9.11.11

Senza nome

Quel giorno proprio non ne poteva più. Fradicio fino al midollo per le cateratte che mai e poi mai volevano richiudersi. Scuro tra gli alberi scuri, fra le foglie che sembravano anch'esse liquefarsi come gelido piombo. Pioveva, e pioveva, e pioveva. Era la sua vita, si avvicinava il momento in cui non avrebbe più trovato, tra i solchi abbandonati o tra i rami fioriti, una briciola, un seme, un insetto di cui cibarsi. Lui, uno dei tanti passeri clandestini e al tempo stesso familiari in quel nugolo di comignoli, vegetazione, tombini e budelli che gli umani chiamano città.

Dalla scorsa estate lui, lo zingaro volante, aveva un appuntamento fisso sul balcone di alcuni umani. Sebbene sapesse che di loro non ci si poteva fidare, vi si avventurava egualmente. Il gusto del brivido, la fame, la consapevolezza della propria velocità gli avevano infuso un coraggio guascone. Anche perché lì aveva conosciuto due nuovi amici.

Alati come lui, ma con un nome. Cipria e Fiammetta, una coppia di canarini, maschio e femmina. Quando gli avevano chiesto quale fosse il suo, non aveva capito.

Cipria e Fiammetta vivevano prigionieri. In una strana scatola che a loro sembrava confortevole e ampia. In effetti, il vitto era abbondante; l'avevano invitato diverse volte a condividerlo, e lo straniero non si era fatto pregare. Beccuzzava con piacere sia i semi di canapa, sia la succulenta spiga di panico sporgente dalla gabbia. E Fiammetta, col suo sguardo vezzoso e rosato, gli piaceva proprio. Non avrebbe mai offeso il suo ospite, si capisce. Ma si era accorto che il suo fascino randagio aveva colpito la bella reclusa. Ma il nome, che significava avere un nome?

In seguito, capì. Il nome era la prigione.

Cipria e Fiammetta! Sillabe astruse, aliene, impossibili da riprodurre. Loro preferivano modulare trilli, in quel modo leggiadro che anche lui gl'invidiava. Il loro canto oltrepassava le grate della cella, echeggiava nei cieli superni, invocava fratelli sconosciuti, immemore e remoto, limpido e aereo come le ardimentose virate dello straniero. La voce erano le ali che qualcuno aveva loro tarpato, e che adesso gli ricadevano sui fianchi, candide e vane. Il nome li possedeva e li delimitava, perché era un nome umano, scelto dagli umani.

Uh, gli umani! A questa parola, un frizzo più gelido del rigore invernale gli sibilò attraverso le ossa cave.

Eppure, gli aveva spiegato Fiammetta, a loro non mancava nulla: cibo sempre abbondante e di ottima qualità, pulizia, tepore, persino un bagnetto tiepido tutti i giorni. E, d'estate, lunghi tragitti su un oggetto meccanico e tenebroso, un po' terrificante, ma, alla fine, ecco un altro balcone, un altro giardino, un nuovo sole, l'aria marina.
Lo zingaro crollò il capo bruno. Lui conosceva sia il sole dei tramonti urbani sia le albe del Madagascar, e la brezza marina lo conduceva tra eriche e corbezzoli e nuove avventure, trascinato e folle, e aveva spezzato cuori, alimentato speranze, disseminato figli, fuggito paurosi animali. Cipria e Fiammetta vivevano di balcone in balcone, lui era preda dell'aria, cioè di nessuno. Perché non aveva nome.
Certo, però... quella volta, il vento e l'acqua s'erano scatenati come un immenso drago bigiognolo. E i suoi amici lo aspettavano, non più sul balcone, ma nella stanza accanto, al riparo, asciutti e soffici come un nido vaporoso. Fiammetta era più seducente che mai. Li raggiunse. Sorrise. Becchettò. Fece appena in tempo ad avvertire uno strano, circonfuso calore di legno e di spigo.

Ma un'ombra lunga apparve. Un'ombra umana. Lo straniero ebbe un ansito. - Non scappare! - supplicò Fiammetta - Ci vuole bene, ci porta da mangiare...

Ma lui le lanciò un'occhiata triste e fulminea. Il sole, fuori, tornava a rischiarare l'orizzonte. Era nato senza nome, senza patria, senza cibo. Ladro di vita, la vita lo attraversava tutto.

