ecco perchè se pur critico certi loro atteggiamenti non riesco ad essere anti LGBT(Q ). Enzo è diventato Carla: la nuova vita dell'ex poliziotto

Ogni mio ulteriore  commento alla  storia   di Enzo  (uso  ancora  il nome  maschile  in quanto  anagraficamente  e chirurgicamente  non è  donna  )    che leggerete sotto  è inutile  ed  non aggiunge  niente  di più  a quanto   detto   sotto    da lui  stesso  .   Ser non    queste  poche  righe  prese  dall'articolo  riportato sotto  

 La    sua  è  una  storia    particolare  in quanto  Innocenzo Giagoni ha 55 anni ed è nato a Roma dove ha vissuto fino al 1992 per trasferirsi, poi, in Sardegna. Nel 1986 è entrato in polizia. Dopo aver chiesto e ottenuto il trasferimento nell'isola, ha lavorato nei diversi reparti della polizia della provincia di Sassari. Nel 2010 è arrivato in città ed è entrato in servizio alla polizia stradale di Olbia, successivamente, nel 2013, l'anno in cui il ciclone Cleopatra devastò la Gallura provocando la morte di 13 persone, tra cui la compagna di 42 anni e la figlia di quasi due anni, lavorava alla polizia di frontiera all'aeroporto "Olbia Costa Smeralda"

Detto questo  lascio la parola  alla  sua  storia   presa   Da  la   nuova  Sardegna  del  12\1\2021

Enzo è diventato Carla: la nuova vita dell'ex poliziotto

                        Carla durante l'intervista (foto vanna sanna)

Giagoni, 55 anni, era sopravvissuto all'alluvione che gli aveva strappato moglie e figlioletta. Ora sta diventando donna

OLBIA. Carla Baffi non è una persona qualunque. E non solo perché Carla prima era Enzo, ma soprattutto perché Carla, quando era ancora Enzo, è sopravvissuta all’alluvione del 18 novembre 2013 a Olbia. Ha visto morire davanti ai suoi occhi la compagna Patrizia e la loro figlia Morgana di 23 mesi, trascinate via dalla piena. Una ferita che nel suo cuore non guarirà mai.Enzo Giagoni, 55 anni, romano, ex poliziotto, con trent’anni di servizio alle spalle, ha deciso di cambiare sesso e lo ha fatto dopo un lungo travaglio interiore. Un percorso che deve ancora concludere. «Sono Carla. E ora sono quella che sono sempre stata. Non potevo più continuare a farmi del male costringendomi a vivere una vita che non sentivo mia».


