provare a dalogare con un razzista e sfuggits all'orco \ uomo manesco con la denuncia grazie al figlio

  a  chi mi dice    che   con il miei o precedenti post  :

 che  sono buonista , femminista   ed  menate  varie    si legga  queste storie     poi  se   vuole  ne  riparliamo  .






«Caro coetaneo razzista, spiegami perché mi odi»
Scritta inneggiante al duce e a Luca Traini nei bagni della biblioteca alle Zattere. Una ventenne originaria del Burkina Faso gli scrive: «Vienimi a parlare, vorrei solo capire »

 sempre  dallo stesso giornale  leggi  anche  


La condanna di Ca’ Foscari «I nostri valori sono altri»
«L’Ateneo condanna fermamente le scritte razziste comparse nella nostra sede di Ca’ Foscari alle Zattere. Messaggi di questo tipo sono quanto di più distante dai valori di inclusione che Ca’ Foscari...

MESTRE. Leaticia Ouedraogo, 20 anni, è una studentessa del Collegio internazionale di Ca’ Foscari. Nata in Burkina Faso, all’età di 11 si è trasferita a Bergamo con la madre, raggiungendo il padre. E’ studentessa di lingue. Ha scritto questa “lettera ad un mio coetaneo razzista e fascista” dopo aver appreso della scritta trovata nel bagno della biblioteca delle Zattere, dove lavora. Nella lettera, pubblicata su Linea 20 - il blog degli studenti del Collegio Internazionale   [  e  sotto  riportata   ] - usa intenzionalmente
la parola negra. «Un modo per mettermi allo stesso livello di chi usa questo termine», spiega lei, «per provare a de-costruire il senso di una parola, che arriva dal latino, e che poi si è caricata di connotati negativi. Un termine che non mi fa paura

















Leaty, posso farti una domanda?».

Leaticia: «Certo, dimmi tutto».

M.: «Ma cosa vuol dire negher?».

Leaticia: «Perché me lo chiedi?»

M.: «Perché oggi all’intervallo A. e G. mi hanno detto negher».

Leaticia: «E tu cos’hai risposto?».

M.: «Ehhh niente perché non so cosa vuol dire».

Leaticia: «Ok… Allora, negher vuol dire negro».

M.: «Ohhh!!!».

Leaticia: «Eh sì, ti hanno detto che sei negro. Doveva essere un insulto. Magari credono di essere migliori di te perché loro sono bianchi. Ma tu non ci devi credere, perché non è vero. La prossima volta che te lo dicono, tu rispondi che sei fiero di essere negro. Capito?».

M: «Sì».

