anni. Marisol Valles è stata l’unica ad aver accettato: ci ha pensa­to un attimo e poi ha detto sì a quel posto di capo della poli­zia che nessuno voleva. A giu­gno, l’uomo che prima occu­pava il suo posto, il direttore di polizia Jesus Manuel Lara Rodriguez, è stato trovato de­capitato e con lui i narcos ave­vano ucciso anche suo figlio. Erano andati a casa, in asset­to da guerra e avevano ucciso tutti, senza farsi scrupoli, fe­rendo i passanti per strada, ammazzando il custode. Era­no mesi che lo minacciavano e lo mettevano in guardia. Lui non si era fatto intimidi­re, la legge prima di tutto. E ha pagato. Da allora nessun sostituto si era fatto avanti. Un mese dopo era stata la vol­ta del sindaco, stessa sorte: ri­trovato con la testa mozzata. Guadalupe è l’inferno mes­sicano, peggio c’è solo Ciu­dad Juarez, a sessanta chilo­metri da lì. Il centro delle vio­lenze dei trafficanti di droga e della criminalità organizzata ai confini del Texas si concen­tra qui. È per questo che quel posto di capo della polizia proprio non lo vuole nessu­no. Da quelle parti chi fa ri­spettare le regole muore. Poi, a farsi avanti, a dire sì, è arriva­ta lei, Marisol, occhi grandi e neri, studentessa di crimino­­logia all’università, nuovo ca­po della polizia di Guadalu­pe, diecimila abitanti e otto omicidi solo la settimana scorsa.
È il metodo narcos, la guer­ra dei trafficanti di droga che si combatte ormai da mesi nelle strade al confine con il Texas. È da qui che passano i carichi di cocaina, arrivano dal Sud dell’America Latina, passano per la Colombia, at­traversano il confine con il Messico, salendo verso nord, nell’America ricca. Gli Stati Uniti. Un problema che
gli americani stanno cercan­do di combattere con l’invio di militari per aiutare i federa­li a sorvegliare il confine. Ar­nold Schwarzenegger ha mandato 224 guardie nazio­nali californiane. A giugno Obama ha disposto l’invio di 1.200 uomini lungo tutta la frontiera. Anche il governo messicano cerca di reagire: il presidente Felipe Calderon ha incrementato le misure di sicurezza, ha rafforzato la presenza dei militari nelle zo­ne più a rischio. «Il Messico vive un problema che per de­cenni è stato in incubazione, e anche la soluzione richiede­rà molto tempo», ammetto­no oggi gli esperti.
«Tutti hanno paura, anche io ne ho, ma qualcuno lo de­ve pur fare questo mestiere». Marisol lo sa. È giovane, è donna. In questa faida lei è un obbiettivo fin troppo faci­le.

Marisol si sforza di sem­brare sicura e disinvolta e al­lora parla con i giornalisti, si sente che ha studiato, che ha le idee chiare, quasi da ma­nuale: «Il mio obiettivo non sarà soltanto quello di com­battere il traffico di droga, ma di occuparmi dei quartie­ri e delle scuole. Vorrei crea­re una polizia su due ruote, penso a programmi alternati­vi di vigilanza». È ambiziosa e i suoi progetti assomigliano più a quelli di un capo di poli­zia di una città qualunque, che non vuole cedere alla re­altà, alla gente che ha paura anche di uscire in strada. La nomina della giovanissima «poliziotta» arriva nel giorno in cui più a ovest, al confine con la California, nella città di Tijuana, è stato messo a se­gno uno storico sequestro di marijuana: oltre 105 tonnel­late di «erba» per un valore di 335 milioni di dollari. Droga che avrebbe potuto essere venduta negli Stati Uniti in 210 milioni di dosi. «È un col­po gravis­simo per la crimina­lità organizzata e i narcotraffi­canti messicani», ha detto il generale dell’esercito Alfon­so Duarte Mujica, che ha con­dotto la gigantesca operazio­ne, spiegando che il valore della marijuana può anche «triplicare nella vendita al dettaglio negli Stati Uniti».
È il più grosso carico di dro­ga sequestrata in Messico ne­gli ultimi anni. I narcotraffi­canti hanno già diramato messaggi di morte e minacce sulle radio pirata. Ma forse questo colpo è un segno, un buon auspicio per il coraggio di Marisol.

