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23.1.21
UN RIFUGIO VICINO AL CIELO, la storia delle famiglie ebree salvate dagli abitanti di un intero paesino delle Orobie Bergamasche
Poichè ogni commento personale è inutile ed il rischio di cadere nella retorica , cosa che voglio come ho già detto precedentemente evitare ,preferisco lasciare che a parlare di tale argomento siano le storie . E' più eficace di mille commenti di noi che non l'abbiam vissuto e lo conosciamo , parlo per la mia generazione ( meta degli abnni 70 ) attraverso documentari televisivi pre dei canali di rai5 e rai storia
La storia che riporto sotto tratta da l'ultimo numero dell'inserto settimanale robison di repubblica è anche la storia di un libro particolare .
UN RIFUGIO VICINO AL CIELO, la storia delle famiglie ebree salvate dagli abitanti di un intero paesino delle Orobie Bergamasche Scritto il NOVEMBRE 30, 2020AURORA CANTINI
IN OCCASIONE DEL 75° ANNIVERSARIO DELLA FINE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE… QUESTA È LA STORIA DI ALCUNE FAMIGLIE ITALIANE DI RELIGIONE EBRAICA NASCOSTE DAL 1943 AL 1945 AD AMA, PICCOLA FRAZIONE DEL COMUNE DI AVIATICO, OROBIE BERGAMASCHE, TRA PERQUISIZIONI E SFOLLATI. SULLA BASE DELLA TESTIMONIANZA DIRETTA DI GIUDITTA MARIA USUBELLI, CHE NON HA MAI DIMENTICATO LA SUA AMICA DI INFANZIA ELSA IACHIA E I SUOI FRATELLI E CUGINI. È LA STORIA DI UNA FUGA (VERSO LA SVIZZERA) E DI UN RITORNO (VERSO CASA). UN AMORE GRANDE PER LA VITA E UN INTERO PAESINO CON I SUOI ABITANTI CHE DIVENNE CULLA E RIFUGIO PER 16/17 PERSONE IN FUGA DALLA GUERRA, DALL’ORRORE, DALLA SHOAH. ERANO CIRCA CINQUE FAMIGLIE LEGATE DA PARENTELA CHE ABITARONO NELLE CASE MESSE A LORO DISPOSIZIONE DA ALCUNI PAESANI, A LORO VOLTA IMPARENTATI. DI QUELLE FAMIGLIE E DI QUEI BAMBINI OGGI SONO RIMASTI POCHI SOPRAVVISSUTI ORMAI ANZIANI. EPPURE, GRAZIE AD UNA METICOLOSA RICERCA, INSIEME, SI È RIUSCITI A RICOSTRUIRE, ANCHE SOLO PARZIALMENTE, LE VICENDE DI CUI TUTTI SONO STATI PROTAGONISTI, IMPREZIOSENDO IL LIBRO CON FOTOGRAFIE E DOCUMENTI PREZIOSI. UNA STORIA TRAGICA EPPURE RICCA DI VALORI E DI CORAGGIO, NATA E CRESCIUTA GERMOGLIANDO DA SEMPLICI GESTI DI SOLIDARIETÀ, GENEROSITÀ E SALVEZZA, FINO AD ARRIVARE AD UN’AMICIZIA SEMPLICEMENTE AUTENTICA. UN AFFRESCO CORALE, DOVE HA INCISO L’AIUTO DEL PARROCO DON MODESTO GASPERINI, DELLA MAESTRA ORSOLINA BERBENNI USUBELLI E DI MOLTE FAMIGLIE DEL PAESE. SI CHIAMAVANO USUBELLI, FOGACCIA, MOSCA, ARISTOLAO, CARRARA, MADUNÌ. MA IMPORTANTE FU ANCHE L’AIUTO DEI GIOVANI ALPINI RICERCATI CHE, SEPPURE LORO STESSI IN COSTANTE PERICOLO DI FUCILAZIONE, NON ESITARONO A NASCONDERE I BAMBINI EBREI E I LORO NONNI E GENITORI NELLE GROTTE SOTTO IL PAESE QUANDO GIUNGEVA LA NOTIZIA DI UN IMMINENTE RASTRELLAMENTO DA PARTE DEI NAZIFASCISTI. NEL VICINO PAESE DI SELVINO VI ERANO INFATTI BEN 4 PRESIDI MILITARI E OLTRE 100 SOLDATI DELLA FAMIGERATA DECIMA MAS. INFINE UN OMAGGIO ALL’EROISMO DEL GIOVANE TASSISTA GINO FOCACCIA CHE HA DATO IL VIA A QUESTA RETE DI AIUTO E SALVEZZA! CON PIÙ DI 100 FOTOGRAFIE! PER NON DIMENTICARE, PER DARE UN SEGNO DI SPERANZA. UNA STORIA A LIETO FINE!L’Altopiano Selvino Aviatico Orobie Bergamasche. In primo piano il paesino di Ama, rifugio delle famiglie ebree dal 1943 al 1945
IL LIBRO È PRENOTABILE IN TUTTE LE LIBRERIE ED EDICOLE NAZIONALI. NON POTENDO FARE PRESENTAZIONI PUBBLICHE PER LE RESTRIZIONI DI LEGGE, PER CHI FOSSE INTERESSATO POTETE CONTATTARMI DIRETTAMENTE. PROVVEDERÒ A SPEDIRE LA COPIA RICHIESTA AL VOSTRO RECAPITO A PREZZO SCONTATO. IL SAGGIO È GIÀ DISPONIBILE ANCHE NELLE EDICOLE SULL’ALTOPIANO SEMPRE A PREZZO AGEVOLATO. L’ARTICOLO SU L’ECO DI BERGAMOL’articolo su L’Eco di Bergamo per il libro “Un rifugio vicino al cielo” di Aurora Cantini L’INTERVISTA AD ANTENNA2TV
da Robison di repubblica del 23\1\2021
Diciassette persone in tutto,
e altre tre non ancora
identificate che affittavano
stanze con documenti falsi,
comprati chissà dove
Aurora Cantini
Un rifugio
vicino al cielo
Silele edizioni
