10.7.13

Storia d'amore, di isolamento e di una società che (non) cambia


unione  sarda  10\7\2013  

di ANTHONY MURONI
«Anni fa ho battezzato sette figli di una vedova avuti da due uomini diversi. Pensava di essere in peccato mortale. Ci siamo incontrati, e alla fine abbiamo fatto tutto con due padrini soli. Dopo una piccola catechesi li ho battezzati»*.
Si fa presto a dire misericordia. Eppure nell'Anno Domini 2013 per chi esce dal gregge ci sono ancora poche speranze di una vita normale. Quella di Annagiulia (ma il nome è di fantasia), cagliaritana, cristiano cattolica fino al midollo, un figlio adolescente, un matrimonio in fase di annullamento presso la Sacra Rota, un posto di rilievo all'interno dell'amministrazione pubblica, è cambiata radicalmente qualche anno fa. A rivoluzionarle l'esistenza è stata una freccia scagliata con chirurgica precisione da un Cupido particolarmente in vena di scherzi. «Era il primo giorno del mio pellegrinaggio annuale in una terra che è crocevia del cattolicesimo. Appena il mio sguardo ha incrociato quello di un uomo fin lì sconosciuto, mi sono innamorata». Il fato ha voluto che il sentimento venisse ricambiato all'istante.
Una storia di felicità, letizia e fecondità, a prima vista. Con una piccola complicazione: il bel signore che incontra lo sguardo della sua nuova amata è un sacerdote, anche se veste gli abiti borghesi.
Esercita in una parrocchia molto lontana da Cagliari, in una piccola Diocesi dell'Isola. La sua vita cambia quel giorno, 35 anni dopo essere entrato in Seminario e aver scelto di indossare la tonaca. La storia va avanti in maniera clandestina, parallela rispetto alla vita da parroco, per almeno un biennio. Finché non si rende conto di non poter più convivere con quel segreto e con quell'ipocrisia, al cospetto di Dio e degli uomini. Risolve di andare a parlare col suo vescovo, per annunciargli di aver intenzione di lasciare il suo ministero sacerdotale per intraprendere una nuova vita.
«In quel momento cambia davvero tutto», racconta Annagiulia, «attorno a lui prima, e a me poi, si è aperto una sorta di solco. Siamo stati scomunicati da gran parte dei nostri parenti, alcuni dei quali molto vicini. E il mio nuovo compagno, che desidero diventi presto mio marito, è stato condannato a uno scientifico ostracismo, anzitutto dall'ambiente nel quale ha vissuto per decenni».
Il racconto di Annagiulia, a tratti, ha dell'incredibile: «Pensi che qualcuno, molto in alto, arrivò a suggerirgli di non andare via dalla parrocchia, di evitare lo scandalo. Al massimo avrebbe potuto gestire il rapporto con me in maniera segreta, parallela. Insomma, una cosa ipocrita».
Da poco meno di due anni vivono assieme, incontrando poca solidarietà e trovando più porte sbarrate che socchiuse: «Da un giorno all'altro si è trovato senza sostentamento e gli è stato precluso anche di poter puntare a ottenere un posto di insegnante. Molte delle limitazioni che ci sono piovute addosso risultano incomprensibili. A causa degli iniziali ritardi, anzi dell'inadempienza di chi era preposto ad avviare le pratiche, è stato finora persino privato della dispensa che ha chiesto da molti mesi. Quell'atto, necessario per fargli ritrovare lo stato laicale, gli avrebbe consentito di accedere a un matrimonio religioso e a una nuova vita all'interno della società. Nel frattempo va avanti anche la mia pratica di annullamento, presso il Supremo Tribunale ecclesiastico romano, visto che a Cagliari le cose sono state concluse a tempo di record».
«Lo dico con dolore, se suona come una denuncia o un'offesa perdonatemi: ci sono presbiteri che non battezzano i bambini delle madri non sposate perché non sono stati concepiti nella santità del matrimonio. A me non piace questa visione burocratica della religione, non mi piacciono i sacerdoti farisei. Questi sono gli ipocriti di oggi, quelli che clericalizzano la Chiesa, quelli che allontanano il popolo di Dio dalla salvezza».