In un attimo, fu di nuovo nell'aria di cristallo. Scappa, fuggi, e salva qualche cosa in te.

7.11.11

Lega shock: "Grazie a pioggia sgomberati campi rom a Torino"



Visto  che nel  commentare  questa  ennesima idiozia (  trovate  sotto la news  )  malpancista  della  Sega ops  Lega Nord    non mi vengono in mente    altro  che  frasi  fatte  e volgarità (  ed  non mi va  di  abbassarmi al  loro  livello )   faccio mie  le parole , spcie  qulle  da  01.10 di un grande poeta  che  ancora   ha molto  da  dire 


 repubblica  online 


Il maltempo, dichiara Davide Cavallotto, deputato del Carroccio,è riuscito laddove aveva fallito Fassino: l'evacuazione dell'insediamento  sul lungo Stura. Rosa Callipari, Pd: "Lo ispirano cinismo e razzismo". L'ira di Fassino: frasi assurde, intanto anche i roma sono rientrati nei loro campi


"Ora che la pioggia è riuscita nell'impresa in cui aveva fallito il sindaco Piero Fassino, ossia lo sgombero del campo nomadi abusivo sul Lungo Stura Lazio, mi auguro che il comune provvederà all'identificazione di tutti gli irregolari che vivevano in quel campo". Lo dichiara il deputato della Lega Nord Davide Cavallotto. "Se questo non dovesse accadere, e i nomadi dovessero rioccupare abusivamente quell'area - aggiunge in una nota - la responsabilità sarà solo del sindaco. I torinesi vogliono meno salotti radical chic e meno zingari irregolari".
"Soltanto cinismo e razzismo possono aver ispirato le parole del deputato leghista che invoca l'effetto anti-rom della pioggia torrenziale che ha seminato morte e distruzione in tutt'Italia". Lo dice Rosa Villecco Calipari, vicepresidente dei deputati del Pd.
"Leggere la nota di Cavallotto nella quale scrive che 'la pioggia è  riuscita nell'impresa in cui aveva fallito il sindaco Fassino, ossia lo sgombero del campo nomadi abusivo sul lungo Stura Lazio mentre ancora si piangono i morti di Genova e Napoli, ci riempie di rabbia - prosegue- qualcuno dei suoi può intervenire?". E Giorgio Merlo (Pd) aggiunge: frasi che si commentano da sole. E Della Seta sostiene: " I nubifragi non fermano gli imbecilli".

