Gli italiani in Libano e la loro "caccia cieca" guerra alla guerra


 fonte unita donline  del 6\11\2011

Gli “hurt locker” italiani, come da titolo del film premio Oscar di Kathryn Bigelow, hanno gli occhi profondi del luogotenente Nicola Sgherzi, medaglia d'argento per aver salvato la vita di una donna saltata su una mina a Sarajevo nel febbraio del 1996. “Arrivammo sul posto assieme ad un collega attirati dall'esplosione e dalle urla – racconta – C'era questa signora a terra orribilmente mutilata ed alcuni militari che la guardavano. Ho deciso subito di intervenire senza aspettare l'arrivo della squadra: c'era la neve e l'unico modo per raggiungerla era camminare fino al punto dove si trovava mettendo i piedi sulle sue orme. Arrivai lì, me la caricai sulle spalle e mi misi sotto braccio la gamba che la mina le aveva fatto saltare via. Poi feci il cammino a ritroso fino a portarci in salvo”. 
Sgherzi, oggi cinquantaquattrenne alla sua sedicesima missione all'estero, assieme ai genieri della brigata Pinerolo è arrivato da pochi giorni nella base libanese di Shama. Sono qui per raccogliere il testimone dai colleghi della Aosta che assieme al resto della brigata stanno ripartendo per l'Italia, per la Sicilia, alla fine dei sei mesi della loro missione. Sei mesi trascorsi in ginocchio a pochi metri dalla “Blue Line”, la linea ideale che marca il ritiro dell'esercito israeliano dopo l'invasione, ad analizzare il terreno con la strumentazione in grado di rivelare la presenza delle mine antiuomo e a strappare un centimetro alla volta la terra all'orrore della guerra.
A marcare i 118 chilometri della linea, infatti, ci sono i cosiddetti “Blue Pillar”, i bidoni blu con il simbolo delle Nazioni Unite sulla cui collocazione i rappresentanti dell'esercito israeliano e quelli delle forze armate libanese discutono (ma è un eufemismo) nel corso delle riunioni tripartite che si svolgono all'incirca una volta al mese, con la mediazione dell'Unifil, in un edificio proprio a cavallo della “Blue Line” nel settore di responsabilità del contingente italiano.
Di la’ della linea Israele, con i suoi controlli elettronici da Grande Fratello, la sua rete elettrificata e la striscia di sabbia “pettinata” a perfezione quasi ogni giorno per poter rivelare qualsiasi traccia di una eventuale intrusione; di qua il Libano e i campi minati che l'esercito di Tel Aviv si è lasciata alle spalle al momento del ritiro. E l'unico modo per poter piantare in sicurezza i “Blue Pillar”, dopo le lunghe trattative e l'intervento delle squadre di cartografi dei due paesi, è quello di bonificare la zona e mettere in sicurezza il corridoio necessario per raggiungerla attraverso i campi minati.
Un lavoro che, nel settore ovest del Libano del sud, spetta proprio al genio guastatori: agli uomini della Aosta, fino ad oggi, a quelli della Pinerolo domani quando sarà completato l'avvicendamento. Un lavoro lungo e pericoloso, un avanzare di un metro appena al giorno lungo un corridoio largo altrettanto: prima analizzando il terreno con una strumentazione simile ad un sofisticato metal detector, poi sondando la terra con uno stiletto che sembra un lungo cacciavite per rilevare l'eventuale presenza di ordigni. A guidarli nel buio di una ricerca in cui gli occhi non servono, ci sarebbero le cartine che le forze armate isreliane hanno consegnato dopo la pace e dove sono segnalate le zone minate e l'esatta dislocazione delle mine. Ma anni di maltempo, smottamenti, combattimenti e passaggi hanno modificato profondamente l'aspetto di queste colline brulle e così fidarsi pienamente di quanto riportato nelle mappe è impossibile. Resta solo la caccia cieca. Dall'alba al tramonto, sotto il sole d'estate o nel vento freddo d'inverno, a turni di venti minuti a testa. “Perché più a lungo – spiega il tenente colonnello Antonio Micunco, settima missione in teatri esteri – sarebbe impossibile resistere e restare concentrati con addosso una dotazione che fra casco e imbottiture pesa oltre tredici chili”. 
Un lavoro che dà i suoi frutti, però, visto che dal 2006 ad oggi i guastatori italiani hanno scoperto e fatto brillare ben 51 mine, bonificando corridoi per un area di quasi 2000 metri quadrati. Cinque i corridoi aperti soltanto negli ultimi sei mesi di operazioni, quelle condotte dagli uomini della brigata Aosta guidati dal tenente colonnello Gabriele. “Nei giorni successivi al salvataggio – ricorda ancora il luogotenente Sgherzi – ricordo che per le strade di Sarajevo erano stati affissi dei cartelli su cui c'era scritto 'Grazie Italia, grazie soldati italiani'. Fu un'emozione incredibile”. Diventato eroe per aver salvato una donna che su una mina c'era saltata, oggi è qui assieme ai suoi colleghi per evitare che domani possa capitare lo stesso a qualcun altro.


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