TERRORE Il suo predecessore è stato decapitato. Soltanto lei ha accettato la sfida LOTTA Per combattere il contrabbando Obama ha inviato 1.200 militari lungo la frontiera

La seconda  invece fìviene dala mia bacheca  di fb    dove   tramite la condivisione    na mia utente   ha condiviso   questa nota
pubblicata da Cinzia Sbardella il giorno sabato 5 giugno 2010 alle ore 11.37 su la  coraggiosa scelta difficile ma obbligata  quella di  Maria Luisa Busi che  ha  lasciato   il TG1: "Oggi l'informazione del TG1 è un'informazione parziale e di parte
--br--

                 FINALMENTE QUALCUNO SI RIBELLA



L'avete letta questa lettera?
Io non guardo più la tv e raramente leggo i giornali convenzionali   per questo non avevo avuto modo di apprendere questa notizia......E BRAVA, CHI L'AVREBBE DETTO DI VISO D'ANGELO!!!  FATELA CIRCOLARE è una bella lettera!!!!!  Questa è la versione integrale pubblicata dall'Ansa, indirizzata al direttore Augusto Minzolini e al Cdr, e per conoscenza al direttore generale della RaiMauro Masi, al presidente dell'azienda Paolo Garimberti e al responsabiledelle Risorse umane Luciano Flussi." Una scelta difficile ma obbligata  quella di  Maria Luisa Busi che  ha  lasciato   il TG1: "Oggi l'informazione del TG1 è un'informazione parziale e di parte