pagg. 168
euro 16
I giusti di Ama
Viaggio
nel paese
del silenzio Un gruppo di ebrei trovò rifugio sulle Orobie
Siamo tornati nel borgo che li ha protetti
e che per generazioni ha mantenuto il segreto
Diciassette persone in tutto,
e altre tre non ancora
identificate che affittavano
stanze con documenti falsi,
comprati chissà dove
Aurora Cantini
Un rifugio
vicino al cielo
Silele edizioni
pagg. 168
euro 16
I giusti di Ama
Viaggio
nel paese
del silenzio
dalla nostra inviata Brunella Giovara
Ama di Aviatico (Bergamo)
Qui sono passati gli anni, e gli anni, e
nessuno ha mai parlato. C’era un segreto tremendo da mantenere, è rimasto chiuso tra queste case di pietra, il paese ha ubbidito nel silenzio
come se fosse ancora nel 1943, e c’erano i tedeschi in piazza, con i repubblichini e gli uomini
neri della Decima Mas. C’era anche un gruppetto di
ebrei, salito fin sulle Orobie bergamasche a cercare salvezza. L’hanno trovata, ma da allora nessuno ha mai più
pronunciato la parola ebreo. Fino a un giorno d’estate
del 2016, un giovane insegnante era a passeggio nella
borgata di Ama, incontra Giuditta Maria Usubelli di anni 88, si chiacchiera e a un certo punto la donna dice
«ah, mi piacerebbe tanto sapere che fine ha fatto la mia
amica Elsa, la bambina ebrea che viveva nascosta qui.
Sarà ancora viva?».
Lui scolora. Si chiama Mattia Carrara, conosce le storie vecchie del suo paese, «però questa
non l’avevo proprio mai sentita, neanche
dai più anziani». Non ci crede. Interroga Giuditta ancora una volta,
chiede i particolari, i nomi, e poi telefona, controlla, e
va anche a cercare negli archivi del Comune, «dove non
c’è traccia di cittadini ebrei sfollati qui durante la guerra, tra i tanti che salirono da Milano e da altre città».
La storia era vera. La sapevano tutti, nel 1943. Il falegname Luigi Fogaccia. Il parroco, don Modesto Gasperini. I bambini, le ragazze, le loro madri. La maestra Orsolina. I proprietari dell’osteria Madunì, e anche quelli della trattoria Tre Corone, che avevano l’unico telefono. I
giovani partigiani della zona, che vivevano nascosti sulla montagna. Il tassista del paese, Gino Fogaccia, che
forse era quello più di mondo, perché andava a prendere i turisti alla stazione di Bergamo e li portava su, alla
villeggiatura, tra Selvino e Aviatico, ai bei tempi in cui
c’erano le ville che aprivano per la stagione, si respirava
aria buona e si facevano pranzi e cene, poi a ottobre si
scendeva in città.
Bene, di questa frazione Ama, che aveva un cento abitanti in tutto, nessuno ha mai detto una parola della famiglia Iachia di La Spezia (8 persone, più uno zio Alberto Carubà), dei Lascar di Torino (4 persone), dei loro 4
cugini Lascar di Genova. Diciassette persone in tutto, e
altre tre non ancora identificate (la sarta Gina e il marito, una bambina Giovanna Giua, una ragazza incinta)
che affittavano stanze con documenti falsi, comprati
chissà dove. Dopo la Liberazione sono tornati a respirare, dopo due anni vissuti nella paura, di essere venduti,
scoperti, e quindi deportati «Eh, il mio destino era Auschwitz, invece eccomi
qui». Sergio Iachia, 81 anni, nel ’43 ne aveva quattro. «Devo ringraziare un paese, se ci siamo salvati. E Aurora,
che ci ha trovati». Si battono i piedi sulla terra gelata, davanti alla piccola chiesa dedicata al Santissimo Salvatore, e qui di salvatori ce ne sono stati tanti. C’è sole ma si
è sottozero, e Aurora Cantini spiega al gruppetto che si
può fare «una passeggiata, e vedere le case dove erano
nascoste le famiglie». Aurora è una di quelle persone come ancora se ne trovano nei paesi, appassionata di storia del posto, «di quelle minime che a volte incrociano
la grande storia», uno era Nuto Revelli, che girava le
Langhe registrando le voci dei vecchi, quello che avevano passato, le tribolazioni di vite povere e oneste, le
guerre, le miserie. «Sono autodidatta, scrivo poesie e libri, vorrei che restasse la memoria», poi insegna italiano con altrettanta passione alle elementari di Villa di Serio.
