per la serie interviste ai compagni di viaggio \ di strada oggi è la volta dell'affabulatrice e poliedrica Alina Rizzi come dimostra la sua bibliografia ed i suoi lavori ( qui sul suo blog maggiori dettagli )
Alina Rizzi è nata a Erba (CO). Giornalista dal 1991, ha scritto articoli e servizi per i seguenti periodici: Cosmopolitan, Tuttodonna, GrandHotel, Cavallo Magazine, Lo Sperone, Argos, Maxim, 20Anni, Essere e Benessere, Comogolf, Natural Medicine, Trentadì, Il Corriere di Como, Marea.
Giornalista pubblicista dal 1991, si dedica da sempre a realizzare iniziative rivolte alla valorizzazione del mondo femminile. Attualmente collabora col settimanale F e il mensile Natural (Cairo Editore). Per contatti oltre il suo blog citato sopra nelle righe precedenti e il suo account facebook la potete trovare a questo indirizzo email : alinarizzi67@vodafone.it.
Ora poiché non sta bene iniziare dall'ultima opera Pelle di donna ( per la casa editrice Bonfirraro editore Viale Signore Ritrovato 5 94012 Barrafranca (EN) che potete trovare
Telefono: (+39) 0934 464 646 oppure via email info@bonfirraroeditore.it o al sito web Sito: www.bonfirraroeditore.it )
ovviamente si parlerà anche dell'ultimo libro ) un’ intervista a tutto tondo .
Scelta un po' dura come titolo del tuo ultimo libro, puoi spiegarci da dove deriva la scelta ?
Cosa proponi oltre a raccontare come in pelle di donna storie di donne che hanno attraversato il dolore della coercizione, dell'esclusione, della violenza fisica e psicologica, quasi sempre perpetrata da uomini. Perchè queste (ma anche quelle che quotidianamente subisce simili situazioni ) donne non devono essere dimenticate, perché come loro ce ne sono centinaia di altre, che solo uscendo dal buio e dall'anonimato, possono forse ritrovare un po' di giustizia. E di serenità per eliminare o secondo alcuni ridurre (perchè secondo me non si sconfiggerà mai ) la piaga del femminicidio ? Credo che le leggi adatte per proteggere le donne esistano ma non siano fatte rispettare, molto spesso. Su questo c’è da lavorare. Inoltre l’applicazione di pene più severe funzionerebbe sicuramente da deterrente contro questi crimini.
In quanto già a 14\15 si sono già formati i pregiudizi , ed i primi atti di bullismo e le prime forme di omofobia , di sessismo ( quello che un tempo si chiamava maschilismo ) ed i pregiudizi che portano al : razzismo , .al l femminicidio e allo stalking molti propongono d'intervenire nel spiegare \insegnare la convivenza e la tolleranza ( ovviamente critica da non confondere con quella passiva ) fino dalle scuole materne per spiegare le tematiche ( ed eventuali antidoti \ anticorpi per evitare e ridurre al minimi termini visto che l'odio e la paura non si posso mai cancellare \ rimuovere ) che hai trattato nei tuoi libri ed in particolare nel tuo ultimo libro . Tu cosa ne pensi ?
Sì, credo che l’educazione al rispetto delle donne debba iniziare dalla più tenera età, dalla scuola materna. E debba rivolgersi ai maschi come alla femmine. Non dobbiamo scordare che, ancora oggi, sono soprattutto le donne che allevano i figli, quindi sono le prime che devono chiedere agli uomini di domani di non avere pregiudizi e atteggiamenti violenti. L’esempio, comunque, resta la più efficace forma di insegnamento.
