[ post notturno numero 2 ] chi è più sciacallo chi ruba i soldi ad un alluvionato o chi licenzia con un sms ulka domestica che s'era assentata per aver aiutato la sorella colpita dall’alluvione.










canzone consigliata chi ruba nei supermercati Francesco de Gregori 


Non riuscendo a prendere sonno , per il mal di denti , avendo finito gli antidolorifici cerco e mi sforzo di come ho scritto nel post come non pensare al dolore fisico in ospedale in attesa della morfina e dell'antidolorifico e non solo  di non pensare e di pensare ad altro . Ma non riuscendoci mi distraggo cazzeggiando \ coglionando in rete ed proprio qui che ho trovato fra le tante storie di solidarietà  che racconterò nei prossimi giorni   per i fatti dell'alluvione del 18\19 di novembre queste due storie la prima  di cinismo








Olbia, un esposto contro il vigliacco

da SARDINAPOST   il 24 novembre 2013




 Un esposto dei vicini di casa ai carabinieri e al sindaco di Olbia. L’hanno firmato Pietro Mariano e Jolanda Concas, vicini di casa di Francesco Mazzoccu, l’operaio di 35 anni morto Enrico ( foto a destra ) , un bambino di 3 anni, travolti dall’acqua che aveva invaso la strada che unisce Olbia a Telti.assieme al figlio . Per ora ancora senza nome, almeno ufficialmente. Un operaio dell’Anas che – mentre Francesco Mazzoccu chiedeva disperatamente aiuto – rimase rintanato nella sua auto, paralizzato dalla paura. E rispose con un “Ti spacco la faccia” alle insistenze di Pietro Mariano che lo implorava di dare una mano perché c’era la possibilità di salvare quell’uomo e quel bambino.
Le sequenza dell’agonia dei Mazzoccu è una delle storie più tragiche e agghiaccianti dell’alluvione che lunedì scorso ha devastato la Sardegna. Pietro Mariano, titolare di un’officina meccanica, aveva raggiunto la località Putzolu per soccorrere un’amica, Jolanda Concas, che era rimasta bloccata sulla strada assieme alla figlia, una bambina di undici mesi. Compiuta la missione, si stava dirigendo verso Raica, ma si trovò davanti a un muro d’acqua. Mentre faceva marcia indietro, sentì delle urla. Su un muretto, stretto a un palo, c’era un giovane uomo che chiedeva disperatamente aiuto. Sotto la giacca stringeva un bambino piccolo.
Pietro Mariano si avvicinò quanto più potè. Si rese conto che da solo non era in grado di fare nulla. Gridò all’uomo di stare tranquillo perché i soccorsi sarebbero arrivati. Quindi andò a cercarli. E per primo incontrò un signore anziano. Gli chiese di seguirlo perché c’erano un uomo e un bambino in pericolo nel mezzo della piena. Quell’uomo era il padre di Francesco e il nonno di Enrico.
Il livello dell’acqua cresce continuamente. Il tentativo di lanciare delle cime non riesce. E’ allora che Pietro Mariano vede l’auto dell’Anas, la raggiunge e chiede all’operaio seduto al posto di guida di intervenire. Niente da fare. Anzi, alle insistenze, quell’uomo risponde con insulti e minacce. Passa quasi un’ora. Nel frattempo si è trovato un trattore che è pronto a intervenire. Ma di colpo i lamenti di Francesco Mazzoccu e del suo bambino s’interrompono. L’acqua ha distrutto il muretto sul quale si erano rifugiati. Il corpo del padre sarà ritrovato nella tarda serata, denudato dalla violenza della corrente. Quello di Enrico la mattina dopo, a cinquanta metri di distanza, in un aranceto.
Francesco Mazzoccu era andato nel primo pomeriggio a prendere il bambino all’asilo. A bordo della sua Punto era diretto verso casa, in via Monte, a Telti, quando si era trovato improvvisamente nel mezzo del fiume di fango. Allora era sceso dall’auto, stringendo il figlio tra le braccia, ed era saltato su quel muretto che appariva sufficientemente resistente. E, in effetti, ha resistito quasi un’ora. Un tempo infinito. Che, se solo tutte le forze disponibili si fossero unite, molto probabilmente sarebbe stato sufficiente per evitare la tragedia.
Pietro Mariano ne è convinto: “Li potevo salvare – ha dichiarato a La Stampa – ci ero quasi riuscito ma nessuno mi ha aiutato. Anzi, chi poteva fare qualcosa si è rifiutato. Sembra difficile da credere ma è successo davvero in quel momento d’inferno”.



 la seconda di un sopruso 


 Olbia, licenziata con un sms per aver aiutato la sorella colpita dall’alluvione. Il padrone è un costruttore