6.11.11

Gli italiani in Libano e la loro "caccia cieca" guerra alla guerra


 fonte unita donline  del 6\11\2011

Gli “hurt locker” italiani, come da titolo del film premio Oscar di Kathryn Bigelow, hanno gli occhi profondi del luogotenente Nicola Sgherzi, medaglia d'argento per aver salvato la vita di una donna saltata su una mina a Sarajevo nel febbraio del 1996. “Arrivammo sul posto assieme ad un collega attirati dall'esplosione e dalle urla – racconta – C'era questa signora a terra orribilmente mutilata ed alcuni militari che la guardavano. Ho deciso subito di intervenire senza aspettare l'arrivo della squadra: c'era la neve e l'unico modo per raggiungerla era camminare fino al punto dove si trovava mettendo i piedi sulle sue orme. Arrivai lì, me la caricai sulle spalle e mi misi sotto braccio la gamba che la mina le aveva fatto saltare via. Poi feci il cammino a ritroso fino a portarci in salvo”. 
Sgherzi, oggi cinquantaquattrenne alla sua sedicesima missione all'estero, assieme ai genieri della brigata Pinerolo è arrivato da pochi giorni nella base libanese di Shama. Sono qui per raccogliere il testimone dai colleghi della Aosta che assieme al resto della brigata stanno ripartendo per l'Italia, per la Sicilia, alla fine dei sei mesi della loro missione. Sei mesi trascorsi in ginocchio a pochi metri dalla “Blue Line”, la linea ideale che marca il ritiro dell'esercito israeliano dopo l'invasione, ad analizzare il terreno con la strumentazione in grado di rivelare la presenza delle mine antiuomo e a strappare un centimetro alla volta la terra all'orrore della guerra.
A marcare i 118 chilometri della linea, infatti, ci sono i cosiddetti “Blue Pillar”, i bidoni blu con il simbolo delle Nazioni Unite sulla cui collocazione i rappresentanti dell'esercito israeliano e quelli delle forze armate libanese discutono (ma è un eufemismo) nel corso delle riunioni tripartite che si svolgono all'incirca una volta al mese, con la mediazione dell'Unifil, in un edificio proprio a cavallo della “Blue Line” nel settore di responsabilità del contingente italiano.
Di la’ della linea Israele, con i suoi controlli elettronici da Grande Fratello, la sua rete elettrificata e la striscia di sabbia “pettinata” a perfezione quasi ogni giorno per poter rivelare qualsiasi traccia di una eventuale intrusione; di qua il Libano e i campi minati che l'esercito di Tel Aviv si è lasciata alle spalle al momento del ritiro. E l'unico modo per poter piantare in sicurezza i “Blue Pillar”, dopo le lunghe trattative e l'intervento delle squadre di cartografi dei due paesi, è quello di bonificare la zona e mettere in sicurezza il corridoio necessario per raggiungerla attraverso i campi minati.
Un lavoro che, nel settore ovest del Libano del sud, spetta proprio al genio guastatori: agli uomini della Aosta, fino ad oggi, a quelli della Pinerolo domani quando sarà completato l'avvicendamento. Un lavoro lungo e pericoloso, un avanzare di un metro appena al giorno lungo un corridoio largo altrettanto: prima analizzando il terreno con una strumentazione simile ad un sofisticato metal detector, poi sondando la terra con uno stiletto che sembra un lungo cacciavite per rilevare l'eventuale presenza di ordigni. A guidarli nel buio di una ricerca in cui gli occhi non servono, ci sarebbero le cartine che le forze armate isreliane hanno consegnato dopo la pace e dove sono segnalate le zone minate e l'esatta dislocazione delle mine. Ma anni di maltempo, smottamenti, combattimenti e passaggi hanno modificato profondamente l'aspetto di queste colline brulle e così fidarsi pienamente di quanto riportato nelle mappe è impossibile. Resta solo la caccia cieca. Dall'alba al tramonto, sotto il sole d'estate o nel vento freddo d'inverno, a turni di venti minuti a testa. “Perché più a lungo – spiega il tenente colonnello Antonio Micunco, settima missione in teatri esteri – sarebbe impossibile resistere e restare concentrati con addosso una dotazione che fra casco e imbottiture pesa oltre tredici chili”. 
Un lavoro che dà i suoi frutti, però, visto che dal 2006 ad oggi i guastatori italiani hanno scoperto e fatto brillare ben 51 mine, bonificando corridoi per un area di quasi 2000 metri quadrati. Cinque i corridoi aperti soltanto negli ultimi sei mesi di operazioni, quelle condotte dagli uomini della brigata Aosta guidati dal tenente colonnello Gabriele. “Nei giorni successivi al salvataggio – ricorda ancora il luogotenente Sgherzi – ricordo che per le strade di Sarajevo erano stati affissi dei cartelli su cui c'era scritto 'Grazie Italia, grazie soldati italiani'. Fu un'emozione incredibile”. Diventato eroe per aver salvato una donna che su una mina c'era saltata, oggi è qui assieme ai suoi colleghi per evitare che domani possa capitare lo stesso a qualcun altro.


minemineminemine

Uscire sotto un diluvio x andare a sentire un pianista eccezionale non ha prezzo .

