40 anni fa #AlfredinoRampi, il bimbo che non salvammo Di © Daniela Tuscano

Ci sono eventi del passato per i quali ciascuno può dire: «Mi ricordo dov’ero e cosa facevo quando è successo». Che so, le Torri Gemelle nel 2001. Poi ci sono luoghi che evocano un fatto, lo descrivono compiutamente al solo citarli, e quindi a renderli emozionanti anche a chi anagraficamente non c'era a come per esempio Caporetto. Infine ci sono nomi capaci di riacutizzare un dolore. Vermicino
da quello che leggo in questo articolo di dell'utente Daniela Tuscano che trovate sotto è tutte e tre queste cose insieme.



Avevo quasi 17 anni quando Alfredino Rampi scivolò in quel maledetto pozzo artesiano nelle campagne di Roma, per non tornare mai più. Incollata come tutta l'Italia davanti allo schermo a snocciolare i minuti, a chiedermi cosa mai ci volesse a estrarre un pischello così esile, eppure quello sgusciava via, sempre più in basso, nell'umidore maligno che lo ghermiva senza pietà. Quando poi rinvenne, ormai esanime, ricordava uno di quegli insettini imbozzolati nella tela del ragno.


Solo che i fili erano ghiaccioli, e le immagini in bianco e nero richiamavano scenari di guerra, Italia stracciona, volti neorealisti, a cominciare dal dolore inespressivo della madre, allo stesso Alfredo, gracile e quasi sottopeso, a quell'Angelo - di nome e di fatto - che si fece calare fin nelle viscere, insetto anch'egli, con mani da elitre rivelatesi poi tenaglie: "Scivolava, lo presi per le vesti, poi per il polso, sentii crac, glielo avevo rotto. Per anni fui tormentato dall'incubo: volevo salvarlo, gli ho pure spezzato un braccio". Il piccolo non emise un lamento, come Cristo sulla croce. Era già tardi. Rivedo la compostezza ruvida e partigiana del presidente Pertini, lo stellone civile e degno. E impotente. "Povero bambino tanto amato" esclamò appena si trovò davanti al corpicino freddo. Sì, Alfredo fu davvero amato, ma l'amore non bastò. E non servì.


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