16.3.18

Io sono libera e non sono una puttana, «Salvatore mio...» È l’unico modo che ho per rendere un briciolo di giustizia a Maria Concetta che non è stata solo una vittima della ‘ndrina calabrese ma anche della nostra ipocrita pochezza che permette alle mafie di esistere




Ci sono storie speciali  che non hanno   temo  ( alcune   a lieto  fine  altre  come  questa   dal triste  finale  )  che toccano il cuore perfino   a  chi   usa  ( o ci  prova  quotidianamente  come nel mio cas)  cuore  e mente per  non essere  d'assente   . Storie    che  coinvolgono  anche  se  vecchie  d'anni  (  la  storia   di Maria   è del  2014\5  )  emotivamente anche chi le racconta: quella di Maria Concetta è una di queste. Una storia simbolo di opposizione alla ‘ndrangheta sulla quale non deve ,  come  per  tutte le mafie  , mai calare l’oblio. Lo dobbiamo  ---  come dice  questo articolo  di http://www.antimafiaduemila.com/  --- a  Maria Concetta   ma  anche    a  tutti  quelli   che in  silenzio    a differenza dei protagonisti dell'antimafia  combattono contro la mafia  le mafie 




al suo coraggio, al suo esempio e alla sua immensa voglia di vivere.


Io sono libera e non sono una puttana, «Salvatore mio...»
È l’unico modo che ho per rendere un briciolo di giustizia a Maria Concetta che non è stata solo una vittima della ‘ndrina calabrese ma anche della nostra ipocrita pochezza che permette alle mafie di esistere


Maria Concetta Cacciola sognava la libertà. Per questo era destinata a morire
Sono all’incirca queste alcune delle parole che Sylvia De Fanti fa dire a Maria Concetta Cacciola mentre porta in scena la sua drammatica vicenda nella trasposizione teatrale “O cu nui. O cu iddi”. Maria Concetta: una donna del Sud che voleva sentirsi libera di vivere la propria vita e la propria femminilità; una donna che voleva sentirsi bella e desiderata. E non per vana civetteria né per cattivo gusto: no. Per una donna che libera non nasce ma, come una bestia in gabbia, viene al mondo per crescere in cattività ed essere figlia, sorella, moglie e madre sottomessa e servizievole in maniera esemplare, l’idea di poter sentire lo sguardo di un uomo posarsi su di sé può essere un’esigenza, profonda e inspiegabile, per sentirsi viva, per poter dire a se stessa: «anche io esisto».È l’esigenza di chi cresce avviluppata e mortalmente intrappolata negli schemi di una cultura che non si è mai liberata della sua arretratezza, nonostante i cambi d’abito e di trucco. Quando ascolto queste due battute, un brivido corre lungo la schiena: un’emozione così forte che trattengo a stento le lacrime.



«In te ho visto la libertà, Salvatore mio».
«Io amo la bellezza: voglio sentirmi libera, io voglio affascinare, voglio sentirmi desiderata».
«Salvatore mio…»In quell’invocazione, amorevole e disperata insieme, sento risuonare la fatica compiuta per cercare di agguantare quella libertà che a Maria Concetta è costata la vita. La libertà di autodeterminarsi a partire dalle cose più banali come la scelta di un taglio di capelli, di un abito o di un rossetto, la libertà di parlare e muoversi senza temere di suscitare gelosie e diffidenza o giudizi sulla propria dubbia moralità. La libertà di vivere la propria femminilità senza sentirsi una “puttana” indegna o un’oca senza cervello, buona solo a letto, a passare da un uomo all’altro. La libertà di esistere senza nemmeno sentirsi un gingillo fragile da proteggere da un mondo di uomini voraci e affamati di sesso, incapaci di rapportarsi a una femmina senza pensare che, prima o poi, la farà cedere e cadere tra le proprie braccia. Chiamarlo amore proprio non si può né si può pensare che tutto questo possa essere una forma di rispetto per la donna in quanto essere debole da salvaguardare.Senza minimamente pretendere di avvicinare la propria alla storia drammatica di Maria Concetta Cacciola, i cui sogni sono stati traditi dal suo Salvatore e che è stata uccisa dalla madre, dal padre e dal fratello per quel desiderio di libertà e quel bisogno di dignità, c’è però un filo rosso che tiene insieme la sua e tante, troppe, vicende di dolore e solitudine, il prezzo da pagare per soddisfare il bisogno di affermare a voce alta e ferma: «anche io esisto».Un bisogno latente che esplode nel momento in cui la vita crea le condizioni utili a farti capire che sotto la gonna e il cappello c’è qualcosa di più di un bel faccino e di un corpo che può essere oggetto delle attenzioni indesiderate di un uomo che sente di avere il potere di disporre di te in virtù della sua posizione. Nel momento in cui la vita crea le condizioni utili a farti comprendere che non c’è nulla di male a volerti sentire bella e desiderabile, pur restando fedele, prima di tutto a te stessa, senza dover necessariamente essere in vendita. Nel momento in cui la vita ti permette di capire che la tua intelligenza ha un valore e non è giusto mortificarti, mortificare il tuo aspetto, per non essere esposta a giudizi e critiche di sorta o al rischio che mani indesiderate scivolino lì dove non vuoi.Un aspetto, per tutto questo, da valorizzare solo in presenza del tuo di uomo, l’unico a autorizzato a portarti in giro abbigliata in un certo modo perché lui sì che può salvaguardarti. Quel bisogno che esplode nel momento in cui la vita ti aiuta a capire che se anche dovessi rimanere sola, senza un compagno che ti protegga, nulla sarebbe perduto né ci sarebbe alcunché di male. Nulla di male nel voler rompere gli schemi sociali e familiari che ti ritraggono sposa soddisfatta di una vita di agi. Romperli scegliendo di mandare all’aria un matrimonio sicuro, per incamminarti sulla via, colma di insidie, che si dispiega nel mezzo della sfida lanciata a tutti, in primis alle tue certezze, per cercare di costruirti da sola e misurarti con le tue forze in un mondo di uomini e pregiudizi. E giocare la tua partita con lavori creati dal nulla, che danno un po’ più di peso al tuo nome, al tuo cervello e alle conoscenze faticosamente costruite, concretizzate in una casa piena dei tuoi libri e del tuo bisogno di intimità, nella quale coltivare la tua indipendenza. L’indipendenza che ti permette di dire, con sorridente determinazione, di «no» a chi vorrebbe possederti anche a rischio di sentirti ripetere: «ma tu così gli uomini li farai sempre scappare».Che continuassero a farlo. Questo è l’unico modo che ho per rendere onore a me e ai sacrifici non solo miei ma di tante che, prima di me, hanno lottato per aprirmi l’orizzonte di quella che ci si affanna a chiamare, con grande enfasi, emancipazione. È l’unico modo che ho per rendere un briciolo di giustizia a Maria Concetta che non è stata solo una vittima della ‘ndrina calabrese ma anche della nostra ipocrita pochezza che fa di un costume, dell’apparenza, l’essenza di un individuo. Quella pochezza che permette alle mafie di esistere.

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