visto che spesso le donne che hanno subito ingiustizie e violenze si aprono principalmente con una giornalista donna immagino che non hai avuto difficoltà a farti raccontare tali fatti
Non credo che la disponibilità a raccontarsi dipende dal sesso del giornalista, quanto piuttosto dalla sua sensibilità e capacità di empatia. Non è facile raccogliere testimonianze così dolorose, mi rendo conto che le mie domande rischiano di riaprire ferite non sempre cicatrizzate del passato, ma h
Cambiamo argomento ma parlando sempre di te visto che ti sei e ti occupi di erotismo ( anche giustamente hai fatto notare http://www. oltreilgiardinoonlus.it/da- scrittrice-erotica-ad- arteterapeuta-intervista-ad- alina-rizzi/ e si nota dal tuo blog che ti va stratta ed limitativa la definizione di scrittrice erotica ) come vedi l'aumento della fruizione della pornografia da parte delle donne legalizzare la prostituzione quindi abolire la legge Merlin è un bene o un male ?
L’uso di pornografia da parte delle donne non mi stupisce: penso sia un interesse legittimo e privato, da rispettare senza tanti sbandieramenti.
Per quanto riguarda la legalizzazione della prostituzione non vedo soluzione facili all'orizzonte: non mi pare che nei paesi dove la prostituzione è legale sia scomparsa la tratta, lo sfruttamento e la violenza sulle donne che fanno questo mestiere.
usi di più sia nello scrivere \ intervistare e nelle tue opere il cuore o la mente ? oppure per non essere d'assente le usi entrambi ?
Scrivo per passione, che nasce da mente e cuore, secondo me.
Esiste o non esiste la teoria del gender ?
Non è una teoria è un dato di fatto. Uomini e donne appartengono a due generi diversi e hanno quindi caratteristiche diverse. Vogliamo ancora negarlo? E’ ridicolo.
Come mai nelle tue interviste intervisti solo donne e anche di uomini ?
Intervisto le donne perché mi interessa l’universo femminile in tutte le sue sfumature. Sono felice di dedicare il mio tempo e le mie competenze a chi, da sempre, ha avuto meno possibilità di espressione personale.
Non hai mai , almeno da quel poco che ho letto visto che ti conosco da poco raccontato o intervista pornostar o porno dipendenti ( ce ne sono kma ri mangano sommersi in quanto provano più vergogna degli uomini ) femminili ?
Non mi è capitato di incontrare donne interessate a condividere la loro storia intima e personale. E il superficiale o l’apparenza non mi interessa.
non so più che cosa chiederti se vuoi aggiungere o rettificare qualcosa o magari lasciarci un estratto dal tuo ultimo libro o libro precedente finiamo qui Bene, grazie, ti mando a parte un racconto tratto dal mio libro PELLE DI DONNA.
LAPIDATA
Giulia era mia figlia. Aveva trent’anni, era bella, solare, intelligente. Si era laureata in psicologia,aveva un buon lavoro alla Unicredit di Sassuolo.Dopo sette anni di fidanzamento, nel 2005 aveva sposato Marco, impiegato in un ufficio tecnico di progettazione di impianti elettrici. Giulia non pretendeva troppo dalla vita, era una ragazza senza grilli per la testa. Voleva una famiglia, dei figli, fare qualche viaggio. Io desideravo per lei solo la sua felicità.Era la mia bambina. Ma un freddo sabato sera del2009, senza alcuna ragione al mondo, suo marito l’ha uccisa. L’ha attirata nel garage dei suoceri come in una trappola e forse non le ha dato neppure il tempo di aprire bocca per parlare, per chiedergli spiegazioni. L’uomo che lei amava da dieci anni ha lapidato la mia bambina. Per sette volte ha infierito su di lei con un grosso sasso, le ha spaccato la testa, poi l’ha caricata in auto, è arrivato sulle sponde alte del fiume Secchia e l’ha gettata di sotto, come una bambola di stracci, come volesse