17.11.13

anche i gay e i single posso offrire amore ai bambini in afido o in adozione .la storia di Mario zidda ex sindaco di Nuoro che fu adottato da due single

 Cercando  ,    chi   qualcosa  di Piera serusi  , giornaliusta  che scrive  la  rubrica  storie  per  il  giornale   L'UNIONE SARDA.it   ho trovato (  è  un articolo  di  2  annifa   , ma    è ancora  attuale    )   La storia dell'ex sindaco di Nuoro Zidda 'Io, bimbo felice, adottato da due single'. Essa dimostra  , come    se  l'ambiente  di  chi   ha  il compito dell'affido o dell'adozione   è sereno  poco importa  se   esso sia un single  come in questo caso  o gay   come  sta  avendo in questi giorni con l'afido   di bambini \e  a coppie  gay     

La storia dell'ex sindaco di Nuoro Zidda 'Io, bimbo felice, adottato da due single'




La Corte di Cassazione ha invitato il Parlamento ad aprire, quando vi siano particolari condizioni, alle adozioni dei minori da parte dei single. L'ex sindaco di Nuoro interviene nel dibattito. 
di PIERA SERUSI

«Io sapevo che non ero figlio loro, però sentivo di far parte di una famiglia. Ne ho sempre avuto coscienza,
Mario Zidda
sempre. Ma oggi ancor più posso affermare di aver avuto tutto ciò di cui un bambino ha bisogno: la certezza di un rifugio sicuro, la consolazione di un abbraccio, il sostegno lungo l'impervio cammino che porta ogni piccino a diventare grande. Non ritengo la mia vita una lezione magistrale, ma è la mia storia, e se la racconto per la prima volta dopo sessant'anni è soltanto perché io posso testimoniare che, per un bimbo che sa cos'è l'abbandono, l'amore di una famiglia - anche imperfetta - è sempre meglio dell'abisso della solitudine».
FESTA DEL PAPÀ Non è stato semplice ottenere questa intervista. Chi conosce Mario Demuru Zidda, ex sindaco di Nuoro, sa bene che uno dei tratti del suo carattere è la riservatezza, una discrezione che l'ha sempre portato a distinguere nettamente il piano dell'impegno politico e amministrativo da quello privato. Ha contravvenuto a questa regola giusto due settimane fa, per dare un contributo al dibattito che si è aperto in Italia sull'adottabilità piena dei minori anche da parte dei single dopo la recente sentenza della Corte di Cassazione intervenuta sul caso che riguarda una signora di Genova.
Questa è una storia che va raccontata nei giorni della Festa del Papà, per ribadire che - qualunque sia la nostra idea a riguardo - la famiglia non è solo e soltanto il triangolo affettivo e naturale tra babbo, mamma e figli. Famiglia è la casa che salva un piccino dalla solitudine.
L'ORFANOTROFIO Ogni bambino abbandonato nasce più di una volta, quando è guardato dalle stelle. Mario Demuru, venuto al mondo nel dicembre 1945 a Brunella, Budoni, aveva un anno e otto mesi quando Pasqua e Caterina Zidda, due sorelle di Orune, classe 1906 e 1908, lo presero in casa come un figlio. «È stato abbandonato dalla mamma», disse loro padre Gavino Lai, il direttore dell'orfanotrofio femminile 'San Giuseppe' di Nuoro. «Le mie due nuove mamme mi accolsero così, senza aver ricevuto alcuna garanzia, sia per me che per loro, sul futuro dell'affidamento. È stato il loro atto di generosità senza condizioni a salvarmi la vita».
