2.3.18

TU VIVI Lettera ad Antonietta di © Daniela Tuscano

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Ora ti prego, Antonietta, ti supplico, non cedere. Il tuo corpo risponde per te, col suo vigore superstite e intatto, giovane, biondo. Nel silenzio respira, a testimoniare la volontà e la forza, anzi, la singolare stupefazione della (r)esistenza qui, su questa terra. 
Abbandonata, lo eri già prima. Quando avevi presentato un esposto contro il criminale che ti aveva percossa brutalmente davanti alle figlie perché volevi separarti da lui. Ma non era successo nulla, come sempre. Già, la parola della donna non conta, e dovere della moglie è tenere unita la famiglia, cioè i famuli, cioè i servi. E serve, infatti, vi considerava l'individuo che ti ha sposata: serve, oggetti da possedere, patenti di rispettabilità sociale. Persone, mai. Perché avrebbe dovuto, del resto? Era la storia, in fondo. La letteratura. La politica. La religione. La stampa e, più recentemente, l'informatica. Tutto, nel tempo, è cambiato, tranne il solo tassello in grado di farci davvero uscire dallo stato di barbarie: la convinzione della piena umanità delle donne. 

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Così tu e le tue figlie - anch'esse avevano urlato, anch'esse temevano il padre, anch'esse ignorate, irrise, obliate - siete rimaste vittime, le ennesime vittime, di questa ferinità 2.0, di questo atavismo contemporaneo, sempiterno. Ennesime, mai uguali. Gli assassini si replicano e duplicano, ma ognuna di voi, di noi, è diversa. Unica. 
Stavolta nemmeno i grandi media sono riusciti a giustificare il femminicida. Ci hanno provato, ci proveranno ancora, ma con sempre maggior difficoltà e, speriamo, vergogna. Non osano più ricorrere alla consueta scusa del raptus; non possono. L'assassino aveva infatti pianificato tutto scrupolosamente, in cinque lettere, contemplando persino le spese per il funerale, la vendita della casa e la disdetta dei contratti per la fornitura del gas. No, nessun raptus, ma una lucidità glaciale che l'informazione tenta ora di contrabbandare per follia. Ma il cervello del carnefice, per giunta uomo d'ordine - ritenuto idoneo al suo ruolo malgrado i ripetuti accessi di violenza -ragionava alla perfezione. Cattivo. Era semplicemente cattivo. Un delinquente freddo e spietato. Politico: i femminicidi non appartengono alla cronaca nera ma all'antropologia, alla filosofia. Teologicamente, rientrano nell'ordine del peccato perché il dominio del maschio sulla femmina non è un fatto naturale ma il frutto della malizia e della superbia. 
Adesso, Antonietta, sei sola. E il tuo strazio non è finito. Il tuo sangue e le tue viscere pulsano disperatamente per riaffermare la loro terrena dignità. E questo, non riescono a sopportarlo. Ti odiano anche adesso; ti odiano, talvolta, da dentro. Alcune donne, anzi femmine, incautamente legate ai loro aguzzini, ti augurano infatti di chiudere gli occhi per sempre. Per il tuo bene, dicono. Hai perso le figlie. Hai perso l'uomo che diceva di amarti. Hai perso, insomma, la tua ragion d'essere. 
Vedi? Ancora una volta, la tua soggettività non è contemplata. Non "servi" più. Non madre, non moglie, tanto vale cancellarti. Nel tuo stesso interesse. Questa eutanasia di senso si presenta col volto della compassione. E, dietro a essa, si cela forse un'altra immagine: sempre la stessa: la "famiglia" finalmente riunita, ognuno al suo posto, il padrone e le sue famule, se non su questa terra, almeno nel sonno eterno.
Ma tu rimani, scompagna e urticante. Resti per spezzare questa gerarchia mortifera. Ci sei perché il futuro ti si prospetterà durissimo. Ma qualcosa è ancor più tenace, vero e onorevole. Tu. Antonietta e basta. Antonietta che si basta. E che, per essere realmente ancora madre, saprà e dovrà proseguire il suo cammino. Vivi, Antonietta. Non ascoltare le sirene dell'inganno, vivi lo stesso. Soltanto così le figlie cui è stato spezzato il futuro saranno glorificate, soltanto così potranno nascerne altre legate principalmente al loro cuore, libere d'amare, fuggire, sbagliare, di sovvertire una Storia mutila d'umanità.

                                        © Daniela Tuscano

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