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«I retabli sardi itinerario per un turismo alternativo»
Da Santulussurgiu ad Ardara e Ozieri il tour di due studiose d’arte spagnole offre nuovi spunti per vacanze diverse

Le vacanze sarde di due aragonesi dell’università di Saragozza sono diventate un “recorrido”, un itinerario d’arte tra domus de janas e nuraghi, tra il romanico il gotico e il rinascimento, il Campidano e la Marmilla, Ogliastra e Sulcis, Gallura e Barbagia, le querce imponenti del Montiferru e del Supramonte. I boschi tra Santulussurgiu, Seneghe e Cuglieri? «Ricordano i pre-Pirenei, con la loro lussureggiante vegetazione», dice Marìcarmen Lacarra y Ducay, prima donna cattedratica di Storia dell’arte medievale in Spagna. Dall’alto Oristanese a Orgosolo, nell’eden del Supramonte: «Mi ricorda la nostra Estremadura, qui e lì si incontrano branchi di suini allo stato brado, incrociati anche con i cinghiali. Ma questo Supramonte ha vette più alte, chissà perché ma mi intriga di più», aggiunge una raggiante Carmen Morte y García, studiosa dell’arte rinascimentale in Aragona, Catalogna, Francia e Italia, soprattutto a Napoli, Roma, Firenze, Venezia. A San Giovanni i forestali offrono il loro pranzo. È un trionfo di sapori, il timo profuma l’aria.
 Con le ospiti tre ciceroni d’eccezione: Giampaolo Mele, di Santulussurgiu, docente di Storia della musica medioevale e rinascimentale all’università di Sassari, direttore scientifico dell’Istar (Istituto Storico Arborense), frequentemente in Spagna a tener conferenze e seminari sulla musica medioevale. Con Mele il presidente dell’associazione “Ortoben’Essere” Graziano Costa e il notaio di Seneghe, Gianluigi Salaris che lavora a Merano dove roga atti in tedesco. Mele, Costa e Salaris sono promoter di tutto rispetto: “vendono” le zone interne dell’isola ciascuno secondo le proprie competenze. Del Continente-Sardegna c’è da esaltare geologia e flora, c’è chi indica vallate e fiumi, strapiombi a picco sul mare dalla costa ogliastrina fino al Pan di Zucchero di Nebida.
 Seguire questo quintetto è come proporre, senza troppe consulenze a libro paga, un tour culturale per una vacanza tutta sarda, lontana da discoteche e billionaire annessi. Le due docenti di Saragozza visitano la Sardegna vera, quella uguale per 356 giorni all’anno, conoscono bene i tesori dell’isola. Lacarra ha studiato le relazioni tra pittori aragonesi e la Sardegna, ha indagato i resti di quello che fu il retablo dell’Annunciazione, opera di Juan Mates, attivo tra il 1391 e il 1431, conservato nella pinacoteca di Cagliari dopo essere stato a lungo nel convento francescano di Stampace, è vedova di Rafael Conde y Delgado de Molina, direttore dell’Archivio della Corona d’Aragona, profondamente legato all’isola.

Carmen Morte è incantata della costa di Bosa, ammira la chiesa di San Pietro, ma esplode quando percorre l’Orientale sarda, fra Baunei e Dorgali, sfiorando la forra di Gorroppu: «Quizás una de las carreteras más hermosas del Mediterráneo, forse è una delle strade più belle di tutto il bacino del Mediterraneo». Camminando nel Supramonte di San Giovanni, dopo aver lasciato la zona di Pratobello, è Graziano Costa a spiegare che in questi sentieri così aspri «si era impigliato in maniera ridicola un carro armato dell’esercito italiano inviato per combattere il banditismo». Tutti a sorridere, soprattutto perché Orgosolo dopo i silenzi sta conoscendo il dialogo, e sta uscendo, pian piano, dai drammi di un’epoca buia, fatta di stragi e di croci. «Oggi Orgosolo progetta il suo futuro in forme moderne», aggiunge Mele. Le spagnole: «Il Supramonte è un paradiso, una joya del Mediterraneo, spetta alla gente che ci vive tutelarlo, ma facendolo conoscere al mondo».
 Dai monti al mare. Ma si torna alle similitudini, nel bene e nel male, con la Spagna. L’occhio si ferma su alcune lottizzazioni in Gallura e nel Sarrabus. «Sono le stesse brutture della Costa Brava, delle Baleari, anche nelle falde dei Pirenei. La Sardegna - dice Carmen Morte - deve evitare l’errore successo in zone a suo tempo incontaminate dalla penisola iberica. Oggi sono infestate da un turismo volgare, privo di concezioni culturali». Marìcarmen Lacarra parla del turismo come fatto economico e culturale. Dice che è «un arma de doble filo. Perché da un lato serve per diffondere la cultura, avvicinare popoli diversi, favorisce l’integrazione. Dall’altro lato può uccidere il paesaggio che è l’essenza prima del turismo». Vorrebbe, per Spagna e Sardegna, un turismo sensibile. Perché «un turismo non educato e insensibile può uccidere, puede destrozar el patrimonio cultural nel significato più profondo della parola, nel mas amplio sentido de la palabra».