Licenziata con un Sms. E’ una storia che ha l’effetto di un pugno sullo stomaco Che proprio stona in questo scenario di straordinaria solidarietà che sta abbracciando la popolazione di Olbia da ogni parte dellaSardegna e d’Italia. La storia di Alessandra Dalu, raccontata dall’emittente regionale Cinquestelle Sardegna, sembra inventata tanto pare assurda, ma assolutamente vera. Lei, mamma di una bambina, sposata con un disoccupato, ieri ha perso il lavoro, che era l’unica fonte di sostentamento della famiglia. L’ha perso perché ha deciso di aiutare la sorella. Già, nella corsa solidale c’è qualcuno che sta a guardare e punisce chi sacrifica se stesso per gli altri. La colpa di Alessandra? Martedì mattina anziché pulire l’appartamento del padrone, spalava il fango da una

casa popolare di via Campidano.
I datori di lavoro di Alessandra fanno parte di una nota e benestante famiglia di Olbia, titolari di una grande impresa di costruzioni che ha realizzato complessi edilizi in varie zone della città. Alessandra fa le pulizie nella loro villa e nei loro uffici da due anni ma non ha mai ottenuto un regolare contratto . Lavoro nero, senza garanzie. Ieri, quando ha comunicato ai suoi datori di lavoro che sarebbe potuta tornare in servizio solo lunedì prossimo, ha avuto la glaciale risposta prima al telefono e poi via sms . “No, grazie. Non abbiamo più bisogno di te” .
E’ stata punita, Alessandra, per aver dedicato il suo impegno a una persona di famiglia che ha perso tutto. I suoi ricchi datori di lavoro, dalla loro casa confortevole e calda, le hanno detto che non serve piu'

Ora pero  lo stesso giornale  racconta  che  “dopo averla  licenziata, ora minaccia di rovinarla  .Infatti  



Non solo sciacalli. Nella giungla del post alluvione, l’altra faccia della solidarietà è nei lupi che sbranano le coscienze col cinismo.Alessandra Dalu, 38 anni, una figlia di 11, non vive di rendita. Aveva un lavoro come colf, non l’ha più perché ha chiesto al suo datore di lavoro di poter stare un giorno con sua sorella, una delle vittime dell’alluvione. Un solo giorno. Davanti a tanti angeli del fango che aiutano sconosciuti, il ricco imprenditore edile di Olbia ha visto bene di licenziarla. Con un sms: “Non ci servi più”.


Signora Dalu, per caso il suo principale ci ha ripensato? Le ha chiesto scusa?

“Neanche per idea. Ieri ha chiamato mio marito, che fa il muratore, minacciandolo che gli farà perdere il lavoro. A me ha minacciato esplicitamente, dicendo che per l’intervista rilasciata a “Cinquestelle Sardegna” mi rovinerà. Ma io non ho paura”

Ha intenzione di presentare una denuncia?

“Fortunatamente un avvocato si è offerto di darmi assistenza gratuita. Voglio denunciare il mio ex principale all’Ispettorato del Lavoro. Quello che ha fatto non ha giustificazioni. Mia sorella ha perso quasi tutto, lasua casa era sommersa in un metro e mezzo d’acqua. Anche mio padre e mio fratello hanno avuto grossi problemi. Ho chiamato il mio datore di lavoro alle sette di martedì mattina, dopo che erano morte delle persone, quando tutti sapevano di quello che era successo ad Olbia. Mi ha detto che non andava bene. Poi mi ha licenziata con un messaggino sul telefono. E’ una vergogna, l’unica cosa che mi hanno chiesto è stata quella di restituirgli le chiavi di casa”.

Da quanto tempo lavorava per loro?

“Avrei fatto tre anni a dicembre. Pulivo la loro casa dal lunedì al venerdì. Il sabato l’ufficio dell’impresa edile. Non voglio soldi, solo giustizia. I loro soldi sono maledetti e se ricevessi un risarcimento lo darei alle vittime dell’alluvione. Un sms per dire “non c’è bisogno di te” proprio mentre qui a Olbia tutti dicono “diamo una mano” Quello che non capisco è perché davanti a tanta solidarietà ci sia gente che può comportarsi in questo modo”

C’erano già stati segnali da parte di queste persone?

“Il primo anno è andato tutto bene, poi hanno cominciato a dire che c’era crisi e che lo stipendio non sarebbe stato sicuro. Mai un litigio, ma la signora, la padrona di casa, non voleva che mi assentassi. Quando mia figlia aveva la febbre, mi diceva di portarmela dietro pur di non mancare al lavoro. Io ovviamente non la ascoltavo, ma perdevo le giornate di lavoro”.

Un lavoro in nero, senza garanzie.

“Purtroppo sì, era l’unico modo per lavorare. Tanti sacrifici per che cosa? Per essere mandata via per telefono? Se anche adesso tornassero indietro, non li voglio più vedere in faccia. Sono peggio degli sciacalli”.