 «Sono Carla. E ora sono quella che sono sempre stata. Non potevo più continuare a farmi del male costringendomi a vivere una vita che non sentivo mia». La gonna ha preso il posto dei pantaloni, i tacchi hanno soppiantato le scarpe basse, la parrucca nasconde i riccioli neri ribelli. Ma il suo animo è sempre stato quello di una donna anche quando indossava giacca e cravatta o la divisa da poliziotto. Così è stato fin da quando era bambino e di nascosto infilava i collant e indossava i vestiti delle clienti dell'affittacamere di sua madre. «Ho dovuto far morire Carla mille volte rinnegando me stessa, il mio vero essere, per non far soffrire gli altri. Ora è tempo di essere liberamente, fisicamente e totalmente Carla», dice. Nella sua nuova vita non c'è più spazio per Enzo Giagoni. L'uomo che è stato per quasi cinquant'anni vive solo nei documenti. Per la legge lei è ancora uomo, ma Carla Baffi - così ha scelto di chiamarsi - da un anno ha cominciato il suo complesso percorso di transizione che la porterà ad essere riconosciuta anche legalmente donna, col cambio di generalità e i conseguenti interventi chirurgici. Accavalla le gambe avvolte dagli stivali neri. Gli occhi brillano sotto i capelli a caschetto. È pronta per raccontare. Dice che spiegare, per lei, è liberatorio. Sì, perché Carla, o meglio Enzo, 55 anni, romano, ex poliziotto, con trent'anni di servizio alle spalle, non è suo malgrado una persona qualunque. È sopravvissuto all'alluvione del 18 novembre 2013. Ha visto morire davanti ai suoi occhi la compagna Patrizia e la loro figlia Morgana di 23 mesi, trascinate via dalla piena. Una ferita che nel suo cuore non guarirà mai. «Cinque anni dopo la loro morte ho deciso di dire basta: non potevo più continuare a nascondermi. Ho deciso di uscire allo scoperto. E di combattere per essere me stessa. Quasi tutti ormai sanno di Carla e io mi sento felice e libera di esserlo. Non indosso più abiti maschili, me ne sono disfatta. Racconto di me perché voglio che sia chiaro a tutti una cosa: quella che sono ora, non è un riflesso o una conseguenza del trauma subito nella tragedia di sette anni fa. Voglio demolire preconcetti o idee sbagliate: Carla è sempre esistita, è sempre stata dentro di me, ma non potevo farla vedere agli altri», spiega. E va avanti, con l'impeto di chi vuole far emergere la verità. «Ho avuto quattro donne nella mia vita, tutte importantissime. E tutte sapevano. Alcune hanno accettato la mia parte femminile, altre no. E io per non perdere il loro amore, nascondevo Carla, la reprimevo. Spesso le persone con cui parlo mi chiedono se sono sicura di ciò che sto facendo, se sia la cosa che desidero. La mia risposta è sì, è ciò che ho sempre desiderato. Non rinnego nulla della vita di Enzo perché mi ha dato due splendide figlie, la più grande che ha 30 anni, nata dal mio matrimonio, e la piccola Morgana, avuta con Patrizia, ma col senno di poi, vedendo la serenità con cui vivo ora e la conflittualità che Enzo aveva dentro se stesso e nelle relazioni con le donne, mi dico che avrei dovuto cominciare il percorso molti anni fa. Avrei dovuto far nascere Carla prima anziché farla morire continuamente per non far soffrire gli altri».I ricordi affiorano veloci nel suo racconto. Immagini ed emozioni del passato, forti e nitide come allora. «Sono stata consapevole del mio essere femminile fin da quando avevo sette anni. Amavo i collant, rimanevo incantata a guardare gli abiti sui letti e negli armadi delle clienti della piccola pensione che mia madre adottiva, mamma Michelina, aveva a Roma. Ho vissuto con lei fino al 1992. Andavo con mamma a pulire e sistemare le camere e qualche volta, di nascosto, indossavo i loro vestiti. Quando lei mi beccava, piangeva. Non capiva. Io ricordo benissimo la sensazione che provavo quando mettevo quegli abiti: mi sentivo bene, tranquilla, protetta. Ma quando vedevo mamma piangere, facevo sparire tutto. Non volevo che soffrisse». Parlare e spiegare della sua nuova vita alle persone che hanno conosciuto Enzo e che ora si ritrovano davanti Carla, non è certamente facile. «"Guarda che non sono più quello di prima: quando ci vediamo capirai"», avvisa prima di incontrare - puntualmente vestita con gonna e tacchi - chi ancora non lo sa. «So che ci vuole tempo per metabolizzare, è normale, lo capisco. Ma per me affermare la mia vera identità è fondamentale. Spero di realizzarmi presto anche sotto l'aspetto professionale, trovare un lavoro ora è molto difficile, molti non capiscono la natura di una transgender». Carla un anno fa, ha cominciato il percorso di transizione. È seguita dal Saifip (Servizio di adeguamento tra identità fisica e identità psichica) del San Camillo Forlanini di Roma che ha accertato la disforia di genere (disturbo dell'identità sessuale), ed è sotto terapia ormonale al Policlinico Umberto 1 di Roma. Con le relazioni finali delle due strutture sanitarie, quando arriverà il momento, potrà chiedere al tribunale il cambio delle generalità e iniziare il percorso chirurgico, come prevede la legge. «A mia mamma biologica, mamma Teresa, che oggi ha 90 anni, ho cercato prima di farglielo capire e poi gliel'ho detto chiaramente. "Ti ho partorito come Enzo, per me è difficile accettarlo", mi ha detto. Ma, poi, un giorno l'ho vista che mi lavava un vestito, un altro giorno mi ha consigliato di usare la piastra per i capelli come fanno le mie sorelle perché mi lamentavo dei miei ricci... Mi ama e piano piano si abituerà. Ci vuole tempo per tutti. Ma io in questo tempo che serve agli altri, continuerò a percorrere la mia strada. Chi mi vuole bene, capirà»

