( aggiornamento post ) Il racconto di una delle prime testimoni di giustizia al Carmine. «Io sono andata contro Cosa Nostra, ora mi sento felice» La vita di Piera Aiello , una donna antimafia

le mie  impressioni ed  il mio resoconto  su  il convegno

da  la nuova sardegna  del  9\3\2014  
Il racconto di una delle prime testimoni di giustizia al Carmine. «Io sono andata contro Cosa Nostra, ora mi sento felice» La vita di Piera, una donna antimafia
di Giuseppe Pulina 

TEMPIO “Una donna felice”, così Piera Aiello, una delle prime testimoni di giustizia della storia tutta italiana della lotta alla mafia, definisce se stessa. E lo fa, malgrado la non facile vita che le è toccato vivere, abbandonando la terra in cui è nata, la famiglia e gli affetti più stretti, lontana da tutto e da tutti con una bambina di tre anni da far crescere. Felice malgrado tutto e nonostante circostanze e fatti che avrebbero piegato la resistenza di tante altre comunissime persone. Così Piera Aiello è apparsa anche al pubblico che, al Teatro del Carmine, ha seguito l’incontro organizzato da Libera e Sardegna solidale, coordinato da Giampiero Farru, Maria Luisa Sari e Francesco Puliafito. Dopo i saluti di rito del sindaco Romeo Frediani e la presentazione del circolo locale di Libera da parte di Carlo Menicucci, intervistata da un gruppo di cinque studentesse delle scuole superiori cittadine, Piera Aiello è entrata nel merito di
Piera  Aiello  in una   trasmissione  televisiva
questioni, anche molto personali, che hanno fatto luce su diversi aspetti del sistema di vita legato alla mafia. Dalle sue parole si è capito che essere donna oggi e in determinati contesti sociali non è cosa indifferente. «Innamorata del figlio di un boss mafioso, cosa che ignoravo – ha dichiarato l’Aiello – ho scoperto di essere stata scelta come moglie del mio futuro marito proprio da mio suocero. Decisi di interrompere il legame, ma mi fu impossibile per le pressioni che ricevetti». Prima il suocero e poi il marito vennero uccisi dalla mafia. «Sola, senza un’amica del cuore, avevo soltanto i miei diari, su cui scrivevo tutto e in cui ho annotato dieci anni interi di storia della malavita». Diari i cui contenuti aveva ben memorizzato e che il giudice Borsellino, lo “zio Paolo”, come imparò a chiamarlo in seguito ad un affettuoso suggerimento dello stesso magistrato, seppe come usare in indagini che hanno messo a soqquadro l’organizzazione mafiosa. Alle studentesse che le hanno chiesto dei suoi rapporti con la cognata Rita Atria, Piera Aiello ha detto di essere stata fortunata ad averne fatto la conoscenza. «Rita, una piccola, grande donna, era più coraggiosa di me, perché lei, contrariamente a me, proveniva da una famiglia mafiosa che pure amava tantissimo. Separarsene fu per lei molto più doloroso. Anche se aveva solo 17 anni, le chiedevo consiglio. Quando posso, vado a Partanna per farle visita al cimitero». Tra le piccole, grandi battaglie di Piera Aiello, impegnata in questi giorni a far valere una legge che riconosca meglio la figura dei testimoni di giustizia da uno Stato che non sempre li tutela adeguatamente, c’è stata anche quella per la lapide da dedicare a Rita, un atto osteggiato a lungo dalla suocera. Vicina a don Luigi Ciotti e a Libera, Piera Aiello ha fatto sapere che l’ultima cooperativa giovanile che sta nascendo grazie alla legge 109 che autorizza la trasformazione delle proprietà sequestrate ai mafiosi in beni sociali si occuperà delle terre di Rita Atria. E questa è solo una delle tante, ma ancora insufficienti, misure che la miglior società civile del nostro Paese ha saputo ideare per colpire al cuore Cosa nostra.


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