***

Questa è una conversazione che ho avuto con il mio fratellino di otto anni al ritorno da scuola. Risiediamo a Bergamo con i nostri genitori, ma studio come fuori sede a Venezia e ci sentiamo spesso al telefono. In otto anni della sua vita, non ho mai pensato che avrei dovuto un giorno spiegargli il razzismo. Sono stata molto ingenua perché, dall’alto dei miei vent’anni, di episodi di razzismo ne ho vissuti. I primi si sono verificati quando avevo all’incirca dodici anni. Ma ero già grande e sapevo difendermi con le sole parole.Ma a otto anni, come si rielabora il razzismo? E io, da sorella maggiore, come lo semplifico il razzismo per un bambino ingenuo? Ancora non lo so. Ma devo trovare un modo di rendere mio fratello immune al razzismo. Proprio come sua sorella. Sì, perché io mi ritengo immune al razzismo: non sono razzista e i razzisti non mi fanno paura, non mi fanno arrabbiare, non li detesto. E oltretutto, ho sviluppato una sottile arma per combattere il razzismo a modo mio. Io rispondo con l’ironia, anzi, il sarcasmo. Faccio fiumi di battute auto-razziste alle quali in generale la gente rimane di stucco. Non sa se ridere o meno. Perché verrebbe da ridere, ma ridere sarebbe politicamente scorretto.Quando la gente comincia a conoscermi, si abitua alle mie battute e comincia a ridere. Quando la gente ride e soprattutto quando la gente riesce a fare battute razziste, ritengo che il mio lavoro abbia avuto successo, semplicemente perché portando in superficie l’ignoranza e ridendone, la si demistifica. Io sono immune al razzismo: questo mi sono sempre detta. E sono sempre stata fiera di aver sconfitto il razzismo. Imperdonabile ingenuità! Nei giorni scorsi nei bagni della biblioteca in cui lavoro come collaboratrice sono state trovate delle scritte fasciste e razziste. “W il duce, onore a Luca Traini. Uccidiamoli tutti sti negri”.Wow. Un momento di profondo respiro. Rileggo la frase di nuovo. Per un bianco, o comunque un non negro, credo che questa affermazione possa suscitare ribrezzo, tristezza, rabbia. In verità non so cosa possa provare un bianco, e non so perché debba essere diverso da quello che può provare una negra quale sono io. Da negra, non mi sento offesa. Sono profondamente confusa che queste scritte si ritrovino in un luogo così culturale, e confusa soprattutto perché probabilmente l’autore è un mio coetaneo.La biblioteca delle Zattere è anche chiamata Cultural Flow Zone: un ambiente giovane e vivace, dove, tra una pausa e l’altra dallo studio, si può spostarsi di sala e vedere una mostra, assistere alla presentazione di un libro o partecipare ad un cineforum. Devo dire che è un ambiente lavorativo umanamente parlando molto stimolante e si può proprio sentire la cultura fluire. Incontro persone diverse tra loro: dagli universitari ai liceali, dal personale tecnico ai docenti, dagli attori e cantanti ai corrieri.Questo ambiente non mi sembra un ambiente razzista, anzitutto perché altrimenti non avrei superato un colloquio in cui concorrevo con molti altri ragazzi bianchi. Tuttavia, è stato un colpo per me vedere queste scritte. Ho tentato a più riprese di immaginare la scena di un ragazzo che come molti altri mi chiede di fare una tessera giornaliera, e lo immagino come il probabile autore delle scritte. E voglio parlargli, capire perché mi voglia uccidere, visto che sono negra.

Sono impaurita, non perché io abbia paura di essere uccisa, ma mi spaventano le ragioni per cui verrei uccisa. Come puoi pensare di uccidere qualcuno solo per il colore della sua pelle? Cosa ti può distorcere così tanto da volere uccidere qualcuno perché non è bianco? Ho le vertigini solo a pensarci. Cosa otterresti dalla mia morte? Io vorrei solo capire. Vienimi a parlare. Voglio essere guardata dritto negli occhi e voglio sentire cosa ti affligge. Perché mi odi? Come mi uccideresti? Come ti sentiresti dopo la mia morte? Saresti felice? Voglio capire i tuoi sentimenti. Vienimi a parlare prima di uccidermi, cosicché io ti possa abbracciare e mostrare un po’ di umanità.
Io non ti odio, non perché io sia gentile. È perché sono profondamente triste per te, provo pietà perché non so come tu sia giunto a questo punto. Mi dispiace per i fallimenti che ci sono stati nella tua educazione. Mi dispiace che qualcuno sia riuscito a manipolarti a tal punto e a convincerti di queste cose. Ti hanno avvelenato la mente e il cuore con questo odio insensato e questo suprematismo bianco. Ti hanno rubato la tua libertà intellettuale e questo non è giusto. Mi sono sempre ritenuta immune al razzismo, convinta che fosse una bassa manifestazione di odio dovuto alla mediocrità intellettuale .Ho sempre attribuito il razzismo ai bigotti. Dovrei sentirmi rassicurata e felice che tutti i miei amici e conoscenti non siano bigotti. Ma a me non basta. A me interessi tu, caro fascista, caro razzista. Credo che tu viva in una grande farsa, un equivoco impensabile. Il valore più grande della tua umanità è l’universalità, perché di umanità ve n’è una sola. Non mi puoi uccidere solo perché sono negra. È una argomentazione inconsistente. Tu non sei fatto per l’ignoranza o l’oscurantismo, semplicemente perché sei umano e sarebbe un tradimento alla tua umanità. Un alto tradimento, imperdonabile a te stesso. Non devi uccidere me, devi uccidere quel mostro oscuro che si nutre delle tue paure e della tua ignoranza, ma anche della tua ingenuità. Ti auguro di sconfiggere questi mostri.


