L’orlando curioso: un’alternativa per il recupero del senno
Prima circonvoluzione
Orlando camminava a testa bassa tra le fronde, i riccioli gli gocciolavano acqua sul viso, che sembrava insonne, tanto che, a tratti si infuocava di rabbia, a tratti s’infervorava di quiete. Sembrava che nel suo volto si stesse verificando come l’esplosione di una supernova, gli occhi pulsavano e sembravano lanciarsi in dei voli folli in giro per la foresta, come mille cinghiali in corsa. L’iride si dilatava al ritmo della diastole e non si sarebbe detto quel corpo che suonava, il corpo di un uomo privo di senno. Ora destava quasi tenerezza, sembrava un bimbo muto che sottovoce, con gli occhi grida “mamma”. Si chiudeva nelle spalle e continuava col suo andare lento e pensieroso, aveva perso la maschera del cavaliere, ma aveva acquistato quella di uomo. Aveva, in particolare, dell’uomo, il vuoto. E infatti sembrava non si sentisse per niente solo, era affamato di pienezza, era in compagnia del suo vuoto, tanto che sembravano fondersi il vuoto e lui, lui e il vuoto. Una simbiosi, un uomo e il suo vuoto che si facevano compagnia tra i salici e le pesanti sequoie. La foresta si illuminava appena della rifrazione del crepuscolo in un’ampia spiaggia assolata, deserta e lucente. Sul lato, a sinistra della foresta, c’era un grosso promontorio, aspro e secco, privo di vegetazione, e sulla punta del promontorio, una torretta saracena, e in basso, a sprofondare nel mare, una serie di grotte argentee luccicanti al sole di mezzodì. Il povero Orlando, accolse quella presentazione estiva con animo dolce, ma la serenità l’aveva abbandonato, così ricominciava a lasciarsi e a dimenarsi, a gettarsi nella sabbia, a scacciare pietre nell’acqua senza onde, placida. Desiderava che gli si formasse sulla retina l’immagine capovolta di un uomo, a sostituire quella dell’infedele Angelica, ma non c’era alcuno lì. Nemmeno un’ombra putrefatta dalla calura. Così dopo la furia, vedendo lontano uno scoglio levigato bianco, quasi di marmo, gli si accosta con fare maldestro, e poi si posa, cercando riposo. Quando il sole fu allo Zenit, aprendo un pochettino gli occhi, notò all’angolo destro della sua visuale, un uomo, con le vesti rosse di un monaco, e la fronte ampia che rifletteva la luce. Se ne andava scalzo, e guardava le ombre che i suoi piedi lasciavano alla riva, con la delicatezza dei bacetti alle manine di un neonato. Era un uomo solo e pensoso, con le mani giunte dietro la schiena, e per l’andare cheto e tranquillo che a Orlando sembrò subito amico. E per quanto un uomo impazzito possa voler illudersi di starsene solo, subito balzando dalla dura roccia, tanto da far spaventare un gabbiano vicino, portò il palmo destro sopra gli occhi, all’altezza delle sopracciglia, per metter a fuoco l’immagine lontana. Palesandosi quell’uomo dal viso paffuto, Orlando si pizzicò il braccio: non era un miraggio, o una fata morgana, era un uomo, e l’idea di parlare con qualcuno lo rendeva entusiasta. Così, pian piano, silenziosamente si avvicino alla riva, mantenendo la dovuta distanza con l’uomo, così questo, lo notò, ma il suo cuore non fece spasso alcuno, anzi, il suo respiro si affievolì in un gradevole sorriso. Così a quell’accenno, Orlando si sedette come uno scolaro, sulla sabbia a piedi incrociati, portando entrambi i gomiti alle ginocchia, e chiudendosi il mento tra le mani, osservava l’uomo, incuriosito. Il monaco cominciava a bisbigliare qualcosa come “Solo e pensoso i più deserti campi /vo mesurando a passi tardi e lenti,/e gli occhi porto per fuggire intenti /ove vestigio uman l'arena stampi.” Allora il nostro giovane riccioluto, lo guardava senza parlare. L’uomo pelato sembrava uno dotto, un acculturato. E dato che Orlando dalla nascita aveva una particolare curiosità che l’aveva mosso fino a là, lo guardava, e quasi dimenticava il suo malanno, lo guardava mentre quello bisbigliava versi sfatti e zoppicanti che però conservavano armonia. Allora pensò che tutti quei versi fossero come una strana musica, e i bollori della gelosia sembravano affievolirsi nell’animo suo. “Altro schermo non trovo che mi scampi/ dal manifesto accorger de le genti,/perché negli atti d'alegrezza spenti/ di fuor si legge com'io dentro avampi”. L’uomo pelato sembrava proprio un gran saggio, sapeva suonare con la bocca, “Gran saggio paffuto, dimmi col quel riso muto, come fa la tua saggezza a trasformar l’amor in allegrezza? O sei tu come ogni amante della terra, triste e maledetto, sconsolato e inappagato” – Orlando parlò all’uomo con viso chino, nascosto tra i ricci, con l’aria di chi non conoscendo la via, perduto, chiede indicazioni per vivere. Ma ancora, alzando il capo, e fissandolo con gli occhi, strisciando sulla sabbia calda: “Dimmi maestro, non ti conosco ma hai tutta l’aria di essere un poeta, e io ti son devoto, l’animo mio in moto, scorge attorno a te l’aura dei contemplatori, il sigillo dei sognatori.” Nonostante Orlando implorasse la sua attenzione, quello sembrava tutto attento in una strana meditazione, i due erano vicini: il monaco continuava a passeggiare per la spiaggia, bisbigliando e Orlando restava fermo col corpo insabbiato, e poggiandosi sulla forza delle braccia, gli gridava: “Maestro..” Ma quello non sembrava sentire la voce di Orlando, che così si sentiva ancora più solo. Era tutto come in uno strano sogno, in cui Orlando poteva solo osservare, senza comunicare o interferire con quello che vedeva, eppure il silenzio di quello strano monaco, non lo gettò nel panico della solitudine, piuttosto gli diede la forza di continuare a scoprire le meraviglie di quella spiaggia incantata. E mentre pensava questo, le parole del saggio prendevano forme e si plasmavano, in lontananza gli pareva di sentire cori di fate che mormoravano “angelica, angelica”, mentre si piegava sulle ginocchia per alzarsi e cercare di capire da dove provenivano quelle voci di ninfa, un misto di sabbia e boccioli di rose, gli giravano intorno, e ora l’avvolgevano tutto, fluivano come dell’acqua su per il capo, gli scorrevano per le spalle, per la schiena, inebriandolo. E in quel gioco di rose, di boccioli e dolci bisbigli, sussurri incantevoli, il ricordo d’Angelica diventò piacevole, tanto che, come dopo un sorso di ambrosia, Orlando cadde in un sonno profondo, e al suo risveglio, si trovò, nella gola di una delle grotte del promontorio.
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