Storia Del Caravaggio Che Riuscì A Raggirare Le Leggi Razziali Del Fascismo e Eden Donitza ed l'antisemitismo a scuola non tutti i prof mi aiutano

E grazie a sovrintendente EEttore Modigliani (Roma, 20 dicembre 1873 – Milano, 22 giugno 1947) direttore della Pinacoteca di Brera dal 1908 al 1934  reo di essere d’origine ebrea.   che  nonostante    le  leggi razziali  del  1938    fece  avere    all'Italia  un opera  importantissima  di  Caravaggio

  da https://corrierequotidiano.it/cultura/  del  22\1\2019    grazie  all'aggregatore   per  android   di  noizie   newsrepublic

Storia del Caravaggio che riuscì a raggirare le leggi razziali del fascismo 
‘Cena in Emmaus’ di Caravaggio
È una delle opera più ammirate della Pinacoteca di Brera ma ha una storia sconosciuta ai più. Si tratta della ‘Cena in Emmaus’ di Caravaggio, dipinto realizzato nel 1606 e che raffigura un episodio raccontato nel Vangelo di Luca.Per arrivare nel museo milanese nel 1939, dovette scontrarsi con le leggi razziali fasciste che avevano portato all’allontanamento dall’istituzione meneghina del sovrintendente Ettore Modigliani, reo di essere d’origine ebrea. Ma fu proprio lui, dal suo nascondiglio da esiliato a ideare, trattare e portare a termine l’operazione che portò alla Pinacoteca il primo e tutt’oggi unico, capolavoro di Michelangelo Merisi.A sostenerlo l’allora ‘giovane’ Associazione Amici di Brera, che, mettendo a disposizione il proprio fondo di 9 mila lire, consentì di dar vita a un’operazione che raggirò l’ostracismo fascista. La storia è raccontata oggi, con molti altri aneddoti, in un libro realizzato per celebrare i 90 anni dell’associazione, ‘Una meraviglia chiamata Brera’. All’epoca invece l’arrivo del dipinto passò quasi sotto silenzio, annunciato solo in un breve articolo scritto da un allora sconosciuto collaboratore del Corriere della Sera, Guido Piovene.Era stato proprio Modigliani, costretto prima, nel 1935, a lasciare Brera per essere spedito all’Aquila e poi, nel novembre del 1938 rimosso dalla pubblica amministrazione, a venire a sapere che la ‘Cena’, proveniente dalle raccolte del Marchese Patrizi, era disponibile sul mercato. Un’occasione unica.Da privato cittadino quindi il 27 aprile del 1939 scrisse una ‘lettera confidenziale’ al ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai, col quale aveva mantenuto un rapporto di stima maturato negli anni precedenti. Nella missiva lo informava che sul conto del “Comitato Britannico” della Banca Commerciale erano disponibili le 9 mila lire degli ‘Amici di Brera’ la cui associazione, presieduta dal senatore Ettore Conti, aveva intenzione di acquistare il Caravaggio.Il ministro non rispose personalmente ma attese la richiesta formale di Ettore Conti e autorizzò quindi il prelievo del denaro e l’acquisto del quadro informando solo a posteriori il sovrintendente in carica, Gino Chierici, suscitandone le ire. Il dipinto in realtà costò 500 mila lire messe a disposizione da tre mecenati che non vollero apparire.Come spiega un breve saggio di Chiara Bonalumi pubblicato in occasione di una mostra nel 2016, si trattava di Mario e Aldo Crespi, zio e padre di Giulia Maria Crespi, attuale presidente onorario del Fai e del conte Paolo Gerli di Villagaeta. L’arrivo della ‘Cena ad Emmaus’ a Brera avrebbe dovuto essere celebrato in pompa magna con un programma di festeggiamenti e una mostra. Ma l’inaugurazione che avrebbe dovuto celebrare la ‘generosita’ degli ‘Amici di Brera’ alla fine non ebbe luogo per la contrarietà del regime. E anzi, alla fine del 1939, anche l’associazione venne soppressa dal governo fascista. Rinascerà solo nel dopoguerra.