Aurora accompagna e spiega, dietro ci sono i figli di
Giuditta, Annamaria e Giovanni, e il pronipote del prete, che si chiama Fabio Chiesa. Il professor Carrara, ora
sindaco. E Sergio Iachia con la figlia Sarah, che dice «l’unica parola è gratitudine. Se Ama non avesse aiutato la
mia famiglia, io non sarei qua, oggi». Sarah è stata una
benedizione, per la scoperta di questa storia. Un giorno
ha visto su Facebook l’appello di Aurora, che cercava notizie di certi Iachia e Lascar, rifugiati ad Ama, provincia
di Bergamo, niente di più. Ha risposto, da lì ci sono state
molte telefonate, molti ricordi sono tornati alla luce, fotografie, episodi, racconti. Da lì è nato un libro, Un rifugio vicino al cielo, libro piccolo ma importante, edito da
Silele Edizioni.
Così, si arriva su una strada in salita, a sinistra c’è una
casa che sembra abbandonata, poi il nuovo proprietario la apre, si salgono scale strette e a un certo punto Lascar dice «riconosco le mattonelle, erano queste, bianche e grigie», come si usava nelle case di inizio secolo. E
il balconcino dove lui e suo fratello, bambini, si affacciavano su un mondo che non sapevano se ostile --- «ero
troppo piccolo» --- o amichevole, ma di certo erano amici, quegli uomini e quelle donne, silenziosi ma vicini,
preoccupati alla morte per il rischio tremendo, consapevoli di star facendo la cosa giusta. Giovanni, figlio di
Giuditta: «Nostra madre era molto religiosa, era sicura
che sarebbe finita bene. Aveva fede. Ma forse aveva ancora paura, perciò non ne parlava mai. E se ne parlava,
io purtroppo non ho mai capito l’importanza dei suoi
racconti».
Giuditta era una ragazzina di 14 anni, con le trecce lunghe, una «di quelle che nei paesi le trovi dappertutto, una sveglia». Aveva una nuova amica, questa Elsa Iachia, bionda, nelle foto poi recuperate dell’anteguerra,
è una bambina che sorride, ignara di quello che stava
per succedere ad altre bambine come lei. «Insieme giocavano, andavano a cicorie nei campi, proprio qui, su
questo prato, dove vennero sorprese da un mitragliamento aereo», Aurora racconta, e racconta anche Sergio, che intanto entra in una camera dove ci sono ancora i mobili del tempo, il letto, l’armoir con lo specchio, il
comò. «Questa era la stanza dei mei genitori. E qui stavamo io e mio fratello». Non è cambiato niente — è incredibile ma è così — gli anni sono passati e in queste stanze
nessuno ha toccato più niente. «Qui stava lo zio Carubà.
Poveretto, è poi morto mentre attraversava la linea gotica, a guerra finita. Tornava verso casa in bicicletta con
mio padre, venne schiacciato da un camion americano.
Mio papà l’ha portato in un cimitero lì vicino, con un carretto».
Ora, sono quasi tutti morti. Di quelli che c’erano, restano i fratelli Guerino e Clara Mosca. Si va sotto la loro
casa, che è ancora quella, all’albergo Tre Corone. Si
apre una finestra e si affaccia Clara, «quanta paura abbiamo avuto, i tedeschi venivano a cercare mio padre,
ci puntavano il mitra in faccia». Clara aveva 8 anni, era
piccola e seria. Sapeva cos’era un mitra, e che nell’appartamento a fianco c’erano i Lascar, che durante le incursioni spegnevano tutto e stavano zitti, fermi, pregando.
In quell’albergo arrivava sempre una telefonata di
preallarme. Una amica chiamava da Bergamo, e diceva
una sola parola: «Arrivano». Era il segnale del rastrellamento del giorno dopo. Il paese si preparava, si immaginano le corse, la paura, le preghiere alla madonna. I giovani caricavano i bambini ebrei in spalla e li portavano
a Predale, una borgata di 12 case e 12 stalle, dove si rifugiavano i ragazzi renitenti alla leva, e i partigiani. Cessato l’allarme, si tornava alle case. Finita la guerra, i 17
ebrei sono tornati alle loro città, poveri ma vivi. Che vite
hanno fatto, tutti. I salvati e i salvatori, con un terrore
che è rimasto lì, fermo, per anni, «perché magari qualcuno vuole vendicarsi, chi lo sa. Meglio stare zitti, ancora
un po’». Infine ha parlato la ragazzina Giuditta, quella
con le trecce, voleva solo sapere della sua amica Elsa, se
era viva, ed era viva. Sono morte prima di ritrovarsi, entrambe hanno avuto famiglie felici, e molti nipoti. Ma
ignare e lontane, a volte le cose vanno così.
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