ucciderla per la seconda volta, lasciandola tutta rotta sulle rocce appuntite bagnate dal fiume. Ma Giulia non era un pupazzo, Giulia era una donna, Giulia era mia figlia,e lui l’ha massacrata.Erano circa le ventitre dell’11 febbraio 2009, io e mio marito eravamo già a letto, era inverno e faceva freddo. All’improvviso squillò il telefono. Mi alzai con un balzo e corsi a rispondere. Era mio genero Marco, che mi chiedeva se Giulia era con noi. Mi parve una domanda assurda. Perché doveva essere a casa nostra? Lui disse che era uscita, che non rispondeva al cellulare, che avevano litigato al telefono.Questa non era una novità. Ultimamente non andavano d’accordo e mia figlia era molto triste e delusa,però ancora sperava di ricucire il rapporto. Tant’è vero che solo un paio di settimane prima, un sabato nel primo pomeriggio, venne a casa nostra con una piccola borsa, affranta per come l’aveva trattata il marito e ci raccontò tutto. La sua infelicità, il fatto che lui non voleva più avere figli, che probabilmente non la reputava in grado di essere una buona madre.Era stanco di lei e glielo aveva gridato in faccia.“Mi stai chiedendo la separazione?” aveva domandato Giulia incredula.“No, per adesso no”, le aveva risposto il marito. “Se esco da quella porta non mi rivedi più”, gli aveva risposto mia figlia, sperando dimostrasse unpo’ di rimorso o di preoccupazione. Invece lui non battè ciglio e, in seguito, disse ai giudici che dormì bene quella notte, senza la moglie in casa. Infatti non la fermò quando lei uscì per venire da noi a sfogarsi piangendo.“Marco non mi vuole più”, singhiozzava.Rimase a casa nostra per quella notte, ma il giorno dopo volle tornare da lui. Disse che voleva cercare una riconciliazione, che dovevano spiegarsi, che non poteva finire così. E per qualche giorno riuscì a rappezzareil matrimonio. Almeno così noi credemmo.Ma la notte del 23 febbraio Marco, al telefono, era ansioso, parlava trafelato e l’ansia mia e di mio marito cominciò a crescere di minuto in minuto. Marco ci chiese di andare da lui, di aiutarlo a cercare Giulia perché aveva un brutto presentimento: lei aveva lasciatoun biglietto prima di andarsene. Il cuore cominciò a martellarmi nel petto, idee confuse mi attraversavano la mente. Cosa stava tentando di dirci mio genero? Che genere di biglietto aveva trovato?Riattaccai e iniziai a chiamare Giulia sul cellulare e a lasciare messaggi imploranti.– Giulia, rispondi, cosa sta succedendo?– Dove sei tesoro?– Fatti sentire, per carità!Stranamente, lei sempre così sollecita nelle risposte,non rispondeva. Ci vestimmo in fretta per correrea San Michele Dei Mucchietti, dove Marco ci attendeva. Le ciabatte di mia figlia erano lì nell’ingresso e Marco prese a recitare la sua “pantomina”. Fu lui stesso a definire in questo modo la sua recita, durante il processo. Ci mostrò il biglietto, in cui Giuliadiceva di non aver più motivo di esistere, e per quanto mi sembrasse folle quell’ipotesi, cedetti all’angoscia e insieme a mio marito ci precipitammo a cercarla fino a Sassuolo, avanti e indietro sulla strada. Per fortuna ci fermarono i carabinieri di Petrignano, per un normale controllo, e noi raccontammo i fatti. Era presto per dichiarare una persona scomparsa ma decisero di aiutarci e presto ci mandarono a casa, dicendo che avrebbero fatto delle ricerche. Rincuorati per il loro sostegno seguimmo il consiglio, con la speranza di ricevere presto buone notizie. Invece, tutto precipitò. Verso le tre di notteudimmo un’auto entrare nel cortile e corremmo alla porta, quasi certi che fosse nostra figlia. Ma erano i carabinieri e portavano la più tremenda delle notizie: Giulia si era davvero suicidata, e il