Ieri  pomeriggio , fino  alle  8.30  di sera  ,  è  venuto  giù in diluvio , mandando a carte 48  la    1  giornata  della  sagra  dell’annuale   castagne . Ma  per  fortuna  ottavo (  ed  ultimo  )  appuntamento della rassegna «Autunno musicale tempiese  che vedeva  ospite il pianista 
Francesco Grillo (  foto a  destra  )si teneva  dentro  il teatro del Carmine .La scaletta delle interpretazioni dal titolo scelto dai curatori  da lla  rassegna : «Liszt al Jazz, Highball, original piano works-improvisation and more». In essa   Grillo ha compiuto  incursioni attraverso più generi musicali . Ne a  , come  valsa  la  pena   di prendersi tutta  quella  pioggia  per  un bellissimo     sublime  concerto  . Infatti : << (...) Musica jazz, autorevole rivista del settore, lo considera una delle espressioni più originali del panorama musicale italiano. Il suo stile viene considerato «avventuroso» e l'album per piano solo, «Highball»,che ha inciso recentemente e nel quale duetta con un altro virtuoso del pianoforte, Stefano Bollani, si è meritato il titolo di «stupefacente». Ma chi è Francesco Grillo? Formatosi al il cconservatorio Verdi di Milano e diplomatosi sotto la guida di Vincenzo Balzani, Grillo si è perfezionato con i maestri Franco Scala, Lazar Berman e Boris Petrushanskj. Ha primeggiato in numerosi concorsi pianistici nazionali e internazionali. Vanta una discreta attività concertistica e, oltre che in Italia, si esibisce spesso in diversi paesi d'Europa, Usa, Giappone e Messico. Qualcuno lo ricorderà ospite della trasmissione di Rai-Radiotre, «Invenzioni a due voci», dove si è cimentato in una improvvisazione su brani dell'area occidentale e islamica. >>(  dalla nuova Sardegna  del  5 novembre  ) .Ottima  l’idea , peccato  che  avessi poca batteria  nel cellulare   da riuscire  a  fare   solo  una \ due  foto  e la  fotocamera lasciata  a casa  ,  quella  di mettere  sopra  di lui  uno schermo  che  ne  riprendesse  le mani leggiadre (  vedere mie foto  sotto ) 



. Da profano e  da  semplice  ascoltatore   credo che supererà ulteriormente  e  soppianterà  Giovanni Allevi ( 1 2 ) .






Infatti  la  sua  sua  musica  è  dotata  dalla perfetta padronanza   del linguaggio  compositivo     dovuto  allo studio  fin dall’età  di  8  anni  del  pianoforte << (…) Francesco Grillo   è da  considerarsi  un erede  del pianismo  classico  europeo da una prospettiva   contemporanea , dal punto  vista  privilegiato di chi ha  il  vantaggio  di vivere nel secolo “  dopo “  e può per  questo allargare i propri orizzonti creativi partecipando  a  tradizioni musicali  di provenienza   diversa >> ( dalla  brochure  del  concerto ) .  Ascoltando sia  dal vivo   sia  nel  cd   s’evidenzia la sua  capacità e bravura  











nel recuperare  senza  banalità  andando oltre la  musica minimale, facilona, da aeroporto o da ascensore, priva di elaborazione e sviluppo, qualcosa di amatissimo dagli ascoltatori da aperitivo. La  sua  musica  per  chi  non ha un educazione musicale o  è  abituato a sentire  solo robaccia  che  propone il mercato può  ad  un  primo ascolto  sembrare  complessa (  ma  come  non biasimarli  )  di  facile  ascolto  ,  di grande  lirismo  .Ma  almeno essa  è  una  risposta  matura  e non un prodotto di un'abile operazione di marketing o qualcosa  di posticcio e  di certe  sperimentazioni imbarazzanti  presenti in alcuni  grandi autori  Italiani  post Berio ch  hanno afflitto e  affliggono  tutt’ora , troppi tentativi  di fusione  tra la musica  classica  e  il  jazz . . Un ottimo concerto  e un promettente  disco  . Un viaggio  rilassante  fra  due secoli   di musica  . Un pianista  dalle mani leggere . Scommetto che se non avesse tardato a fare il cd Giuseppe Tornatore,  gli avrebbe affidato  ne La leggenda del pianista sull'oceano ( 1998 ) i pezzi  suonati  al piano  da  protagonista

2.11.11

Autostrada


La mia vita è tutta un rumore. Un rombo sordo. Una fuga dentro tunnel bui, affamati budelli di balena. Non si ha tempo di assaporarli, i colori. E quando solo ti fermi un attimo, e ti piovono addosso tutti assieme, ti senti aprire il petto in due, e il pianto t'invade. Come accadeva a mio padre, in Kossovo. "Il topo", lo chiamavano. Scuro scuro, ha avuto un figlio chiaro come me. Capelli gialli e ispidi, spine tra la paglia. "Il topo" lavorava in una cava e sterrava sabbia e sabbia, accecante e vetrosa. Poi la sabbia se l'è inghiottito. Di piangerlo non ho avuto tempo. Ancora rumore. Spari, bombe, malta, informità granulosa, questa era la nostra vita. Sono scappato dalla guerra e mi sono ritrovato su un camion. Trasporto ogni cosa, o forse niente. Solo le palpebre, ogni tanto, si chiudono lente, e allora rivedo un paio d'impannate verdi, un riposante orticello dietro casa, una sposa bambina dalla gonna a quadri. Mentre m'inforco tra le gallerie dei monti, ricordo quella prima notte, c'erano le stelle e le carrube dolci. Anche allora era buio, ma lo penetravo con calma e rassegnazione, quasi pregando, vicino all'abito splendente della cerimonia. I miei attimi di silenzio, di lenta straordinaria attesa.