Ma la vera ragione della vacanza sarda delle due studiose di Saragozza - viste le loro competenze professionali - ha avuto un’altra potente calamita: quella di un ipotetico tour dei retabli, cioè di quelle opere della pittura sarda nel Quattrocento e nel Cinquecento che costituiscono un patrimonio ancora assolutamente nascosto e non valorizzato. Non sono bastate le intuizioni e le scoperte di Renata Serra - massima esperta e decana degli studi di storia dell’arte e della sua scuola oggi autorevolmente rappresentata da Roberto Coroneo e Aldo Sari - per creare un turismo culturale che garantisca ricadute economiche nei territori che i retabli ospitano.
 Retabli sardi, arte romanica e gotica, rinascimentale e barocca. E non c’è solo il gioiello della Pinacoteca nazionale di Cagliari con «Nostra Signora dei Sette Dolori» di Pietro Cavaro, o il «Retablo di San Bernardino» di Juan Figuerra e Rafael Thomas o il «Trittico della Consolazione» di Michele Cavaro. Nei retabli c’è l’essenza, la radice storico-culturale dell’isola. Scrive la Serra in «Retabli pittorici in Sardegna nel Quattrocento e nel Cinquecento» (pubblicato dalla Cassa di Risparmio di Torino, foto di Mario Carrieri e Paolo Vandrasch): «Una storia del retablo pittorico in Sardegna può essere tracciata dall’effettiva penetrazione della cultura catalana nell’Isola. Questo si verificò, seppure non proprio posteriormente alla conquista dell’intero territorio sardo da parte degli Aragonesi, in seguito alla loro vittoria sugli Arborensi con la battaglia di Macomer del 1478. Gli Aragonesi trovarono la bella chiesa del convento francescano di Stampace e, ancora in fabbrica, l’ampliamento del Duomo, Santa Maria di Castello. Per circa un secolo, ma non prima delle fine del Trecento, la pittura in Sardegna sarà tutta d’importazione, sia che i dipinti richiesti giungessero dal Levante spagnolo sia che fossero i pittori levantini a immigrare per eseguire i retabli».
 Sono tanti questi retabli, sono le opere dei Mantegna o dei Raffaello sardi assurdamente sconosciuti ai più. Ecco perché il «tour dei retabli», proposto dalla Serra e oggi rilanciato dalle sue colleghe di Saragozza, può dare valore aggiunto al turismo. Visitata la Pinacoteca di Cagliari («val la pena un’intera vacanza», dicono Morte e Lacarra), ci si può inoltrare per la Marmilla: a Villamar, nella parrocchiale di San Giovanni Battista, c’è il grandioso “Retablo della Vergine” eseguito nel 1518 da Pietro Cavaro, «il più grande dei pittori della cosiddetta scuola di Stampace». A pochi chilometri c’è Tuili col “Retablo di San Pietro” del maestro di Castelsardo, con una stupenda crocifissione, l’arcangelo Michele, un San Giacomo e un San Paolo. E poi quelli di Ardara e Sanluri. «Costituiscono senz’altro - dice Renata Serra - i monumenti più espliciti a favore della possibilità di individuare una corrente di pittura sardo-iberica che affiori con caratteristiche peculiari. C’è una sintesi della tradizione gotico-fiamminga con istanze rinascimentali italiane, anche esse in gran parte acquisite per il tramite catalano».