suo corpo era stato trovato sulle rocce che circondano il fiume Secchia, in un punto in cui le sponde sono alte quindici metri. La terra mi franò sotto i piedi, sentii che il mondo crollava, che non c’erano più speranze. Mia figlia era morta.Seguimmo i carabinieri in caserma, dove rilasciammo le nostre dichiarazioni: eravamo costernati.Uscendo incrociammo mio genero che non ci degnò di uno sguardo: era un pezzo di ghiaccio. La mattina alle otto decisi che dovevo chiamare Elena, la sorella di Giulia, e informarla dei fatti, ma lei non volle credermi.Disse che la sera prima era stata un’ora al telefono con Giulia, che era felice perché alle venti doveva incontrarsi con Marco: lui dopo tanto tempo l’aveva cercata per stare un po’ insieme. Anzi, l’aspettava nel garage dei suoi genitori, perché doveva mostrarle una cosa. E Giulia, sorpresa per la richiesta del marito, aveva ipotizzato che lui volesse consegnarle il regalo che non le aveva fatto a Natale. Era impaziente, eccitata, non poteva essersi uccisa! Infatti, c’è persino un sms a provarlo, scritto da Giulia al marito alle diciannove e venti di quella sera: «Ciao amo’! Come sei messo? Io sono appena rientrata.Stasera preferisci mangiare in casa o vuoi che ti passi a prendere e andiamo a mangiare qualcosa insieme? X me è uguale».Elena raccontò tutto ai carabinieri, i quali già nutrivano dei sospetti, avendo trovato tracce di sanguee un orecchino di mia figlia vicino al ciglio del fiume.Grazie alla deposizione di Elena si precipitarono nel garage dei genitori di Marco e anche lì trovarono altre tracce di sangue. Nel giro di ventiquattro ore l’uomo fu arrestato, e poiché le prove erano schiaccianticonfessò l’omicidio dichiarando: “ Una volta arrivata all’interno del garage dell’abitazione dei miei genitori, la discussione è degenerata in un vero e proprio litigio. Preso da un improvviso raptus d’ira, vedendo vicino a me un grosso sasso grigio, che nonso neanche perché si trovasse lì, lo afferrai con la mano destra e colpii violentemente il capo di mia moglie. Lei cadeva a terra e io mi sono buttato su di lei colpendola più volte, tanto che nell’impeto ho colpito la mia mano sinistra ferendomi. L’ho colpita fino a quando non ha smesso di respirare…” È stato tremendo ascoltare queste parole, ma nel contempo ero sollevata: la giustizia avrebbe seguito il suo corso. Invece mi sbagliavo. Le cose non sono andate come speravo per quell’uomo che, pur essendo reo confesso, fu così abile, gelido e astuto da far credere ai giudici di aver uccido per gelosia, convintodi essere tradito dalla moglie. Ma mia figlia non poteva essere lì a difendersi e Marco sì invece,pronto a recitare la parte del marito ingiustamente maltrattato, della vittima, nonostante lui sì aveva un’amante, che chiamava “Volpe”, a cui scrisse un sms subito dopo aver confessato il crimine per informarla che non poteva più tornare da lei. E sebbene non esista più il reato di adulterio, il delitto d’onore,la realtà dei fatti ha poi dimostrato che un uomo che convince i giudici di aver lapidato la moglie per gelosia,riesce in qualche modo a farla franca, cioè ad ottenere uno sconto di pena, fingendo di aver agito accecato dal dolore e dall’umiliazione procuratigli dalla compagna e non con determinata e lucida premeditazione.Per me questa non è giustizia. Perché mia figlia è morta massacrata dall’uomo da cui desiderava un bambino. Vorrei che qualcuno mi spiegasse che senso ha tutto questo.I giudici non hanno saputo farlo.
Concludo confermando da questa breve chiacchierata e post che ha scritto pere il nostro blog e quanto dice sulla bacheca la sua utente e lettrice
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