Fin qui un racconto che è certamente di parte, figlio di un disagio indotto dalla reazione di una società - anche di quella laica e laicista - che, nonostante i proclami, tarda a uscire da vecchi stereotipi. Nel senso che la non condivisione di una scelta - che è legittimo osteggiare o persino condannare - continua a far rima con emarginazione e indifferenza.
«Eppure sa quanti sono i sacerdoti ancora in servizio che sono nella stessa situazione del mio attuale compagno? Tantissimi, mi creda. Solo che hanno paura di rivelare la loro scelta. Perché sanno che verrebbero condannati all'isolamento. Ne ho conosciuto uno, giusto qualche mese fa, che ha avuto il coraggio di abbandonare la tonaca solo dopo che il figlio nato dal suo rapporto segreto con una donna aveva ormai compiuto un anno».
Ho detto allora ai sacerdoti: «Se potete, affittate un garage e, se trovate qualche laico disposto, che vada! Stia un po' con quella gente, faccia un po' di catechesi e dia pure la comunione se glielo chiedono».
Un parroco mi ha detto: «Ma padre, se facciamo questo la gente poi non viene più in chiesa». «Ma perché?», gli ho chiesto, «adesso vengono a Messa?». «No», ha risposto. «E allora! Uscire da se stessi è uscire anche dal recinto dell'orto dei propri convincimenti considerati inamovibili se questi rischiano di diventare un ostacolo, se chiudono l'orizzonte che è di Dio».
Tutto è cambiato, non solo la vita sociale, le amicizie, l'accesso a un posto di lavoro. «Beh, ad esempio, l'associazione con la quale facevamo i pellegrinaggi religiosi ci ha chiesto, con discrezione e grande educazione, di evitare di iscriverci. Da allora andiamo per conto nostro, mischiati agli altri semplici pellegrini». Non saltano mai la Messa né la domenica né nelle altre feste comandante: «Ma, com'è previsto dagli attuali canoni, non possiamo accostarci all'Eucarestia. Non è sufficiente vivere secondo i dettami della religione, aiutando gli ultimi, perdonando le offese, cercando di non fare agli altri quello che non vorremmo fosse fatto a noi. Il nostro Peccato, per i sommi sacerdoti del Purismo, non è perdonabile. È un qualcosa che ci ha corrotto definitivamente, senza possibilità di poter più accedere né a una vita normale né a un'esistenza a contatto con la religione». Eppure l'ostracismo non arriva solo dai fedelissimi a Santa Romana Chiesa. «Le cose sono cambiate anche per me, persino sul lavoro. Se fino a due anni fa ero al centro di tutte le questioni del mio ufficio, pian piano sono stata messa in un angolo, trattata come una persona da non stimare». Prodotto di una società che si commuove per lo stupendo gesto di un Papa che si scomoda per andare ad accarezzare i migranti che sbarcano avventurosamente a Lampedusa o che condanna l'ipocrisia di una Chiesa opulenta e spesso lontana dai problemi quotidiani della gente. Si commuove, si costerna, s'indigna, s'impegna, ma poi getta la spugna senza nessuna dignità, voltando le spalle a chi ha scelto di uscire dal gregge per assecondare la sua natura o il suo istinto d'amore.
«Ma non tutti ci hanno abbandonato al nostro destino. Ci sono alcuni sacerdoti, anche cagliaritani, che ci trattano come persone, come gente che può essere ammessa alla conversazione e alla condivisione di alcuni importanti momenti. Sono loro a darci la forza di continuare. Di sperare che questo mondo, questa società, questa Chiesa, possano davvero cambiare».
* le frasi in corsivo sono state pronunciate
negli anni scorsi da Jorge Mario Bergoglio,
dal 13 marzo 2013 Papa Francesco

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