"Mi è capitato di essere esclusa perché ebrea". Eden racconta, ricci neri e lo sguardo di chi non si rassegna e sa quello che dice. Ma non è vissuta ottanta anni fa. La sua non è una storia che arriva dal passato. E' una giovane studentessa pisana di quinta superiore.I compagni in questi anni le hanno rinfacciato le sue origini. E sono volate, dice, anche parole pesanti. Qualcuno di loro ha rimpianto che non si fosse ai tempi della Seconda Guerra Mondiale e non ci fossero più i campi di sterminio.  Cattiverie scappate di senno, ma che fanno davvero male.Eden non è solo ebrea. La sua famiglia negli anni Quaranta del secolo scorso ha patito la deportazione. "Molti sono stati portati nei campi, tanti purtroppo sono morti ma qualcuno fortunatamente è anche sopravvissuto".  In fila davanti al museo  di Auschwitz, dieci gradi sotto zero e il sole che poco prima delle nove fa breccia in un cielo lattiginoso, aspetta di entrare con gli altri cinquecento e passa studenti del treno della memoria toscano, il giorno dopo aver visitato Birkenau. 
   L'immagine può contenere: 1 persona                             la  sua  vicenda  raccontata     dal corriere  della  sera   del 23\1\2019
"E' tutta la vita – dice -che in fondo mi preparo a questa esperienza". L'ha fatto a scuola, ma anche e soprattutto con il racconto dei genitori e dei nonni, cercando e trovando video sulla rete.   "Non è facile ascoltare ma non si può neppure tenere dentro – si sofferma -, anche se doloroso. E' importante essere testimoni". E' importante per combattere anche quell'antisemitismo che lei in più occasioni ha patito dalle elementari fino al liceo, per cui cerca quasi di non arrabbiarsi più.  "A scuola a volte si prova a reagire – prosegue - A volte si preferisce però il silenzio, per non far sapere. Per far finta che tutto vada bene ed invece è tutto il contrario".
Infatti  sempre  secondo  questo articolo   di  
http://www.toscana-notizie.it/speciali/
l'olocausto e << Il razzismo riguarda anche rom e sinti, deportati nei campi di sterminio. Nancy, che vuole andare all'università, vive in un campo nomadi ma a scuola lo sa solo una persona. Non se ne vergogna, ma sa che a dirlo l'atteggiamento delle persone è quasi certo che cambierebbe. "Il razzismo non è mai finito – dice - e c'è ancora oggi. Quando le persone mi vedono non pensano che sia sinta. Ma se viene fuori non sono più Nancy e si allontanano, intimoriti da tutti gli stereotipi e pregiudizi che ci sono su di noi". "Per questo – spiega - mi è difficile dirlo per prima, perché ti mette tanti muri davanti. Ma in questi giorni ho visto tante cose brutte, ho capito che è importante dire chi siamo e penso di cambiare questo mio atteggiamento".
Il razzismo riguarda a Prato anche i cinesi. "Certo che c'è ancora oggi" interviene Luisa, ultimo anno al Dagomari e il prossimo forse alla Bocconi di Milano, la ragazza cinese che voleva venire ad Auschwitz e per questo la comunità buddista le ha pagato il viaggio. "Vedo che il razzismo c'è – dice - andando in giro con miei amici: si sentono ragazzini pieni di pregiudizi. Io allora intervengo, la mamma me lo dice sempre: difenditi, sai parlare italiano. Questa reazione li coglie impreparati e si zittiscono".
"Il pregiudizio sopravvive anche se come società cerchiamo di nasconderlo" dicono le due ragazze, che frequentano la stessa classe. Una è nata in Italia, l'altra arrivata a tre anni dal Marocco. "Se c'è una chance davvero per stare tutti insieme questa è la scuola" dice la professoressa che le accompagna. Ma non è facile. "C'è discriminazione" riprendono le due diciottenni. "Ma a chi urla preferisco rispondere col silenzio – dice una delle due – perché altrimenti mi metterei sul suo stesso piano".
Reagire però è importante, come far conoscere e sfatare i falsi luoghi comuni. Non c'è futuro senza passato. Non c'è neppure presente. "E un viaggio come questo, che ti fa riflettere – dice come tanti altri Lavinia, anche lei quarto anno all'istituto tecnico Redi di Montepulciano – dovrebbe essere fatto una volta nella vita: soprattutto gli scettici (o chi vive di pregiudizi) dovrebbe farlo". "Perché ti può trasformare – le fa eco di nuovo Giulia -. Ho visto le facce di tanti di noi: venire qua ti può davvero far cambiare idea".

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