Marìcarmen Lacarra y Ducay e Carmen Morte - questa volta col cicerone Mele - arrivano a Gonnostramatza e Dolianova, alla Chiesa del Collegio di Iglesias con l’Anunciazione del Maestro di Sanluri, vanno a Suelli e Gergei. Molte tappe nella Sardegna del Nord: intanto Ardara, e poi Castelsardo per ammirare “I santi Filippo e Bartolomeo, Mattia e Matteo”, a Sassari - Museo nazionale - il “Retablo di Saccargia” di un Anonimo sardo e poi l’Anonimo catalano di San Pietro in Silki. Un giorno anche per Ploaghe (retablo con “San Francesco che riceve le stigmate” per la firma di Michele Cavaro o la “Sacra Famiglia” del maestro di Ozieri). E ancora la cattedrale di Ozieri per una Crocefissione, fra le più significative di tutta l’Isola. Giampaolo Mele insiste: «Andiamo a Benetutti, c’è il retablo di Sant’Elena con la Prova della Vera Croce, uno dei capolavori del Maestro d’Ozieri». E ancora a Olbia e Oristano (è custodita qui la collezione di libri medioevali più ricca della Sardegna, con un vasto campionario di scritture gotiche, grafie musicali, oltre 150 miniature, anche in oro, provenienti da scuole toscane e liguri, nonché svariate migliaia di iniziali filigranate). Stesse suggestioni a Bortigali e Perfugas. Metteteci le chiese romaniche: Uta e Tratalias, Ottana e Bonarcado, San Pietro di Sorres e la chiesa Siete Fuentes, Tergu e Oschiri con quell’incanto della chiesa sul lago.
 Torniamo ai retabli. Dice Lacarra: «Tra quelli spagnoli e quelli sardi c’è una marcata unità cultura mediterranea, è lo stesso stile del gotico internazionale della prima metà del 400. Siamo entusiaste di questa vacanza. Porteremo qui i nostri studenti di Saragozza». Potrebbe essere un “recorrido” infinito. Aggiungete che “la base” delle due studiose era Santulussurgiu dove agosto e settembre sono stati caratterizzati da un’attività culturale di qualità. Ogni sera dibattiti su libri o attualità tra i contrafforti della chiesa di Santa Maria degli Angeli restaturata dall’architetto Giovanna Pira. Un’estate con “l’Isola del teatro” e laboratori per professionisti, allievi, principianti e bambini. Trovate Gilles Coullet, Gioele Dix, Aurora Simeone col suo Otello secondo Desdemona, Corrado Licheri e Stefano Ledda o “La fisica del gioco” di Pietro Olla perché «la fisica del gioco è un progetto di educazione alla scienza». C’è “L’Isola proiettata” con Cainà, Furriadroxius, il cinema di animazione con Bepi Vigna. Mostre con Paolo Licheri, Paolo Corso, Massimo Murru ed Erica Olmetto. E poi “L’Isola raccontata” con le letture di Nicola Simeone e Giannina Canu sui libri di Maria Giacobbe, Nicola Lecca, Andrea Pubusa, Franco Madau, Radhouan Ben Amar, Pier Giorgio Pinna, Nadia Cavalera e Marcello Fois. I libri di Antonio Turnu presentati ancora da Giampaolo Mele. Sempre presente l’assessore alla Cultura del Comune Mariella Pani docente di economia agli istituti superiori. Dal liceo classico “De Castro” di Oristano ha commentato libri Caterina Pes. E perché non ricordare la tre giorni dell’Isola della scienza con Andrea Bisicchia e Andrea Possenti e le interpretazioni del Teatro del sale, di Macondo, del Crogiuolo? E poi canti, con “Su cuncordu ‘e su Rosariu”.
 Viene da chiedersi se questo tipo di vacanza è proponibile su larga scala. Se il “tour dei retabli” può garantire business a Villamar e Tuili, Olzai e Gergei, Ploaghe e Ardara, Ozieri e Iglesias. I piccoli paesi, quelli che si spopolano, non sono pronti a questa sfida che è culturale. Ma va persa in partenza? Non va neanche tentata? Santulussurgiu accoglie turisti, con loro crea fatturato, c’è cultura e albergo diffuso. È il turismo che, col mare, può contribuire a salvare le zone interne.




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