Da Trieste a Buenos Aires nel ‘48 per far conoscere la tragedia delle foibe «Una storia da riscoprire»



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Da Trieste a Buenos Aires nel ‘48 per far conoscere la tragedia delle foibe «Una storia da riscoprire»
Parlano i discendenti bergamaschi di Rodolfo De Gasperi, capitano della marina che portò a termine il viaggio. «Partirono tra l’indifferenza angloamericana e il sarcasmo della radio jugoslava». 5 mesi di viaggio: accolti da Peron
di Francesco Ruffinoni


Soccorritori tra le foibe nel 1945
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Da Trieste fino a Buenos Aires, attraversando l’Atlantico: fu la spedizione del comandante Rodolfo De Gasperi, che, nel 1948, con nove compagni e due piccole barche (l’«Italia» e la «Trieste»), partì dal Molo Audace alla volta del Sud America, per portare all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale la tragedia delle foibe e il dramma che stavano vivendo gli italiani della Venezia Giulia. Una spedizione che, allora, fu pressoché taciuta dalla stampa nazionale, anche dopo la pubblicazione, ad opera della giornalista Rina Cioni, del libro «Italiani sul mare» (Edizioni Abete, 1951), e che, oggi, i discendenti bergamaschi di Rodolfo De Gasperi vorrebbero far conoscere.


Rodolfo De Gasperi

«L’idea della spedizione venne a Glauco Gaber — racconta Alberto Cammarota, pronipote del comandante De Gasperi —. Triestino e irredentista, aveva preso parte ai primi ritrovamenti delle salme degli “infoibati”. Da qui, la volontà di far conoscere al mondo l’eccidio titino. Serviva, però, un marinaio esperto, che venne individuato nella figura di mio zio». Nato a Gradisca d’Isonzo, Rodolfo De Gasperi era passato per i gradi della marina mercantile, servendola, come Capitano di lungo corso, durante la Seconda guerra mondiale. Nel 1943, dichiarato inabile alla navigazione causa ferite di guerra, lasciò la Marina e ottenne una Cattedra presso l’Istituto nautico di Trieste. Fino alla chiamata di Gaber.






«Gaber fece leva sullo spirito patriottico di mio zio – spiega Cammarota –. Una volta che accettò, lo nominò comandante della missione. Si provvide, poi, al completamento dell’equipaggio e al reperimento delle imbarcazioni: due scialuppe del tipo lancia di salvataggio di 7 metri di lunghezza per 2 di larghezza, con una profondità di scafo di appena 90 centimetri e una radio come unico contatto con la terraferma: tutto quel che si potevano permettere. Partirono la notte del 16 dicembre, tra l’indifferenza delle autorità anglo-americane e il sarcasmo della radio jugoslava». Il litorale adriatico, i porti della Puglia e della Sicilia e, infine, l’oceano.


Un viaggio però pieno di complicazioni. A Gibilterra, per problemi tecnici, l’equipaggio della «Trieste» decide di tornare in Italia. Rimangono in quattro con una barca. Il 9 settembre 1949, dopo esser scampati a cicloni e fortunali, i marinai entrano nel porto di Fortaleza. È la prima di una serie di tappe che li porterà fino in Uruguay, in un crescendo di entusiasmo da parte delle comunità italiane sudamericane. Il 24 maggio 1950, giungono a Buenos Aires, dove vengono accolti dal presidente Perón. Ritorneranno in patria con un volo Alitalia. «Il tabù delle foibe venne sdoganato solo nel 2004 — afferma Cammarota —, ma l’impresa di mio zio rimane nella Storia. Il suo non fu unicamente atto di eroismo, ma testimonianza di patriottismo e impegno civile. E ciò, in un’epoca satura di “Schettini”, non può che diventare esempio di speranza».
19 gennaio 2019 | 11:30

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