Tornerò, un giorno. Dalla sposa sdraiata là, sulla panchina dove rubava il sole. Da un giovane carrubo con le gambette sghembe, stessi capelli gialli e il sorriso fuligginoso di mio padre. Frutto di quell'attimo di silenzio, di quella notte più lunga di mille autostrade. Che mi ha solo intravisto dalla nebbia di occhi barbaglianti, e che ora, dopo quasi otto anni, deve ancora scoprirmi. Tornerò, un giorno, lasciandomi dietro il chiasso informe. E saremo felici. Forse.

Ingrata patria...


Nessun ricordo ufficiale per il volontario sardo-ligure che ha donato la vita per salvarne altre


Per Lui, SANDRO USAI, nessuna diretta televisiva... solo: Sul coperchio un mazzo di piccole orchidee e le lacrime della moglie Elena, che non ha abbandonato un istante la bara... è quello che capita spesso ai "veri eroi"...

(Domenico Savino)

1.11.11

Via larga o via stretta ?


           
Era da  tempo   che non mi facevo una   domanda  e mi davo   la risposta  , per parafrasare un famoso personaggi televisivo e la  sua trasmissione  tv andata in onda  dal1989 al 1994 . Eccovi la mia elucubrazione
E’più costruttiva una   via retta   e larga o  una via  con curve  stretta ?
A te decidere  s vuoi una  vita  \ opera  d’arte  solo  ed  esclusivamente piatta  e monotona o se vuoi  qualcosa  ricco  e fecondo  .
La auto risposta non  mi convinceva più  di tanto poi   sono andato a  rileggermi  questa  frase   trovata  su un  calendarietto regalatomi  da  amici  cristiani   ecumenici  di   Matteo 7:13-14 : <<  Entrate per la porta stretta, poiché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa. Stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano >>. per arrivare alla fine e al completamento  dell’opera  d’arte sono  solo dum  l  vie percorribili la  via  larga \ retta  quella  che  ti  fa  arrivare  subito al sodo  e dai  risultati poco duraturi  d effimeri   dove apparentemente  ci  troviamo bene , dove non dobbiamo  abbandonare nulla  ne metterci in discussione e decidere  se  far  morire -uccidere il nostro orgoglio e la nostra presunzione o  svilupparlo. Strada  frequentata  da morti viventi o ch  hanno mandato il cervello in cassa integrazione . Insomma  è per chi ha  fretta  per parafrasare  questa canzone ( perdonatomi la  doppia citazione )



  la  via stretta certo è la meno attraente e apparentemente meno invitante 



Ahi quanto a dir qual era è cosa dura,
esta selva selvaggia e aspra e forte,
che nel pensier rinova la paura!
Tant' è amara che poco è più morte,
ma per trattar del bene ch'io vi trovai,
dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte. »
 ( Dante Alighierj  inferno I .,  vv.1-6) 



sicuramente in controtendenza  o in direzione  ostinata  e contraria ( per  usare il titolo  di un disco postumo  di un poeta musicista   scomparso troppo presto  ) perché i compromessi , i conformismi,la  falsità, ipocrisie, il buonismo d’accato \ il politicamente  corretto  non posso passarvi . Ma  alla fine ottoneremo  risultati più duraturi  .

Io  dopo un po’  di titubanza 



ho  scelto anzi meglio riconfermato la mia  via   .  vi lascio indovinare quale . Ma sono  sicuro  che  voi  o , cari  compagni di strada  lo capiate benissimo .  con qusto è  tutto   alla prossima


                                         Punti di riferimento  

il mio 1 novembre



Osservo con timore Bolormaa la Contorta 
Concetto fatto carne nervi viscere legamenti 
Sinuoso movimento 
Monito terrorista che la retta è per chi ha fretta 
Non conosce pendenze smottamenti rimonte 
Densamente spopolata è la felicità 
Densamente spopolata è la felicità 
Preziosa 
La felicità è senza limite e viene e va 
La felicità è senza limite e viene e va 
Viene 
Viene e poi se ne va 
Splendida Bolormaa arresa all'amore 
Fluida contorta molle resistente 
Lascia fluire il dolore 
Che la felicità è senza limite 
E va e viene 
E va e viene 