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Ma  soprattutto    ha  avuto  sempre  dalla nuova   sardegna  


IL  ricordo doloroso di quel giorno: «Volevo morire con loro. Ora chiedo giustizia»
«L'acqua me le ha strappate via»

OLBIA
Il 22 dicembre scorso Morgana avrebbe compiuto 9 anni. E anche quest'anno, come ad ogni compleanno, Carla le ha portato il regalo. L'ha poggiato sulla sua tomba, nel cimitero di Calangianus, dove la piccola è sepolta insieme alla mamma. «Le ho regalato la trousse di Barbie. La sua prima trousse. Sono certa che a 9 anni, vispa com'era e desiderosa di essere una signorina più grande, avrebbe chiesto a me e alla mamma i trucchi». Morgana aveva 23 mesi quando la piena ha travolto l'auto sulla quale viaggiava insieme ad Enzo, che era alla guida, e a Patrizia che la teneva in braccio nel sedile a fianco. La macchina finì nel canale di via Belgio, diventato un tutt'uno con la strada. L'inferno vissuto quel giorno è un ricordo vivo nella mente di Enzo, oggi Carla. Un mese fa, l'ha ripercorso davanti alla Corte d'Appello di Sassari dov'è è in corso il processo di secondo grado (l'alluvione provocò sei vittime in città) per i quattro imputati, ex amministratori e dirigenti del comune di Olbia, tutti assolti in primo grado. «Ho cercato di aprire lo sportello di Patrizia ma non ce l'ho fatta. Ho dato una spallata al mio e si è aperto. Ho afferrato la manina di Morgana che era in braccio alla mamma convinto di poter trascinare tutte e due fuori dalla macchina, ma in quel momento è arrivata l'ondata e me le ha strappate via... La macchina è sparita», ricorda. Quando capì che erano morte, tentò il suicidio tuffandosi nello stesso canale. «Volevo morire anch'io». Era stato salvato da un abitante della zona che lo aveva afferrato per le maniche del maglione e legato alla ringhiera del suo giardino. È stato in malattia per un anno e mezzo e poi riformato dalla polizia al compimento del trentesimo anno di servizio. Un anno dopo Cleopatra, insieme ad altri olbiesi, si era infilato gli stivali di gomma ed era andato a spalare fango in un paesino ligure devastato da un'altra alluvione. Per questo gesto aveva ricevuto il "Premio bontà", un riconoscimento che ogni anno premia degli olbiesi impegnati nel sociale.Non si è costituito parte civile nel processo. Ma porta avanti la sua battaglia in sede civile (assistito dall'avvocato Angelo Merlini). Nell'ultimo anno la vita di Enzo si è trasformata. Ha deciso di "liberare" quella donna che sentiva di essere da sempre e che viveva imprigionata nel corpo di un uomo. Ma la sua fiducia nella giustizia non è mutata, né tanto meno la determinazione nel volerla raggiungere. «Se nel canale ci fosse stata la barriera che c'è ora, la macchina non ci sarebbe finita dentro - ribadisce - Non mi fermerò finché non avrò giustizia. Arriverò fino alla Corte europea dei diritti dell'uomo se sarà necessario». 

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