Senza titolo 421

Uno dei  più  bei  interventi  sul fatto di Gavoi  in mezzo a tanto  fiume  d'inchiostro e di  bit   in particolare  questi

intervento pubblicato  sulla nuova  sardegna  cronaca  di Olbia-gallura  del 10\4\2008


«Anche noi sogniamo un mondo migliore, senza violenza» 
 Non sono passati neanche 15 giorni dal delitto di Gavoi, che già un’altra donna, a Orosei, è stata trovata agonizzante in condizioni tali da far pensare ad una ennesima brutale aggressione. Ancora una volta lo strazio dei parenti, le indagini, i sospetti che dividono e angosciano, la commozione collettiva e l’omelia toccante vissuti come un rito catartico durante il funerale, con tutto il paese, sindaco in testa. Poi, tutti a ricominciare la vita di sempre. Un film logoro, già visto tante volte...., ma mai abbastanza per non girarlo più.
 A Gavoi, le luci della fiaccolata e quelle delle candele si sono spente. Bisogna ricominciare. Ma è inutile, il paese non si riconosce più, le persone si sfiorano diffidenti; si ha paura e non si può allontanare dalla mente attonita l’immagine di quella donna, amica, parente e concittadina, incaprettata nel bozzolo mortale del nastro adesivo, dentro la bara di un cofano di automobile e di una bimba di otto mesi sconvolta da un pianto disperato.
 Non più di cinque minuti per morire, ci assicurano gli esperti. Ma come si vive in quei terrificanti cinque minuti? «La bambina non si è resa conto dell’accaduto», dicono. Ma che ne sappiamo delle ferite aperte nel suo inconscio? Lasciamo le indagini agli investigatori, le analisi ai sociologi, i pianti alle persone care che hanno conosciuto Dina. Noi, fermiamoci almeno un po’ ad ascoltare nel profondo tutto questo. È vero, fa molto male, ma risveglia la nostra umanità, alimenta lo sdegno e la voglia di combattere, ciascuno nel suo ambito, perché cose simili non accadano più. Non vogliamo che con le fiamme della fiaccolata si siano spenti anche i nostri cuori, sempre più minacciati di anestesia totale dalla abituale irrompere nel nostro quotidiano delle immagini sconvolgenti di tragedie che si consumano in tempo reale da qualche parte del pianeta. Ma noi siamo diventati esperti in obliterazioni: basta schiacciare un bottone e via, perché nel mondo virtuale un’immagine, una situazione, una persona che hanno il torto di non piacerci spariscano. Ma le tracce restano.... Ma nel mondo reale, dove cose e persone non possono essere cancellate a nostro piacimento, come ce la caviamo? Siamo sempre meno attrezzati e c’è il rischio che, senza valori forti, qualcuno possa confondersi al punto da sentirsi vivo solo all’apice di una feroce stupidità da arancia meccanica, dove atrocità, codardia, improvvisazione e imbecillità mescolano in un cocktail perverso dove tutti i codici sono cancellati da omuncoli tanto bestiali quanto vigliacchi. Sì, perché, pur nella feroce balentìa di una certa tradizione locale, donne e bambini non venivano toccati ed il bandito esprimeva una fierezza che, pur mal riposta, era sintomo di una identità forte e riconoscibile, nel bene e nel male dalla comunità.
 Sì, per fortuna stiamo ancora male davanti a queste cose. Ma che fare? Martin Luther King, Gandhi, Madre Teresa di Calcutta, hanno toccato con mano miserie immani, eppure hanno vissuto intensamente spendendosi fino all’ultimo. Loro avevano un sogno: far vincere l’umanità con la forza della non violenza. È il momento di riprendersi quel sogno per coltivarlo e farlo vivere dentro e fuori di noi. Ma come? Facendo passare anzitutto l’idea forte che la violenza non è mai giustificata e giustificabile, che umilia e degrada chi la compie, non chi la subisce; che ogni persona, per il solo fatto di essere in questo mondo, merita rispetto e che l’educazione al rispetto (da non confondersi con la deferenza) si assorbe fin dai primi istanti di vita e nella continua interazione con gli altri,anche quando ci costa fatica. Allora, diamoci una mossa e riscopriamo la voglia di lasciare il mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato, smettendola di dire che non ci piace e basta. Alziamo una barriera contro la violenza, gli interessi meschini, gli abusi sordidi, i poteri biechi del presunto forte sul presunto debole, gli ipocriti anestetici delle coscienze. Cominciamo dalle nostre case, come genitori e compagni di vita, come insegnanti e come cittadini, membri delle istituzioni e nei luoghi di lavoro.
 Nelle associazioni di cui facciamo parte, mettiamo come primo obiettivo forte e irrinunciabile il rispetto per se stesi e per gli altri, la lotta alla violenza e facciamo rete tra noi per collaborare con le istituzioni. Ci sentiamo di assumere da subito questo impegno; perché anche noi pretendiamo di avere questo sogno che, a nome di tutte le donne e di tutti gli uomini di buona volontà del villaggio globale, dedichiamo a Dina Dore, vittima della violenza in una piccola realtà locale.

Mariuccia Poggi Mio
Anna Vacca Facchini
(Fidapa)
 Patrizia Desole (Prospettiva donna)

Commenti

argeniogiuliana ha detto…
Rimaniamo muti, incapaci di trovare parole.

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