                             Leaticia Ouedraogo

 questa  invece viene 

«Sfuggita all’orco per amore di mio figlio»
Padova, moglie picchiata e insultata per anni davanti al bambino: «Ho denunciato e grazie al Centro Progetti Donna sono tornata a vivere»


di Alice Ferretti






















PADOVA
Ci sono voluti due anni di sofferenza, di paura e soprattutto di coraggio, ma alla fine Claudia (nome di fantasia), 56 anni, ce l’ha fatta. È riuscita a uscire da quel vortice di violenza domestica che l’aveva inghiottita e fatta cadere in un baratro che sembrava non lasciarle scampo.

È fuggita da un marito violento che la insultava con parole peggiori dei pugni, la mortificava e la picchiava, anche di fronte al figlioletto. È stato proprio lui ha darle la forza di dire basta. Di denunciare un orco che ogni giorno seminava il terrore tra le mura domestiche.

Claudia, quando è iniziato per lei il dramma della violenza?

« È stata un’escalation durata anni e culminata con la notte di San Valentino di due anni fa, quando il mio ex marito mi ha massacrato di botte di fronte a nostro figlio che aveva solo 7 anni».

Cos’è successo quel giorno?

«Per l’ennesima volta era tornato a casa ubriaco dopo aver sperperato i soldi dell’affitto con il gioco d’azzardo. Gli ho solo detto che quei soldi ci servivano, che non potevamo andare avanti così e lui è impazzito. Ha iniziato a colpirmi sempre più forte, poi mi ha spinto e mi ha dato un pugno fortissimo in faccia. Il bambino era in casa, ha visto tutto. A un certo punto si è messo in mezzo e ha gridato al padre “Non picchiare la mamma”. Piangeva e tremava dalla paura. Quello è stato il momento in cui ho capito che dovevo dire basta».


L’ha denunciato?

«Ho chiamato i carabinieri. Nel frattempo lui gettava piatti e bicchieri a terra. Quando sono arrivati sul pavimento della cucina c’erano cocci dappertutto. Davanti ai carabinieri mi ha detto “Appena vanno via loro ti ammazzo”. Mi hanno portata al pronto soccorso insieme a mio figlio, in ambulanza. Avevo il volto tumefatto, pieno di sangue, ero frastornata. Lì sono entrata in contatto con le operatrici del Centro Veneto Progetti Donna. Sono loro che mi hanno salvato».

Suo marito è stato arrestato per maltrattamenti in famiglia e lesioni, è stato in carcere due settimane, mentre lei ha iniziato a muovere i primi passi verso una nuova vita.

«Mi sono appoggiata al centro. Uscita dall’ospedale mi hanno condotta, insieme a mio figlio, in una struttura protetta dell’associazione di cui non viene reso noto l’indirizzo proprio per garantire la massima sicurezza. Ero seguita ogni settimana da uno psicologo e avevo ricominciato a lavorare come domestica. Ho da poco ottenuto un contratto di lavoro a tempo indeterminato e sono riuscita a prendere in affitto una casa tutta per me e per mio figlio».

Oggi come si sente?

«Ci sono stati tanti momenti in cui ho pensato che non ce l’avrei mai fatta. Ma ho stretto i denti. L’ho fatto per mio figlio. Oggi sono felice perché siamo usciti da quel tunnel, il passato è solo un brutto ricordo».

Che rapporti ha oggi suo figlio con il padre?

« Lo vede ogni due settimane durante gli incontri protetti con gli assistenti sociali. Ama suo padre, come è giusto che sia, ma mi ripete spesso: “mamma non torniamo a vivere con il papà vero? ”. E io lo rassicuro».

L’ex marito di Claudia ha ottenuto una condanna a un anno e sei mesi di reclusione, con la sospensione condizionale. È stato l’avvocato di Claudia a indicare al giudice l’esigenza di non calcare la mano nonostante anni di maltrattamenti e lesioni. In questo modo, infatti, l’ex marito non ha perso il posto di lavoro come muratore e soprattutto ha conservato la fonte di reddito necessaria a garantire gli alimenti all’ex moglie e al figlio di 9 anni.






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