Altri testi su: http://www.angolotesti.it/C/testi_canzoni_csi_47004/testo_canzone_bolormaa_828996.html
Tutto su Csi: http://www.musictory.it/musica/Csi

31.10.11

la libertà laicità possono può convivere con la fede ? secondo me si


Leggendo la  2  e la  4  di  copertina mi chiedevo  la libertà  può convivere  con la fede ? un credente può essere laico  come  sostengo ascoltando  questa  canzone  




domande  che  trovano  risposta  in :

1)  << (...) Mancuso  ci prende per mano e  ci fa percorrere  la strada   delle  riflessioni  , di dubbi  , delle scoperte .Il suo è un libro  che ho letto con curiosità e piacere >> Dacia Marini
2) da  questa recensione Gustavo Zagrebelsky in "la Rebubblica" del 9 settembre 2011
Ma  soprattutto  da questa   intervista   di Mancuso presa dall'unione sarda  di Domenica 30 ottobre 2011
 
E'un mistero. Un mistero tutto italiano. Mentre infuria il dibattito sulla strategia a lungo termine del partito della gnocca e quello sulle prove di esistenza in vita della sinistra, c'è un signore che scrive libri di teologia e li vende a botte da centomila copie. Gli è accaduto già tre volte di scalare le classifiche con saggi che parlano di Dio e dell'anima. O, se preferite, del senso dell'esistenza. 

Centomila copie sono un record che fa pensare: nell'irresistibile corsa al declino del mondo globalizzato c'è evidentemente qualcuno (più di qualcuno) che si ferma a riflettere. Vito Mancuso, due figli e quarantanove anni a dicembre, è un caso nazionale che ha varcato le Alpi. In Germania è stato addirittura pubblicato un tomo che illustra ed esamina la sua teologia. Non ci sono precedenti. 

Cosa racconta di così straordinario, cosa c'è nelle sue pagine che giustifica un boom editoriale di questa portata? In fondo, nulla. C'è solo, spiegato al popolo, il tormento e i dubbi di un credente, la requisitoria sulle nefandezze di Santa romana Chiesa, la ricetta per vivere con dignità, rispetto di se stessi e degli altri. 

Nato in Lombardia da genitori siciliani, ha conquistato il dottorato accademico con 90 novantesimi summa cum laude. Allievo del cardinal Martini, s'è fatto prete giovanissimo ma, appena presi i voti, ha chiesto la dispensa. Concessa. Concessa perché continuasse a studiare. 
Che sapesse parlare di Dio senza narcotizzare la platea lo ha scoperto per primo Giuliano Ferrara che l'ha voluto editorialista nel suo quotidiano, Il Foglio. Da lì però Mancuso se n'è andato presto, inseguito da un addio rancoroso, per passare a Repubblica, dove scrive attualmente. Sempre su Dio e dintorni.
A far finire di recente il suo nome sui giornali è stata tuttavia un'altra vicenda. Anziché chiedere la dispensa come aveva fatto da sacerdote, è uscito dalla Mondadori sollevando un polverone di polemiche. Ha scelto la strada della lettera aperta per spiegare il caso di coscienza che lo attanagliava: non se la sentiva più di lavorare per la casa editrice del premier, uomo che ai suoi occhi rappresenta esattamente l'opposto del cosiddetto buon cristiano. 
Comunista, l'ha subito bollato qualcuno. Ma proprio da sinistra, se vogliamo dirla tutta, partono contro di lui bordate feroci. Teologia da supermarket, hanno scritto del suo ultimo libro Io e Dio. Altri non gli perdonano di stare in mezzo al guado: cattolico sereno e praticante ma contemporaneamente vicino a tutti quelli che ancora cercano, che s'interrogano. Il suo pubblico, insomma.