Erano gli anni del dopoguerra. Pasqua e Caterina Zidda, che a Nuoro erano arrivate negli anni Trenta a servizio dalle famiglie benestanti, avevano un piccolo negozio di generi alimentari e una casetta in piazza Santa Croce. «Era una casa sempre piena di gente. Pasqua e Caterina ospitavano due loro fratelli e più tardi pure una nipote. Accoglienza e amore: era questo, per loro, il senso della famiglia». La memoria corre ai giochi per strada, ai vicini di casa («come i fratelli Rondello, scalpellini e cacciatori di professione»), alla tavola dell'ora di pranzo apparecchiata anche per tre impiegati delle Poste e per il calzolaio, il signor Bastiano Dessena («per arrotondare, le mie due mamme cucinavano per i pendolari»); alle vacanze estive dalla nonna a Orune («lì, coi miei cuginetti, sentivo fortemente il senso della mia appartenenza a tutta la famiglia: ero stato riconosciuto come uno di loro»).
LE RADICI Aveva cinque anni quando Pasqua gli disse: «Vieni con me, andiamo a visitare padre Lai». Le due mamme, modernissime e intelligenti, avevano deciso che il bambino doveva sapere, doveva conoscere le sue origini. «Un bambino abbandonato più che sentire la propria condizione si chiede il perché, ha bisogno di risposte ma allo stesso tempo cerca di esorcizzare il problema. È lì che nasce la sofferenza, il disagio di una personcina non ancora formata che cresce in un istituto. L'istituzione, a prescindere dalla presenza di operatori caritatevoli e attenti, è sempre anaffettiva, assolutamente inadeguata a sostenere il bambino nella ricerca di un senso di sé e della propria vita. Per questo credo che una famiglia, purché sia, è sempre meglio della solitudine, della mancanza di punti di riferimento».
«Certo, finché è possibile l'ideale è una famiglia tradizionale, con padre e madre. Ma è riduttivo porre la questione dal punto di vista di chi può o non può adottare un bambino, perché l'unico bisogno di cui si deve tener conto è quello del minore. Va bene l'adozione da parte di un single, se risolve il problema di un bambino che non ha nessuno al mondo: è un modo per allargare le opportunità di salvezza di tanti piccoli abbandonati. Io sono cresciuto con due mamme single e nessun papà, ma è stata una famiglia a tutti gli effetti».
TRE COGNOMI Mario Demuru Zidda ricorda ancora il senso di desolazione provata quando, preso per mano da Pasqua, varcò il portone dell'orfanotrofio. «Ebbi l'impressione di esserci già stato e, per un attimo, sentii ancora il vuoto della solitudine. Padre Lai era un buon sacerdote dei suoi tempi. Era stato lui ad affidarmi alle sorelle Zidda, con l'intermediazione della signorina Campanelli che per anni si occupò di sciogliere i nodi della parte burocratica della mia affiliazione. Persino il cognome cambiava: nell'arco di poco tempo mutò tre volte: prima Demuru, poi Zidda, poi Demuru Zidda».

IL LEGAME DI SANGUE Non era un bambino che faceva domande. «Non ce n'era bisogno. Pasqua e Caterina mi hanno sempre raccontato tutto. Loro andavano alla ricerca dei tasselli sparsi delle mie origini, li ricucivano e me li narravano. Avevano capito il mio bisogno di tornare sui miei passi, di conoscere le mie radici. A cinque anni ho cominciato così a esplorare la via che mi ha portato a sapere di mia madre e, avevo 17 anni, a conoscerne i familiari. Ho poi conosciuto anche mio padre, certo. Avevo 25 anni, è stato un incontro voluto da lui che mi aveva sempre tenuto d'occhio, da lontano. Se ho provato sentimenti ostili? No, mai. La mancanza di un padre forse l'ho sentita durante l'adolescenza, solo perché confrontavo la mia realtà con quella degli altri ragazzi. Ma, onestamente, se penso al prima e al dopo, dico no: non c'è stato un vuoto d'affetto». Pasqua e Caterina non ci sono più. Una è morta nel 1979, l'altra nel 2003. «Sono state le mie due mamme. Dandomi una famiglia mi hanno ridonato la vita».

PIERA SERUSI

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