Walter Palmer UN VOLGARE ASSASSINO.



Fissate bene a mente il volto, e il corpo, dell'uomo a sinistra nella foto. Il suo nome è Walter Palmer, è americano yankee, di professione dicono faccia il dentista e lo descrivono "appassionato" di caccia. Sfoggia un sorriso fiero e vitaminico di fronte a una delle sue conquiste, un leone africano. 




L'ultimo colpo l'ha messo a segno pochi giorni fa: ha abbattuto Cecil, 13 anni, uno splendido esemplare simbolo dello Zimbabwe, violando il parco in cui l'animale viveva protetto, dopo aver comprato la corruzione di alcune guardie locali. Poi l'ha decapitato. Ora, verosimilmente, mostrerà il trofeo agli attoniti e ammirati ospiti con lo stesso sorriso congestionato e ormonale, nel suo salotto wasp, che immaginiamo lindo, bianco, pacchiano. Uno come tanti. Difficile da ricordare altrimenti.
Per questo abbiamo detto di ricordarne bene i tratti somatici. In una condizione normale, sarebbe quasi impossibile. Il suo, come quello del complice a fianco, è infatti un viso a una dimensione, del tutto piatto, che scivola via. Un viso liquido, pur d'un liquame spesso come il corpo. E così il nome: uno di quelli che trovi negli esercizi di grammatica, il signor Mario Rossi o Jean Dupont o, appunto, Walter Palmer. È un nome senza nome, il nome dell'anonimato, un anonimato però pervasivo, perché, alla fine, tutti possiamo riconoscerci in lui.
Saputa la notizia, ho subito pensato alla "Ballata del vecchio marinaio" di Coleridge, o all'ultima regina di Napoli, la trillante teutonica che per divertirsi sparava agli uccelli marini, e che solo una la morbosa fantasia dannunziana poteva omaggiare col soprannome di "aquiletta bavara". O, ancora, ai piccoli aspiranti mafiosi del film su padre Puglisi, addestrati dai capibastone a brutalizzare gli animali per poi riuscire a farlo con gli umani. Ma no, era troppo per Walter Palmer. Qui siamo a un livello totalmente superficiale, non esiste nemmeno la perversione, non la miseria atavica e disperata, non un patto faustiano. Ci troviamo all'anno zero della plastica, di fronte a un'umanità aliena, senza passato alcuno. Un'umanità senza l'uomo, o con un nuovo tipo di uomo, frutto del potere della banconota. Certo, i risultati sono sempre gli stessi: violenza assoluta, razzismo, machismo, arroganza da padroni, ecc. Insomma, quell'antropocentrismo esasperato denunciato nell'ultima enciclica di papa Francesco e che si tramuta nel suo contrario, la negazione dell'uomo. Ma con l'importante differenza di quell'astoricita' rilevata poc'anzi. Walter Palmer e le sue vitamine facciali non esistono. Sono sterili, improduttive. Mera apparenza. Eppure stanno lì, vacue e pesantissime, a indicare, se non la storia trascorsa, il pericolo futuro: la totale disumanizzazione. Dietro sembianze ancor riconoscibili ma stilizzate, robotiche. Quelle, appunto, dei manuali scolastici.
Walter Palmer riassume la cancellazione d'ogni diversità, culturale, religiosa, etnica, politica, sessuale ecc. Non è un mostro, ma un maschio di serie, sorridente, affabile coi vicini, sazio nella sua villetta Lego, con la sdraio e il giardino. Il suo mondo. Il solo. E null'altro. Volgare, cioè volgo, anzi, massa; e nella massa siamo immersi tutti. La massa è un mondo d'atomi senza relazione. E tali rischiamo di diventare. Volgari assassini col sorriso. Non abbiamo venduto l'anima al diavolo: l'abbiamo proprio cancellata. E non assurgiamo quindi alla consapevolezza, né al pentimento, del male commesso. Uccidiamo un leone e siamo già programmati per eliminare un nostro simile, o lasciarlo morire - talora, è più crudele e vile - con indifferenza, come i bagnanti leccesi di fronte al tentativo di linciaggio d'un minorenne extracomunitario.
Il denaro è divenuto così la nuova arma di distruzione di massa - propriamente detta. Dove tutto si compra, nulla ha valore; e persino quei guardiani corrotti, la loro meschinità morale, forse la loro fame, è meno colpevole del tonico sberleffo dei Walter Palmer o Mario Rossi o Jean Dupont in cui ci stiamo tramutando tutti. Aggettivi privati di nome. Assassini, e non occorrerà null'altro per definirci. Vale la pena vivere, e sopravvivere, così?


© Daniela Tuscano

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