Giandomenico Mele



tale storie mi fanno considerare meno sciacalli  ,almeno loro è comprensibile vista  la situazione   ma non giustificabile  questi altri due  fatti 

 dall'unione sarda del 24\11\2013
Olbia, anche gli sciacalli tra le macerie  Anziano derubato degli ultimi risparmi

Il volto della solidarietà è quello più bello ed evidente. Nei luoghi dell'alluvione sono però anche entrati in
unione sarda 
azione gli sciacalli e le truffe corrono on line.Aveva poggiato 1500 euro ad asciugare sul letto e qualcuno li ha rubati. Così un anziano malato di Olbia, vittima dell'alluvione, ha denunciato il furto degli unici risparmi rimasti.
I carabinieri hanno anche ricevuto segnalazioni di furti d'auto e di oggetti. Le forze dell'ordine invitano anche a ignorare i gruppi on line non riconoscibili che chiedono soldi. La truffa corre anche sul web.  
 concludo sempre  con un articolo di sardiniapost 

Tema del ritorno a scuola: servi e padroni a Olbia

Articolo pubblicato il 24 novembre 2013

Gli insegnanti delle scuole che finalmente riaprono a Olbia hanno una montagna di cose da discutere con gli studenti. La loro città ha vissuto un’enorme tragedia e, da una settimana, è al centro delle cronache nazionali. Non se ne parla, al contrario di tante volte del passato anche recente, come di una sorta di popolosa frazione della Costa Smeralda. No, Olbia per l’Italia e per il Mondo, è una città “vera”, fierezza e sull‘orgoglio dei sardi che accompagna purtroppo molte delle cronache – è un vezzo nazionale quello di esaltare i luoghi comuni regionali dopo la catastrofi – Olbia è diventata un “argine di realtà”. I fatti si snodano uno dopo l’altro – spietati e crudi – senza lasciare scampo. Quelli collettivi, come le diciassette sanatorie di insediamenti abusivi, e quelli individuali: le vicende dei singoli uomini.Questo è l’ambito che più si presta a una riflessione da sottoporre ai ragazzi. Un’ insperata opportunità educativa. Perché non è frequente, nell’Occidente del benessere, assistere in prima persona a tragedie che chiamano in causa i valori fondamentali svelando, come solo le situazioni estreme possono, la complessità della natura umana. Queste situazioni estreme, infatti, riguardano sempre “gli altri”. Altri Paesi, altri popoli, gente lontanissima da noi. E ci appaiono così lontane che facciamo fatica a vederle anche quando quella gente, per esempio sbarcando sulle nostre coste, ci porta il suo dolore a domicilio.Sono le situazioni dove l’alternativa è tra la vita e la morte, il cibo e la fame, un riparo per la notte e il gelo. Quando gli uomini si trovano a verificare la solidità di quanto hanno imparato dalla scuola, dalla famiglia, dall’insegnante di filosofia o di catechismo: il rispetto per il prossimo, il dovere di aiutarlo se è in difficoltà. Quando, in definitiva, siamo costretti dalle circostanze ad affacciarci nell’abisso della nostra fragile natura. E dobbiamo rapidamente decidere se aprire la casa e il portafoglio, o chiuderli entrambi, chiudendo contemporaneamente anche gli occhi, perché non sopportiamo più la vista del dolore. Perché il dolore degli altri turba i nostri sonni e i nostri pranzi. Perché siamo cresciuti nell’idea folle che il benessere e il progresso non possano avere fine.A Olbia c’è stato un imprenditore – uomo facoltoso e rispettato –che ha licenziato con un sms la sua colf perché era andata a spalare il fango dalla casa della sorella anziché recarsi nella casa del medesimo imprenditore, dove lavorava in nero da anni, per levare la polvere dai mobili e dai soprammobili.
Che immaginiamo opulenti e inutilmente costosi, piccole cose di pessimo gusto messe là per certificare uno status. Senza grazia e senza amore.Ecco, fuori dalla retorica delle fierezza e dell’orgoglio, un bel tema su cui ragionare con i giovani: il rispetto verso il prossimo non è innato. Si impara con lo studio, non basta l’esempio degli adulti. E se esistono adulti così, c’è un motivo in più per studiare. Come insegnava don Lorenzo Milani, studiare serve ad acquisire le parole che consentono di chiamare le cose col loro nome vero. Non con quello edulcorato dal politicamente corretto. L’alluvione, così come trasforma l’acqua in fango, può trasformare certi datori di lavoro in padroni. Ma ancora non riesce a trasformare i loro dipendenti in servi.con i suoi problemi, i suoi eroismi, le sue meschinità.Nelle stucchevole retorica sulla 

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