Mancuso, che vive a Bologna e insegna all'università San Raffaele-Vita di Milano, ha la timidezza di un docente alle prime armi. Non trasuda fama e successo. Nessuna domanda riesce ad alterargli il tono, neanche il minimo segnale di boria mentre spiega la sua linea. Dai genitori ha certamente imparato sobrietà e riservatezza, dalla Brianza - dov'è cresciuto - la capacità di sorridere ogni tanto. I suoi saggi sono tradotti in molti Paesi ma evita con cura di parlarne. Vuole che siano gli altri a scoprire un piccolo miracolo.
Che segni ha lasciato l'esperienza da sacerdote? «Ricordo poco, è durata appena un anno. Ricordo bene invece i cinque anni da seminarista. Bellissimi».
Ha lasciato perché pensava che non sarebbe stato un buon prete? «No. Ho lasciato perché ho sentito che se non lo avessi fatto non sarei stato un buon uomo. Sentivo la mia umanità venire meno».
Meglio un ateo felice e onesto, dice lei, che un credente felice e disonesto. «Certo, perché ciò che distingue il valore d'un uomo è l'onestà interiore. La sincerità è il fondamento della vita spirituale».
Sbagliato dire che lei è il teologo della sinistra afflitta da dubbio permanente? «Non ne ho idea. So di rivolgermi a persone che pensano. E constato che tra le persone che pensano sono di più quelle politicamente a sinistra».
Sbagliato dire che lei è un teologo libero ma non della Liberazione? «Secondo me un teologo veramente libero dev'essere per forza anche un teologo della liberazione. Se per Liberazione si intende parlare di teologia politica, io non lo sono. Se per Liberazione si intende invece un movimento spirituale, beh, spero di esserlo».
Insomma, da che parte sta? «All'opposizione».
Il metodo Boffo nasce nella Curia di Roma e rimbalza fino a Vittorio Feltri. Giusto? «Non lo so. So che nella Curia romana circolano ogni tanto personaggi abbastanza loschi e quindi non mi sorprenderei se fosse vero».
L'esenzione Ici al Vaticano configura un voto di scambio? «Può configurarlo, sì. S'io fossi il papa, mi batterei per essere totalmente uguale agli altri cittadini».
Tarcisio Bertone, segretario di Stato a San Pietro, è un ministro segreto del Governo? «Ogni tanto certe mosse danno l'impressione che lo sia. Da qualche settimana tuttavia pare si stia un po' smarcando».
Ha aspettato anni e anni. «È la politica di un colpo al cerchio e uno alla botte».
Ha scritto: per la gerarchia ecclesiastica non conta la vita concreta ma la professione esteriore di obbedienza. «Purtroppo talora è così. Anche ai preti viene detto pensate quello che volete, magari ditelo pure in confessionale ma mai in pubblico. Per l'istituzione la fede deve essere ufficialmente vissuta in conformità al potere centrale. Vietato esternare certe perplessità».
Ha scritto: la mia Chiesa ha commesso crimini orrendi. Oggi come se la passa? «Ha commesso anche opere di carità meravigliose. L'intelligenza di ciascuno di noi ha il dovere di saper distinguere. La Chiesa non è un'associazione a delinquere ma neanche il paradiso in Terra. Ha fatto cose terribili, ha fatto cose bellissime. Questa dialettica esisterà sempre finché ci sarà l'umanità. La comunità di don Ettore Cannavera a Serdiana, che tempo fa mi ha ospitato per una conferenza, è uno straordinario esempio che sgorga dalla fede. Allo stesso modo ci sono esempi che pongono inquietudine in chi ama il Vangelo».
Qual è l'inquietudine peggiore che avverte? «L'incapacità di legare il senso del bene e della giustizia, che è presente negli uomini fin da bambini, con il senso del mondo d'oggi».
I suoi rapporti con le gerarchie ecclesiastiche? «Variano. Ci sono vescovi e cardinali coi quali i rapporti sono buoni, altri coi quali i rapporti sono inesistenti. Altri ancora che, se potessero, mi scomunicherebbero».
Nomi non ne facciamo? «Posso parlare del mio padre spirituale: il cardinale Carlo Maria Martini. Un uomo straordinario».
Il pontificato di Ratzinger. «È contrassegnato dalla stessa ambiguità che ha caratterizzato quello di Karol Wojtyla. Ci sono dei gesti positivi (per esempio, le due visite alle sinagoghe) e alcuni discorsi interessanti sulla libertà religiosa. Ma ci sono anche segnali problematici, che io ritengo prevalenti, di non apertura alle vere riforme. Nonostante siano impellenti per il mondo cattolico».