"Caro direttore - scrive la Busi -
Ti chiedo di essere sollevata dalla  mansione di conduttrice dell'edizione delle 20 del TG1, essendosi determinata una situazione che non mi consente di svolgere questo compito senza pregiudizio per le mie convinzioni professionali. Questa è per me - prosegue - una scelta difficile, ma obbligata. Considero la linea editoriale che hai voluto imprimere al giornale una sorta di dirottamento, a causa del quale il TG1 rischia di schiantarsi contro una definitiva perdita di  credibilità nei confronti dei telespettatori. Come ha detto - osserva la giornalista - il presidente della Commissione di  Vigilanza Rai Sergio Zavoli: 'la più grande testata italiana, rinunciando  alla sua tradizionale struttura ha visto trasformare insieme con la suaidentità, parte dell'ascolto tradizionale´.Amo questo giornale, dove lavoro da 21 anni. Perchè è un grande giornale. È  stato il giornale di Vespa, Frajese, Longhi, Morrione, Fava, Giuntella. Il giornale delle culture diverse, delle idee diverse. Le conteneva tutte, era questa la sua ricchezza. Era il loro giornale, il nostro giornale. Anche dei colleghi che hai rimosso dai loro incarichi e di molti altri qui dentro che sono stati emarginati. Questo è il giornale che ha sempre parlato a tutto il Paese. Il giornale degli italiani.  Il giornale che ha dato voce a tutte le voci. Non è mai stato il giornale di  una voce sola. Oggi l'informazione del TG1 è un'informazione parziale e di  parte.
Dov'è il paese reale? Dove sono le donne della vita reale? Quelle che devono aspettare mesi per una mammografia, se non possono pagarla? Quelle coi salari peggiori d'Europa, quelle che fanno fatica ogni giorno ad andare avanti perchè negli asili nido non c'è posto per tutti i nostri figli? Devono farsi levare il sangue e morire per avere l'onore di un nostro  titolo. E dove sono le donne e gli uomini che hanno perso il lavoro? Un milione di persone, dietro alle quali ci sono le loro famiglie.
Dove sono i giovani, per la prima volta con un futuro peggiore dei padri? E i quarantenni ancora precari, a 800 euro al mese, che non possono comprare neanche un divano, figuriamoci mettere  al mondo un figlio? E dove sono i  cassintegrati dell'Alitalia? Che fine hanno fatto? E le centinaia di aziende che chiudono e gli imprenditori del nord est che si tolgono la vita perchè  falliti? Dov'è questa Italia che abbiamo il dovere di raccontare? Quell'Italia esiste. Ma il tg1 l'ha eliminata.
Anche io compro la carta igienica per mia figlia che frequenta la prima elementare in una scuola pubblica. Ma la sera, nel TG1 delle 20, diamo spazio solo ai ministri Gelmini e Brunetta che presentano il nuovo grande progetto per la digitalizzazione della scuola, compreso di lavagna  interattiva multimediale.
L'Italia che vive una drammatica crisi sociale è finita nel binario morto della nostra indifferenza. Schiacciata tra un'informazione di parte - un editoriale sulla giustizia, uno contro i pentiti di mafia, un altro sull'inchiesta di Trani nel quale hai affermato di non essere indagato,  smentito dai fatti il giorno dopo - e l'infotainment quotidiano: da quante  volte occorre lavarsi le mani ogni giorno, alla caccia al coccodrillo nel lago, alle mutande antiscippo.
Una scelta editoriale con la quale stiamo arricchendo le sceneggiature dei  programmi di satira e impoverendo la nostra reputazione di primo giornale  del servizio pubblico della più importante azienda culturale del Paese.
Oltre che i cittadini, ne fanno le spese tanti bravi colleghi che potrebbero dedicarsi con maggiore soddisfazione a ben altre inchieste di più alto profilo e interesse generale.
Un giornalista ha un unico strumento per difendere le proprie convinzioni  professionali: levare al pezzo la propria firma. Un conduttore, una   conduttrice, può soltanto levare la propria faccia, a questo punto.
Nell'affidamento dei telespettatori è infatti al conduttore che viene ricollegata la notizia. È lui che ricopre primariamente il ruolo di garante del rapporto di fiducia che sussiste con i telespettatori.
I fatti dell'Aquila ne sono stata la prova.  Quando centinaia di persone hanno inveito contro la troupe che guidavo al  grido di vergogna e scodinzolini, ho capito che quel rapporto di fiducia che ci ha sempre legato al nostro pubblico era davvero compromesso. È quello che accade quando si privilegia la comunicazione all'informazione, la propaganda alla verifica.
Ho fatto dell'onestà e della lealtà lo stile della mia vita e della mia  professione. Dissentire non è tradire. Non rammento chi lo ha detto   recentemente. Pertanto:
1) respingo l'accusa di avere avuto un comportamento scorretto. Le critiche che ho espresso pubblicamente - ricordo che si tratta di un mio diritto oltre che di un dovere essendo una consigliera della FNSI - le avevo già mosse anche nelle riunioni di sommario e a te, personalmente. Con spirito dileale collaborazione, pensando che in un lavoro come il nostro la circolazione delle idee e la pluralità delle opinioni costituisca un  arricchimento.
Per questo ho continuato a condurre in questi mesi. Ma è palese che non c'è  più alcuno spazio per la dialettica democratica al TG1. Sono i tempi del pensiero unico. Chi non ci sta è fuori, prima o dopo.
2) Respingo l'accusa che mi è stata mossa di sputare nel piatto in cui  mangio. Ricordo che la pietanza è quella di un semplice inviato, che chiede semplicemente che quel piatto contenga gli ingredienti giusti. Tutti e  onesti.
E tengo a precisare di avere sempre rifiutato compensi fuori dalla Rai,lautamente offerti dalle grandi aziende per i volti chiamati a presentare le  loro conventions, ritenendo che un giornalista del servizio pubblico non  debba trarre profitto dal proprio ruolo.
3) Respingo come offensive le affermazioni contenute nella tua lettera dopo  l'intervista rilasciata a Repubblica, lettera nella quale hai sollecitato all'azienda un provvedimento disciplinare nei miei confronti: mi hai accusato di `danneggiare il giornale per cui lavoro´, con le mie dichiarazioni sui dati d'ascolto. I dati resi pubblici hanno confermato quelle dichiarazioni. Trovo inoltre paradossale la tua considerazione seguente: 'il tg1 darà conto
delle posizioni delle minoranze ma non stravolgerà i fatti in ossequio a  campagne ideologiche´. Posso dirti che l'unica campagna a cui mi dedico è quella dove trascorro i week end con la famiglia. Spero tu possa dire altrettanto.
Viceversa ho notato come non si sia levata una tua parola contro la violenta campagna diffamatoria che i quotidiani Il Giornale, Libero e il settimanale Panorama - anche utilizzando impropriamente corrispondenza aziendale a me  diretta - hanno scatenato nei miei confronti in seguito alle mie critiche alla tua linea editoriale. Un attacco a orologeria: screditare subito chi  dissente per indebolire la valenza delle sue affermazioni.
Sono stata definita 'tosa ciacolante - ragazza chiacchierona - cronista senza cronaca, editorialista senza editoriali' e via di questo passo.Non è ciò che mi disse il Presidente Ciampi consegnandomi il Premio Saint Vincent di giornalismo, al Quirinale. A queste vigliaccate risponderà il mio legale. Ma sappi che non è certo per questo che lascio la conduzione delle  20.
Thomas Bernhard in Antichi Maestri scrive decine di volte una parola che amo  molto: rispetto. Non di ammirazione viviamo, dice, ma è di rispetto che abbiamo bisogno. Caro direttore, credo che occorra maggiore rispetto. Per le notizie, per il pubblico, per la verità. Quello che nutro per la storia del TG1, per la mia azienda, mi porta a questa decisione. Il rispetto per i telespettatori, nostri unici referenti. Dovremmo ricordarlo sempre. Anche tu ne avresti il dovere.
 

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