Parola di Ratzinger: gli atei meglio di certi cristiani. «Lo dicevo prima: ciò che contraddistingue un vero uomo è l'onestà intellettuale, la sincerità, l'inquietudine, il desiderio della ricerca. Questo e solo questo peserà sul nostro cuore alla fine del mondo».
Ammesso che esista, un buon ateo può dunque andare in Paradiso? «È stato lo stesso Gesù di Nazareth a dire in maniera molto chiara qual è il criterio di giudizio: non sarà certo il catechismo che uno ha tenuto a mente ma la carità che ha sviluppato durante la vita».
Senza Dio la vita è arida, dice lei. Ci spiega perché. «Io non dico senza Dio ma senza un Assoluto verso cui la nostra libertà tende, verso cui la nostra libertà si orienta. La libertà può essere un mostro ambiguo: da essa traiamo ciò che ci pone al di sopra di qualunque animale ma anche ciò che ci fa peggiori di qualunque animale».
E quindi? «Per uscire dal terreno ambiguo della libertà sento il bisogno di avere un punto di riferimento, un Assoluto che possa indicarmi la rotta. E questo non è altro che il divino».
L'accusano di demolire fragili verità della Chiesa per tornare, alla fine, sempre a Dio. «Cos'altro dovrebbe fare un teologo quale io sono? Certo che voglio rimanere e tornare in Dio. Non ho nessun desiderio di abbattere la fede. Semmai quello di criticare affermazioni che ritengo non vere, non valide. Sono credente da quando ho la coscienza e spero di mantenere questa fiducia nel senso ultimo della vita (che chiamo Dio) fino alla fine dei miei giorni».
Però non riconosce l'autonomia del pensiero laico. «Lo afferma il professor Rusconi dell'università di Torino nel recensire il libro Io e Dio . Lo contesto, non ho mai sostenuto una tesi così e sono pronto a confrontarmi in pubblico con lui, com'è accaduto altre volte, su questo argomento».
Cercare la verità, a qualunque costo. Come la mettiamo coi dogmi? «Perché si possa cercare la verità occorre sostituire al principio di autorità (me lo ha detto la Chiesa e quindi obbedisco) il principio di autenticità. Che è cosa ben diversa».
Lei dice che la spiritualità ci insegna a morire senza paura. È questa la ricetta del buon credente? «Ci sono grandi uomini che sono morti tremando (penso a Gesù: Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? ) e altri che sono morti del tutto sereni, Socrate ad esempio. Credo sia fortunata la persona che riesca ad avere fiducia nella vita anche nell'ultimo momento».
Per salvarsi, dice lei, l'uomo deve essere raggiunto dalla Grazia. «Non sono io a dirlo, è il concetto-chiave della dottrina cristiana. Per quanto mi riguarda, ho criticato semmai una certa impostazione che lascia pensare alla Grazia come a qualcosa di magico, che colpisce qualcuno e qualcun altro invece no. Non condivido questa visione».
Allora? «È pur vero, conoscendo il legno storto dell'umanità (come direbbe Kant), che gli uomini agiscono esclusivamente per il loro tornaconto. Tuttavia quando si vede qualcuno che agisce per il bene e per amore della giustizia non si può fare a meno di pensare che dietro la sua azione ci sia, come dire?, una sorgente diversa da quella che solitamente alimenta gli altri».
Tre suoi libri hanno venduto oltre centomila copie parlando di teologia. «È una risposta che viene dal basso. Il primo di quei libri era stato stampato inizialmente in cinquemila copie».
C'è fame di spiritualità? «Certo. Vuol proprio dire che c'è fame di spiritualità. Vuol dire anche che l'offerta religiosa tradizionale non è in grado di soddisfare questa fame e che i lettori apprezzano il mio modo di scrivere: chiaro, esplicito. Quello che devo dire, lo dico; quello che non so, non lo dico e non faccio finta di saperlo».
E poi? «Analizzo questi temi raffrontandoli con la filosofia e con la scienza. Porto insomma certe problematiche dalle stanze della Chiesa alla piazza del mercato».
Sempre in assoluta libertà, unico o quasi in Italia. «Non è colpa mia. I teologi laici e cattolici sono sotto sorveglianza: se non seguono la linea gerarchica perdono la cattedra. Sa quanti colleghi mi dicono di condividere ciò che scrivo? Tanti. Ma non possono andarlo a dire in giro».


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